Vivi

parte I

di Tresor


 

“E’ finita!

Finita. E tu non puoi fare niente.

Niente per fermare questo disastro. Questa catastrofe.

Niente per zittire questo vento dolce che spazza pigramente via la polvere di questo posto dimenticato.

Niente per arrestare la follia che sta per compiersi davanti ai tuoi occhi, impotenti e colmi di lacrime che non vogliono saperne di smettere di cadere.

Niente per fermare il tempo. Per chiedere aiuto.

Niente. Niente di niente, rassegnati. Non puoi fare niente. Non più!

         Uno schianto orrendo da qualche parte in questa struttura che sta crollando ti fa sussultare e in qualche modo tornare alla realtà. Una realtà dalla quale stai cercando con tutto te stesso di sfuggire.
Questa realtà che non vuoi accettare, ma che sai di dover accettare perché è qui, davanti a te, in tutta la sua affascinante, orrenda manifestazione di orrore e morte.

In qualche modo riprendi coscienza. Le tue braccia stanno sorreggendo qualcosa. Un peso. Sposti lo sguardo e provi a mettere a fuoco il corpo esanime che stai  sostenendo. Chi è? Te lo chiedi appena, come se sapessi che in fondo la risposta non ti interessa affatto. Poi lo riconosci e il senso prepotente, angosciante di nausea ti aggredisce di nuovo e ti soffoca. Avverti improvvisamente l’impulso di gettarlo via come un oggetto inutile, ingombrante, sgradevole. Avevi ragione, non ti importa niente di questo individuo privo di sensi. Non lo avevi mai visto prima d’ora, anche se sai bene chi è. Adesso più che mai lo sai: il folle che ha dato vita a questo inferno che si sta consumando davanti a te.

Il pazzo che, perso nella sua vendetta personale, non è stato capace di vedere oltre se stesso.

Un inutile, stupido, insulso essere che non merita di vivere.

Che non ha alcun diritto di salvarsi, mentre due vite stanno per spegnersi tra queste fiamme, e che più di lui avrebbero avuto ragione di essere libere.

E di nuovo l’ira e il dolore esplodono e si amplificano dentro di te, dilaniandoti la pelle e il cuore. E l’impulso di gettarlo via come uno scarto qualunque ritorna a minacciarti, a morderti perché tu gli obbedisca.

Gettalo. Liberati di lui. Buttalo via. Non serve. E’ inutile. E’ lui il colpevole di questa mostruosità a cui tu non puoi porre rimedio.

Dapprima ti sussurra. Poi alza la voce. Ora sta gridando dentro di te.

Ascoltami. Ascoltami. Buttalo via!

E le tue braccia per qualche attimo sembrano animate di vita propria e questo impulso irrazionale e al tempo stesso logico nella sua semplicità, sembrano sospingerti, rassicurandoti sulla giustizia del gesto. Sull’insindacabilità di quel che devi, vuoi fare.

Come se sbarazzarti di lui potesse magicamente bloccare il caos intorno a te e far scorrere la ruota del tempo all’indietro per darti modo di fare qualcosa.

Ma poi ti fermi. Ed è una violenza pura su te stesso quella che ti stai facendo. No, non è un atto di misericordia. Non è pietà verso questo corpo che in nessun modo potrebbe difendersi ora che è privo di sensi.

E che è completamente in tuo potere.

Assapori per un istante la sensazione inebriante di questa consapevolezza. Potresti fargli quel che vuoi. Scaricare su di lui la voragine di dolore che ti si sta aprendo dentro a poco a poco, e che ti inghiottirà.

Ma non farai nulla di tutto questo. Lo sai. Lo sai anche troppo bene!

E’ un atto di rispetto. Non per questo inutile peso sulle tue braccia. No, non per lui: non merita comprensione né pietà. Nulla.

Il tuo rispetto è per la memoria di colui  che te lo ha affidato e ti ha chiesto di portarlo in salvo, malgrado tutto, senza esitazione. Senza dubitare nemmeno un istante sulla sua fiducia in te. Quasi avesse voluto pregarti di non odiarlo. Di perdonargli la sua follia, dettata da un atto d’amore. Ingiusto, irrazionale, privo di diritti, ma pur sempre un atto d’amore.

Amore. No, non può essere questo il significato di una parola così bella. Ti rifiuti di crederlo. Amore non è distruzione e morte. Amore è vita e gioia.

L’amore non può desiderare l’oblio di chi si ama.

Amore è quello che ha spinto lui a lasciarti in custodia questo essere inutile e a tornare sui suoi passi, indietro, verso la metà di se stesso intrappolata in quell’ inferno per morire insieme!

 No. No. No!!!!

Non è stato un gesto d’amore quello che ha appena compiuto questo demente. E’ stato un atto di puro, semplice, tragico egoismo.

E sarà troppo tardi quando si sveglierà e si renderà conto che la sua vendetta gli si è ritorta contro. Che tutto è stato inutile. Stupido. Insulso. Folle!

Ma sei sicuro che lui sopravviverà. Si, forse si trascinerà dietro i suoi sensi di colpa, ma andrà avanti insieme al suo egoismo. Non ha abbastanza coraggio per mettere fine alla sua insulsa vita per espiare il suo peccato.

Nausea. Profonda, insostenibile, nausea.

Non ne puoi più.

Con un movimento neppure troppo accorto, lo adagi al suolo. Dopo. Dopo lo caricherai in macchina e lo porterai via, come ti è stato chiesto.

E appena non senti più la sua presenza, osi quasi pensare di sentirti meglio.

E i tuoi occhi ritornano a fissare l’orrore che sta per compiersi davanti a te. E non riesci a pensare come vorresti. Non riesci a chiederti neppure se sono ancora vivi o se sono stati già divorati da quelle fiamme che danzano alte in questo complesso abbandonato come lingue di un mostro potente e incontrollabile.”

 

- Katze!!-

Una voce. Una voce imperiosa lo stava chiamando e per un momento gli parve di conoscerla.

Ma gli ci volle qualche secondo per capire. Girarsi e mettere a fuoco l’uomo che lo stava artigliando senza troppo riguardo perché si riprendesse.

- Dov’è?-

“Dov’è chi?”. Conosceva quell’uomo. Lo conosceva.

Di nuovo quelli lo scosse con violenza e Katze improvvisamente riprese il totale controllo di se stesso, riemergendo dal profondo di quella voragine che lo stava risucchiando dentro di sé.

- Raul!- Pronunciò sorpreso e incredulo.

- Dimmi immediatamente dov’è Iason, accidenti a te!- Gli urlò quelli, serrando ancora di più la presa d’acciaio sulle sue braccia.

C’era una luce omicida in quegli occhi verdi che lo guardavano come se fosse lui il responsabile di ogni cosa. Ma Katze riuscì anche a scorgervi ansia, paura, urgenza.

Come aveva fatto ad arrivare fin lì.  E chi erano quegli uomini che si era portato? Dal loro abbigliamento sembravano membri della  sua guardia di sicurezza.

- Non sono riuscito a fare niente per lui!- Rispose, la voce ridotta a un soffio. Non seppe neppure se fosse uscito qualche suono dalla sua bocca o se le sue labbra avessero semplicemente articolato le parole.

- Che… che vuoi dire!?- Gli urlò Raul, rifiutandosi categoricamente di accettare il significato delle sue parole.

Katze non parve riuscire a rispondergli, si accorse che sembrava come sotto shock. Ma non poteva concedergli il lusso di lasciarsi andare. Non in quel momento. Si disse. Era arrivato fin lì per puro miracolo e non si sarebbe certo fatto fermare da quell’inutile ex oggetto, che se ora si fregiava del titolo di cittadino, era solo per la generosità del suo ex padrone.

Un’esplosione fece letteralmente sussultare il suolo come se un improvvisa scossa tellurica si fosse propagata sotto i loro piedi. In lontananza pezzi di metallo vennero scagliati in aria verso il cielo insieme a fiamme altissime.

Un manrovescio potente si abbatté sul viso esangue del giovane. Il colpo lo sbilanciò all’indietro, ma non cadde, sorretto dall’altra mano di Raul, che a momenti gli avrebbe spezzato il braccio.

Katze sentì una fitta lancinante soffondersi violenta all’interno della testa e il sapore ferroso del proprio sangue in bocca. D’istinto si portò le dita alle labbra, e il liquido rosso gliele macchiò inequivocabilmente.

Guardò il suo aggressore appena disorientato, mentre una strana sensazione di dejà vu lo coglieva impreparato.

- Ti ho chiesto di dirmi dov’è Iason!- Gli sibilò Raul a pochi millimetri dalla faccia.

- E’ dentro… è rimasto intrappolato sotto una trave d’acciaio che è crollata dal soffitto…- Finalmente Katze ritrovò la capacità di connettere.

Brevemente gli spiegò quel che era accaduto e prima ancora di finire, Raul stava già dando ordini sul da farsi per i soccorsi, dimenticandosi completamente di lui.

- E’ tardi, non c’è più niente da fare!- Gli fece notare, la voce insolitamente atona, senza speranza.- Ero solo, non ho potuto fare niente!- Sembrava parlare più con se stesso che con lui, come in un futile, patetico tentativo di auto assolvere la propria coscienza..

Fu un attimo. Raul fulmineo coprì la distanza che li separava e lo afferrò bruscamente per i capelli dietro la nuca, strattonandolo.

- Non pensarlo nemmeno, mi hai capito!?- Non urlò. Pronunciò le parole con un unico respiro di pura furia.

Dopo di che lo lasciò e andò via, diretto all’entrata principale.

 

“Come ha osato soltanto pensarlo?

Te lo chiedi incredulo mentre entri in questa fornace che gli impianti di auto estinzione dei tuoi uomini stanno cercando di spegnere.

Come si è permesso di insinuare che il tuo migliore amico sia già spacciato? Non sei arrivato fin qui per sentirti dire questo. NO!

E’ già stato difficile rintracciarlo. No, non rintracciare lui, ma la rotta della sua auto. Hai dovuto forzare i suoi codici personali di comunicazione per sapere dove fosse diretto quando lo hai visto andar via con quell’espressione sulla faccia che non presagiva nulla di buono.

Non lo avevi mai fatto prima con lui. Non ce n’era mai stato bisogno. Lealtà e fiducia sono stati sempre i due pilastri fondanti della vostra amicizia, prima che del vostro rapporto di lavoro.

Ma non è stata la mancanza di questi due preziosi elementi a spingerti a violare la sua riservatezza.

No! E’ stata l’urgenza con cui si è allontanato a farti intuire che era accaduto qualcosa. E quel qualcosa non avrebbe portato che guai.
Quel qualcosa che ancora una volta, ne sei stato sicuro all’istante, portava ancora una volta in nome del suo unico punto debole: Riky!

E avevi ragione!

Quante volte ti ha ordinato di stare fuori dalla sua vita privata?

Quante volte ti ha detto che Riky era affar suo e di nessun altro?

E quante volte tu gli hai ripetuto che quell’impuro lo avrebbe portato alla rovina prima o poi?

Quante volte hai cercato di metterlo sull’avviso. Di fargli capire che era tutto un errore. Che i suoi sentimenti per quell’individuo erano uno sbaglio che gli sarebbe costato caro?

Ti ha forse dato retta? Si è forse lasciato anche solo impressionare dalla prospettiva di poter essere sottoposto a un provvedimento disciplinare drastico per la sua condotta fuori dalle regole?

Ha forse dato peso alle tue parole che lo scongiuravano di ritornare nei ranghi e sbarazzarsi di quella “minaccia” prima che ti fosse stato ordinato di imporglielo con un atto di forza? A te, che sei suo amico e che non VUOI fargli del male, ma che sarai costretto se ti verrà ordinato?

No.  E’ sempre stato sordo a ogni tua parola. A ogni tuo consiglio.

Con quella sua espressione serafica ti ha semplicemente confidato di essersi innamorato. E tu hai faticato a credergli.

Ma è stato un attimo soltanto.  Perché lo conosci troppo bene. Sai che non ti dice mai nulla senza averlo prima ponderato.

E quel giorno lui è stato maledettamente, inesorabilmente sincero quando te lo ha detto, decretando così la propria sorte.

E non hai potuto fare altro che credergli e rimanere senza parole.

Perché quali parole avrebbero potuto spiegargli l’assurdità di quel che ti aveva confessato? L’impossibilità anche solo di avallarne la validità?

Oh si, lo sai che è sempre stato consapevole di ogni rischio, di ogni sfaccettatura, di ogni implicazione delle proprie decisioni.

Ma non ti ha certo mai fatto star meglio che fosse cosciente di quello a cui andava incontro. Anzi, il contrario. Ha alimentato in te l’impotenza di fargli capire la portata e le conseguenze.

Eppure la tua amicizia nei suoi confronti non è venuta meno.

Lo hai sempre rispettato per quello che è e per ciò che è sempre riuscito a realizzare per il sindacato.

Ammirato. Ecco la parola giusta. Ammirazione. Non per niente è lui il leader.

Anche quando tutta la storia è cominciata non hai potuto fare a meno di ammirare il suo coraggio nello sfidare le convenzioni, i pregiudizi. Nell’infischiarsene di tutto e di tutti e difendere la propria vita privata e i propri sentimenti, credendo fino in fondo in quel che faceva.

Lo hai invidiato. Ammettilo. Tu non saresti mai riuscito a giungere a questo punto.

Ora che stai cercando di raggiungerlo per trarlo in salvo da questo maledetto inferno, puoi anche concederti l’indulgenza di ammetterlo: Iason ha avuto il coraggio di portare avanti la sua guerra personale fino alle estreme conseguenze, mettendo in gioco tutto se stesso per quell’amore in cui tu non hai mai creduto, e che invece esiste se ti trovi in questa situazione.

Hai provato a convincerti che è stato un pazzo. Uno sconsiderato, impulsivo, stupido. Non ti ha dato retta e si è meritato tutto questo.

Ma è davanti ai tuoi occhi il tuo errore di valutazione. E per quanto dentro di te si stia combattendo una battaglia all’ultimo sangue, non ce verso che la tua riprovazione disintegri l’amicizia e l’ammirazione che gli porti.

E non ti dispiace neppure più. Non ti dà neppure più fastidio.

Sei qui. Sei accorso per aiutarlo. Per salvargli la vita. Per fare tutto quello che è in tuo potere e anche di più perché esca da questo incubo.

Lui per te lo avrebbe fatto e tu non puoi deluderlo. E’ il tuo unico, vero amico nel mondo di ipocrisie e di adulazione in cui siete costretti a vivere.

Non avresti mai potuto abbandonarlo al suo destino e lavartene le mani.

Per questo sei qui, mentre ti fai largo tra il fumo e le fiamme, il cuore che ti batte forte nel petto e il terrore appena controllabile di non arrivare in tempo.

Lo devi trovare. E lo devi trovare vivo, subito, adesso.

E portarlo via prima che questo posto crolli e vi seppellisca tutti.

E speri che il suo giocattolo invece sia  morto. Non te ne importa niente se Katze ti ha detto che è tornato indietro per morire con Iason. Non te ne potrebbe importare di meno la ragione per cui l’ha fatto. E’ stata sempre la sua rovina, e trovarlo già morto significherebbe una liberazione.

Si, Iason ne soffrirebbe. Normale. Ma almeno questa ossessione sarebbe finita per sempre. Prima o poi se ne farebbe una ragione e sarebbe salvo.

L’importante ora è che solo lui sia vivo.  E quel rifiuto della società morto. Cancellato. Bruciato. Sparito. Semplice!

E’ quasi una sensazione di benessere quella che provi mentre avanzi e finalmente lo vedi.

E’ vivo. Si è accorto di te e di quel che vuoi fare. Sembra stupito. Ovvio!

Le fiamme sono alte, ma ancora non lo hanno raggiunto, per fortuna.

C’è anche quel ragazzino, stretto tra le sue braccia. Sembra volerlo proteggere. Anche alla fine della sua vita, si intestardisce a volerlo porre davanti a sé. E’ intollerabile, Iason, possibile che tu non voglia rendertene conto dopo tutto questo?

Non capisci se sia vivo o morto. Preghi per la seconda ipotesi, naturalmente. DEVE essere morto. Ti ripeti ostinato. Non lo capisci, essere inferiore, che se tu muori, lui è libero?

Guardi i tuoi uomini che fanno strada estinguendo il fuoco man mano che avanzano. C’è bisogno di raffreddare e disgregare la struttura molecolare di quella dannata trave che sta bloccando Iason a terra.

Impartisci l’ordine con voce ferma. E’ il tuo elemento dare direttive precise. Ti fa sentire nuovamente sicuro di te. E’ nell’ordine delle cose la linearità, la chiarezza. Tu parli e gli altri obbediscono. E’ così che dev’essere, altrimenti è il caos, l’anarchia, la morte.

         Finalmente riesci a raggiungerlo. Ti è sufficiente uno sguardo per capire la drammaticità delle sue condizioni fisiche. Ha perso tanto di quel sangue dalle gambe schiacciate sotto la trave che ti stupisci che sia ancora cosciente e ora ti stia guardando come se pensasse che sei solo un’apparizione.

 <<Iason!>>. Pronunci il suo nome come per rassicurarlo che sei davvero tu e non una visione della sua mente confusa.

Gli uomini della squadra di sicurezza stanno lavorando rapidamente per liberarlo e tirarlo fuori. Solo pochi minuti e potrete andarvene. Non c’è quasi più tempo. Sta crollando ogni cosa intorno a voi e dovete affrettarvi prima che vi venga preclusa ogni via di fuga. Non sei venuto fin qui per fallire, Raul, non sarebbe da te!

<<Come hai fatto?>>. Ti chiede Iason, la voce ancora ferma, sebbene troppo bassa per essere normale. Ma è comprensibile. Eppure non c’è sofferenza sul suo volto. Probabilmente il dolore non gli arriva nemmeno più al cervello vista la gravità delle sue ferite. Se non fosse per questo pallore mortale sul suo viso perfetto, nessuno potrebbe dire che sta male.

<<I tuoi codici!>>. Ti basta dire questo perché lui capisca.

Ma non sembra urtato. Riesce anche a sorridere, scrollando appena la testa, come se volesse rinfacciarti che sei un essere impossibile nella tua ostinazione, ma che ti perdona la tua iniziativa.

<<Tra un momento ce ne andiamo. Come ti senti?>>

<< Non lo so, non sento niente. Fa solo un pò caldo>>.

Caldo. Qui sta andando tutto a fuoco e lui ti dice che fa solo un po’ caldo!!? Lo guardi più che perplesso. Ma da quando il suo senso dell’umorismo è così vivace? Sarà lo shock. Ne sei convinto. Non può essere che quello.

Uno dei tuoi ti annuncia che la trave non è più un problema. Bene. Potete andarvene finalmente.

<<Ti porto  fuori, coraggio!>> Lo esorti. Vuoi occuparti personalmente di lui.

Provi a tendergli una mano perché si appoggi a te. Dovrai portarlo via di peso: con le gambe ridotte in quello stato è impensabile che possa semplicemente sostenersi a te e seguirti.

Iason guarda prima la tua mano e poi te e tu non capisci la sua esitazione.

Non c’è più tempo. Come fa a non capirlo?

Stai per spiegarglielo, quando lui ti dice:

<<Non vado da nessuna parte senza di lui!>>.

Lui chi? Di chi sta parlando?

Oh, ma perché te lo domandi? E’ di questo essere che si ostina a stringere a sé che sta parlando. Che non ha aperto gli occhi, non si è mosso finora.

<<Iason, ma è…>>

<< E’ solo stordito, e sta male, Raul, ma non è morto!>> La sua è un’affermazione sicura, nitida.

I vostri sguardi si incrociano per un istante lunghissimo. Vorresti convincerlo ad abbandonarlo qua e smetterla di tergiversare.

Ma non puoi ignorare quel che lui ti risponde soltanto guardandoti: non si muoverà se insieme a lui non salverai anche il suo prezioso animaletto.

Che folle ostinazione!

E va bene! Ci sarà tutto il tempo di discuterne dopo. Non adesso.

E a ricordarvelo è l’ennesima esplosione, stavolta molto vicina a voi, che fa sussultare tutta la struttura in cui siete intrappolati.

Il comandante della tua squadra te lo fa notare con un’inflessione categorica della voce e tu impartisci l’ordine di uscire immediatamente.

Un paio di uomini si occupano di Riky. Iason lo trattiene a sé per una frazione di secondo, quegli occhi azzurri puntati nei tuoi come per sincerarsi che tu faccia esattamente quello che ti ha chiesto.

Poi scioglie le braccia dal suo corpo quando tu gli dai la tua parola semplicemente facendogli un cenno del capo, e lascia che quelli lo sollevino di peso e lo portino via.

Adesso anche voi potete uscire attraverso il passaggio che la squadra ha aperto per voi attraverso le macerie che continuano a cadere dall’alto.

Ancora qualche decina di metri e finalmente sarete fuori all’aperto, al sicuro. Quest’inferno alle vostre spalle.

 

         Ha quasi dell’incredibile che siate riusciti a uscire appena prima che ogni cosa collassasse su se stessa.

Riuscite solo ad allontanarvi a una distanza di sicurezza prima che un immenso polverone di macerie e detriti  esploda alle vostre spalle squassando l’aria e il suolo con il fragore di mille tuoni in successione.

Chi ha fatto questo pagherà. Te lo prometti come un punto d’onore mentre adagi il corpo di Iason sul  lettino della navetta con cui sei venuto fin qui.

E’ sfinito. Puoi leggerlo chiaramente sul suo volto. E probabilmente da qualche parte il dolore sta cominciando a risvegliarsi perché non è più così tranquillo come fino a qualche istante fa.

Prendi un iniettore ipodermico per iniettargli un sedativo che lo aiuti finché i medici si prenderanno cura delle sue ferite.

Ma lui ti ferma il polso mentre ti avvicini al suo collo.

<<Iason, è un sedativo, ti aiuterà a sopportare il dolore>>. Gli spieghi paziente.

<< Lo so. Ma prima dammi la tua parola che ti occuperai di Riky. Ha bisogno di cure. Non voglio che venga affidato a mani sconosciute.>>.

<<Me ne occuperò personalmente, stai tranquillo. Adesso mi preme di più che tu ti rimetta…. Le tue gambe sono messe male, ma non è niente che la chirurgia genetica non possa sistemare!>>.

Il tuo amico neppure immagina il sollievo che provi nel pronunciare queste parole. E’ troppo preso a pensare a quel ragazzino insulso. Ma non era necessario che ti chiedesse la tua parola in cambio perché te ne occupassi. Se così non fosse, non lo avresti certo tirato fuori insieme a lui.

<<Per favore, fallo portare nel mio appartamento. Se dovesse riprendersi prima di me, si sentirà al sicuro. Poi mi occuperò di parlare con Juppiter a tempo debito.>>

Già Juppiter. La grana più spinosa! Ma tu hai pensato anche a questo. E non è mai stato così facile come questa volta. Quasi non ci credi.

<<Lascia che mi occupi anche di questo: ho già predisposto tutto, fidati!>>.

Lo rassicuri, sicuro di te. Il tuo rapporto sarà perfetto e credibile. Tutta la responsabilità andrà alla stessa organizzazione che ha inviato il gruppo di fuoco che vi ha teso l’agguato a Eos durante il ricevimento con i rappresentanti del governo federale. E non ci sarà smentita. E hai già anche il capro espiatorio che fa al caso.

Glielo accenni e Iason si tranquillizza all’istante, contento che tu abbia già approntato un piano per risolvere questo problema che altrimenti rischiava di diventare ingestibile.

Di nuovo provi a iniettargli il tranquillante, e per la seconda volta lui ti ferma. Vuole parlare con Katze. Non capisci il perché, ma non ti opponi: comprendi perfettamente il suo bisogno di gestire la situazione malgrado tutto. E non è mancanza di fiducia in te, lo sai benissimo. Semplicemente è sempre lui il capo e non è mai venuto meno alle proprie responsabilità neppure in casi estremi.”

 

         “Ti avvicini ancora incredulo per come sono andate le cose. Se non fosse che non credi in nessuna entità superiore, non esiteresti a pensare a un miracolo.

Perché solo un qualche miracolo può essere stato compiuto. Non riesci a trovare una spiegazione diversa.

La voragine dentro di te ha cominciato a chiudersi e a lasciarti libero nel momento in cui hai visto emergere dalle fiamme la squadra di sicurezza e Raul che portavano in salvo sia Riky che Iason.

E hai cominciato a sentirti di nuovo bene. Non ci credi ancora.

Il sangue che ha macchiato di rosso cupo i pantaloni di Iason ti strappano d’un tratto dal tuo sollievo e ti riportano drasticamente con i piedi per terra.

<<Guarirò, non voglio che tu pianga ancora!>>. Lo senti dire nel suo tono di voce più calmo. E ti ritrovi a fissarlo e a domandarti come fa a essere così controllato. E a vergognarti per non essere stato capace di nascondergli i tuoi occhi arrossati dal pianto.

<<Le tue… gambe…>> Riesci solo a pronunciare con il respiro che ti si è spezzato da qualche parte nel petto e non riesci a recuperarlo.

<<Ascoltami!>> L’ordine ti arriva categorico, sebbene la sua voce non sia mutata. Ha tutta la tua attenzione adesso. Qualunque cosa ti chiederà di fare, tu la farai.

<<Dimmi!>>

Iason porta la mano sinistra al polso destro e si sgancia il sottile braccialetto di platino che porta sempre con sé. Te lo porge un po’ a fatica e tu gli vai incontro a metà strada per evitargli di sforzarsi.

Apri il palmo della mano e guardi il complicato intreccio di maglie del gioiello. Lo conosci bene per averglielo sempre visto al polso da quattro anni a questa parte, da quando ha conosciuto Riky.

Non hai mai osato chiedergli il perché. E certo non hai mai pensato fosse un suo regalo: impensabile per più di una ragione.

<<Voglio che tu lo custodisca.>>

<<Si, certo>>

<<Contiene le sequenze sinaptiche della mia memoria. Sono impresse nel codice della lega>>.

Che vuol dire? Lo guardi disorientato e stupito.

Che cosa sta cercando di dirti?

<<Iason… io non capisco!>>

<<Non lo so che cosa può accadermi durante l’intervento per rimettere in sesto le mie gambe, Katze.>>

<<Cosa vuoi che ti accada, accidenti! Guarirai, l’hai appena detto anche tu e…>>.

<<Ascolta, ti ho detto!! Raul farà il suo rapporto a Juppiter su questa storia. E se tutto va come ha pianificato, non ci dovrebbero essere problemi di sorta per me. Ma non posso escludere l’eventualità che qualcosa non funzioni e che venga impartito l’ordine di riprogrammarmi…>>

<<Non è possibile, non ti può fare una cosa simile!!>>.

<<Può, se decide di farla. Lo sappiamo bene. Anche tu lo sai! Se dovesse accadere, Raul non potrebbe fare altro che attenersi agli ordini…>>

<< E’ tuo amico, Iason… è venuto a salvarti, mettendosi a sua volta a rischio!!>>.

<<Si, ma non potrebbe farci niente. E anche se si opponesse, ci sarebbe qualcun altro a eseguire le direttive di Juppiter, lo sai. Perciò voglio che tu tenga questo braccialetto. Mi sono preparato a questa possibilità quando… Juppiter ha cominciato a non vedere di buon occhio la presenza di Riky nella mia vita. Finora ha tollerato. Ma non posso sperare che lo possa fare per sempre… Non voglio darlo a Raul: lo esporrei a un inutile pericolo. Se lo tieni tu, non ci sarà alcun problema.

Se dovesse accadermi qualcosa, voglio che tu lo dia a Riky e gli spieghi come usarlo per ripristinare la mia memoria. La sequenza si attiva con il suo dna ed è quindi l’unico che può servirsene. Sono stato chiaro?>>.

Lo guardi come se ti avesse appena consegnato la propria vita. E in qualche modo è così e tu ne sei spaventato. E’ una responsabilità troppo grande. E non puoi neppure rifiutarla.

Annuisci sena riuscire a pronunciare una sola parola. Ma non ce n’è bisogno.

 

 

 

        

To be continued…

 

 Tresor ^_^