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 Tutti gli 
      uomini del senatore di Rikku19 
      
 Guardo 
      l'apparecchio nero sul tavolino accanto al divano. Nulla.
 Lui mi fissa con i suoi occhioni gialli lampeggianti, come per dire "beh, 
      che ti aspetti, te le sei cercate. Se dici di voler rompere è ovvio che 
      non ti chiama".
 Insomma, gradirei un po' di comprensione almeno dal mio telefono.
 No, nemmeno quel diabolico aggeggio vuole darmi un po' di conforto.
 Controllo per l'ennesima volta se il cavo è collegato, e se il volume è al 
      massimo.
 Tutto normale. e allora perché lo stronzo non telefona?
 "perché l' hai mandato al diavolo" dice il telefono.
 Ha ragione, lo so bene!
 È solo che.
 Che spero che mi chiami chiedendo scusa.
 E il telefono sta lì, con quel suo ghigno diabolico, e quelle luci gialle 
      che lampeggiano dicendo "ehi, cretino, guarda che ha di meglio da fare che 
      chiamare te! Lo hai sempre saputo che non era innamorato di te!"
 Buffo, quanto i telefoni possano essere realisti.
 Christian, no, lo diceva che non mi amava.
 Ero io quello innamorato
 
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 Tutto è iniziato una sera d'estate, una di quelle in cui l'afa di fine 
      agosto è tanto insopportabile che preferisci startene chiuso in casa con 
      l'aria condizionata al massimo a marcire davanti a telenovele di quint'ordine, 
      piuttosto che mettere un piede fuori casa e sudare come un eschimese 
      all'equatore.
 Ecco, era proprio una di quelle sere.
 Mi divertivo, con i miei quindici film noleggiati in videoteca, con i miei 
      panini immersi nella nutella, la maglietta, a sua volta, imbrattata di 
      cioccolata, lattine di birra ovunque, e il normale casino che pervade il 
      mio appartamento quando sono a casa in vacanza.
 Ero arrivato alla scena cruciale di Gangs of New York (dái, macellaio, 
      squartalo, lo stronzo! Ti ha pure fregato la donna! E ammazzalo!), quando 
      il campanello suonò insistente, senza tregua, come se fosse una questione 
      di vita o di morte.
 Ed in effetti, poco ci mancava.
 Davanti alla porta c'era la mia sorella gemella Alexa, mia forzata 
      coinquilina, da quando il suo ex marito l'ha fatta cornuta e da quando 
      l'avvocato del suddetto fedigrafo l'ha privata di casa e mezzo conto 
      comune cointestato.
 "Alex, aiutami, è questione di vita o di morte!"
 Appunto.
 Era completamente rossa per lo sforzo, e teneva qualcosa di decisamente 
      ingombrante fra le braccia.
 In effetti, più che qualcosa era qualcuno.
 "dio mio!" sbottai, portando dentro quel qualcuno e chiudendo di scatto la 
      porta, prima che quella ficcanaso della vicina venisse ad accusarci di 
      tentato omicidio.
 Anche se non ero sicuro fosse solo tentato.
 "Alexa. chi è?" chiesi mentre lo presi in braccio e con fatica lo poggiai 
      sul divano.
 Notai che respirava ancora.
 E tirai un sospiro di sollievo.
 "e che ne so, io!" rispose, isterica "ero lì, che guidavo e questo, mi 
      attraversa la strada! Non ho fatto in tempo a frenare!"
 "scema, non potevi portarlo all'ospedale?" urlai
 "no! Avrebbe sporto denuncia! E dove li trovo io i soldi per pagarlo?"
 "e perché l'hai portato da me?" sospirai
 "sei un medico, no?"
 "un medico. Alexa sono al primo anno di medicina!"
 "laurea, non laurea, che differenza vuoi che faccia? Il mio chirurgo 
      plastico non aveva la laurea!" disse, stizzita.
 "consolante." risposi ricordando la protesi al seno scoppiata in aereo 
      avanti a tutti, ma subito presi in mano la situazione "portami un panno 
      bagnato, e aiutami a spogliarlo!"
 Avevo iniziato ad armeggiare con i bottoni della camicia, quando, grugnì, 
      destandosi.
 "ahi, che botta." disse "dove mi trovo?"
 Alexa, non appena sentì la voce, mi precedette nel rispondere: veloce come 
      una scheggia gli si gettò fra le braccia, implorando perdono.
 "sono io che ti ho investito mi chiamo Alexa Williams. mi dispiace 
      tantissimo! Ti prego, scusa! Non farmi causa. farò tutto quello che vuoi 
      ma per piacere, non denunciarmi! Ah, lui è mio fratello Alex"
 "piacere" dissi, un po' preoccupato.
 "piacere, Christian Thompson" si presentò, lanciandomi un'occhiata strana, 
      indefinibile, penetrante. e sorrise, rivolto a mia sorella "non 
      preoccuparti. sto bene, solo una botta in testa quando ho sbattuto contro. 
      beh, un palo credo. non ne sono certo, ho perso i sensi"
 "era un semaforo." e aggiunse, poco dopo "verde"
 "è colpa mia, non ho visto la macchina arrivare" sospirò, alzandosi 
      "grazie per la gentilezza"
 "no, si sieda." dissi, fermo "potrebbe essere qualcosa di grave"
 "ho detto che sto bene" sorrise "non c'è bisogno di."
 "e io ho detto che si deve sedere. e. le piacerebbe restare per cena?" 
      osai, e arrossii.
 Cretino! Arrossire come una bambinetto! Magari aveva una commozione 
      celebrale e non se ne era accorto!
 "beh, non so se." borbottò
 "la prego! Mi faccia sdebitare in qualche modo" disse Alexa
 sollevai un sopracciglio. Alexa che chiedeva di sua spontanea volontà di 
      fare qualcosa per il prossimo senza aver alcun
 "e come Alexa? Tu non sai cucinare!" ridacchiai io, iniziandomi a mettere 
      il grembiule.
 "beh, puoi cucinare tu! E io gli faccio compagnia!"
 "allora, resta?" domandai
 "certo." e mi diede un sorriso caldo, gentile, che mi fece tremare la 
      gambe.
 
 Avevo armeggiato per più di mezz'ora tra i fornelli, preparando il mio 
      piatto forte, penne all'italiana con frutti di mare, pomodoro e 
      peperoncino, mentre Christian e Alexa chiacchieravano animatamente, 
      escludendomi dalla conversazione.
 
 L'ospite mangiava di gusto, e aveva chiesto due volte il bis.
 "veramente ottime!" disse entusiasta "sa, così buone le ho mangiate solo 
      da 'Rosario'."
 "beh, è una ricetta di famiglia." risposi modesto, ma sotto navigavo nella 
      soddisfazione.
 "Rosario è nostra zia. Alex, d'estate e nei fine settimana lavora da lei" 
      spiegò Alexa
 "complimenti! Siete tutti così eccezionali in cucina, nella vostra 
      famiglia?"
 "in realtà." iniziò Alexa "io sono la pecora nera della famiglia. non so 
      fare nemmeno un uovo sodo!"
 Tutti ridemmo.
 "allora è bene che ti confidi una cosa, Alexa." disse, avvicinandosi a lei 
      "nemmeno io so cucinare!"
 Sorrisi, guardando la complicità che si era fatta tra i due, sentendomi di 
      troppo e, stranamente, geloso.
 "e lei di cosa si occupa, signor Thompson?" chiesi
 "io sono in politica." rispose, addentando un tozzo di pane
 "ahhhhh!" urlò Alexa di scatto
 "Alexa.?" chiesi preoccupato.
 Lei fissava inebetita Christian Thompson, come se fosse l'ottava 
      meraviglia del mondo.
 "lei è. lei è. il candidato al senato!" ma subito si portò le mani al 
      volto "Oddio, ho investito un senatore!"
 "beh, senatore solo se mi eleggeranno"
 "oddio! Allora ho sul serio investito un sentore"
 "non, preoccuparti, Alexa" rise lui "va tutto bene"
 Le poggiò una mano sul capo, accarezzandola.
 Io ribollivo di rabbia.
 Ero io che l'avevo curato, non lei.
 Ero io che avevo cucinato, non Alexa.
 Ma dovetti tacere, e sorridere, di buon grado, riducendo in brandelli il 
      tovagliolo di carta.
 "qualcuno vuole un po' di gelato?" dissi, per distrarre le mie mani.
 Entrambi rifiutarono, e io mi sedetti, osservando gelido la complicità tra 
      i due
 
 "Lex, fratellino, abbiamo finito il vino, potresti scendere in enoteca a 
      prenderlo?"
 "beh. certamente. vado e torno in un lampo"
 
 Andai e tornai, ma non rapido come avevo promesso. Colpa dell'orda di 
      Newyorkese arrabbiati che uscivano tardi dal lavoro, dopo ore di 
      straordinari. E capii subito che avrei dovuto manifestare la mia cura per 
      la puntualità.
 Quando entrai, poco più di mezz'ora dopo, notai che c'era qualcosa che non 
      andava.
 Non indagai, limitandomi a sparecchiare e a guardare i due bisbigliare sul 
      divano.
 Notai una macchia di rossetto sul collo dell'ospite, ma non ci badai 
      molto.
 Insomma, Alexa poteva essere scivolata, e aver sporcato il collo della 
      camicia dell'ospite!
 Non significava nulla!
 Andai a letto, salutando l'ospite e Alexa.
 
 Mi addormentai senza fatica, e quella notte non mi svegliai. del resto ho 
      sempre avuto un sonno molto pesante!
 
 Il mattino dopo la casa era un disastro.
 Vestiti ovunque, dal divano in salotto al ripiano della cucina.
 Vestiti sia maschili sia femminili.
 Non ci voleva una laurea per capire quello che era successo la sera prima.
 Spostai i boxer del nostro ospite dal lavandino, facendo scorrere l'acqua.
 Avevo appena iniziato a spalmare la marmellata sul pane tostato quando un 
      rumore attirò la mia attenzione.
 Vidi uscire dal bagno, con una sola salvietta (la mia salvietta) legata in 
      vita, Christian Thompson.
 "buongiorno" salutai
 "buongiorno, Alexander"
 "dormito bene?" chiesi, indispettito.
 "non che abbia dormito molto" rispose, prendendo i suoi boxer, appoggiati 
      su una sedia.
 Lui rise.
 Nervoso, forse?
 Io no.
 "posso servirle la colazione?" chiesi "che cosa desidera?"
 "the, grazie" mi sorrise.
 E come un idiota arrossii.
 The bevanda, non te, Lex! Pensai, scotendo la testa, ancora più 
      imbarazzato dal tipo di pensieri che la mia testa aveva formulato di prima 
      mattina.
 "dov'è Alexa?"
 "oh, dorme come un angioletto!"
 "un angioletto." ripetei, invidioso.
 Tua sorella è stata più sveglia, Alex! Il senatore è roba sua! Non 
      pensarci nemmeno! Mi ripetevo per non fissarlo negli occhi.
 "ecco il suo the, signor Thompson" dissi porgendogli una tazza fumante.
 Intanto ritornai al mio pane tostato, mentre lui mi chiedeva quanti anni 
      avessi.
 "diciannove" risposi "ho finito il primo anno di medicina alla Manchester 
      University"
 "medicina?"
 "già" annuii "e lei?"
 "beh, sono uscito da Yale sedici anni fa"
 "intendevo quanti anni ha?" specificai
 "trentanove" mi lanciò ancora una di quelle occhiate penetranti, che ti 
      lasciano assolutamente senza fiato.
 "beh. non le fa uno strano effetto andare a letto con una ragazza che 
      potrebbe essere sua figlia?" chiesi.
 Non sapevo nemmeno se volevo sentire la risposta.
 "non direi." disse sorridendomi "penso che quando si tratta d'attrazione 
      l'età centri ben poco"
 "attrazione?" ripetei "questo vuol dire che probabilmente lei non vedrà 
      più mia sorella, vero?"
 Avevo paura.
 Se non fosse andato più a letto con lei, sarebbe stato libero.
 D'altro canto, se non fosse uscito con lei, io probabilmente non avrei 
      potuto vederlo mai più.
 "chissà. lei mi piace molto, in verità."
 "capisco. Non voglio impicciarmi dei vostri fatti personali" dissi, 
      voltandomi verso il ripiano cucina, non sapendo neppure se esserne 
      contento oppure no.
 Strinsi i denti.
 Le piaceva.
 Io sarei stato solo il fratello di Alexa.
 Poco male, avrei avuto la casa libera, di nuovo.
 E allora perché faceva così male?
 Non lo conoscevo neppure, poteva rivelarsi essere la persona peggiore 
      della terra, ma sapevo che gli avrei perdonato tutto se solo.
 "ho detto qualcosa che non va?" disse, interrompendo i miei pensieri.
 Presi la scatola dei cereali di Alexa e la sbattei con violenza sul 
      ripiano, facendo sobbalzare il mio ospite.
 Ancora non ricordo come sia successo esattamente.
 Feci per voltarmi e uscire, ma lui fu più veloce.
 Mi ritrovai tra le sue braccia, con la mia schiena che aderiva ai suoi 
      bicipiti odiosamente scolpiti, e le sue mani. le sue mani che mi avevano 
      attirato a lui, come per non lasciarmi andare.
 "resta." mi sussurrò all'orecchio.
 Io non risposi, feci un solo cenno con il capo.
 Sussultai, quando lo sentii baciarmi il collo.
 Mi voltai di scatto, ma lui, rapido, prese le mie labbra con le sue, 
      lasciandomi senza fiato.
 Non so in che modo, o per quanto tempo rimanemmo così, so che presto 
      iniziai a ricambiare il bacio, e so che mi fece sdraiare sul tavolo, 
      sedendosi sopra di me.
 "buongiorno." sentimmo, Alexa si era svegliata.
 Ci staccammo subito, come se nulla fosse successo.
 E non mi sentii in colpa.
 Non avevo pensato a niente. men che meno a mia sorella.
 Ed ero felice.
 Lei arrivò in cucina, trascinandosi dentro il plaid, borbottando parole 
      sconclusionate con la voce impastata dal sonno.
 "salve." sbadigliò
 Christian le ripose con un bacio sulla nuca.
 In quel momento avrei voluto morire dalla rabbia.
 "vado in camera a vestirmi" dissi, ricordando di indossare solo una 
      maglietta extra large.
 "ok" rispose Alexa addentando una delle mie fette di pane con la 
      marmellata.
 Christian mi sorrise malizioso, facendomi diventare le gambe di pura 
      gelatina.
 
 
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 Il telefono ancora tace.
 Chissà dov'è. chissà con chi è.
 No, anzi non voglio saperlo.
 E se è con qualcun altro?
 Sento che nell'altra stanza, ignara di tutto, c'è Alexa. lei è convinta 
      che la sua sia una relazione profonda e sentimentalmente vera.
 Vera, certo!
 E perché allora l'ha tradita così?
 Non la ama, ecco perché!
 È ovvio. se non amava lei, non ama neppure me!
 E pensare che io sarei disposto a tutto per riaverlo.
 Ma sono uno stupido, perché so che, anche se aspetto una sua chiamata, lui 
      non vuole sentirmi.
 Il telefono!
 Il telefono squilla.
 Rispondo o no?
 No, forse meglio lasciare la segreteria telefonica e fingere di non essere 
      in casa. che stupido, se è lui non può lasciare un messaggio a me, sapendo 
      che Alexa può rispondere.
 Sollevo la cornetta.
 "pronto.?" sussurro
 "Aleeeee, ao, shtassè me servi al restorante! 'Na cameriè me ha detto che 
      nun po' venì, e shto con el locale pieno! Per le shette vedi di essere 
      qui!"
 Zia Rosario.
 Dannata erre moscia e dannatissimo accento italiano con quella 
      dannatissima inflessione portoricana. quella di zia Rosario è una lingua 
      tutta sua.
 "certo, zia." dico io " a stasera"
 "vabbuos, vedi de shtarme bene, eh"
 "ciao" e riattacco.
 È inutile stare a rimuginare davanti al telefono. me ne vado a fare un 
      giro.
 Metto il cappotto, fa freddo, siamo a febbraio, quando il telefono 
      ricomincia a squillare.
 Le tovaglie da passare a prendere in lavanderia, lo so, lo so!
 Zia rosario con la sua tipica frase: "Avvedi de portà los tovaglies della 
      lavanderia. Te rendo io i soldi" mai visto un centesimo.
 Sollevo la cornetta, e dico
 "sì, ti porto le tovaglie!"
 Una voce attesa e inaspettata mi fa tremare le ginocchia.
 "beh, se vuoi portare anche le tovaglie con te dentro mi sta più che bene, 
      Alexander"
 "beh, io. pensavo. insomma.che. non mi." sussurro, appena udibile.
 "cos'è questo borbottio? Scendi, ti sto aspettando in macchina. ho bisogno 
      di vederti"
 Non rispondo, e aggancio il telefono.
 Esco veloce, correndo giù per le scale.
 Imbocco la porta sul retro. è lì che ci siamo sempre visti, quando passava 
      prendermi.
 Parcheggiava sempre dietro la siepe, per non insospettire Alexa.
 Intravedo la berlina nera, lui a bordo, e non riesco a trattenere un 
      sorriso.
 Salgo, tacendo.
 "ciao, Alexander" mi sorride " mi sei mancato"
 Noto ancora la fede al suo anulare. e non me ne importa.
 "ti amo" sussurro, poco prima che le sue labbra mi bacino ancora, e 
      ancora, come da settimane non facevano.
 
 
 
 Macchine. quanti ricordi che mi risvegliano.
 La prima volta che abbiamo fatto l'amore eravamo in macchina.
 Era stato il giorno seguente a quello in cui l'ho conosciuto.
 Lo stesso in cui l'ho baciato per la prima volta.
 Io dovevo fare una commissione per il ristorante, e lui doveva tornare a 
      casa.
 Mi offrii di accompagnarlo.
 Eravamo fermi ad un semaforo, la radio che cantava "something happened on 
      the way to heaven", ed è successo qualcosa sulla strada del Paradiso, 
      quando mi prese la mano.
 Mi baciò non appena lo guardai, e pochi minuti dopo, con l'auto 
      parcheggiata nel giardino di una casa un po' appartata mi ritrovai con i 
      sedili abbassati, e lui sopra di me.
 Non gli dissi che era la mia prima volta con un uomo.
 Non lo capì.
 Ricordo la sua bocca sulla mia pelle, ricordo tutto nei dettagli quello 
      che facemmo.
 E ricordo anche tutti gli incontri che facemmo in seguito.
 Lo amavo.
 Lo amo ancora.
 Ci siamo sempre incontrati in segreto.
 Non gli chiesi di sua moglie o di sua figlia, di cui aveva la fotografia 
      nel portafoglio.
 Non gli chiesi di Alexa.
 E non gli chiesi del suo assistente perché l'avevo capito, quello che 
      c'era stato, o ancora c'era fra loro.
 Non pretendevo di essergli vicino nei momenti ufficiali, o di far parte 
      della sua famiglia.
 Volevo solo amarlo.
 Volevo amarlo finchè ne avessi avuto forza.
 E la forza veniva meno, quando lo vedevo in tv, quando vedevo la sua 
      elezione come senatore, e accanto a lui, una bellissima bambina di sei o 
      sette anni, ricciuta, come la madre, e con gli stessi occhi del padre.
 O quando nelle interviste, il suo assistente rispondeva per lui con 
      impersonali "no comment".
 E la forza veniva meno, quando mi telefonava per disdire i nostri 
      appuntamenti per uscire con la moglie.
 E la forza veniva meno quando lo vedevo a casa mia fare l'amore con Alexa.
 Ma io ne sono ancora innamorato.
 Nonostante tutto.
 Quando quel pomeriggio feci quella telefonata, dicendo che la facevo 
      finita, che non sopportavo più il suo trattamento, mi disse solo:
 "se è questo quello che vuoi."
 Gli avrei urlato che volevo lui, che lo volevo fino allo spasmo che era 
      diventata un'ossessione, una dolorosa ossessione, ma che se ricambiava 
      almeno un centesimo di quello che io provavo per lui, avrebbe dovuto 
      capirmi.
 Riattaccai, invece.
 E non replicai.
 Fino a oggi.
 Dove ho esordito con un "ti amo"
 Perché lo amo e non importa.
 Perché so che no mi dirà mai "ti amo" come io l'ho detto a lui.
 Perché so che non dice di provare sentimenti che non prova.
 Anche se so che lui non mi ama.
 
 
 
 
 Mi porta in un albergo.
 Facciamo l'amore.
 Sembra che non sia cambiato niente da allora.
 Mi guarda, coprendomi con le coperte.
 Rabbrividisco, accoccolandomi contro di lui.
 "sei bellissimo, Alexander" mi sussurra
 Solo lui mi chiama Alexander.
 Mi passa una mano tra i capelli, accarezzandomi il volto.
 Mi bacia dolcemente, e io mi stringo ancora di più a lui.
 Non dico nulla, mi limito a guardarlo, dal basso verso l'alto.
 "mi ami, Chris?" ancora, questa domanda.
 Mi accarezza i capelli, non replica.
 "non rovinare sempre tutto, Alexander" perché devo sempre uscire con 
      queste domande? Perché non ne posso fare a meno?
 "perchè vuoi farti del male da solo? Sei così bello." mi sorride, e mi 
      accarezza i capelli.
 Nulla. Nessun sentimento. E la conoscenza porta solo al dolore.
 "baciami, piccolo" e io eseguo.
 Piccolo. mi piace come lo dice.
 Nonostante piccolo non lo sia per nulla, dai miei 192 centimetri di 
      statura.
 È vero, sembro un bambino, quando solo con lui.
 La poca sicurezza che ho svanisce e devo aggrapparmi disperatamente a lui 
      per sopravvivere.
 Lo bacio, come mi ha chiesto.
 Inizia a far vagare le sue mani su di me, lento e sensuale.
 Mi ritrovo eccitato, anche per lui è lo stesso.
 So anche questa volta come finirà. come tutte le altre.
 Le eccitazioni che si sfiorano. la sua lingua che scende verso il basso, 
      finchè.
 Il cellulare squilla.
 Si stacca e risponde.
 "sì. certo. no, stavo facendo una partita di tennis. sì. tra mezz'ora sono 
      lì, d'accordo? No, adesso mi faccio una doccia e arrivo"
 Riattacca.
 E io, sì, steso sul letto, aspetto, inutilmente.
 "partita di tennis?" chiedo mentre lo guardo andare verso la doccia.
 "beh, non potevo dire a mia moglie, tesoro, mi sto scopando un mio amante, 
      chiama più tardi" risponde lui ridacchiando
 Sento il getto dell'acqua scorrere.
 "e mi lasci qui così?" bisbiglio, notando la mia condizione.
 Esce dalla doccia, bagnato, e mi abbraccia, sussurrandomi:
 "perché non vieni in doccia con me?"
 Gli scodinzolo dietro, felice.
 
 Alla reception paga il conto e se ne va dalla moglie a casa.
 
 Arrivo al ristorante con leggero ritardo, e la zia non evita di 
      rimproverarmi per questo.
 "questa sera stai ai tavoli" sbotta
 "vabbè."
 Finisco di riordinare, quando entrano i primi clienti.
 "benvenuti, signori"
 Li faccio accomodare, e prendo le ordinazioni.
 Lentamente il locale si riempie.
 
 "Lex, consegna gli spaghetti alla marinara al tavolo 6 e prendi le 
      ordinazioni al tavolo 14!" mi urla dalla cucina Rosalita, la figlia di zia 
      Rosario.
 "Rosy, avevi detto che facevi tu il tavolo 6!" sbotto. La signora Collins 
      è insopportabile. ogni occasione è buona per mettermi le mani addosso.
 "e invece lo fai tu!" risponde "sono occupata con quelli del tavolo 3!"
 "uff." e mi metto a consegnare il primo piatto alla signora 
      Collins-Palpa-Didietro.
 E l'immancabile toccatina era d'obbligo anche questa volta.
 Consegnare piatti al tavolo 6. fatto. prendere ordinazioni al tavolo 14.
 "allora, signori cosa desiderate per cena?" chiedo, esibendo un sorriso 
      smagliante.
 Sorriso che muore subito, non appena noto i miei interlocutori.
 "senatore Thompson. signora" dico, salutando "cosa vi posso servire per 
      cena?"
 Ogni traccia di sorriso è sparito dal mio viso.
 Christian mi guarda, e rapidamente mi dice che desidera un Lambrusco 
      italiano e un piatto di aragosta. La sua adorata mogliettina non è così 
      semplice di gusti.
 Un insalata di pollo con patate al forno e diecimila verdure dalla 
      differente cottura.
 "una tagliata di vitello per mia figlia, grazie" dice Christian
 "altro, signori?" chiedo scortese, inconsapevolmente.
 "no, grazie."dice Christian, forse per risparmiarmi quell'imbarazzante 
      scena, ma non essendo abbastanza, sua figlia aggiunge:
 "sì, signore." mi dice "mi fa vedere i granchi?"
 "i granchi?" chiedo io
 "sai la mia mamma e il mio papà devono parlare da soli."
 "Dani!" sbotta la mamma "non davanti a un cameriere!"
 ".e io intanto posso vedere i cosi con le chele?"
 "i crostacei" spiega la donna
 "se per lei non è di disturbo, ovviamente" aggiunge Christian, 
      imbarazzato.
 "nessun problema" dico, porgendole la mano "vieni con me"
 La accompagno nelle cucine, mostrandole la vasca con i crostacei vivi.
 "stai attenta a non mettere le mani dentro" dico, e lei mi guarda con 
      quella stessa occhiata dolce che suo padre mi lanciava spesso.
 "Alex! Allora, ti muovi?" la voce di Rosalita invade la cucina.
 "spiacente, Rosy, sono in pausa. mi hanno promosso al ruolo di babysitter 
      della figlia del senatore Thompson!"
 "oh" dice solo "qualcuno serva le ostriche al tavolo undici!"
 
 Vedo che al tavolo 14 l'atmosfera sta surriscaldando.
 "un po' di vino, signori?" chiedo.
 I clienti mi ignorano, stanno discutendo animatamente.
 Molto animatamente.
 ".se tu non fossi stata così stupida."
 "stupida? Mi stai dando della stupida, Christian?"
 "signori? Volete del."
 "non intendo tollerare."
 "sono, io quella che non tollera più, Chris! Tu e tutti i tuoi stupidi 
      ragazzini! Cosa credi, che io non sappia? Credi che non sappia che sei 
      innamorato di quella. Alexandra Williams"
 Mi blocco, impietrito.
 Non può essere.
 Non può amare mia sorella!
 No, tutti tranne mia sorella!
 È me che deve amare!
 "tu sei pazza, sei."
 "oh, l'ho vista la tua agenda. e non darmi della pazza. ho visto i nomi. 
      ho visto quanti appuntamenti con questa. Alex Williams avevi."
 "Katia, smettila, sei ridicola, davanti a tutti. non posso permettermi 
      cattiva pubblicità ora!"
 "pubblicità, vero ti frega solo della tua reputazione, vero?"
 "se provi."
 "se cosa. se chiedo il divorzio?! Ho già chiamato il mio avvocato. mi 
      terrò figlia e casa. così potrai vivere dalla tua puttana!"
 "volete.?" ritento
 Non voglio sapere se m'interessa ciò di cui stanno parlando.
 Me ne voglio andare.
 Anche se sono di famiglia non posso permettermi di mandare al diavolo dei 
      clienti.
 E se voglio mantenermi all'università.
 "signori, desiderate, del vino?!"
 Chris si alza dalla sedia.
 "no, Alex, non voglio questo cazzo di vino, levati dai piedi! Tu e le tue 
      fottute pretese. non sei niente, non vali un cazzo, ne per me ne per 
      nessun altro!" mi urla, e alla moglie " me ne vado!"
 Katia Thompson mi guarda impietrita.
 "Alex?" sussurra, ad alta voce.
 "no." nego, spaesato, ma la sua attenzione ben presto si rivolge altrove.
 "brutto bastardo!" mi urla ma subito si volta verso il marito "Chris! Ti 
      scopi il cameriere, non è vero? Figlio di puttana! Un maschio, eh? Non 
      potevi dirmelo prima? Vaffanculo! Sempre che la cosa non ti faccia 
      piacere!"
 La donna si alza, e insegue il marito, uscendo dal locale.
 Rientro in cucina, non ben consapevole di quello che è appena successo.
 Divorzieranno.
 Chris non mi vorrà più vedere.
 E un singhiozzo sfugge dalle mie labbra, quando all'improvviso una 
      figuretta si staglia davanti a me.
 "signore. dove sono andati la mamma e il papà?"
 Oddio.
 La figlia.
 E dove la metto questa?
 
 A casa, trovo Alexa seduta a gambe incrociate sul divano, con un enorme 
      cilindro di por corn sulle gambe.
 "ho portato una sorpresa" dico, esausto.
 "Oh, io ADORO le sorprese" dice, in estasi.
 "ti presento Dani, la figlia del senatore Thompson"
 "ciao, sono Dani Thompson, e tu come ti chiami?"
 "ciao, Dani, io sono Alexa"
 "sei la sorella di Alexander?"
 "sì, piccola" rispose, e poi mi chiese "che ci fa lei qui?"
 "dopo ti spiego, quando l'abbiamo messa a letto"
 "oh, quant'è carina! Sai, assomigli tanto al tuo papà!"
 "però i capelli sono come quelli della mamma!" puntualizzò lei.
 Il volto di Alexa pare rabbuiarsi per un istante, ma poi dice.
 "scommetto che se stanca, eh? Vuoi metterti a nanna?"
 "sì. ma come fanno la mamma e il papà a sapere dove sono? Sai, mi hanno 
      dimenticato al ristorante"
 "poverina, ma non devi preoccuparti! Sai, io e Lex conosciamo il tuo papà, 
      quindi non devi temere"
 "certo!"
 
 Dani dormiva da parecchio placida nel mio letto, mentre io mi preparavo un 
      caffè corretto con vodka.
 "allora, sputa il rospo! Che diavolo ci fa lei qui?"
 Alexa si siede accanto a me, aprendo un nuovo pacco di biscotti.
 "i suoi la hanno dimenticata al ristorante" rispondo
 "ma come si può dimenticare una figlia?!" sbotta incredula
 "litigavano. Lui è uscito e lei gli è andata dietro, la bimba era in 
      cucina, e."
 "e.?"
 "e. divorzieranno"
 "cosa? Perché?"
 "dovresti saperlo, il perché!" rispondo arrabbiato.
 Come faceva a non accorgersi dell'effetto che provocavano le sue azioni?
 "vuoi dire che si lasciano per colpa mia?" chiede, in un sussurro.
 "per colpa nostra." preciso, in un soffio "nostra, Alexa, nostra"
 "nostra?" ripetè stridula "che intendi con nostra?!"
 "colpa mia e colpa tua, Alexa, noi significa io più te" ironizzai
 "piantala, solo perché non ho fatto l'università non significa che io sia 
      stupida!"
 "beh, non sei Leonardo va Vinci sempre che tu sappia chi sia."
 "quello della gioconda. E smettila di cambiare argomento! Che cazzo 
      intendi per nostra, Alex?! Che cosa c'entri tu con Chris?!"
 Taccio per un momento e prendo un respiro profondo.
 Scelgo con cura le parole.
 "io. noi. io e Chris. eravamo molto. intimi" rispondo
 "intimi?! Intimi?! Come Intimi?!"
 Intimi.
 Secondo lei che vuol dire intimi? Non è da Vinci, lo dicevo, io.
 Alex, respira.
 "Intimi." faccio un gesto con le mani di spiegazione. Spero di essere 
      stato abbastanza eloquente.
 "vuoi dire. intimi come." bisbiglia, speranzosa, aggrappata all'unica 
      possibilità, e fermamente decisa a considerare solo quella.
 Sembra un gattino a cui è stato rubato il gomitolo.
 "intimi. io ne sono innamorato, Alexa" rispondo.
 Lei sta zitta, per un secondo.
 Ed esplode.
 "TU COSA?"
 "ne sono innamorato"
 "AMORE? TI FACEVI SBATTERE DAL MIO UOMO?"
 Tacqui.
 "COS'ERANO, OCCASIONALI INCONTRI SESSUALI?"
 "affatto" ribatto, sicuro delle mie parole
 "E PIANTALA DI FARE FINTA DI FREGARTENE, STRONZO!"
 "silenzio, o sveglierai Dani"
 "CHE DIAVOLO E' QUESTA STORIA! CHI SE NE FREGA DI QUESTA CAZZO DI OSPITE 
      INDESIDERATA!"
 "sicura di volerlo sapere?"
 "CERTO CHE NE SONO SICURA, BASTARDO DI UN FRATELLO!"
 "capitava. spesso, che lui mi chiamasse, e."
 "QUANTO SPESSO?!"
 "circa due volte la settimana"
 "DUE VOLTE LA SETTIMANA?!"
 Alexa lo vedeva solo occasionalmente.
 Pensandoci ora, la reputo una piccola vittoria.
 "due volte la settimana" confermo " lui mi chiamava, e poi mi portava da 
      qualche parte. ma la maggior parte delle volte andavamo in alberghi a ore 
      extra lusso. puoi immaginare il resto."
 "DA QUANDO, STRONZO, DA QUANDO?"
 "dal giorno dopo da quando l'ho conosciuto"
 "RAZZA DI."
 Fa per colpirmi, con la vecchia lampada del tavolino, ma la getta a terra 
      e se ne và.
 "ME NE VADO! MANDO UN CAMION PER TUTTA LA MIA ROBA!"
 
 
 Un figurino mi guarda, dalla porta della camera da letto.
 "perché Alexa si è arrabbiata?" chiede
 "Alexander è stato molto cattivo. ha fatto una cosa brutta e l'ha fatta 
      piangere" rispondo
 "oh." mi dice, pensierosa "posso venire nel lettino con te?"
 "certo, Dani"
 Mi rivolge un sorriso, e mi abbraccia.
 Scoppio in lacrime.
 
 Mi sveglio, con Dani tra le braccia ancora addormentata.
 Quanto è bello a quell'età, ancora non si è consapevoli di nulla.
 Mi alzo, diretto in cucina.
 "Alex." quella vocetta adorabile, un po' da papera mi chiama a sé "mi fai 
      il latte?"
 "certo, Dani" acconsento.
 Verso il latte caldo in una ciotola, e faccio per portargliela in camera.
 Me la ritrovo davanti con un paio di miei boxer e una maglietta, 
      completamente infagottata e con i capelli che ricordano molto una vecchia 
      scopa di paglia.
 Adorabile.
 Beve il latte in un sorso, e di punto in bianco sbotta.
 "hai voglia di disegnare?"
 "ma io devo andare all'università." rispondo
 "e io dove vado?" mi chiede, stupita.
 Bella domanda.
 "vabbè, oggi niente università. forza, dovrei avere degli acquarelli da 
      qualche parte."
 "grazie" dice, saltellando.
 Prendo la scatola degli strumenti del liceo, sperando che siano ancora 
      buoni.
 
 Abbiamo disegnato tutta la mattina.
 La tappezzeria è tutta sporca di colore, e la nostra produzione artistica 
      per ora conta due conigli di cartapesta, un pipistrello a pastelli e un 
      asino gigante ad acquarello.
 Stiamo lavorando a una famiglia di piccioni, sempre ad acquarello, quando 
      suona il campanello.
 "arrivo!" grido "tu, aspettami qui, e non combinare pasticci"
 Dani mi tira un'occhiata eloquentemente infastidita.
 Apro la porta.
 Quei capelli nocciola.
 Gli occhi verdi.
 La bocca sottile.
 "Christian." sussurro "sei qui."
 "al ristorante mi hanno detto che Dani è qui da te"
 Dani. me la stavo dimenticando.
 "certo, vieni" lo faccio accomodare.
 Ritrovo Dani sul divano, con le mani a tappare la bocca, come spalancata 
      in un urlo.
 "Alex, mi sa che ho rovesciato la tintura sul divano. non ho fatto 
      apposta!"
 Guardo Christian.
 Lui guarda me.
 E scoppiamo in una sonora risata, alla vista di Dani imbrattata da capo a 
      piedi di acquarello di diverso tipo.
 "tieni" dico, alle lacrime, porgendole un asciugamano.
 "grazie" sussurra imbarazzata "ciao, papi..."
 "ciao, amore" dice depositandole un lieve bacio sulla fronte "andiamo?"
 "no" risponde, fissandolo "voglio finire la famiglia di piccioni"
 "ma, Dani, disturbiamo Alexander."
 "nessun disturbo" mi affretto io a rispondere
 Inarca un sopracciglio.
 "mi sa che devo aspettare vostra signoria, allora."
 Gli sorrido, abbassando lo sguardo.
 "vuoi qualcosa? Un the? Un caffè?" chiedo
 "voglio parlarti" risponde "andiamo di là, così facciamo con calma"
 Fa cenno alla camera da letto.
 Deglutisco a vuoto.
 Oddio.
 
 Mi fissa negli occhi.
 "mi dispiace per ieri sera, ti ho messo in difficoltà, con Dani e. con 
      tutto il resto"
 "già."
 "ti chiedo scusa"abbassa lo sguardo "Alexa mi ha telefonato ieri sera. Una 
      bufera dopo l'altra"
 Annuisco, senza parlare.
 "ho urlato cose che nemmeno pensavo. posso fare qualcosa per sdebitarmi?"
 Scuoto la testa, negativamente.
 Ripenso a ieri sera, alla scenata, a come mi abbia detto che non sono 
      nulla, alla cattiveria nelle sue parole.
 Mi copro il volto con le mani e tiro un respiro profondo.
 "no, Chris, non c'è niente che tu possa fare. Sono ormai abbattuto, 
      sconfitto, demoralizzato. Ho passato una notte infernale, accanto a tua 
      figlia. era come se vedessi te. Mi sento come se mi avessero preso lo 
      stomaco a martellate. E no, per la cronaca, non ci puoi fare proprio 
      nulla"
 Tace, guardandomi dispiaciuto.
 "ed è inutile che mi guardi con quello sguardo da cagnone fedele."
 Si avvicina a me, veloce come un gatto, accarezzandomi la guancia.
 "ti sei sporcato." dice toccandomi il naso.
 Mi si avvicina, e con la lingua lecca l'acquarello sul mio naso.
 Mi passa le mani dietro alla schiena.
 Appoggio il capo sulla sua spalla, e ascolto il mio respiro in silenzio.
 "dobbiamo finire una famiglia di piccioni" dico io
 "oh" e aggiunge "posso rimanere dopo cena?"
 Annuisco.
 
 Forse è amore.
 Forse è solo l'ennesima presa in giro.
 O forse è sesso e basta.
 Ma voglio rischiare.
 E voglio continuare ad aspettare la volta buona.
 Potrebbe essere questa, la prossima, o potrà avvenire tra cento anni.
 L'importante è potergli stare vicino.
 Senza sapere cosa lui prova per me.
 Mi basta amarlo.
 
 
 
 
 
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