Secret Ginger

Autoslash su Jump Shot 2 © Annamaria Baglioni
Composto in un brutto momento, il 4 Luglio 1999.
Una perdita di tempo (e molto emanante, per giunta!)
Capita ogni tanto... Dedicata ad Alessia.


Claudio è occupato al videogame.

I jeans stinti gli fasciano deliziosamente le gambe, quel sederotto ben tornito seminascosto dalla felpa allacciata in vita: il suo solito tocco di amabile trasandatezza. La camicia fantasia è tesa tra le spalle piuttosto ampie rispetto alla vita, la sua schiena da giovane atleta. E' chino sullo schermo troppo basso per un ragazzo alto come lui, una mano stretta al joystick e l'altra su un bottone luminoso, gli occhi fissi davanti a sé, lievemente spalancati, la lingua che fa capolino tra le labbra.

Una pausa del gioco, e si toglie i capelli dalla faccia con un sensuale scatto della testa all'indietro.

Fa impazzire dalla voglia di toccarlo.

Mi avvicino, alle sue spalle. Non voglio distoglierlo dal suo gioco, è così bello che non voglio perdermi quest'immagine di lui. Noto le occhiate degli altri avventori, so che non posso passare inosservato. Poi, una dopo l'altra, le teste tornano nelle loro posizioni di prima, a fissare le luci colorate dei videogames e dei flipper, in mezzo a quel frastuono indicibile.

Claudio non si avvede di me, quando si concentra su qualcosa non è facile distrarlo, è questo che lo renderà un campione. Spio da dietro le sue spalle il gioco che lo sta prendendo tanto…

Basket NBA.

Sorrido, tra me.

Basket, basket, basket. Claudio vive per il basket, esiste solo per quello, non riesce a staccarsene nemmeno nei momenti di relax. Tutto il suo universo è chiuso in questo sport, speranze, gioie, dolori, amicizie, persino l'amore.

"Slaaam dunk!" tuona una voce rauca dal video.

Il rumore esagerato di una retina perforata, l'urlo sintetizzato di una folla entusiasta.

Le spalle di Claudio sono contratte. "Dài!" lo sento mormorare, febbrilmente, il braccio che tiene il joystick che scatta avanti, indietro, di lato. "E dài! Cavolo, muoviti…"

Un istante, un lampo di ricordo. Caldo, rovente.

Lui che mi implora allo stesso modo, nudo, i suoi muscoli flessuosi che tremano, la sua pelle luccicante di sudore, i suoi occhi semichiusi, rabbiosi, beati.

Muoviti.

Ed io che soffoco il mio impeto, lo guardo con un sorriso teso, sornione, mi lascio pregare.

Muoviti!

Allora gli do quel che vuole.

E gli faccio male. Dolcemente, giusto per sentirlo trasalire, assaporare la sua passione per me, andare al fondo del suo desiderio. Il suo dolore tinto di piacere mi dà un'estasi di possesso ben al di là del comune piacere fisico. Gioco con le sue sensazioni, assorbendole insieme alle mie, ascolto il suo respiro, i suoi lamenti che diventano via via sempre più eccitati, finché so che fermandomi l'uccido…

E finalmente lo sento godere di me, a fondo e senza più freni, il suo corpo che dopo tanto lottare non vorrebbe più staccarsi dal mio, la sua resa deliziosa che è anche la sua vittoria, e che mi spinge oltre l'orgasmo, oltre qualsiasi barriera abbia mai conosciuto.

Dopo, nel silenzio, la sua testa pesante sulla mia spalla, i suoi capelli che mi sfiorano la faccia. Il suo petto caldo, ansante contro il mio.

"Mi fai morire…"

Mi fermo alle sue spalle, vicinissimo.

Anche tu mi fai morire.

Ogni volta che vedo quel sorriso sulle tue labbra, i capelli che ti si impigliano sul volto, ogni volta che vedo il tuo imbarazzato gesto di saluto, ogni volta che la porta si richiude alle tue spalle e ti sento scendere le scale, ed io rimango solo…

Mi manca il fiato in questa sala troppo affollata.

Oh, Claudio!

Vorrei afferrarlo di colpo da dietro, infilargli una mano sotto la camicia, l'altra nei pantaloni, mordergli il collo, baciarlo sulla bocca, fargli sentire nelle reni cosa mi succede ogni volta che lo vedo, ogni volta che penso a lui…

E invece lascio che il mio corpo lo sfiori appena, un contatto apparentemente casuale.

Lui mi sente.

Gira di scatto la testa e mi guarda, con i suoi occhi così trasparenti.

"Fausto!"

"Ciao," lo saluto, sorridendo. "Come va?"

"Bene…"

Ma la sua voce è incerta. I suoi occhi affondano nei miei.

Non mi sottraggo a quello sguardo furtivo e indagatore, resisto a stento all'impulso di alzare una mano, togliergli dalla fronte una ciocca ribelle di capelli, chinarmi a baciarlo.

Claudio è troppo parte di me per non accorgersi della mia tensione. Arrossisce, cerca di non dare a vedere la sua emozione. Si guarda intorno, poi torna a fissarmi.

"Come sapevi che ero qui?"

"So sempre dove sei."

So tutto quel che fai, chi incontri, chi frequenti, i tuoi pensieri, sei la mia ossessione, Claudio, e non lo sai, non l'hai ancora capito, non hai capito che non posso fare a meno di te…

Lui spalanca appena gli occhi, come se intuisse quel pensiero.

Ma prima che possa davvero rendersi conto di cosa significhi, la mia mano va al joystick.

Si stringe sulla sua.

"Guarda che il tempo che ti rimane sta per scadere."

"Ah!" esclama, imbarazzato.

Torna a voltarsi verso lo schermo, quasi con riluttanza.

"Mi resta ancora un minuto e quaranta secondi." Dito sul pulsante. "Ora ti faccio vedere…"

Il gioco l'ha catturato di nuovo, ha catturato la sua anima da bambino.

"Hai visto?" dice, entusiasta del suo ultimo canestro virtuale. "Vinco io contro il computer, guarda, dovrebbero essere i Celtics, te lo immagini giocarci davvero con loro?…"

Quel momento magico è passato.

Una parte di me ne soffre. L'altra è piena di sollievo.

"Come funziona questo videogioco?" chiedo, corrugando le sopracciglia.

"Dopo te lo spiego," fa, con aria impegnata. "Ora devo vincere."

Luci, colori, rumore, gente.

Noi due, amici qualsiasi, compagni di sport, giganti del basket. Gli occhi di entrambi su uno schermo dove si gioca una partita inesistente.

Ma i nostri corpi si sfiorano, le nostre teste sono vicine, le nostre mani si toccano.

E con dolcissimo terrore mi rendo conto che questo basta a rendermi felice.

Troppo.

***


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