Note&Disclaimer: quanto vi accingete a leggere è il mio primo tentativo di una storia un po' più lunga. Spero di esserci riuscita. 


Paura

di Alessia

parte IV

 

“Buon compleanno”

Damien gli porse un pacchetto incartato con carta argentata e un nastro viola.

“Grazie Damien” gli sorrise con calore.

Non era brutto avere una relazione duratura, la loro andava avanti da poco più di un anno e da alcuni mesi avevano deciso di vivere insieme.

Uscivano spesso, visitando mostre, musei o anche piccole gite di un fine settimana.
C’era un solo, insignificante problema in tutto quell’idillio: Damien sembrava non amarlo affatto.

Scartò rapidamente il regalo, e aprendo la scatola trovò all’interno due anelli, fissati su un fondo di seta nera.

Erano d’oro bianco, a sinistra era come diviso in due fasce che si univano al centro e continuavano in un’unica fascia.

“Ecco… l’anello dovrebbe avere un significato…” spiegò Damien “Due vite separate che s’incontrano e continuano insieme” non notando alcuna reazione in Aiden, che di solito era molto esuberante, continuò “Non ti piacciono, vero? Lo sapevo che era un’idea stupida. Domani andiamo dove li ho fatti fare e scegli qualcos’altro, ok?”

Aiden li sfiorò con la punta delle dita “Li hai fatti fare? Sono una tua idea?” sussurrò, voltandosi e guardandolo negli occhi.

L’altro annuì.

Aiden sorrise e ne prese uno infilandolo al dito di Damien e porgendogli l’altro.

Con mani tremanti Damien glielo mise.

“Ti amo, Damien”

Questi annuì. Aprì la bocca per dire Anch’io ti amo, ma non ne uscì alcun suono.

Lo amava, più di qualsiasi altra persona al mondo, ma non riusciva a dirglielo. La sua dannatissima paura lo bloccava.

Chiudendo la bocca annuì e lo baciò piano, dolcemente.

Era in momenti come quelli che si odiava di certi suoi pensieri.

Damien non lo amava? Sicuro! Come il fatto che la Terra fosse piatta.

L’altro gli dimostrava il suo amore ogni singolo giorno: una colazione a letto, una telefonata quando erano lontani, un bacio, anche un semplice sorriso.

 

Gli stava baciando il collo, mentre con le mani cominciava a sbottonargli la camicia.

All’improvviso le afferrò i polsi “No!”

Sarah si liberò della presa, chiudendosi l’accappatoio e sedendosi sulla poltrona davanti ad Aiden.

“Si può sapere cosa diamine ti prende? Siamo sempre stati amanti eppure da quando hai conosciuto Damien non mi vuoi più. Si può sapere perché? Se non sbaglio eri tu a dire che la fedeltà dev’essere del cuore e non del corpo”

Era lui.

Certo che era stato lui a dirlo. E a crederci.

Aveva sempre vissuto in quel modo, cercando di divertirsi e non far soffrire gli altri.

Ma ora non più.

Con Damien aveva capito che quando si ama si desidera che sia solo l’altro a toccarti, e non perché sia giusto così, me perché qualsiasi altro tocco sporcherebbe il donarsi reciproco.

Annuì “Ci credevo. Ora non più” si rigirava l’anello al dito, traendone forza e conforto.

“Ok, d’accordo. Sono io che ho sbagliato, scusami” Sarah gli sorrise “Però voglio conoscerlo. Voglio conoscere la persona che è riuscita a trasformarti”

“Una persona molto speciale” mormorò.

 

“Ciao Joel. E’ da parecchio che non ti fai più vedere”

“Già” Damien si sedette su uno sgabello del bancone completamente vuoto “Posta?”

Mark annuì, per poi scomparire nel retro.

Nonostante tutto non aveva ancora fatto sapere che non lavorava più.

Avrebbe dovuto, ma non poteva.

Il lavoro sarebbe stato tutto ciò che gli rimaneva quando Aiden l’avesse lasciato.

E sarebbe accaduto. Forse non subito, ma alla fine lo avrebbe lasciato. 

Lo lasciavano tutti.

“Ehi! Tutto bene?” Damien si riscosse dai suoi pensieri “Sembravi essere su Marte. Tieni” gli posò avanti una lunga busta bianca sigillata.

“Grazie. Ci vediamo”

Vagò per un paio d’ore, ignorando dove andasse.

Quando alzò lo sguardo per capire dove fosse, si rese conto di trovarsi ad una delle entrate di St. James’ Park.

Sorridendo entrò e si avviò verso il lago coi cigni.

Era qui che Aiden l’aveva visto la prima volta.

Voleva scattargli delle fotografie. In quel periodo gli aveva concesso di fargliene qualcuna, ma non troppe. Non gli piaceva essere fotografato e c’era sempre la reale possibilità che qualcuno lo riconoscesse.

Come al solito: meglio paranoico che due metri sotto terra.

Anche se… onestamente chi avrebbe pianto la sua morte?

Forse Aiden, per un mese o giù di lì; forse Gale, ma poi, dopo una settimana, da brava donna d’affari si sarebbe rimboccata le maniche e rimessa al lavoro rilevando il Blue River.

Perché viveva?

Quando era piccolo adorava la vita, poi tutti lo avevano lasciato solo e lui aveva smesso di vivere, iniziando a sopravvivere.

Crescendo era diventato un criminale, e a ventun anni aveva avuto l’occasione della sua vita.

Sorrise sarcastico.

Occasione della vita diventare un assassino… beh… volendo…

E ora cosa aveva?

Aiden? Non lo possedeva di certo, e l’amore – se di amore si trattava – ha sempre una fine, non è mai eterno come si vuol credere.

L’unica cosa eterna sui cui poteva contare era la sua abilità nel togliere la vita alla gente.

Si rigirò la busta fra le mani.

Accettare o meno?

Un suono acuto lo risvegliò dai suoi pensieri.

Il telefonino!

“Pronto?”

“Damien, accidenti, dove sei? Ti stiamo aspettando al ristorante, muoviti!”

“Scusa, hai ragione. Fra mezz’ora sarò lì” chiuse la comunicazione e tornò a fissare lo sguardo sulla busta. 

Alzandosi la gettò nel cestino dei rifiuti.

Carpe diem dicevano i latini. Avrebbe fatto così, sino a quando ne avesse avuto la forza e il coraggio.

 

Ultimamente Damien era sempre più assente, distante.

E questo lo faceva stare male.

Perché era sempre così malinconico?

A volte lo sorprendeva a fissarlo con disperazione, altre con puro odio.

Aveva paura di sentimenti così estremi, ma quando cercava di parlarne, di chiedere spiegazioni, Damien sorrideva, lo baciava e – la maggior parte delle volte – lo portava a letto.

Questa era stata una di quelle volte.

Oggi il suo sguardo era malinconico e avevano fatto l’amore lentamente, assaporando ogni istante.

Ma quando il suo sguardo era carico d’odio… allora era violento, non eccessivamente, ma sembrava volerlo punire per qualcosa. Poi, però lo abbracciava, baciandolo dolcemente e chiedendogli di perdonarlo.

E lui naturalmente lo faceva.

Si può non perdonare qualcosa alla persona che ami?

“Cos’hai Damien?” sussurrò nel buio della loro stanza “Ti prego, parlami. Io ti amo”

Sospirando si abbandonò a Morfeo, in un sonno profondo privo di sogni.

 

“Ma perché non lo costringi? Se questa situazione ti fa stare così male tu hai il diritto di costringerlo a spiegarti”

Aiden scosse la testa, lo sguardo basso “Tu non capisci Sarah… e se fosse tutto nella mia mente? Se fosse tutto frutto della mia fantasia?”

La ragazza gli sedeva accanto, cercando di consolarlo “Forse non capirò, ma so che una situazione del genere logora. Che giorno dopo giorno si sta’ sempre più male, sino a quando non si esplode. E questo è molto peggio di qualsiasi parto di fantasia” gli prese una mano stringendogliela “Parlane con Damien. Se è davvero frutto della tua immaginazione vi farete quattro risate, ma se non lo è, allora dovrete chiarirvi. Se volete che la vostra storia continui”

 

Non ci riusciva più.

Non aveva più coraggio per cogliere l’attimo.

Erano quasi due anni che stavano insieme e ancora non lo aveva lasciato.

E lui si stava innamorando sempre di più.

Pensava sempre a lui, a dove fosse, cosa facesse, se lo pensava a sua volta. Più di così non avrebbe saputo amarlo.

Era giunto il momento che temeva di più. Il momento in cui era lui ad allontanarsi per non soffrire.

Perché l’amore provoca ferite che non si rimarginano.

Lo sapeva.

Sapeva che Aiden era triste per il suo comportamento.

A volte gelido e scostante quando cercava di prepararsi all’inevitabile distacco, poi vicino e pieno di attenzioni quando non riusciva più a stargli lontano.

Questo comportamento stava facendo impazzire anche lui.

Per un po’ aveva pensato che con Aiden sarebbe stato diverso, che con lui sarebbe riuscito ad andare oltre, a superare tutte le sue paure.

Ma aveva sopravvalutato se stesso.

Lui non sarebbe mai riuscito a superarla.

 

“Ti prego… Damien, per favore… no… ti prego…” continuava a baciarlo, a carezzarlo incurante dei suoi rifiuti e delle sue suppliche.

Aveva provato ad intavolare il discorso, ma Damien lo aveva colto di sorpresa e sdraiato sul divano.

Si permise di abbandonarsi alle mille sensazioni che ogni volta Damien gli faceva provare.

Nonono! Questa volta avrebbero parlato!

“Damien…” si agitò sotto di lui, cercando di farlo smettere “Damien no!”

L’altro si bloccò, sorpreso dal tono violento di Aiden e lo guardò stupito “Perdonami… non volevo fare qualcosa che non volessi anche tu” si scusò, rimettendosi seduto e cercando di calmare i bollenti spiriti.

Nonché la voglia matta di scappare per non dover parlare.

Era questo che l’altro voleva, ma lui non era pronto.

Probabilmente non lo sarebbe mai stato.

Osservò i movimenti di Aiden mentre si sedeva e aggiustava i vestiti che per poco lui non aveva strappato.

Doveva fare qualcosa. Saltò in piedi cominciando a proporre, con uno strano, quanto falso, entusiasmo mille programmi “Potremmo andare al cinema, o a teatro, oppure al Planetario, che ne dici? Sarebbe bello, no? O la passeggiata notturna delle prigioni, so che è roba da turisti, ma ho sempre desiderato farla…”

“Damien…” un soffio appena percettibile, ma lui si zittì all’istante. Lo guardava col suo sguardo dolce e implorante al quale non sapeva rifiutare mai nulla “Vorrei solo parlare… ti prego…”

Ma questa volta avrebbe resistito!

Questa volta… “D’accordo…” si sedette su una poltrona.

Rimasero in silenzio per molto tempo.

Aiden si torceva le dita, nervoso. Se avesse continuato così si sarebbe rotto un dito.

“Non è solo una mia fantasia, vero?” sussurrò “Ti stai allontanando da me. Volontariamente. Perché?”

Tra mille domande, aveva scelto la più difficile.

Perché?

Non faceva che ripetersi in testa quell’unica parola.

Perché…

Perché…

Perché…

Perché…

Il tempo scorreva, il silenzio sempre più pesante ed opprimente.

“Sono affari miei” duro, brusco.

Giusto quello che ci voleva per farsi odiare.

L’odio è un sentimento molto più semplice da gestire.

Aiden continuava a fissarlo “Noi stiamo insieme?” Damien staccò lo sguardo dal pavimento per un attimo, annegando sei suoi occhi blu.

Annuì riportando lo sguardo a terra.

“Allora sono anche affari miei”

Confidarsi, parlare con qualcuno…

No, non era qualcuno, era Aiden.

Poteva farlo?

Poteva riuscirci?

“Io…” un mormorio indistinto, coperto da una sirena sul fiume. Fece un profondo respiro, riprovando “Io… ho… ho paura…” ecco, lo aveva detto!

“Di cosa?”

Ma non gli bastava che avesse confessato di avere paura? Cos’altro voleva?

“Di soffrire” rispose “Di soffrire per amore” specificò. Riportò di nuovo lo sguardo su Aiden, che continuava a fissarlo, ora perplesso.

“Non riesco a capire, mi spiace…”

Fece un altro profondo respiro.

D’accordo, avrebbe parlato. Forse così Aiden avrebbe capito e se ne sarebbe andato.

“Sai cos’è un fobico?” Aiden annuì “Io lo sono. Provo l’irrazionale paura di soffrire, aprirmi troppo, di confidarmi con qualcuno. In una parola: di amare. Gli unici essere viventi verso cui non provo questo sono gli animali. Loro non ti feriscono, non ti fanno soffrire” si fermò per prendere fiato “E quando cerco di superare tutto questo… per un po’ sembra andare tutto bene, poi scatta qualcosa, come un meccanismo a tempo dentro di me, e comincio ad allontanarmi da quelli cui… cui voglio bene” si alzò per aggiungere un pezzo di legno al fuoco nel camino e ravvivarlo. Rimase in piedi, dandogli le spalle “Mi odio quando mi comporto così. Vorrei cambiare, ma non ci riesco. Non riesco a… a…”

“…fidarti degli altri” concluse Aiden, la voce calma, pacata. 

Damien si voltò e vide che anche l’altro si era alzato, annuì piano “Si… suppongo tu abbia ragione. Non riesco a fidarmi degli altri. Non abbastanza da aprire il mio cuore”

Aiden chiuse gli occhi, ogni parola una pugnalata al cuore “Questi due anni cosa sono stati? Un gioco? Un divertimento?”

Damien lo guardò, sconvolto che un tale pensiero potesse averlo toccato “No, Aiden, no…”

“O un esperimento?” riaprì gli occhi in tempo per vedere un lampo negli occhi di Damien. Colpa? “L’ennesimo tentativo per vedere se riuscivi a fidarti, ad amare qualcuno in modo totale?”

“No, Aiden, non è così. Tu…” piantò gli occhi nei suoi. Occhi lucidi, tristi, pieni di rabbia

“Io cosa? Non sono stato neanche un esperimento? Solo un grazioso giocattolino con cui trastullarsi?”

“Tu… sei la persona di cui mi sia più fidato in tutta la mia vita”

Il suo cuore esultò a quella confessione, ma la sua mente sapeva che: “Non abbastanza, però!” Dio! Era così tanta la voglia di piangere, urlare, disperarsi, rompere qualsiasi cosa gli capitasse sotto tiro. Ma si limitò a ricacciare indietro le lacrime e a stringere i pugni.

Non voleva perdere Aiden. Non lo voleva per nessunissima ragione al mondo.

Aiden era il suo mondo.

Tutta la sua vita degli ultimi due anni ruotava intorno a lui.

Che lui stesso l’avesse voluto o meno era così.

“Aiden…” allungò una mano per sfiorarlo, ma l’altro allontanò il viso, poi lo fissò con rabbia, le lacrime che rotolavano, rincorrendosi lungo le guance.

“Due anni!” urlò con disperazione, avventandoglisi contro e tempestandogli il petto di pugni “Non hai fatto altro che mentirmi” continuava ad urlare, Damien incapace di fermarlo, sapeva di meritarselo “Tu lo sapevi. Sapevi cosa sarebbe successo. Sapevi come ti saresti comportato, ma non hai esitato a farmi innamorare di te” continuava a picchiarlo, ma con meno forza “Tu non vuoi soffrire, ma non esiti a far soffrire gli altri. Perché?” le ultime parole erano state sussurrate “Perché? Perché? Perché?” un mormorio indistinto. Cadde a terra, in ginocchio, portando con se Damien.

Lo stringeva a se, quasi non volesse farlo allontanare, continuando a piangere disperato, chiedendo spiegazioni che non sarebbe mai stato in grado di dare.

L’unica cosa che potesse dargli, in quel momento, era conforto.

Lo abbracciò piano, passandogli le dita fra i capelli, cercando di farlo calmare.

Quando smise di piangere, si allontanò un poco, rimanendo nel suo abbraccio.

“Dimmelo. Damien dimmi che mi ami e allora potremo superare tutto. La tua paura… la tua sfiducia… tutto! Supereremo tutto insieme. Ma tu devi dirmelo” lo guardava negli occhi, implorante.

Implorandolo di non farli soffrire ancora di più… implorandolo di fidarsi, di amarlo.

Ti amo.

Era questo che voleva sentire, era questo che voleva dire; ma non ci riusciva.

Schiudeva le labbra per dirlo, e poi le richiudeva.

Pronunciare quelle parole era come firmare la propria condanna a morte.

“Lo so che mi ami. Me lo hai sempre dimostrato” stringeva il suo maglione, scuotendolo inconsapevolmente “Tutti i giorni, un gesto, i nostri anelli, un sorriso… me lo hai sempre dimostrato, ma ora… ora è necessario che tu lo dica…”

E’ vero. Ogni gesto che aveva fatto rappresentava il suo amore per Aiden.

Ma i gesti erano semplici da travisare, il giorno in cui l’avesse lasciato e – forse – riso del suo amore avrebbe sempre potuto dire che si sbagliava, che aveva visto amore dove c’era solo interesse sessuale.

Ma le parole… le parole non mentono, un ti amo non può essere travisato.

Avrebbe voluto avere la garanzia che non si sarebbero mai lasciati.

Mai.

In tutta la loro vita.

Ma sapeva che non era possibile.

“Io ti amo” occhi disperati, imploranti, colmi di lacrime a stento trattenute.

Era la sua ultima possibilità.

Aiden lo stava aiutando, sarebbe bastato dire anch’io e l’altro sarebbe rimasto con lui.

Ma per quanto tempo?

Quanto tempo sarebbe stato dato loro?

Una settimana? Un mese? Un anno?

Troppo poco. Lui voleva l’eternità.

La promessa che Aiden non sarebbe mai morto, abbandonandolo.

E’ finita.

Aiden abbassò la testa, sconfitto, e lasciò la presa sul maglione.

Non c’era riuscito. Non era riuscito a farlo fidare di sé.

Muovendosi piano si alzò in piedi, prendendo il suo cappotto.

Lo indossò.

Ogni movimento un dolore indicibile.

Ogni gesto un pezzo del suo cuore che si polverizzava.

Se ne stava andando.

Per sempre.

No! Non poteva lasciarlo andare.

Sarebbe morto se… “Aiden…” un mormorio.

Il ragazzo, la porta già aperta, si fermò, voltandosi e guardandolo per l’ultima volta.

“Io… io… mi fido… di te…” sussurrò quelle parole, il cui vero significato era un altro. 

Ti amo.
Aiden annuì, un sorriso triste sul volto angelico “Non abbastanza…” rispose.

La porta si chiuse alle sue spalle.

Damien rimase lì, in ginocchio a fissare la porta.

Si sedette sul tappeto, portandosi le ginocchia al petto e fece una cosa che non faceva da quando era bambino.

Pianse.





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