Oh My God!

parte V

di Naika


Questa casa sta diventando sempre più affollata, pensò Allan con un sorriso sul volto abbronzato mentre riponeva le tazze della colazione nella lavastoviglie.

Sefire e Valery recuperarono lo zaino e Zenan spolverò il completo grigio aprendo al porta.

“Andiamo?” chiese con un sorriso ai ragazzi, che avrebbe accompagnato a scuola con il suo fuoristrada.

Quella mattina aveva un colloquio in una piccola ditta informatica poco lontano dalla scuola e con la scusa di recarsi a lavoro ogni mattina, perché era sicuro, l’avrebbero assunto, avrebbe avuto l’opportunità di accompagnare Sefire e Valery a scuola.

Le stava studiando tutte per far si che Sefire e Zenan passassero il maggior tempo possibile insieme.

Li salutò sventolando la mano prima di raccogliere la giacca e apprestarsi anch’esso ad uscire.

“Vado a lavoro anch’io” disse sorridendo a Clavis che annuì mentre terminava di intrecciare i lunghi capelli.

Con somma disdetta del Sio dell’Amore il suo silenzioso compagno stava ormai imparando ad arrangiarsi. Gli sfilò comunque il nastro di velluto nero dalle mani per completare l’operazione al posto suo prima di deporgli un bacio sul capo.

“Quasi quasi mi licenzio e passo le mie giornate qui con te.” Borbottò lanciando un’occhiata torva alla sua valigetta.

“E poi come lo spieghi a tua figlia?” gli chiese Clavis con un sorriso malizioso che fece impallidire Allan.

Sembrava quasi che lo stesse provocando.

“Qualcosa mi inventerei...” mormorò ponderando sempre più seriamente l’idea mentre faceva scorrere con riverenza una mano abbronzata sulla pelle pallida.

Clavis allungò il capo e gli posò un bacio leggero sulle labbra.

“Vai a lavoro Allhanirayas o farai tardi” gli disse, allontandoglisi.

Allan sospirò raccogliendo la valigetta.

“Ricordati di chiudere se esci.” si raccomandò prima di andarsene, chiudendosi la porta alle spalle.

 

Zenan fermò il fuoristrada nero accanto al cancello scolastico facendo scendere i due ragazzi.

“Buon divertimento.” augurò loro con un sorriso sul volto sottile.

“Buon lavoro!” gli rispose Valery scendendo.

“Mi raccomando Sefire non combinare guai” si raccomandò il Dio della Sapienza, il ragazzo gli regalò un sorriso che gli tolse il respiro prima di scendere dall’auto ed avviarsi con Valery verso l’ingresso.

Zenan emise un flebile sospiro osservando la sua figura sottile allontanarsi prima di riavviare l’auto e dirigersi verso il suo nuovo posto di lavoro.

 

Sefire e Valery si immersero nella corrente umana di studenti dirigendosi verso le loro classi.

L’angelo che non era mai stato nel Dominio degli Uomini, se non per andare a trovare Allan, si guardava intorno osservando tutti quei ragazzi in divisa che, discorrendo del più e del meno, percorrevano i corridoi scolastici.

Si salutarono dinanzi alla classe di Valery.

“Buona fortuna!” le augurò Sefire con un sorriso prima di allontanasi.

Valery si infilò in una delle tante classi tutte uguali andando a scegliere un banco di quelli ancora liberi.

Nella classe si respirava un’aria un po’ tesa e curiosa.

Alcuni ragazzi già si conoscevano tra loro ma per i più, i rispettivi compagni, erano degli sconosciuti.

Si sedette accanto ad un ragazzo dai capelli neri e dagli occhi castani, nascosti dietro un paio di occhiali da vista, che rendevano il volto magro fin troppo serio per un ragazzo della sua età.

“Ciao” disse “E’ occupato questo posto?” gli chiese indicando il banco accanto al suo.

Il ragazzo alzò gli occhi scuri su di lei e Valery notò una luce profondamente triste in essi prima che il ragazzo scuotesse il capo.

Gli si sedette accanto prima di tendergli una mano.

“Io sono Valery, Valery Godman” si presentò con un sorriso.

L’altro ragazzo allungò la mano stringendogliela.

“Raily, Raily Fisher” disse cordialmente ma senza l’ombra di un espressione sul volto freddo.

La ragazza corrugò la fronte un po’ perplessa ma l’arrivo del professore della prima ora la distrasse dai suoi pensieri. Durante l’intervallo passarono i rappresentati degli studenti consegnando loro vari moduli per l’iscrizione ai rispettivi club e i ragazzi ebbero modo di conoscersi un po’ di più.

 Valery aveva notato che appena suonata la campanella Raily si era alzato e se ne era andato dalla classe.

“Sua maestà non vuole mescolarsi con noi?” gli chiese con scherno un ragazzo alto, dal volto squadrato, che stava con due suoi amici vicino all’uscio.

Raily passò oltre senza degnarli di uno sguardo.

“Brutto compagno di banco ti sei scelto” commentò una ragazza dai capelli castani avvicinandosi a Valery, che aveva seguito la scena.

“Perchè lo trattano così?” le chiese Valery curiosa.

La ragazza scosse le spalle “Il padre di Fisher è un deputato non molto amato. Ha mandato il figlio ad una scuola privata fin da piccolo ma per le prossime elezioni vuol far vedere agli elettori che lui è ‘uno che ama il popolo’ e così lo ha spedito qui” le spiegò prima di accantonare il discorso con una scrollata di spalle, e porgerle una mano “Io sono Cleo, Cleo Land” disse allegra.

“Valery, Valery Godman” le rispose la ragazzina bionda con un sorriso di risposta.

“Tu a che club ti iscriverai?” chiese la sua neo amica, notando solo allora che l’altra ragazza aveva gli opuscoli, distribuiti poco prima dai rappresentati d’istituto, tra le mani.

“Non so. Penso che mi iscriverò al club di teatro, sembra interessante” disse.

Cleo annuì. “Anch’io facevo parte del club teatrale alle medie però non so se iscrivermi anche quest’anno, Angela invece è iscritta al club di musica” disse con un sorriso.

“Cleo!!” giunse loro una voce mentre faceva capolino dalla porta, una ragazza con un caschetto di capelli castani e due occhi verde scuro.

Cleo sorrise agguantandola per un braccio e presentandogliela come Angela, appunto.

 

Sefire approfittò dell’intervallo per curiosare un po’ per la scuola. I suoi nuovi compagni di classe l’avevano accolto molto bene, sopratutto le ragazze.

Anche se per poco non aveva combinato subito un disastro.

Il professore di francese, che avevano avuto la prima ora, gli aveva chiesto di presentarsi in quella lingua, per testare la preparazione che aveva ricevuto dalla precedente scuola, e Sefire l’aveva fatto senza pensarci come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Persino l’insegnante di madre lingua l’aveva fissato stupito.

La sua pronuncia, l’accento, la scelta delle parole... tutto perfetto.

Troppo.

Aveva addotto velocemente la scusa che sua madre era francese e se l’era cavata per un pelo.

Lo studio non sarebbe di certo stato un problema per lui, era da quando era nato che viveva con il Dio della Sapienza e studiava con lui ormai da  cinquantasei anni.

Sospirò mentre gli ritornavano alla mente gli avvenimenti del giorno prima.

Zenan era stato davvero in pena per lui.

Per la prima volta da quando l’aveva conosciuto Sefire aveva notato una luce strana nei suoi occhi grigi.

Bhe a dire la verità era da un po’ che sentiva sempre più spesso il bisogno di non avvicinarsi troppo a lui.

Si sentiva stranamente in imbarazzo ad averlo vicino.

Invece quando era vicino ad Allan stava così bene!!

Era tranquillo e rilassato come... con un proprio familiare.

 

Si fermò di scatto lungo il corridoio, corrugando la fronte.

 

Un familiare?

Da dove sbucava quel pensiero?

In effetti ora che ci rifletteva  gli veniva quasi più facile pensare ad Allan come un padre piuttosto che associare quell’idea a Zenan.

Non ricordava di aver mai chiamato il Dio della Sapienza in quella maniera.

Aveva bisogno di sfogarsi un po’, di non pensare a nulla, decise in fretta guardandosi attorno, cercando, finchè non trovò l’aula di musica.

Sorrise sedendosi al pianoforte accarezzando i tasti con dita leggere. Non era certo all’altezza di quello del palazzo ma sarebbe bastato allo scopo. Chiuse gli occhi mentre lasciava scivolare i propri pensieri insieme alle note, le dita che volavano leggere sui tasti, componendo una dolce melodia che aveva studiato tempo prima e di cui rammentava appena il titolo.

 

A cena Valery raccontò al padre la sua giornata scolastica mentre Sefire aggiungeva di tanto in tanto le sue impressioni e commenti.

“Fisher hai detto?” le chiese il padre quando Valery gli parlò del suo compagno di banco.

“Un ragazzo terribilmente cupo” borbottò Sefire con una scrollata di spalle, Valery gliel’aveva indicato poco prima che salissero in macchina per tornare a casa e, all’angelo, non aveva fatto una bella impressione.

“Non giudicare dalle apparenze Sefire” lo rimproverò Zenan mentre versava il caffè.

Allan annuì “La famiglia Fisher vive a un isolato da qui, in quella grande villa con le mura di cinta coperte d’edera. Sembra che i genitori siano troppo impegnati per occuparsi del figlio, ha una governante che gli prepara il pranzo e la cena ma per il resto è sempre da solo...” spiegò “...almeno da quello che mi hanno raccontato.” disse mentre prendeva dal forno dei biscotti appena preparati.

“Uno di questi giorni potresti andare a trovarlo e portargli qualche dolce” le disse deponendo i biscotti con cura su un vassoio.

“Infondo siamo praticamente vicini di casa e io ne cucino sempre troppi!” borbottò fissando torvo la teglia.

 

Perché non vai da lui stasera?”

 

Valery si voltò stupita sentendo quella voce profonda provenire dalla porta che dava sul salotto.

Anche quella sera Clavis non aveva cenato con loro.

Allan le aveva detto che il medico si sentiva poco a suo agio in mezzo alle persone e seppur un po’ stupita Valery aveva accettato la cosa.

Ora l’alto uomo dai capelli corvini se ne stava appoggiato allo stipite della porta della cucina, gli occhiali da sole che creavano una strana ombra scura sul volto pallido.

Valery rabbrividì, senza rendersi conto che sia suo padre che Zenan erano impalliditi, mentre Sefire sembrava a disagio quanto lei.

 

Clavis aveva qualcosa di strano, strano e terribile, quella sera.

 

Nemmeno i semplici abiti sportivi che indossava o l’atmosfera leggera che c’era in cucina riusciva ad attenuare l’improvviso gelo che aveva cristallizzato l’aria tra loro.

“Cl.. Clavis ha ragione tesoro. Perché non vai stasera da lui?” le disse Allan, cercando disperatamente di non balbettare, mentre con mani leggermente tremanti avvolgeva il vassoio di dolci in un canovaccio pulito.

Valery passò lo sguardo dal padre a Clavis, che se ne stava tranquillamente appoggiato all’uscio, l’alta sagoma maestosa accarezzata dalle ombre della notte e, all’improvviso, desiderò andarsene.

 

Andare ovunque possibile ma allontanarsi da lui.

 

Era ridicolo ma.... non aveva mai avuto tanta paura in vita sua.

Prese il vassoio che gli tendeva il padre e si diresse verso la porta che dava sulla veranda e da lì al giardino e al cancello.

L’unica altra via era quella di passare accanto a Clavis ma piuttosto di avvicinarglisi in quel momento avrebbe preferito morire.

Nella sua testa suonò uno strano campanello d’allarme mentre si rendeva conto che, ciò che la spaventava tanto, in quel momento, era la certezza che se gli fosse passata accanto la sua vita si sarebbe prosciugata in un istante.

 

“Vengo con te!” gridò Sefire che si sentiva ugualmente minacciato pur non comprendendone il motivo e seguendo la ragazza in giardino.

Quando i due ragazzi furono abbastanza distanti da non avvertire più le voci degli uomini in cucina Allan fissò Clavis perplesso.

“Perché?”  mormorò mentre l’uomo toglieva con un gesto fluido gli occhiali da sole aprendo lentamente gli occhi viola, dalla pupilla innaturalmente appuntita.

I sigilli della maschera scivolarono liquidi sul volto candido mentre il Dio della Vita e della Morte tornava ad indossare le proprie vesti e i lunghi capelli neri, dotati di volontà propria, si liberavano dai lacci in cui erano stati costretti allargandosi intorno a lui, scivolando sulla veste di seta scura come serpenti d’inchiostro nero.

Zenaniesh che non aveva mai conosciuto il vero volto del Dio cadde in ginocchio singhiozzando, stringendo la veste bronzea, richiamata assieme al suo potere, frettolosamente alzato attorno a se come uno scudo, nel vano tentativo di ripararsi dalla semplice presenza del Sovrano delle Due Maschere.

Allhanirayas respirava affannosamente appoggiato con mani tremanti alla credenza.

Eppure percepiva chiaramente che Clhavishineriyas stava trattenendo il proprio potere.

Se non lo avesse fatto ora, che era al di fuori del suo maniero, probabilmente dell’intera città non sarebbe rimasta che polvere.

 

Perchè.... perchè aveva liberato il potere della Morte?

 

Quel ragazzo mi sta chiamando.” Sussurrò Clhavishineriyas prima di sparire in un’elegante voluta di fumo argenteo.

Allan riprese a respirare faticosamente, tossendo per lo sforzo mentre Zenan, ancora a terra, sembrava incapace persino di muoversi.

Allan gli si avvicinò aiutandolo ad alzarsi dal pavimento e facendolo accomodare su una sedia.

“Co...” Zenan deglutì a fatica, raschiando al gola secca.

Allan gli porse un bicchiere d’acqua che il Dio della Sapienza prese con riconoscenza.

“Come hai fatto...?” mormorò Zenan quando ebbe ritrovato la voce.

Allhanirayas scosse il capo biondo lanciando un’occhiata al punto in cui Clhavishineriyas era scomparso.

Quello che aveva mostrato loro non era che un frammento del suo vero potere, anche Zenan ne era perfettamente consapevole.

Come aveva potuto fronteggiare una creatura simile?

Ricordava chiaramente la prova a cui il Dio l’aveva sottoposto quando era andato al maniero su Morvit.

Ricordava la consapevolezza della propria vita che si spegneva e la gioia con cui la parte più intima del suo essere aveva accolto quell’informazione, tutta tesa al ricongiungimento con Lui.

Ma in quei pochi giorni passati insieme aveva fatto l’errore di accantonare quei ricordi in un angolo della sua mente.

 

Quello era lo stesso Clavis che lui aveva baciato?

Lo stesso con cui aveva riso perché non conosceva la lingua umana?

 

 

Raily osservò con sguardo clinico il riflesso che la luce della lampada della cucina traeva sulla lama affilata del coltello che teneva tra le mani.

Tremava leggermente, unico segno che, forse, non si sentiva ancora pronto per quel passo disperato.

Accostò con decisione la lama al polso scoperto.

Era stanco, stanco di stare da solo.

Stanco di mangiare cibi scaldati.

Stanco di essere preso in giro a scuola.

Stanco di sentirsi un peso inutile.

Spinse il coltello contro la carne avvertendo il dolore e quello strano suono, quasi delicato, con cui la lama sottile lacerava la pelle.

 

Alzò lo sguardo per non fissare la propria pelle mentre la tagliava e incontrò il suo sguardo.

 

Immobile, sulla soglia della cucina, avvolto dalle ombre della notte, sullo sfondo nero del riquadro della porta che dava sul salotto.

Silenzioso, gli occhi viola puntati su di lui, vitrei, il volto candido privo d’espressione mentre strani disegni neri scivolavano sotto quella pelle trasparente contorcendosi, tracciando simboli arcani.

Le lunghe vesti nere delicatamente arabescate di viola frusciarono quando quella magnifica creatura si mosse, scivolando lentamente sul pavimento, avvicinandoglisi.

L’aria divenne improvvisamente fredda e Raily si ritrovò ad ansimare mentre la mano che teneva il coltello tremava sempre più forte.

La posata cadde a terra tintinnando sul pavimento di marmo mentre quel suono argenteo si congelava tra loro.

“Tu... tu...” mormorò Raily ad occhi sgranati.

Io sono la Morte” sibilò l’essere altero ormai a pochi passi da lui e Raily ebbe l’impressione di sentire quelle poche parole fluire tra loro accarezzandogli quasi con sensualità una guancia.

 

La Morte.

 

Certo lui stesso l’aveva chiamata.

Era lui che desiderava morire.

Eppure ora... ora non riusciva a smettere di tremare.

Clhavishineriyas raccolse il coltello sporco di sangue da terra e ne prese alcune gocce scure con le dita candide.

I simboli che fregiavano il volto antico si contorsero furiosamente mentre il loro colore passava velocemente dal nero al rosso scarlatto.

La Morte gli tese il coltello invitandolo a continuare ciò che stava facendo ma il ragazzo si ritrasse facendo un passo indietro, stringendo inconsciamente il polso ferito al petto.

Il Dio gli si avvicinò nuovamente mentre le lunghe vesti di seta scura frusciavano sul pavimento allargandosi attorno a lui, sul pavimento di marmo, fondendosi con le ombre della sala.

Raily lo fissò tremante mentre gli veniva nuovamente porta la lama lucente, da cui non riusciva a distogliere lo sguardo.

 

Mi sta chiamando.....

 

Il suono del campanello squarciò l’aria gelida facendolo voltare di scatto prima che egli tornasse a puntare lo sguardo sul vano della porta.

 

Ma dinanzi a lui non c’era più nessuno.

 

Il coltello era di nuovo a terra dove l’aveva lasciato cadere quando aveva visto....

... o aveva creduto di vedere?

 

Si sentiva incredibilmente confuso.

Il suono del campanello tagliò l’aria un’altra volta e Raily raccolse il coltello buttandolo nel cassetto aperto sotto il tavolo e preso in fretta un canovaccio lo arrotolò attorno al polso ferito prima di correre ad aprire.

 

 “Ciao scusa se ti disturbiamo a quest’ora!” mormorò Valery quando finalmente il compagno di classe comparve sulla soglia.

Raily la fisso visibilmente sorpreso... anzi più che sorpreso sembrava sconvolto, ma anche sollevato.

“Entrate, entrate!!” disse con enfasi accendendo tutte le luci che gli capitavano a tiro.

Valery e Sefire lo seguirono in casa mentre questi si guardava intorno teso.

L’angelo della musica si sentiva nervoso, percepiva nell’aria i resti di qualcosa di oscuro che però non riusciva a cogliere con precisione.

Era una sensazione di malessere leggero alla bocca dello stomaco come quella che aveva avvertito nella cucina di Allan ma meno intensa.

“Che cosa hai fatto al braccio?” chiese d’un tratto Valery notando la fasciatura momentanea che Raily vi aveva posto.

Il ragazzo impallidì violentemente. “Mi... mi sono tagliato” balbettò.

“E’ meglio se te lo fasci subito allora.” disse Valery prendendolo per il braccio sano e facendolo sedere su una sedia della cucina mentre prendeva un’altro canovaccio e lo bagnava sotto il rubinetto.

Sefire, che li aveva seguiti notò che mentre Valery era voltata Raily aveva chiuso in fretta il cassetto sotto il tavolo senza tuttavia impedirgli di notare il baluginio di una lama.

Quando poi Valery scoprì il ‘taglio’ per pulirlo capì anche perché.

Troppo netto, troppo preciso.

Lanciò un’occhiata al ragazzo moro che guardava Valery lavargli via il sangue con cura.

 

Era così tanta la sua solitudine, la sua tristezza?

Eppure guardandolo non sembrava così disperato.

 

Si pentì del giudizio affrettato che aveva dato di lui e decise di mettere da parte la sua opinione per concedere al ragazzo moro un’altra opportunità.

Restarono a parlare per alcune ore, il tempo volò tra un biscotto e l’altro mentre Raily dopo il disagio iniziale si scioglieva rivelando un carattere molto gentile e cortese. Guardarono al tv e giocarono con i videogiochi che occupavano un’intera stanza della villa. Alla fine si lasciarono quasi a malincuore con la promessa comunque di rivedersi il giorno dopo.

 

Raily li guardò allontanarsi coprendo uno sbadiglio con una mano.

Si sentiva terribilmente stanco.

Lanciando un’occhiata all’orologio si accorse che in effetti era molto tardi però non se la sentiva di andare a letto.

E se avesse sognato... Lui?

Il solo pensiero gli accapponava la pelle.

Si sedette sul divano mentre la tv bassa, in sottofondo, gli dava comunque l’impressione di non essere solo.

Le palpebre gli si fecero pesanti e senza nemmeno accorgersene scivolò tra le maglie del sonno.

Fu svegliato, poco più tardi, dal rumore leggero della porta della sua camera che si apriva, socchiuse appena gli occhi mentre avvertiva la sensazione di galleggiare.

Qualcuno lo stava portando in braccio.  

Si voltò lentamente scorgendo una veste candida con eleganti motivi argentati.

Venne delicatamente posato sul letto e coperto con un plaid.

Solo quando si allontanò per andarsene Raily poté scorgere il volto di chi l’aveva accompagnato in camera.

 

E rimase pietrificato.

 

Aveva lo stesso viso pallido e altero di prima ma questa volta i simboli sotto la sua pelle erano di un tenue color argento. I lunghissimi capelli candidi come neve scivolavano lucenti fino a terra catturando la poca luce della stanza e rifrangendola in una miriade di scintillanti arcobaleni che avvolgevano l’alta figura rendendola evanescente. Portava una lunga veste di seta perfettamente identica per fattura e disegno a quella scura ma di un candore tale da accendere la pelle lunare di riflessi cristallini avvolgendolo in una luce delicata e abbagliante allo stesso tempo.

 

Solo gli occhi erano gli stessi.

 

Di quell’incredibile viola screziato d’argento, vitrei e vuoti.

Terribilmente vuoti.

 

Solo che in quel momento, non essendo bloccato dalla paura, Raily poté scorgere in quegli specchi lucenti un abisso di dolore così profondo e antico da spezzare il cuore.

“Buona fortuna” augurò a quella magnifica creatura dall’anima straziata prima di cedere nuovamente al sonno. Clhavishineriyas sorrise debolmente al giovane mortale addormentato, allungando le dita pallide per asciugare una lacrima cristallina che gli era scivolata lungo lo zigomo.

Se con la veste della Morte aveva imparato ad accettare la propria condanna quando portava la maschera della Vita il suo peso diventava insopportabile.

Un’altra lacrima silenziosa rigò la pelle candida quando il Dio poggiò delicatamente una mano sul cuore mentre i simboli argentati si contorcevano in agonia sotto la pelle del volto perfetto.

Scosse il capo con forza, facendo ondeggiare i lunghi capelli lucenti, prima di scomparire in una voluta di fumo argentato.

 

Sefire lasciò che Valery andasse verso la sua camera prima di dirigersi silenziosamente verso quella del suo signore. Bussò piano e poco dopo avvertì la voce di Zenan che lo invitava ad entrare.

Comodamente seduto sull’ampio letto matrimoniale, i capelli leggermente spettinati, il Dio della Sapienza stava sfogliando un vecchio libro. Aveva l’aria più rilassata di come lo vedeva sempre a corte con quel pigiama leggero e senza gli inseparabili occhiali da lettura. D’un tratto, il giovane angelo, fu pienamente conscio di trovarsi in una stanza da letto da solo, in piena notte, con il suo Signore, ed arrossì violentemente.

“Bhe po.. posso tornare domani.” borbottò voltandosi in fretta verso la porta.

“Che cosa volevi chiedermi Sefire?” gli chiese gentilmente Zenan affascinato dal rossore che si andava disegnando sulle guance del suo giovane pupillo.

“E...ecco io...”

“Sì?” gli chiese il dio e Sefire si ritrovò a rabbrividire vedendo la luce calda che scintillava in quegli occhi grigi.

Quant’erano belli quegli occhi..... Sefire scosse il capo con forza.

“Ni..niente!” gridò fiondandosi fuori dalla camera a tutta velocità.

Era andato da lui per chiedergli delle spiegazioni su quanto era accaduto quella sera.

Voleva capire chi o che cosa era Clavis.

 

Come faceva a sapere che Raily voleva suicidarsi?

Cos’era quella paura improvvisa che aveva avvertito quando era giunto in cucina quella sera.

E quella sensazione che aveva provato a casa del compagno di classe derivava forse dal suo potere?

 

Tutte quelle domande gli avevano assillato la mente a lungo mentre tornava verso casa, ascoltando distrattamente quello che gli diceva Valery.

Era sicuro che il suo Signore avrebbe avuto tutte le risposte anche se forse si sarebbe rifiutato di dargliele.

Però quando era entrato in camera e l’aveva visto così.... così..... non riusciva a trovare un termine adatto.

L’aveva sempre visto dietro la sua scrivania, perfettamente in ordine, con la bella veste ufficiale che non faceva una piega sul corpo longilineo.

Così diverso da come l’aveva visto pochi minuti prima.

 

Con i capelli scompigliati e il pigiama spiegazzato.

La schiena appoggiata ai cuscini del grande letto.

 

Così sensuale.

 

Sensuale.

 

Ecco la parola che stava cercando.

Si fermò interdetto a metà corridoio.

Lui amava Allhanirayas su questo non c’erano dubbi.

Allora perché trovava sensuale il suo Signore.

Si portò le mani alle guance arrossate.

Scottavano.

Non ricordava di essersi mai sentito così.

“Ho bisogno di una doccia fredda” borbottò tra sè entrando in camera sua.

La porta gli si chiuse con un tonfo sordo alle spalle mentre Sefire fissava il letto senza vederlo, congelato, da quanto era appena uscito dalla sua stessa bocca.

 

Una doccia fredda.

 

Le stesse parole che aveva detto Allan.

Allan che amava Clavis.

Ma lui le aveva dette pensando a Zenan.

 

Non era possibile.

Non poteva essere assolutamente.

Lui amava Allan punto e basta.

Non poteva...

Non doveva assolutamente.......


Continua....


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