Ringrazio:
- Gaia che mi ha dato la possibilità di fare l'esperienza di scrivere una storia a due mani (-_- se non ci fosse stata lei a dar brio alla vicenda non so proprio cosa avrebbe potuto saltarne fuori).
- Mty , Maria e June per aver contribuito alla lontana ispirazione in quel ventoso giorno tra i ruderi di un suggestivo monumento storico (;-; mi immagino ancora i due puccioti far ritorno su quella grata "rugginosa" per un BIP di tutt'altro genere :).
Finiti i ringraziamenti, vi saluto (assieme naturalmente a: Gaia, mty, Maria e June).
Ciao e.... grazie coraggiosi lettori.


Una speranza nel cuore, Una ferita nell'anima

di Gaia e Mokuren

parte III


Appena rientrato al campo Roland si mise a cercare Hermin; lo trovò chiuso nella sua tenda e assorto a tracciare segni sulle mappe, a elaborare piani per l'ultimo assalto. Assorto al punto che non si accorse neppure della sua entrata sin quando questo non si fece notare.
"Signore!"
A quel suono la testa di Hermin si voltò nella sua direzione squadrandolo, quasi non riuscisse a ricordare chi esso fosse, ma soprattutto perché veniva a disturbarlo in un momento così delicato.
"Randolf... noto che sei riuscito a non farti uccidere, bene, tra breve avremo ancora bisogno anche di te; ora però non poso essere disturbato, devo studiare il prossimo attacco e non ho tempo per nient'altro."
Detto questo tornò a fissare lo sguardo sulle sue carte per far capire che non voleva essere ulteriormente infastidito; ma Roland non aveva alcuna intenzione di andarsene senza dire ciò che doveva:
"Mi scusi signore, ma... Arabin è stato ferito gravemente e adesso è disperso. Io ho assistito al suo ferimento ma non ho potuto..." Una leggera esitazione al ricordo di come si erano svolti i fatti lo interruppe per un attimo "Non ho potuto far nulla per evitarlo, dobbiamo organizzare una
squadra ed iniziare le ricerche, Signore."
A quelle parole Hermin alzò nuovamente lo sguardo dalle carte che stava studiando per poi riabbassarvelo subito dopo senza dire una parola.
"Signore! non ha sentito, Arabin..."
Uno scatto, un ringhio quasi rabbioso, ma non dovuto al dolore di quella notizia, ma solo al fastidio datogli da quella presenza indesiderata, da quell'argomento "insignificante":
"COSA VUOI CHE MI IMPORTI DELLA VITA DI UN SOLDATO TRA TANTI? Ho una guerra da vincere, sono morti molti miei combattenti, uno più o meno non fa alcuna differenza; in questo momento non mi importerebbe neppure la perdita del più valoroso tra i miei condottieri, figuriamoci quella di un insignificante armigero. Adesso vattene ho detto."
Roland fissò quell'uomo con aperto disprezzo; come poteva dire una cosa del genere, come poteva rimanere impassibile alla notizia della scomparsa del figlio?
"Come potete parlare così? Quello... quello è vostro figlio!"
"FIGLIO? Chi ti ha detto che quel rammollito è mio figlio? Io non ho alcun figlio e non ho intenzione di discutere oltre con te!!"
"Ma cosa dite? Arabin è sangue del vostro sangue, io non ho idea delle ragioni che vi hanno portato a una tale rottura, ma adesso lui è in pericolo, potrebbe morire! MORIRE, CAPITE! E voi non potete permetterlo. Io non vi permetterò..."
Hermin si alzò facendo cadere a terra la sedia.
"Tu cosa, ragazzino? Cosa vorresti fare tu? Chi ti ha raccontato una simile assurdità? O hai piuttosto creduto alle mille idiozie che si raccontano nelle latrine di palazzo? Comunque sia, sappi che Arabin non è più mio figlio da anni ormai, quello smidollato non è mai stato degno di fregiarsi del mio titolo! Sai che.. questa scena mi ricorda molto il momento in cui ho finalmente potuto disfarmi di quel babbeo smidollato! Mi par di avere ancora d'innanzi quel suo cipiglio arrogante mentre mi "ordinava" di lasciar in vita un ragazzino, un suo "amico", l'erede dei Garebar. Uno stupido buono a nulla ecco cos'è sempre stato quell'Arabin, un debosciato che non può essere mio erede! Un figlio onora il padre e asseconda i suoi desideri, sa che la potenza del genitore sarà un giorno la sua e per questo rispetta ed osanna le sue scelte facendole sue, invece lui non ha fatto che opporsi a me e, se non l'avessi raggirato, adesso il feudo dei Garebar non sarebbe certo mio ed io non sarei il potente signore che finalmente sono; quell'imbecille non mi avrebbe mai aiutato a sterminare tutta quella "brava gente" i suoi "amici" se non l'avessi costretto con l'inganno! Quel giorno gli risparmiai la vita solo perché ero troppo felice di avere conquistato quel palazzo ed il relativo potere CHE MI E' SEMPRE SPETTATO! E così mi sono privato della gioia che mi avrebbe dato il potermi godere la sua morte e la sua sofferenza; ma non mi posso lamentare, perché ha sofferto, te lo garantisco io!" Una risata sguaiata accompagnò quelle parole crudeli.
"A partire da quel bel ricamino sul suo volto sino alla morte di quella puttana di sua madre. E tu che sei un valente soldato, dato che ora sai come stanno le cose, non mi importunare con queste sciocchezze! In questo momento non posso permettermi di perdere nessuno dei miei uomini, e se hai qualcosa da ridire, sarai ben ricompensato della tua sfrontatezza quando avremmo vinto questa battaglia! Ora Vattene e non provarti mai più a proferir "minacce", soldato!"
Hermin si voltò rialzando la sedia e riprendendo a studiare le sue carte, Roland era rimasto li, immobile, folgorato dalla VERITA', con il pugno stretto sull'elsa della sua spada e le nocche gli erano sbiancate tanta era la forza con cui la stringeva; quindi era lui, era solo sua la responsabilità per ciò che era accaduto, Arabin era solo stata una sua pedina inconsapevole, una vittima, come la sua famiglia.
Un macigno gli era scivolato via dal cuore a quell'assurda confessione e un'altro, ben più pesante, era andato a prenderne il posto; l'aveva abbandonato il peso del tradimento di un amico fidato e adesso era schiacciato dal peso del rimorso per quel che aveva fatto senza ascoltar ragioni.
Stava per sguainare la lama, per vendicarsi adesso della persona giusta, dell'unico spietato responsabile, quando gli comparve davanti l'immagine di Arabin moribondo, solo, disperato e privo della voglia di sopravvivere che avrebbe potuto aiutarlo a tornare... a tornare tra le sue braccia e questo solo e soltanto per colpa della sua testardaggine, del suo immotivato rancore, della sua stupidita.
MALEDIZIONE A SE!
Adesso non poteva pensare alla vendetta, doveva e voleva solo andare a salvare l'amico, a cercare di farsi perdonare da lui a dirgli che..
Lasciò l'arma e uscì di corsa dalla tenda di Hermin.
Si diresse verso le cucine da campo, dove sottrasse della carne essiccata e un piccolo otre di distillato di grano. Passò dall'accampamento e recuperò al volo il panno che copriva il suo giaciglio.
Gli sarebbero serviti quando, trovato Arabin, gli avrebbe portato i primi soccorsi; perché lui l'avrebbe trovato, trovato vivo.
Mentre si avvolgeva il mantello sulle spalle e si dirigeva verso il recinto dei cavalli, si rese improvvisamente conto che ormai si stava facendo notte e l'aria era divenuta fredda. Si fermò di colpo e la paura gli strinse il cuore: come l'avrebbe trovato nel folto del bosco, nell'oscurità che si faceva sempre più fitta?
Avrebbe voluto avere gli occhi acuti di un rapace, l'agilità di un felino e l'olfatto di un segugio; ma, forse, sarebbe bastata un briciolo di fortuna, o almeno era quello che sperava e per cui si mise silenziosamente a pregare mentre affrettava il passo, non aveva altro che se stesso, il cavallo di Arabin ed il suo smisurato desiderio di trovarlo e tutto questo DOVEVA BASTARE.
Entrò di soppiatto nelle stalle e slegò Fasar. Il cavallo lo seguì docile, quasi avesse intuito cosa si apprestavano a fare. Roland diresse l'animale verso la parte meno illuminata del campo, stando attento ad ogni movimento, ad ogni possibile suono imprevisto, ma ovunque il caos regnava sovrano, la milizia era demoralizzata, molti si lamentavano per le ferite riportate, e altrettanti ubriachi, nel tentativo di sconfiggere la paura del dolore e del nuovo giorno di battaglia. Nessuno fece caso a lui che si allontanava nella notte.
Tornò sul campo di battaglia e si diresse verso il burrone. Almeno 100 metri più in basso scorreva un torrente, e la scarpata per arrivare fino al corso d'acqua era impervia, irta e disseminata di rovi, alberi e pietre. Spronò Fasar verso il burrone, ma il cavallo si impuntò. Non sembrava intenzionato a scendere in quel macello. Roland smontò dalla cavalcatura e ne prese le briglie. Si avventurò per primo, tastando il terreno con i piedi, rischiando di scivolare in ogni istante. Il cavallo lo segui docile, rimanendo saldo ed aiutandolo più di una volta a raggiungere incolume la fine della scarpata; giunto in piano si diresse verso il fiume, cercando di cogliere qualsiasi suono, movimento o luccichio che gli facessero individuare la presenza di qualcuno, questo sin quando Fasar, che continuava a seguirlo, non si fermò vicino ad un albero. Roland tentò di trascinarlo via, ma questo non ne voleva sapere di muoversi da li. La testa reclinata verso le radici dell'albero, le narici dilatate, la coda che roteava rapida. Un nitrito squarciò la notte umida. Roland si gettò verso il tronco col cuore in gola.
Forse l'aveva trovato. Un morso di luna rischiarava appena il buio verde e nero del bosco. Sulla corteccia dell'albero l'aspettava solo una macchia di sangue rappreso, probabilmente di Arabin, ma di lui nessuna traccia.
Tirò via Fasar e continuarono la discesa. L'animale davanti e lui dietro, che seguiva il fiuto del destriero. Doveva essere da quelle parti. Lo avrebbe trovato li intorno, poco lontano. Non poteva essere altrimenti, doveva essere lì, magari stordito, magari svenuto, ma doveva essere li, altrimenti.... gli tornò alla mente la macchia di sangue sul tronco; la ferita alla spalla. Probabilmente lo stava dissanguando, doveva sbrigarsi.
Arrivò al torrente, che in quel punto scorreva roboante. Di Arabin ancora nessuna traccia e Fasar non sembrava intenzionato a fiutare alcuna traccia. Lasciò le briglie dell'animale, che si diresse verso il corso d'acqua. Abbassando il muso verso riva.
"Bell'aiuto mi dai, ti metti anche a bere, adesso!" Roland cercò di sdrammatizzare la disperazione di non aver ancora trovato Arabin. Si avvicinò al cavallo e gli carezzò il collo.
"Dai amico mio, aiutami a trovare il tuo padrone. Sembra che la sua vita stia a cuore solo a te e.. a me." Le ultime parole le sospirò più al suo animo che all'animale.
Ma Fasar non sollevava il muso. Roland osservò con attenzione cercando di vedere nel buio della notte. Fasar leccava una pietra piatta posta sul ciglio del torrente. Sangue anche lì, ma questa volta sembrava versato da poco; si guardò intorno, perlustrò ogni centimetro ma di Arabin ancora nulla.
Continuo disperatamente a perlustrare: ogni, roccia, ogni anfratto, ogni tronco, freneticamente, disperatamente; dopo un tempo che gli parve interminabile le ginocchi gli cedettero e, accasciatosi sulle riva con l'acqua gelida che gli lambiva le membra, colpì quella luminescente superficie sfiduciato; DOV'ERA Arabin, Dove, dove... non poteva finire così; non dopo quello che aveva saputo, non dopo quello che aveva fatto. In quel momento gli tornarono alla mente, come in un flash, le parole di Arabin in quella notte, quando aveva provato a fermarlo, a spiegargli cosa era successo realmente in quei lontani giorni, gli aveva chiesto, l'aveva supplicato di ascoltarlo, di concedergli una possibilità, ma lui non l'aveva fatto, non aveva voluto sentir ragioni e si era preso la sua miserevole rivincita. Gli tornò alla mente il corpo di Arabin accasciato a terra, le lacrime nei suoi occhi, e l'atteggiamento che aveva avuto nei giorni che erano seguiti a quella disgraziata notte; la ricerca quasi spasmodica di una lama che lo trafiggesse e quella tristezza scolpita in quegli specchi verdi.
Non si poteva arrendere, anche se il buonsenso gli diceva che le speranze di ritrovarlo ancora vivo erano esigue, lui non si sarebbe arreso, mai, solo il cadavere di Arabin avrebbe arrestato il suo cercare e anche la sua vita, perché sapeva che non sarebbe riuscito più a vivere se le sue azioni irragionevoli e crudeli avessero portato alla morte la persona che... che..
Afferrò le briglie del destriero e iniziò a seguire il corso d'acqua. Il percorso era più agevole, ma non poteva più contare sul fiuto dell'animale.
Doveva affidarsi solo ai suoi occhi e alla tenue luce che rischiarava a tratti il folto del bosco. Il tempo sembrava sospeso, scorreva lento, rarefatto; i piedi inciampavano, si arrestavano, tornavano indietro, si fermavano al bordo del torrente, persi in una ricerca sempre più scoraggiata.
Lo doveva trovare. E doveva essere vivo!
Il cavallo nitrì.
Roland si bloccò improvvisamente. L'animale stava entrando nelle acque gelide, gli salì in groppa e si fece trasportare pregando in silenzio, mentre si guardava freneticamente intorno. Fu trasportato sull'altra sponda.
Roland smontò con il cuore che gli batteva all'impazzata nel petto; l'acqua gelida gli penetrò negli stivali ed un brivido lo percorse al pensiero del corpo di Arabin immerso in quel fluido gelato. Fasar costeggiò la riva per pochi passi ancora, poi si fermò abbassando il muso. Ai suoi piedi un informe mucchietto giaceva sulla riva del torrente, per metà immerso nelle acque.
Roland si precipitò in quella direzione, inciampando in sassi e radici, cadendo un paio di volte, mentre il cavallo osservava, immobile, quel fagotto.
Una speranza gli riscaldò il cuore, lo sentiva, l'aveva trovato; si inginocchiò vicino al destriero e prese quel corpo per le spalle. Gli abiti fradici e freddi, gli occhi chiusi, Arabin, finalmente tra le sue braccia, sembrava una marionetta abbandonata.
Lo chiamò, lo scosse delicatamente, ma non ricevette alcuna risposta, alcun segno di vita.
NO! Non poteva, non doveva finire così.
Avvicinò la bocca alle quelle labbra fredde. Una preghiera incagliata tra i denti mentre sfiorava le due strisce di pelle quasi esangui. Un sottile respiro animava ancora quel corpo. Era vivo. Ma per quanto ancora? Era gelato, zuppo fin nelle ossa e una larga macchia rossa continuava ad allargarsi proprio sotto la spalla; la freccia spezzata ancora conficcata nella carne.
Si rimise in piedi e prese Arabin sotto le ascelle sollevandone il busto per sottrarlo allo scorrere delle gelide acqua; cercò poi di sollevarlo completamente, ma non sarebbe stato semplice, quel corpo inerme era pesante più di quanto si fosse aspettato, in fin dei conti non si trattava più di un ragazzo, ma di un soldato ben allenato. Il petto si alzava con lentezza preoccupante. Lo doveva togliere dall'acqua, portare al riparo, asciugare, scaldare, togliere la freccia, fargli riprendere i sensi. Sollevò a fatica il corpo, senza sapere dove avesse trovato la forza di farsi carico di quel peso. Lo strascinò fuori dalle acque e lo depose a riva.
"Lo abbiamo trovato. E' vivo!" esultò in direzione del cavallo ancora immobile.
Poi si guardò intorno. Cercare un riparo sembrava impresa assai folle, ma individuò un lembo di terra quasi privo di rovi. Era a poche decine di metri. Prima di trascinarvi Arabin ispezionò il luogo e vide che c'era anche una piccola rientranza nella roccia. Si precipitò verso il compagno e con uno sforzo, che gli tolse il fiato e l'equilibrio, lo sollevò da terra. Il corpo abbandonato tremava, percorso da brividi di freddo.
Roland salì la piccola scarpata che lo separava da quella piccola grotta scavata nel cuore della roccia e vi depositò Arabin.
"Fagli la guardia" intimò al destriero, mentre, incurante dei vestiti zuppi e del freddo che si stava diffondendo sul nel petto, andò a cercare della legna per accendere un fuoco.
Fasar fissò la figura che si allontanava, poi abbassò il muso sfregando col naso il volto gelato del suo padrone, rimanendo li, immobile, quasi aspettasse un gesto di Arabin, un cenno, un sorriso che non venne.
Roland tornò poco dopo con un fascio di rami e li accatastò vicino ad Arabin.
Incurante: delle braccia graffiate, dei muscoli dolenti e del freddo sempre più pungente, accese un piccolo fuoco con mani tremanti, le stesse mani che poi, freneticamente, si mossero sul corpo del compagno, per sfilargli di dosso gli abiti fradici; fece altrettanto con i suoi e, preso poi la coperta asciutto dalla sacca posta sul fianco di Fasar; abbracciò strettamente il compagno che gli impresse sua pelle un'orma gelida che lo fece rabbrividire, mentre avvolgeva entrambi con il caldo panno di lana, rimanendo poi immobile aspettando che il fuoco e il suo calore donassero un po' di tepore al corpo dell'altro.
In quel tragico e sublime momento il suo spirito esultava e la sua mente tremava:
"Ti ho trovato, finalmente! Avevo iniziato a disperare. Ma dovevi essere ancora vivo. Non mi sarei mai perdonato la tua morte; non dopo quello che ti ho fatto, non dopo che ho scoperto la verità. Mi potrai mai perdonare per...." La domanda, appena un sussurro, gli morì in gola. Rimase silente, in attesa che la pelle del ragazzo, stretto tra le sue braccia, si scaldasse. I tremiti si stavano placando, ma Arabin non riprendeva ancora conoscenza.
In quella posizione, stretto a quel corpo amato, Roland si assopì reclinando la testa sulla spalla dell'altro, ma, a quel contatto, Arabin ebbe un sussulto che fece ridestare Roland, che solo in quel momento si rese conto che dietro: il suono del suo cuore che batteva veloce, il respiro che si infrangeva sulle labbra di Arabin, le braccia strette attorno al corpo dell'altro, come a proteggerlo dal freddo della notte e anche da quel gelo che doveva albergare dentro l'animo del compagno si poteva udire anche un gocciolare lento ma inesorabile, che gli riportò alla mente la ferita, la freccia ancora conficcata ed il triste compito che lo attendeva.
Sospirò pesantemente e prese una decisione.
"Scusa, so che ti farà male...."
Un mesto sorriso gli increspò le labbra.
"Già, come se io non te ne avessi già fatto abbastanza, ma stavolta non posso evitarlo." Disse al corpo immobile.
Si staccò da lui ed il freddo della notte gli morse la carne. Si scaldò un istante al fuoco. Non poteva permettersi che gli tremassero le mani. Prese coraggio e afferrò la freccia. Al primo tocco Arabin gemette di dolore, ma non riprese conoscenza. Premette la mano libera sul petto del compagno e con l'altra tirò l'asta. Questa si mosse di qualche centimetro, poi un grido lo inchiodò. Arabin apri gli occhi di scatto, la bocca spalancata nel tentativo di non affogare nel dolore, il corpo teso verso la mano che stava estraendo il frammento di legno. Roland lasciò immediatamente la presa. Il corpo di Arabin ricadde a terra con un tonfo sordo e un gemito.
Roland vide quegli occhi verdi dilatati dal dolore e successivamente, riempirsi di sospetto. Gli si gelò il sangue nelle vene, mentre Arabin cercava di allontanarsi da lui, raggomitolandosi su se stesso.
"Fermo, non ti voglio fare del male."
Ma Arabin non ascoltava; si schiacciava verso terra, come a volerci sparire dentro, disperdendosi in essa, tremando di freddo e di dolore, ma non disposto ad accettare il suo aiuto.
Aiuto che Roland l'avrebbe costretto a prendere; gli si gettò quasi contro, e mentre la distanza tra loro due si riduceva lesse un orrore smisurato sul volto dell'altro. Lo abbracciò, stando ben attento a non toccare nuovamente la freccia ancora conficcata nel petto dell'altro. Arabin cercava di sottrarsi, ma i suoi movimenti erano lenti e privi di forza. Si dibatteva come un pesce nelle reti.
"Ti prego, calmati. Non voglio farti del male" ripeté Roland con il tono più tranquillizzante che riuscì a trovare nel suo animo.
Ma la voce tremava.
Aveva sperato fino all'ultimo che Arabin non reagisse in quel modo, ma questo era terrorizzato; e come non capirlo: aveva ripreso i sensi in un luogo completamente sconosciuto e in piena notte, destato dal dolore, e con la mente offuscata dalla febbre che gli stava salendo dentro, come se non bastasse si era trovato di fronte colui che lo aveva torturato poche settimane prima dichiarandogli in faccia di volere la sua morte.
Roland lo strinse maggiormente a sé e iniziò a parlare. Arabin era un fascio di nervi, rigido come la roccia che gli graffiava la pelle. Roland sapeva che non poteva fare altro per tranquillizzarlo.
"Ti ho trovato svenuto, per metà immerso nel torrente, completamente fradicio e tanto freddo da sembrare morto. Ti volevo solo scaldare. E levarti la freccia. Ma se vuoi ti lascio immediatamente. Non ti voglio fare del male, te lo giuro sulla mia testa. Ti prego, credimi."
Allentò la presa e Arabin si scostò repentino da lui. Per Roland fu più doloroso di un colpo di spada ricevuto in pieno petto, si strinse nelle spalle e riprese a parlare.
"So che non è stata colpa tua la morte dei miei genitori, della mia gente e che anzi, io ti devo la mia vita."
Allungò la mano e sfiorò il volto dell'altro.
"Non mi merito altro che il tuo disprezzo, mi sono comportato peggio di tuo.. di quell'uomo che ha gioito nel sapere che eri ferito o forse morto; io sono stato come lui.. ti ho umiliato, ti ho....."
Le parole gli morirono in gola.
"Perdonami se puoi. Io non...."
Roland abbassò la testa. Non poteva più guardare l'altro tremante, impaurito, la ferita che campeggiava vermiglia sulla pelle quasi livida; il silenzio che pesava come piombo sulla sua testa.
"Roland"
La voce di Arabin era bassa, appena un sussurro. Roland alzò la testa, pronto ad incassare le parole di Arabin, che si aspettava cariche di rabbia, di odio.
"Ho freddo."
Roland guardò stupito. Gli occhi verdi, stanchi, ma privi del terrore che vi aveva letto poco prima; il corpo chiaro, pressato contro la roccia; la coperta era scivolata via e Arabin tremava come una foglia.
Gli si avvicinò e lo prese tra le braccia. Arabin si accasciò contro di lui, stremato.
"Sono stanco, troppo stanco e ho freddo."
Roland prese la coperta e lo avvolse. L'abbracciò con più forza, la schiena di Arabin premuta contro il suo petto, pelle fredda contro la sua carne percorsa da brividi, ancora frustata dalla paura di averlo perso per sempre.
Arabin gemette di dolore. Dopo la tensione e la paura accusava nuovamente la presenza della freccia nel suo corpo.
"Dobbiamo toglierla" Disse Roland, indicando il pezzo di legno che spuntava dal corpo dell'altro.
"E pulire la ferita." Arabin annui.
Roland affondò il volto nei capelli dell'altro e rimase per un istante a respirare il suo odore. Poi si alzo e aggiunse dei rami al fuoco che stava per spegnersi. Aveva bisogno di un po' di luce. Afferrò il piccolo otre e glielo avvicinò alle labbra, costringendolo a bere il suo contenuto; sarebbe servito a poco, l'aveva preso nella speranza di scaldarsi un po' durante la notte, ma si augurava che potesse servire anche a stordire i sensi di Arabin che forse così avrebbe sentito un po' meno dolore.
Prese un lembo pulito della sua camicia fradicia e cercò di ripulire il sangue attorno alla ferita, Arabin seguiva le mani di Roland che lavoravano meticolose e lente sulla sua pelle.
"Appoggiati contro la roccia e cerca di sopportare, durerà un attimo, te lo prometto."
Arabin eseguì docile le indicazioni, strinse tra i denti la cinghia di cuoio del piccolo otre che Roland gli porgeva e fece cenno all'altro che era pronto.
Roland estrasse la freccia con un solo, brusco movimento. Il corpo di Arabin si tese, i muscoli si contrassero per il dolore, ma dalle sue labbra non uscì un solo lamento.
La ferita ricominciò a sanguinare copiosa e, ben presto, la stoffa ruvida premuta sul petto di Arabin divenne un'unica macchia vermiglia.
Roland continuò a premere sulla ferita e pian piano il sangue si arrestò. Il petto di Arabin si alzava e si abbassava rapido, il ragazzo respirava vorace nel tentativo di far passare il dolore, per aiutarlo a sopportare Roland gli portò nuovamente alle labbra l'otre, costringendolo a bere sin quando il liquore non iniziò a dare i benefici sperati, stordendo i sensi del ragazzo che si acquietò tra le sue braccia sprofondando nel sonno.
Sentendo quel corpo non più gelido stretto al suo, nella speranza che il peggio era passato, anche Roland si rilasso, scivolando a sua volta in un sonno ristoratore.

^^^^^^^^^^

Arabin sapeva che era già giorno fatto, ma non riusciva ad aprire gli occhi tanto erano pesanti le palpebre. Avvertiva la presenza di Roland ancora stretto a lui, ne sentiva la pelle fresca del petto contro la schiena, le braccia che lo cingevano alla vita, le gambe intrecciate alle sue ed il respiro profondo che si perdeva sulla sua nuca. Arabin sentiva tutto, lo vedeva quasi, udiva i rumori del bosco ma non riusciva a percorrere la strada che lo avrebbe riportato al reale. Si sentiva intorpidito, gli arti non rispondevano, e neanche le palpebre sembravano intenzionate a collaborare. Rimase per un istante in sospeso, ma la sensazione di non avere controllo sul suo corpo stava invadendo la sua coscienza. Si voleva muovere, ma non vi riusciva, almeno così gli sembrava, dato che Roland, abbracciato dietro di lui, continuava a dormire senza accorgersi di nulla. Forse era stato il distillato che aveva bevuto la sera prima, o le ferite oppure era solo il desiderio di non svegliarsi per tornare alla realtà, una strana realtà che non avrebbe dovuto comprendere l'aiuto di Roland, che gli impedivano di aprire gli occhi e di tornare alla realtà.
Arabin cercò nuovamente di destarsi completamente, di muoversi, ma, come contrasse i muscoli delle braccia la ferita riprese a pulsare; a quell'improvvisa ed intesa fitta si accartocciò su se stesso. Adesso era completamente sveglio e non solo lui. Roland si era ridestato di soprassalto al movimento brusco dell'amico.
"Cosa succede?" chiese Roland allarmato, la mano già a cercare la spada appoggiata vicino al giaciglio improvvisato.
"Niente." La voce di Arabin suonava sorda. Aveva la bocca completamente secca. Si tirò su per andare a bere, puntellandosi sul braccio non ferito, ma come si isso sulle gambe malferme il mondo iniziò a roteargli attorno.
Roland scattò in piedi e lo afferrò prima che cadesse; lo strinse per la vita e così facendo sentì la pelle di Arabin in fiamme a contato con la sua, sospirò e lo strinse ancor più a se.
"Hai la febbre! Sarà per la notte passata a mollo o a causa della ferita. meglio controllarla, non vorrei che si fosse infettata, non avevo nulla con cui disinfettarla, siediti e fammi vedere."
Arabin si sentiva stordito, i sensi dilatati e una strana sensazione sulla pelle, strana, ma piacevole, un calore, non quello malsano dato al suo corpo dalla febbre, bensì un tepore nel cuore datogli da quella presenza premurosa alle sue spalle, da quelle parole gentili; gli sembrava così strano stare tra le braccia dell'altro, con il viso di Roland ad un soffio dal suo, quelle labbra così vicine e il caldo intossicante della febbre che si diffondeva dalla sua pelle fino a quella dell'altro così fresca e invitante.
Il cervello funzionava poco e lentamente, e con esso anche i suoi arti, i movimenti erano rallentati, e il mondo sembrava liquefarsi sotto i suoi piedi. Immagini del passato si sovrapponevano al volto che aveva davanti, brandelli di frasi e di risate gli echeggiavano nelle orecchie, un odore conosciuto ma differente da come se lo ricordava gli parlava di sole sulle braccia, di corse a perdifiato, di gioia condivisa, la pelle della gola sembrava così morbida, e le labbra così invitanti... dovevano essere ancora più buone della prima volta, di quel lontano bacio...
Aggrappato alle braccia dell'altro, perso nelle sensazioni antiche e negli occhi stupiti di Roland, coprì la distanza tra le loro bocche. Le labbra di Roland erano fresche contro le sue che bollivano e pulsavano per via della febbre. Si avventò su quella bocca come se volesse placare tutta la sete che gli mordeva le carni, baciò succhiò, leccò finché non gli fu aperta la porta. Voleva assaggiare tutta la vita dalle labbra di Roland. Il bisogno era incalzante, ma i movimenti seguivano lenti i voleri dei sensi. Lo baciò con tutto il corpo. Le lingue si sfioravano appena, senza fretta, senza lottare o rincorrersi, Roland che seguiva il lento ritmo imposto da Arabin; le dita si intrecciavano dietro la nuca, scorrevano sulle spalle sulla gola per poi rituffarsi nel folto dei capelli; le braccia allacciate intorno al torace; il petto, spinto dal respirare affannato, sfiorava la pelle dell'altro, freddo su caldo, a volte solo appoggiato, a volte premuto talmente forte da lasciare il segno; i capezzoli che si scambiavano promesse e brividi serpeggianti; e il bacino, in oscillazione sincrona sulle gambe malferme, che strusciava ritmicamente contro il corpo di Roland.
Arabin socchiuse gli occhi e il mondo divenne solo le labbra che stava suggendo. Il sapore era diverso da quello di un tempo, più definito, forse leggermente più spigoloso, ma riconosceva ancora quella sottile nota di macchia mediterranea che sapeva di pomeriggi caldi e tersi.
Bevve il bacio di Roland finché non si sentì sazio del suo sapore e bisognoso delle sue forme. Riprese fiato, perso negli occhi blu illuminati da una stupita felicità e iniziò ad accarezzare la schiena di Roland. La mano si moveva a seguire le forme dei muscoli, i sensi spersi in così tanta pelle, liscia, fresca, sua...
"Chissà che sapore avrà la tua pelle" sussurrò sulle labbra di Roland, prima di sfiorargli il collo con la punta della lingua. Roland seguiva con occhi increduli il lento discendere della lingua di Arabin lungo il suo collo.
La bocca di questo si chiuse sulla clavicola ed iniziò mordicchiare ed a leccare delicatamente la base del collo. Roland a quell'inattesa carezza, serrò maggiormente la presa intorno alla vita di Arabin gettando la testa all'indietro e offrendosi all'assalto dell'altro con un sospiro. I bacini si toccarono e rimasero premuti l'uno sull'altro, mentre anche Roland iniziava ad oscillare e a liquefarsi sotto quelle carezze dimentico di tutto e tutti, fuorché di quel corpo caldo tra le sue braccia, sul suo corpo.
Le labbra di Arabin coprivano meticolose tutta la pelle che era a sua disposizione, mentre le sue dita carezzavano e sfioravano la schiena e i fianchi dell'altro.
"Chissà che sapore... " sussurrò piano Arabin.
La mente di Roland, man mano che l'altro scendeva lungo il suo petto, elaborò la frase, e un brivido di anticipazione gli attraversò la schiena, all'idea di quelle labbra bollenti che scendevano fino ad assaggiare "il suo sapore". Ma in quel momento, mentre l'attesa si era fatta quasi insopportabile, Arabin risalì veloce lungo il suo petto per tornare a succhiare delicatamente la pelle del collo; quel cambio fece riscuotere Roland dallo stato quasi ipnotico in cui era caduto dopo l'inaspettato quanto appassionato bacio datogli dall'altro; la sua mente si schiarì e tornò a farsi sentire la voce della ragione. ma il vedere quelle labbra ora turgide e rosse ad un soffio dalle sue che reclamavano almeno un altro bacio lo spinsero a sollevare con delicatezza la testa di Arabin, per imprigionare quelle labbra nella sua bacco non ancora sazia.. Il bacio fu un divorar di pelle, di lingue; poi una stretta, un sospiro, Roland affondò la testa nella spalla dell'altro aspirandone l'odore, dopo di che lo allontanò leggermente da sé e lo guardò dritto negli occhi. Per un istante lo sguardo verde liquido dell'altro lo fece vacillare, respirò due o tre volte e prese a parlare evitando di pensare oltre per impedirsi di ricominciare senza più riuscire a fermarsi.
"Stai male, scotti, sei in preda ai brividi. Dobbiamo tornare al maniero. La strada non è breve. E se le tue condizioni peggiorassero e tu." La voce di Roland era arrochita dal desiderio e impastata dalla preoccupazione.
Arabin lo guardò a lungo, prima di rispondere.
"Perché vuoi tornare adesso?" parole appena sussurrate.
"Sei venuto qui di tua iniziativa.. Di sicuro non ti ha mandato "mio padre"!"
Roland annuì abbassando gli occhi.
"E credi che non te la farà pagare quando torneremo!?" la voce si era tinta di tristezza.
Roland tacque davanti all'evidenza della risposta.
"Non ho fretta di morire, ma se potessi scegliere.. andiamo via dopo, dopo Roland." E gli si strinse nuovamente contro appoggiando la guancia sul suo petto.
Roland era rimasto in silenzio, immobile, combattuto tra la paura che le condizioni di Arabin peggiorassero, la consapevolezza che le parole dell'altro erano la triste realtà e il desiderio che stava bruciando in lui come un incendio.
"Ti prego. Non sappiamo se domani usciremo nuovamente vivi dal campo di battaglia o dall'ira di re Hermin, se per noi ci sarà un domani che ci potrà trovare ancora così. Noi, solo noi come non speravo più neppure io."
Arabin non aggiunse altro anche se nella sua mente si formulò la certezza che preferiva morire di febbre facendo l'amore con Roland che per un colpo nemico o per mano del padre. Almeno quello poteva essergli concesso.
Cinse con le braccia la vita dell'altro, allungandosi sul suo corpo fino a sfiorargli nuovamente le labbra, facendogli capire tutto il desiderio e l'urgenza che mordeva la sua carne.
Roland, ricambiando il bacio, capitolò.
Arabin sorrise e spinse a terra Roland conquistandone un capezzolo. Sembrava una piccola goccia di ghiaccio nella sua bocca riarsa e incandescente. Roland gemette quando i denti di Arabin iniziarono a torturarlo con meticolosa lentezza.
Scese verso il ventre, succhiando e mordendo tutta la carne che era in grado di afferrare tra i denti, i muscoli scolpiti del corpo di Roland opponevano una soda resistenza ai suoi ripetuti assalti, resistenza che invogliava a continuare con maggior vigore quella eccitante battaglia su quel corpo ora offerto senza remore.
Scese ancora, cercando carne più morbida e terreno più fertile, ogni centimetro conquistato si trasformava in un gemito che gorgogliava nella gola di Roland. Scese fino ad incontrare la cintura delle braghe. Non poteva più fermarsi, tanto era il desiderio di baciare ogni centimetro del suo corpo, di assaggiarne ogni angolo, di conoscere ogni suo sapore e sentirlo gridare dal piacere e non dall'odio.
All'ennesimo gemito un sorriso si dipinse sul volto di Arabin: era veramente Roland il ragazzo disteso sotto di lui, schiacciato a terra dal suo desiderio, dalle sue carezze; era veramente lui che gemeva, che lo carezzava, che gli sfiorava i capelli? Sembrava più una fantasia delirante dovuta alla febbre che un pezzo di realtà, ma qualsiasi cosa fosse, era grato a chiunque per quel meraviglioso momento giunto quando ormai era certo non ci sarebbe stato altro che la tanto sospirata fine per lui.
Ormai ubriaco dalla febbre e dalla voglia di Roland, Arabin con mani tremanti, ma decise, liberò il corpo dell'altro ancora nascosto dai vestiti e rimase a guardarlo un istante.
Nudo, abbandonato sul ventre di madre terra, la pelle chiara che risaltava sul fondo scuro sotto di lui, il corpo morbidamente disteso e il sesso eretto; Roland sembrava più una divinità delle foreste che un guerriero assetato di vendetta.
Arabin scivolò sul corpo dell'altro ed iniziò a baciare la pelle morbida del ventre.
Ogni bacio faceva bruciare la carne di Roland che tratteneva il fiato, respirava a piccoli sorsi, incredulo dell'ardore con cui Arabin esplorava il suo corpo, attonito dal desiderio che gridava nel suo corpo, nel suo sesso.
Arabin si avvicinò deciso al membro di Roland, lo leccò delicatamente, beandosi dei mugolii, a stento soffocati, che uscivano dalla gola del suo amante; baciò quell'asta dura e liscia assaporandola per tutta la sua lunghezza e quando sentì quel corpo tendersi e andargli incontro disperato lo accolse nella sua bocca come fosse linfa fresca.
La febbre aveva reso la sua bocca una fornace incandescente che inghiottiva la carne di Roland come a cercare sollievo.
I capelli rossi mischiati indissolubilmente con i riccioli scuri, le labbra che sfioravano leggere la pelle tesa e morbida del sesso di Roland, la lingua che danzava instancabile, avvolgendolo, lambendolo, stregandolo.
Roland ansimava forte, incurante dei suoni del bosco che si erano fatti silenziosi, degli occhi degli alberi che li seguivano benevoli, concentrato solo sulle sensazioni che partivano dal suo ventre, trasformando le sue viscere in un lago incandescente.
Arabin, rapito dal gemere del suo guerriero, seguiva i movimenti dei fianchi di Roland, che si alzavano per andargli incontro, bisognosi della sua bocca, delle sue labbra.
Afferrò le sue anche e affondò intorno a lui, imprigionando, nella sua quasi interezza, il sesso pieno e teso nella sua bocca e iniziò a succhiare, delicato, lento, perso tra le sensazioni del piacere e il delirio della febbre.
L'urgenza di Roland si faceva strada nella bocca di Arabin, ma il ragazzo dai capelli rossi non riusciva a seguire le richieste silenziose della carne dell'altro. La febbre lo sfiancava e rallentava i suoi movimenti, trasformando ogni affondo in una lenta discesa verso il piacere, ed ogni risalita in un'insopportabile attesa. Succhiò, cercando di portarlo in sé, le labbra riarse che sfioravano frenetiche la pelle tesa in ogni affondo, la gola che si faceva sempre più ampia per avvolgerlo tutto. Il corpo di Roland era percorso da brividi, teso fino allo spasimo, mentre i suoi sensi si scioglievano in quella bocca incredibilmente morbida e bollente che lo stava trascinando verso un estasi mai provata. Roland si abbandonò completamente al ritmo lento e sfiancante con cui l'altro percorreva il suo sesso, e lasciò che Arabin lo conducesse dove il suo desiderio e le sue forze potevano portarlo.
Il fiato corto, il battito accelerato, il mondo che roteava intorno a lui e Roland sotto di lui, nella sua bocca, che gemeva, si contorceva, si scioglieva, si inarcava. Lo voleva sentire gridare, perdere il controllo, annaspare perso nel piacere. Aumentò il ritmo quando dalla bocca di Roland emersero suoni inarticolati, vibranti che si ripercuotevano nel suo sesso.
Affondò in una discesa bruciante lungo il membro percorso da brividi e si dissetò delle grida e dei fluidi che il corpo di Roland gli stava offrendo.
Fresco; così sembrava ad Arabin il piacere di Roland che inghiottiva voracemente, per placare la sua sete, l'arsura della sua gola e del suo animo.
Roland ricadde sulla schiena con un sospiro incredibile, una mano a depositare una lieve carezza sulla capigliatura rossa che copriva il suo bacino.
Arabin si sedette al suo fianco, il fiato corto, il mondo che roteava rapido intorno a lui, le immagini ballavano nei suoi occhi, Roland che lo guardava con una dolcezza che non credeva potesse mai più essergli concessa, il ruscello che sonnecchiava in basso, Fasar che osservava silenzioso, e il cuore che batteva forte.
Si sdraiò accanto al compagno. Come era fresca la sua pelle anche se era madida di sudore per lo sforzo. Roland lo baciò, assaporandosi, perdendosi in occhi verdi troppo liquidi, velati dalla febbre, ma incredibilmente felici come li aveva già visti, molti anni addietro.
Roland rimase abbracciato al corpo caldo di Arabin. Pensava a come dirgli tutte le cose che gli affollavano la mente, ma Arabin non gli lasciava la bocca libera neanche per mezzo secondo. Incapace di costruire un discorso coerente, Roland iniziò ad accarezzare il petto di Arabin, seguendo le costole, i muscoli, gli addominali, la linea della vita, la sottile scia di soffice peluria che lo condusse al sesso eretto. Lo imprigionò nella mano.
La carne di Arabin, dura, vellutata e infinitamente calda, fremette. Roland si specchiò negli occhi liquidi, verdi come il bosco in cui erano cullati, e vi lesse desiderio.
Si perse. Vedeva la brama di Arabin e sentiva urgente il desiderio di soddisfarla con tutto il suo corpo, ma allo stesso tempo il ricordo di quanto gli aveva fatto in quell'abbazia lo faceva diventare quasi matto, tormentato dal rimorso e dalla paura di dargli nuovo dolore e non il piacere che lui si meritava, piacere che Roland voleva donargli, non solo con il corpo, ma con tutta l'anima; e, anche se l'altro lo aveva accolto con una passione inaspettata, anzi gli era quasi saltato addosso per essere precisi, non riusciva a levarsi dall'anima il peso di quanto era accaduto in quella maledetta notte, frutto solo dell'odio e della sua assurda, sorda caparbietà.
Avrebbe dato un braccio per tornare indietro e cambiare il corso degli eventi, ma ciò che era stato non poteva più essere mutato. Poteva solo cercare di lenire il dolore con un piacere ancora più grande, ribaltando gli eventi, donando ciò che aveva preso con la forza.
Rimase un istante a contemplare il volto morbido di Arabin:
Per chi si apprestava a fare ciò che non avrebbe mai creduto nella sua natura?
-Per il ragazzo che si era offerto a lui con tanta e tale passione da renderlo pazzo di desiderio?
-Per placare il suo spirito tormentato dal rimorso?
-Per i sentimenti che non erano mai morti dentro di lui, nascondendosi nel profondo del suo cuore, ma pronti a riaffiorare e a travolgerlo come in quel momento stava accadendo?
Scosse il capo; non era tempo di domande, era solo il momento di seguire i suoi impulsi, di seguire finalmente le parole gridate dal suo cuore e non il dolore nato da anni di mezze verità e supposizioni errate.
Sorrise dolcemente a quegli occhi che lo guardavano fisso; occhi splendidi e colmi di: desiderio, di aspettativa, di amore.. perché adesso era certo che Arabin l'amasse e non da ora, ma da sempre; il loro sentimento era sbocciato al loro primo sguardo, durante quel primo incontro avvenuto tanti anni prima; sentimento che era passato: da un'immediata simpatia, ad una forte amicizia sino ad arrivare ad un innocente, ma sconvolgente sentimento, fatto di: desideri ancora acerbi per esser compresi, sensazioni nuove, strane, ma pressanti, un emozione piacevole nel rivedersi, un brivido caldo nello sfiorarsi, un desiderio di stare assieme in ogni momento della giornata, di condividere scoperte e desideri, lo sbocciare di un sentimento che andava oltre l'amicizia, ma che non aveva avuto poi il tempo di fiorire, soffocato da malintesi e rancori. L'Amore! Un amore che era resistito al tempo e al dolore, un amore che lui non meritava, ma per cui ringraziava la sua buona stella, un amore che da adesso in poi avrebbe protetto e alimentato con tutto se stesso.
Aveva preso la sua decisione, una decisione che voleva dire RESA, incondizionata, assoluta, desiderata; perché lo desiderava, incredibilmente, inaspettatamente, lo desiderava sopra ogni altra cosa in quel momento.
Fece stendere Arabin sulla schiena accompagnandolo dolcemente, carezzandone la pelle calda ed invitante e sentendo il desiderio montargli nuovamente dentro come un fiume in piena, davanti allo spettacolo offerto ai suoi occhi da quel corpo abbandonato alle sue mani.
Sfiorò quasi esitante: la vita, il petto, le spalle, le braccia in un'unica e lenta carezza, beandosi di quel contatto così semplice, ma allo stesso tempo inebriante; avvertendo, fissi su di se, due smeraldi ardenti che seguivano ogni sua mossa.
Si abbasso, baciando quella pelle appena sfiorata, leccando, succhiando, tormentando, fino a sentire il corpo di Arabin teso come una corda di violino.
"Roland. Roland, ti prego, ora. prendimi ora. non resisto,.. non ce la faccio più. Ti supplico!"
Le mani di Arabin gli artigliarono i glutei invitandolo, ma non era questo ciò che aspettava l'amato.
Roland lo fissò in quelle pozze, ormai quasi nere, che erano gli occhi di Arabin e, sorridendogli dolcemente, si mise a cavalcioni su di lui, iniziando a scendere finché non raggiunse, sfiorandola, la punta tesa del suo sesso.
Quando il ragazzo sdraiato comprese cosa voleva fare l'altro cercò di fermarlo. Roland lesse lo stupore negli occhi verdi, ma non si fermò. Scese lentamente, avvolgendolo in se, sentendo la pelle che si lacerava, il sesso incandescente che si conficcava in lui, il corpo che si tendeva allo spasimo.
Arabin vide il dolore irrompere sul volto arrossato di Roland e sentì il cuore perdere un colpo. Annaspò nel tentativo di divincolarsi da sotto, ma le sue forze erano decisamente misere in confronto alla volontà dell'altro.
Sentì la mano di Roland che gli sfiorava il petto in una carezza calmante, come a dire che andava tutto bene.
Poi il piacere esplose in Arabin e si abbandonò alla sensazione che gli dava, l'essere dentro Roland. La carne di Roland pulsava attorno al suo sesso, mentre il ragazzo dai capelli scuri respirava profondamente per riprendere un minimo di controllo di sè.
Roland iniziò a muoversi lentamente, mentre il dolore si mischiava al piacere, la carne veniva scavata dal desiderio bruciante di Arabin e Roland vedeva il piacere salire in quegli occhi verdi, liquidi, bellissimi, suoi.
Arabin muoveva impercettibilmente i fianchi, lasciando che Roland giocasse con il suo sesso, scorrendo attorno a lui, avvolgendolo, obbligandolo a sprofondare in lui fino a perdersi in un susseguirsi di brividi e spasmi.
Arabin gemeva piano mentre Roland si agitava sinuoso sul suo sesso rigido.
Le dita di Arabin gli carezzarono le mani, intrecciandosi poi alle sue quasi cercando un appiglio a cui aggrapparsi prima di precipitare nel baratro del piacere; ansimava, cercando aria, si muoveva in maniera frenetica, accompagnando ogni suo movimento, le guance in fiamme, gli occhi stretti, le labbra rinchiuse tra i denti.
"Roland.... o mio Dio.... non resisto più."
Roland cambiò ritmo, incalzato dai gemiti sempre più frequenti del compagno finché il ragazzo disteso sotto di lui lo afferrò saldo ai fianchi e si incurvò in un grido viscerale svuotandosi in lui, pochi attimi dopo anche Roland raggiunse l'orgasmo, gridando a sua volta il nome del compagno.
Roland si stese sul corpo infiammato di Arabin e rimase ad ascoltare il battito accelerato del cuore dell'altro; si sentiva: sudato, ansimante, privo di energia, spossato come non lo era mai stato, ma anche felice come non credeva possibile essere.

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Non potevano più restare sdraiati a terra, stretti l'uno all'altro, la febbre stava salendo e Arabin scottava come un tizzone arroventato. Roland si agitava, voleva tirarsi su, tirarlo su, arrivare al maniero, farlo curare... non poteva rischiare di perderlo proprio adesso, dopo quella
incredibile mattina...
"Ti prego, restiamo ancora un istante. È così bello qui, con te..." Arabin parlava, inciampando nelle parole.
Roland a quel punto iniziò a preoccuparsi seriamente.
Si alzò mentre Arabin continuava a chiedergli di restargli accanto, si infilò i calzoni e uscì dal riparo improvvisato, tornandovi qualche attimo dopo con un pezzo di stoffa bagnata che passò delicatamente sulla ferita del ragazzo, adesso rossa e infiammata. Non avevano tempo da perdere, lo mise seduto tra le proteste, convincendolo poi a rivestirsi. Arabin si lamentò un istante ma fu zittito da un bacio che gli tolse il fiato.
"Se ne vuoi degli altri, alzati e vestiti. Torniamo al maniero. Non ti toccherò più finché non ti sarà scesa la febbre e starai meglio. E adesso in piedi, soldato!"
Arabin eseguì gli ordini meccanicamente, capiva l'apprensione del compagno e decise di assecondarlo, ma non fu semplice, il mondo gli si era messo a vorticare attorno, le gambe lo reggevano a stento, fu un impresa rivestirsi, le mani tremavano, la testa girava, la vista gli si appannava e i piedi incespicavano ad ogni passo; risalire poi la scarpata fu un vero tormento, ma non poteva salire su Fasar che arrancava dietro di loro. Roland era davanti e gli faceva strada. Saliva, gli occhi fissi sul fondo schiena del compagno, i pensieri che a tratti gli balzavano in mente.. Aveva davvero fatto l'amore con Roland o era stato solo un miraggio della febbre? E che diavolo ci facevano loro due li con Fasar? Perché gli tremavano le gambe? Ma come mai si ricordava della pelle di Roland? Gli aveva detto delle cose importanti, ma cosa? Gli faceva male una spalla. Questo non lo scordava. La ferita pulsava ad ogni passo. Aveva sete. La bocca secca ma permeata da un sapore che non ricordava di aver mai sentito.
La salita gli sembrava infinita. Poteva fermarsi lì, in fin dei conti non stava male, il mondo era così strano, leggero; se non fosse stato per la ferita... e poi aveva addosso quella strana sensazione di aver vissuto qualcosa d'importante, aver visto degli occhi amati che sorridevano. Si, in fin dei conti li ci stava proprio bene. Niente insulti o ingiurie, niente re Hermin e poi c'era Roland che ogni tanto si voltava a guardarlo, a spronarlo e in quello sguardo, in quella voce, non sentiva più traccia di rancore o odio.
Se non fosse stato per le frasi che Roland continuava a rivolgergli si sarebbe fermato di sicuro, ma se lo avesse fatto non avrebbe più compreso cosa gli diceva l'altro.... Ma cosa gli stava dicendo? Lo capiva ma non lo teneva a mente il tempo sufficiente a comprenderlo.
Raggiunsero il ciglio.
Davanti a loro si stendeva un bosco di conifere assai rado. La luce filtrava tra i rami, colorando l'aria di fresco e di smeraldo.
Roland montò a cavallo e poi vi issò il compagno. Lo appoggiò contro il suo petto e gli circondò la vita con un braccio, stringendolo a se, con il timore che l'altro potesse addormentarsi o perdere i sensi scivolando a terra, ma anche perché gioiva nel sentirlo stretto al suo corpo.
Le briglie tenute mollemente in una mano per lasciare al destriero l'onere di ritrovare la strada di casa, Roland si lasciò andare al lento oscillare del cavallo. Sentì Arabin rilassarsi, la schiena completamente poggiata contro il suo torace, il respiro divenire più profondo e lento, le braccia scivolare lungo i fianchi, la nuca che affondava nella sua spalla.
Teneva tra le braccia colui che era stato uno dei due motivi per cui aveva continuato a vivere, a cui aveva rivolto ogni briciolo del suo tempo, a cui aveva dedicato ogni minuto dei suoi anni di vagabondaggio e di allenamenti, ma mai avrebbe pensato che in una sola notte gli anni dedicati alla sua vendetta contro Arabin non avrebbero avuto più senso, spazzati via dal calore che stringeva tra le braccia. Il suo animo era in subbuglio per la felicità di aver ritrovato il ragazzo con cui anni addietro aveva condiviso i giorni più felici della sua esistenza, per la certezza che Arabin non era un mostro, un assassino, o peggio ancora un traditore; allora il sacrificio di sua madre non era stato vano, lei aveva visto bene in quell'animo, cosa che lui non era stato in grado di scorgere in quei mesi passati accanto al compagno d'armi, neanche dopo quella sera, dopo aver visto le lacrime dell'altro, dopo averlo sentito chiedere perdono per una colpa non sua.
Lo aveva decretato colpevole. Si era fidato di quanto gli avevano raccontato persone che avevano sentito dire, o solo visto una parte di una verità diversa da ciò che appariva, e questo gli era bastato per nutrirsi di odio, dimentico degli insegnamenti ricevuti da piccolo, degli avvertimenti dategli del padre che gli aveva da sempre raccomandato di cercare la verità e non basare il suo giudizio sulle sole apparenze, di sentire tutte le voci, anche quelle ritenute meno importanti, di non farsi mai guidare dalle parole degli altri, ma di cercare la verità, solo quella contava; si doveva essere sicuri prima di condannare chiunque e non si doveva mai avere la presunzione di credere i propri giudizi inconfutabili; "Roland, anche se sarai tu il signore e padrone di questo palazzo, di queste terre, di questa gente, non ti considerare mai il primo degli uomini, solo uno dei tanti e come tale dai a tutti una possibilità".
E lui aveva riversato anni di odio su un ragazzo che in realtà era stato colpevole solo di essersi fidato del padre. Cosa avrebbe fatto lui se anni addietro fosse stato al posto di Arabin?
Avrebbe messo in discussione le parole del suo genitore?
Si sarebbe opposto?
Sarebbe stato in grado di supporre l'indifferenza ed il doppio gioco del proprio padre?
Sarebbe stato in grado di mettere in pericolo la propria vita per proteggere quella di un amico?
A che punto sarebbe arrivato?
E perchè anni addietro Arabin aveva rischiato di essere ucciso per salvarlo? Forse per lo stesso motivo per cui Arabin non aveva mai provato a fargliela pagare per quanto era successo in quell'abbazia. Forse per lo stesso motivo che da quella notte gli rodeva l'animo e aveva instillato in lui il dubbio..
Forse per lo stesso motivo per cui lui era andato a cercarlo, dimentico di portare a termine i suoi propositi di vendetta.
Ma se non fosse stato così, se il sentimento che aveva creduto di vedere in quegli occhi durante quei magici momenti, di cui per un attimo aveva avuto la certezza, non fosse stato amore, ma solo il riflesso della passione e del desiderio ottenebrati dalla febbre?
Guardò il profilo dell'uomo abbandonato nelle sue braccia. Occhi chiusi, labbra appena aperte che portavano tracce della febbre e dell'arsura, il volto arrossato, e il caldo innaturale che emanava dal suo corpo. Lo strinse maggiormente, respirando il suo odore; per un uomo così non avrebbe esitato ad uccidere o a farsi uccidere.
Sconvolto fin nelle viscere da quella certezza improvvisa spronò Fasar.
Dovevano arrivare il prima possibile al maniero. Non avrebbe permesso alla
Nera Signora di portarlo via ora che lo aveva ritrovato.





 


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