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      Quando
      si fa sera 
      di Alessia &
      Schuschu 
       
      Si fece una lunga doccia, cercando di rilassarsi il più possibile. 
      Aprì l'armadio per decidere cosa indossare. Aveva voglia di uscire e
      divertirsi un po'. 
      Con un paio di boxer di seta blu notte indosso stava lì a contemplare
      cosa scegliere per uscire. Alla fine optò per dei jeans neri ed un
      dolcevita color avorio di cashmere da indossare sopra la pelle. 
      Ai piedi mise un paio di Tod's nere, si pettinò e si mise il cappotto
      lungo di pelle nera. 
       
      Musica assordante, tavoli quasi al buio e una pista su cui decine di
      ragazzi ballavano frenetici, lanciando sguardi lascivi o seduttori. 
      L'entrata era vietata ai minorenni ma aveva già visto tre o quattro
      ragazzi che non dimostravano più di quindici o sedici anni. 
      Spintonando e sopportando qualche palpatina al suo fondoschiena riuscì a
      raggiungere il bancone dove ordinò un Alexander e si sedette. 
      In attesa del suo drink si diede un'occhiata intorno notando uscire da
      dietro una tenda bordeaux lucida diverse persone con un'espressione a dir
      poco soddisfatta. 
      Il barman gli posò davanti l'Alexander e lui ne bevve un sorso sentendo
      scivolare giù per la gola il cognac mischiato al cioccolato e alla panna. 
      Tornò a guardarsi intorno e notò con piacere, e tutta la sicurezza che
      quelle luci basse potevano dare, che nessuno dei presenti era al di sotto
      dell'aggettivo bellissimo. 
      Lì avrebbe di sicuro trovato qualcuno con cui passare un'ora o due più
      che rilassanti. 
      Non riusciva a stare con una donna che non fosse Eryn. Non poteva tradire
      così sua moglie, l'unica donna che aveva mai amato e che avrebbe amato in
      futuro. 
      Ma con un uomo non aveva problemi, quasi non gli sembrava di tradirla. 
      E poi - anche se odiava ammetterlo - a volte provava molto più piacere
      con un uomo che non con Eryn. 
       
      Era al suo secondo Alexander, un gomito poggiato sul bancone del locale. 
      Osservava la gente intorno a lui distaccato, erano tutti molto belli ma
      non ce n'era nessuno che avesse catturato particolarmente la sua
      attenzione. 
      Avvicinò il bicchiere alle labbra ma questo rimase a mezz'aria. 
      Da dietro una colonna vide apparire uno spirito che camminava come se non
      vi fosse nulla intorno a lui, incurante di tutto e di tutti. 
      O forse... non incurante, semplicemente non li considerava degni della sua
      attenzione. 
      Indifferente. 
      Lo osservò avviarsi verso i bagni e d'istinto lo seguì. Posò una
      manciata di scellini sul bancone ed entrò dietro di lui nel bagno. 
      Stranamente c'erano solo altre due persone all'interno e la loro presenza
      la si poteva notare solo dai gemiti che provenivano da dietro una delle
      porte. 
      La luce del bagno gli permise di osservarlo meglio, anche se solo di
      spalle. 
      Era un po' più alto della media e indossava dei pantaloni a vita bassa
      con sopra una camicia di pizzo e volant nera molto sexy. 
      "Avete davvero un clima freddo qui a Vienna" disse per attaccare
      discorso col suo tedesco non propriamente eccelso. 
       
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      L'afa del locale era insopportabile almeno quanto gli sguardi languidi dei
      clienti. Non li sopportava, non sopportava nessuno di loro eppure ogni
      volta tornava lì per un motivo o per l'altro fosse esso la droga, il
      sesso o i soldi, si ritrovava sempre appollaiato su uno squallido sgabello
      a bere uno schifoso whisky o accoccolato sotto il corpo dell'ennesimo uomo
      che si voleva giocare quella sera un pezzettino di anima con lui. Una
      partita a scacchi col diavolo. 
      La luce violenta del neon del bagno fece vacillare la sua vista mentre
      espletava le sue funzioni vitali. 
      Il tizio che lo aveva seguito iniziò a parlare a vanvera. 
      Non era un gran seduttore. Probabilmente era rimasto affascinato dal suo
      look gothic. Un altro idiota che voleva giocarsi l'anima, avanti il
      prossimo allora! 
      Gli si avvicinò. 
      Jeans neri, corporatura muscolosa, maglione che costava quanto la sua
      casa... ci mise poco ad inquadrarlo: un ricco uomo d'affari in cerca di un
      po' di sesso. 
      Vide nello specchio un ragazzo uguale a lui avvicinarsi all'uomo. In quel
      riflesso che pareva non appartenergli la sua mano andò ad afferrare un
      lembo del maglione dell'uomo. 
      "Senti, se è sesso ciò che cerchi dillo subito, non ho tempo da
      perdere" 
      Un'aria da duro ben costruita, la sua arma contro lo sguardo un po' sperso
      e vacuo di quegli occhi azzurri nascosti da lenti dall'elegante montatura
      argentata. 
       
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      Un ragazzino che giocava a fare il duro. 
      Infantile ma di sicuro effetto. 
      Anche lui ne era affascinato. 
      Glaciali occhi grigi truccati con un qualche motivo tribale che gli
      offrivano il loro corpo. 
      Annuì e gli sorrise "Quanto vuoi?" 
       
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      Erick rimase di sasso ma sulle sue labbra affiorò una cifra, memore del
      film Pretty Woman "Trecento dollari honey" e pensare che voleva
      fare sesso gratis... 
      Aspettò la risposta per mandarlo a quel paese e tornare da uno dei suoi
      giovani quanto stupidi e innamorati spasimanti che illudeva giocando come
      la tigre col piccolo uomo morto. 
       
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      Era economico. 
      A Shangai aveva pagato molto di più. 
      Tirò fuori il portafoglio e prese tre banconote da cento dollari
      mettendogliele in mano. 
      "Suppongo tu voglia essere pagato in anticipo, giusto?" gli
      sfiorò quella ciocca di capelli tinta di viola che gli copriva un occhio
      "Avanti, fammi strada, honey..." 
      L'altro lo fissò un attimo interdetto ma poi la solita glaciale
      indifferenza tornò ad unica espressione del suo viso e si voltò uscendo
      dal bagno. 
      Lo seguì, tornando al buio dopo la luce, sino a quella tenda dietro cui
      si celavano chissà quali segreti. 
      Scosse la testa. Nessun segreto si nascondeva lì dietro, ne aveva visti a
      bizzeffe di quei posti, di sicuro questo non sarebbe stato diverso dagli
      altri. 
       
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      Si fece strada tra i piccoli ambienti a forma di nicchia fino ad arrivare
      alla quartultima, la sua per eccellenza. 
      "Fuori dai coglioni River" disse alzando per un braccio
      malamente il ragazzo "Vai a masturbarti altrove" 
      Se sua madre lo avesse visto! Lei che lo credeva un figlio modello, lei a
      cui rubava i trucchi di nascosto, lei che usciva la mattina e tornava la
      notte con le occhiaie e la voce stanca. 
      Quell'uomo doveva assomigliare un po' a suo padre. 
      Non sapeva come sarebbe stato ora, lui se lo ricordava dolce e sorridente.
      Un ricordo che strideva nella sua mente da bambino con un padre che da un
      giorno all'altro non c'era più, partito per altri lidi con la nuova
      compagna  più giovane e bella della mamma. 
      Si voltò di scatto per soffocare quei pensieri sul collo dell'uomo in un
      prolungato morso leggero. Poi si staccò "Che cosa preferisci?" 
       
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      Si tolse gli occhiali posandoli su una piccola mensola alla sua destra. 
      Aveva avuto ragione, il posto era uguale a tanti altri. Di volta in volta
      cambiavano solo i colori. 
      Gli sbottonò un paio di bottoni della camicia, posò le mani sul petto e
      risalendo gli racchiuse il viso tra i suoi palmi. Sfiorò con le labbra la
      fronte sino alla punta del naso. 
      "Quanti anni hai?" chiese curioso. 
       
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      "Abbastanza per poter entrare nel locale" rispose mentre pensava
      probabilmente meno dei tuoi figli. 
      Era sposato, aveva sentito il segno della fede sull'anulare che sfiorava
      la sua guancia. 
      Sapeva di profumo di casa e di famiglia, lo stesso profumo di suo padre. 
      Quel ricordo gli fece dolere il cuore. 
       
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      Era tanto se aveva diciassette anni. 
      Beh, non erano affari suoi. Non era un assistente sociale e quel ragazzino
      poteva rovinarsi la vita come meglio gli piaceva. 
      Si allontanò e si sedette sul piccolo divano accavallando le gambe. 
      "Spogliati" 
       
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      Anche guardone. Magari anche suo padre lo era, anche lui ordinava allo
      stesso modo alla segretaria di spogliarsi così squallidamente. 
      *Guarda cosa fa il tuo bambino papà* le sue mani lasciarono scivolare
      sulla pelle candida la camicia di pizzo, la osservò afflosciarsi in
      terra. 
      Ormai lo aveva fatto talmente tante volte che lo faceva a tempo della
      musica che si spandeva nell'aria. 
      Si muoveva come il miglior spogliarellista del locale. 
      Rimase solo con i sottili tanga neri, gattonò ai piedi di quello
      sconosciuto che sapeva di ricordi. 
      "A voi l'onore mio signore" sussurrò come uno slave a un master
      porgendo un'anca su cui un sottile nodo fermava il triangolo di stoffa
      sottile. 
       
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      Gli afferrò il viso con una mano e lo allontanò da se. Il ragazzo si
      ritrovò sdraiato sul pavimento e lo fissava con occhi vuoti. Ma ci
      giurava che stava scoppiando dalla rabbia. 
      "Ho detto di spogliarti non di offrirmi di finirti di spogliare" 
       
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      Erick si rialzò "Le chiedo scusa padrone" 
      Si anche suo padre si sarebbe comportato così con la sua troietta dopo
      che erano scappati ai Caraibi, mentre sua madre si ammazzava di lavoro per
      sostenere spese esose e un figlio che studiava. 
      Con un gesto lento anche il perizoma cadde in terra. Le mani scivolarono
      lungo i fianchi in una carezza erotica sul suo stesso corpo e mentre
      fissava quello sconosciuto rivedeva l'uomo che aveva rappresentato la sua
      prima disillusione. 
       
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      Un gran bel ragazzo, senza alcun dubbio. 
      Un bel corpo, una pelle chiara e senza alcun segno... socchiuse gli occhi
      sino a renderli due fessure. 
      C'era un segno lì sul braccio. Lo afferrò per un polso e lo tirò in
      ginocchio davanti a se. 
      Gli premette con forza il segno dell'ago sino a vedere una smorfia di
      dolore sul volto del ragazzino. 
      "Sei un tossico?" 
      Odiava chi si faceva di droga. Deboli che non sanno affrontare la vita. 
       
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      "Le informazioni su di me non sono comprese nel prezzo comunque non
      sono ammalato" gli faceva male quella stretta. 
      Non gli piaceva quello sguardo, non quella situazione, eppure era come per
      il locale: era una specie di droga. 
      Vendetta? Si forse era per quello che era lì, una silenziosa vendetta
      contro se stesso e contro il suo stesso sangue. 
       
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      Non aveva capito un accidenti quel ragazzino. 
      Non gliene fregava niente se era malato o meno. Lui non poteva ammalarsi.
      Lui era superiore a queste cose. 
      Ma gli faceva schifo avere a che fare con qualcuno che non fosse
      abbastanza forte per affrontare gli ostacoli che gli si paravano di
      fronte. 
      Gli faceva schifo anche solo toccarla una persona così debole. 
      Si poggiò di nuovo contro lo schienale del divano. 
      Ma oramai aveva pagato... 
      Con la punta di una scarpa gli sfiorò il petto sino ad alzargli il mento
      verso di lui. 
      "Quali sono le tue specialità?" 
       
      ----- 
       
      "Tutto ciò che desiderate mio signore" sussurrò fissandolo
      negli occhi. Sentiva la propria dignità scomparire man mano. 
       
      ----- 
       
      Gli diede una spinta all'indietro. 
      "Rispondimi!" doveva imparare la buona educazione quel ragazzino
      "Ti ho fatto una domanda e voglio una risposta precisa!" 
       
      ----- 
       
      Cadde con un tonfo in terra. 
      "Non ho specialità mio signore, mi adatto a ogni richiesta al
      medesimo modo" 
      La voce tremò per poco più che una frazione di secondo. 
      I capelli viola scivolarono sul viso, creando una cortina colorata davanti
      ai suoi occhi. 
       
      ----- 
       
      Annuì piano "Bene, vedi che non è difficile rispondere alle mie
      domande?" ironico. 
      Aveva pagato trecento dollari per un debole ragazzino. 
      Lo bruciava questa cosa. 
      Ma si sarebbe divertito. 
      Si guardò intorno curioso. 
      Adocchiò un paio d'oggetti poi ordinò di farglisi più vicino. 
      Prese il fazzoletto che aveva in tasca e lo usò come benda. Liberò
      quelle ciocche colorate che gli piacevano e lo gratificò di una lunga
      occhiata soddisfatta. 
      Si allungò e prese una delle candele che c'erano davanti allo specchio. 
      "Comincia a masturbarti!" 
      Lo osservò reticente per un attimo ma poi eseguì come aveva ordinato. 
       
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      *Mamma ho paura* qualcosa nella sua mente scattò. Un ricordo lontano. Un
      grande letto, un temporale, l'odore di suo padre su quel vestito che
      stringeva al petto come se non volesse lasciarlo fuggire lontano. 
      Sua madre aveva sorriso e lo aveva accolto nel lettone. Ma non era il
      temporale che lui temeva. Aveva paura di perdere i ricordi, di rimanere
      solo, di svegliarsi senza sua madre nel letto. 
      Si strinse nelle spalle mentre sentiva il piacere montare nelle sue vene.
      Avvertiva il calore delle candele vicino alla sua pelle ma non poteva
      vederle, costretto in quella cecità, solo coi suoi stessi sensi. 
       
      ----- 
       
      Lentamente inclinò la candela ed osservò una goccia di cera cadere nel
      vuoto sino a toccare il dorso della mano del ragazzo. 
      Vide le sue labbra aprirsi a formare una piccola O ma non proferì alcun
      suono. 
      Stava continuando a masturbarsi come gli aveva ordinato, bene. Piano
      cominciò a far cadere tante piccole gocce di cera sul suo corpo. 
      Le spalle, le braccia, le cosce. Si alzò girandogli intorno e facendo
      colare alcune gocce sulla pianta dei piedi. 
      Sorrise contento. 
      La serata si prospettava molto interessante. 
       
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      Si sentiva così vicino all'orgasmo che dovette rallentare il ritmo e
      quelle gocce di cera lo aiutarono a distrarsi un po' in modo da ritardare
      la venuta di quel piacere solitario. 
      Tutto quello per quei maledetti soldi. 
      Una decisione si stava facendo strada nella mente di Erick. 
      Quanto valeva la sua dignità? 
      Però trecento dollari avrebbero risolto molti dei suoi problemi... la sua
      dignità quanto costava? Di sicuro trecento dollari per ora... reclinò il
      capo all'indietro. 
       
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      Gli si inginocchiò a fianco e gli fermò la mano mentre la stava portando
      indietro. La tenne stretta e con l'altra fece cadere la cera su quel
      membro che vedeva sull'orlo dell'orgasmo. 
      "Ti piace?" sussurrò piano. 
      Sentì un leggero mugolio uscire da quelle labbra così sensuali. 
      Beh... magari un bacio glielo poteva concedere. 
      Avvicinò le sue labbra alle sue e gliele posò sopra. 
      Sentì il corpo del ragazzino irrigidirsi ma non vi prestò attenzione.
      Cercò di forzare le sue labbra e infilare la lingua nella sua bocca. 
       
      ----- 
       
      Erick scattò in piedi strappandosi con forza la benda dagli occhi "E
      no vaffanculo io non bacio mai nessuno sulla bocca e sai che ti dico
      riprenditeli i tuoi trecento dollari e torna dalla tua famiglia!"
      ringhiò gettandoglieli praticamente in faccia. 
      *Sì, torna dalla tua famiglia papà.* 
      Voltò il viso di lato sentendo una fugace lacrima scivolare via, fuggire
      dalla gabbia di ghiaccio del suo cuore. 
       
      ----- 
       
      Lo afferrò per un polso prendendolo e gettandolo sul divano. Gli piantò
      un ginocchio nello stomaco e lo schiaffeggiò con violenza. 
      "Ti ho pagato e tu farai ciò che voglio io, chiaro?" 
      Aprì la cintura e la sfilò dai passanti dei jeans, rivoltò il ragazzo e
      gli legò i polsi dietro la schiena. 
      Si agitava indemoniato e gli rivolgeva epiteti che non permetteva a
      nessuno di dirgli. 
      Gli diede un altro schiaffo con cui gli spaccò il labbro inferiore.
      Recuperando il fazzoletto glielo mise come bavaglio. 
      "E' colpa tua ragazzino, sei tu che mi hai costretto a questo. Io non
      volevo..." sussurrò quasi scusandosi, una luce pericolosa negli
      occhi. 
       
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      Si sentiva come spezzato. Il suo desiderio di vendetta, la sua rabbia
      svaniti come rugiada al primo sole del mattino. 
      Aveva veramente paura. Se quell'uomo avesse voluto poteva tranquillamente
      fargli qualunque cosa: la musica avrebbe coperto tutto. 
      Ripensò a sua madre che ora probabilmente si stava consumando le dita
      sulla tastiera di un pc per rimettere a posto i casini di quegli impiegati
      che venivano pagati sei volte di più e tutto questo per lui, per non
      fargli mancare nulla. Neppure quella sciocca rosa il giorno del suo
      compleanno, un fiore destinato a morire dopo poco eppure un gesto che lo
      faceva sentire amato, scioccamente egoista adorava un gesto così caro e
      così effimero. 
      Soffocò i primi singulti ma poi scoppiò a piangere come un ragazzino. 
      Ma infondo era quello che era. 
       
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      Stava per picchiarlo di nuovo, violentare il suo corpo ma all'improvviso
      l'altro scoppiò a piangere. 
      E come risvegliatosi da un lungo sonno si rese conto di ciò che stava
      facendo. Stava torturando un ragazzino. 
      Lo mise seduto, gli sciolse i polsi e gli tolse il fazzoletto dalla bocca. 
      Osservava le lacrime scivolare lungo le guance sciogliere il trucco e
      rendere quegli occhi grigi caldi, pieni di paura. 
      Lo strinse a se cercando di consolarlo, di scusarsi. 
      "Scusa... scusa..." vedeva in quel ragazzino Elise, Sean e
      David. 
      Avrebbe ucciso chiunque avesse solo osato avvicinarsi ai suoi figli con
      simili intenzioni. 
      "Perdonami..." 
      I singhiozzi si stavano calmando e sembrò che il ragazzo riprendesse un
      po' di autocontrollo. 
       
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      Era come se quel profumo speziato lo abbracciasse e di nuovo fu suo padre
      che era tornato da lui anche se sapeva che non era vero, che quello non
      era suo padre ma si illuse che quel sogno fosse vero. Si strinse a quelle
      spalle forti, tutti gli uomini avrebbero dovute averle così per farsi
      vedere incrollabili e sussurrò *Papà* in modo impercettibile, quasi
      muto. 
      Si allontanò tirando su col naso e ridacchiando "Mi sento un po'
      scemo" disse legandosi il perizoma. 
       
      ----- 
       
      Gli spostò i capelli dal viso e gli sorrise come faceva coi suoi figli. 
      "Non sei scemo, sei umano... ed è una bella cosa" 
      All'improvviso si rese conto di un particolare. 
      "Come ti chiami?" 
       
      ----- 
       
      Erick fece spallucce "Tanto ti mentirei" sorrise e si piegò
      verso lo specchio frugando dietro di esso ed estraendone un flacone di
      latte detergente "Mi dai una mano a struccarmi? Sai mia madre mi
      aspetta a casa..." chiese accucciandosi e sedendosi sui talloni 
       
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      Sorrise e prese un batuffolo di cotone versandoci sopra un po' di liquido,
      passandolo su quel viso da adolescente. 
      "Ok... niente nomi..." 
      Dio! 
      Stava davvero struccando il ragazzino che fino a cinque minuti prima si
      sarebbe voluto scopare, che probabilmente avrebbe violentato? 
      Si era comportato come un animale perdendo il controllo di se. 
      "Mi dispiace... sul serio..." sussurrò piano. Cercando un
      perdono di cui non si rendeva conto avere bisogno. 
      "Non avrei dovuto... ne voluto... ho perso il controllo..." fece
      un profondo respiro e gettò il batuffolo sul pavimento specchiandosi in
      quegli occhi limpidi "...perdonami..." 
       
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      Erick sorrise "Non importa, a volte succede, però mi hai fatto
      paura" prese il borsone da dietro il divano e ne tirò fuori dei
      jeans e una camicia a quadretti. Mentre le infilava ripensava a quanto
      fosse stato stupido. 
      "Sei qui solo di passaggio vero? Domani torni da tua moglie?"
      L'uomo lo guardò con due occhi grandi come pezzi di cielo "La fede,
      ha lasciato il segno" tirò il fiato per chiudere la zip "Sai a
      forza di stare qui impari a osservare la gente" gettò i vestiti sexy
      nel valigione e ne chiuse la zip. 
       
      ----- 
       
      Si rigirò la fede al dito. 
      "No, non domani, fra alcuni giorni. Tornerò da lei e dai miei figli.
      In te ho rivisto loro, ecco perché mi sono fermato..." confessò in
      un soffio. 
      Sospirò e si alzò in piedi 
      "Avanti, ti do un passaggio fino a casa" alzò una mano a
      fermare la sua protesta "E' il minimo che possa fare" 
      Lo prese per mano e uscirono dal locale dopo aver recuperato la sua giacca
      dal guardarobiere. 
      Presero un taxi e si fece portare al suo albergo dando all'autista almeno
      cinquanta dollari. 
      "Io mi fermo qui, fatti portare a casa" gli sorrise e gli diede
      un bacio sulla fronte come quelli che dava a Sean, David ed Elise
      "Addio" 
      Scese e guardò l'auto allontanarsi. Quando non rimase null'altro se non
      le luci posteriori in lontananza entrò nella hall. 
      Uno strano incontro quello di questa notte, ma doveva dimenticare tutto al
      più presto. 
      Inoltre la mattina successiva aveva un'importante riunione d'affari. 
      Guardò l'orologio. Forse faceva ancora in tempo a telefonare a casa prima
      che i suoi figli andassero a dormire. 
       
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      "Ciao mamma" 
      "Erick! Come va? Bravo vedo che ancora studi, ma vieni qui dai un
      bacio alla tua mamma" 
      Erick corse verso la donna e la baciò passandole una mano tra i folti
      capelli rossi bloccati in una pinza per capelli. 
      "Vieni mamma riposati ti ho preparato la cena" 
      La porta si richiuse con un clack metallico. 
      Ed ecco la fine di una storia. 
      Niente lieti fini, nessuna morale finale forse è anche banale ma in fondo
      è una storia no? E poi chi ha mai detto che questa sia la fine? 
      La fantasia non ha né limiti né FINE. 
       
       
       
       
       
      
        
        
            
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