Oh My God!

parte I

di Naika


Il ticchettio degli stivali sul pavimento di marmo è l'unico suono che accompagna il mio vagare per questi interminabili, altissimi, corridoi.
Alla mia destra una lunga serie di porte dagli intarsi arcani, sigillate da pesanti lucchetti di metallo nero, a sinistra alte finestre dalla vetrate spesse contro cui ulula il vento freddo che imperversa sulla sommità di questa montagna solitaria.
Non ci sono paggi ad accompagnarmi, questo castello non ha servitori, ne abitanti.
E' vuoto.
Completamente vuoto ed ermeticamente chiuso.
Solo una stanza è accessibile.
Giungo dinanzi all'enorme portale che mi permetterà di entrare nella sala del trono.
Oltre questa porta, sul suo scranno di pietra, riposa l'essere che fra tutti noi è il più potente e il più temuto.
Nessuno conosce il suo volto, forse perchè egli non ha un volto.
La leggenda lo chiama il Sovrano dalle Due Maschere.
La vita e la morte.
Si narra non ci sia dio in grado di sostenere il suo sguardo e anch'io, uno dei Dieci Dei Superiori, devo imporre alla mia mano di non tremare mentre afferro la maniglia dorata e l'abbasso.
Avverto la sua aura ed è così grande da sfumare nell'indefinito fino a svanire.
Tutto e niente.
Alzo il capo e raddrizzo le spalle.
Otterrò ciò che voglio.
A qualsiasi costo.
La grande porta scivola sul pavimento di marmo bianco.
Mi aspetterei di sentirla stridere e invece non produce alcun suono.
Tutto qui è così silenzioso, immobile, in attesa....
Posso quasi avvertire l'ansia che attraversa queste pareti millenarie, come se questo castello stesso, aspettasse qualcosa...
Qualcuno...
Avanzo a passo deciso nella grande stanza.
Clhavishineriyas è qui a pochi metri da me.
Immobile, avvolto in questa crisalide di silenzio.
Spettrale.
La lunga, elegante, veste di velluto e seta nera avvolge quel corpo alto e sottile con le sue spire di tenebra, delicati arabeschi viola, intessuti, intrecciati, su di essa l'animano di contorte figure.
Altero.
Immobile sul suo scranno, la pelle del volto sottile così pallida e trasparente che i pochi raggi lunari, che filtrano dalle grandi vetrate decorate, vi disegnano riflessi d'argento.
Magnifico.
Un'elegante cristallo intrappolato nel ghiaccio, pallido e irreale, una sfumatura lucente tra i raggi candidi della luna che striano la stanza disegnando sottili sbarre a separare lui da noi.
O noi da lui.
Mi sono preparato per giorni a quest'incontro, ho passato notti intere a meditare per raccogliere tutto il mio potere, tutta la mia forza, eppure… non ero pronto... probabilmente non lo sarei stato mai.
I suoi lunghissimi capelli neri scivolano fino a terra in lisce ciocche di oscurità allargandosi sul pavimento attorno a lui come un abisso di cui non riesco a scorgere la fine.
Non ho mai visto niente di simile, di tanto terrificante e splendido allo stesso tempo.
Le mani sottili riposano pallide in grembo.
Tiene gli occhi chiusi.
Le lunge ciglia nere sembrano quasi dipinte su quel volto superbo di porcellana finissima, le labbra sottili sono una delicata pennellata nera sulla pelle alabastrina.
Androgino.
Non riesco a respirare.
Non riesco a pensare.
Sento il mio essere tendersi verso di lui nello spasmodico desiderio di poterlo toccare, di poterlo sfiorare almeno una volta prima di dissolversi per sua mano.
Nulla ha più importanza...
Nulla se non soddisfare questo mio ultimo... bruciante.... bisogno.
Un movimento leggero del capo, i lunghi capelli scivolano sul pavimento bianco come l'allargarsi di una macchia d'inchiostro su un foglio candido, i raggi lunari vi passano attraverso con la riverenza e la delicatezza di un'amante animandoli di liquidi riflessi cobalto.
Scosta appena il suo volto volgendolo verso di me, le lunghe ciglia si sollevano lentamente velando due profonde iridi viola screziate di blu e d'argento.
La gola mi si secca e le parole che avevo preparato scompaiono dalla mia mente.
Ha le pupille sottili e appuntite, il suo sguardo è vitreo e freddo come quello di un rettile, le sue movenze sono eleganti e fluide, ipnotiche.
Ogni suo gesto, ogni suo respiro è un richiamo e io...
Io desidero soltanto rispondere....
Come inchiostro che cola, sotto i suoi occhi che si vanno aprendo si disegnano lunge linee nere che scivolano sugli zigomi appuntiti e sulle gote mentre la sua pelle assume via via un candore accecante, le linee si contraggono, si attorcigliano, gemono, come demoni dotati di vita propria, strisciano sotto quella pelle trasparente disegnando simboli arcani e incomprensibili.
Ha indossato la maschera.
Posso sentire tutto il suo potere pervadere questa sala completamente vuota, tendersi e pulsare contro le pareti disadorne riversandosi attorno a me come le onde di un mare in tempesta.
Cado in ginocchio coprendomi il volto con le mani, il mio respiro faticoso rimbomba tra queste mura di marmo, impassibili al mio dolore, gli occhi mi bruciano come se si stessero sciogliendo incapaci di fissare altro ora che hanno incontrato i suoi. Abbasso il capo lasciando che i capelli biondi mi coprano il volto, avverto il suo essere ruggire e contorcersi, sento la forza con cui racchiude l'angelo e il demone che si combattono divorandogli l'anima e il suo dolore, il suo dolore che posso percepire soltanto a malapena, trattenuto da quella maschera pallida a sua volta sigillata da quei simboli di tenebra che gli sfregiano il volto sottile.
Non riesco....
Non posso sopportarlo...
Il mio animo si spezza...
Il mio potere si dissolve...
La mia vita scivola via...
Attratta da lui come la falena che cerca la luce della candela su cui brucerà le sue ali.
Ora conosco il significato delle leggende.
Ora so che ciò che si narrava non era falso.
Colui che per primo vide la luce tra noi.
Colui che domina due poteri enormi ma diametralmente opposti che non possono esistere se non assieme pur essendo uno la negazione dell'altro.
Il caos della vita e il nulla della morte.
Mi sta uccidendo e io semplicemente non posso oppormi.
Nonostante io sia immortale dinanzi a colui, da cui tutto inizia e in cui tutto termina, non posso che piegare il capo e assecondare il suo volere.
Una parte del mio animo stesso desidera che lui lo faccia, che mi distrugga per poter tornare a essere parte integrante di lui, per potergli essere accanto nell'unico modo possibile.
Di nuovo.
Frammenti d'immagini si accavallano nella mia mente.
Attimi rubati ai ricordi di questa vita che ho condotto per secoli ai piedi di questo monte la cui cima sempre coperta da soffici coltri bianche celava l'enorme castello sulla sua sommità e colui che vi dimora in silenzio, lontano da tutti.
Mi accasciò al suolo con un gemito mentre gli attimi della mia vita scivolano fuori da me con i rantoli dei miei ultimi, faticosi, respiri.
Un sorriso illumina i miei occhi chiusi.
Il sorriso di una bambina qualsiasi.
Una mortale che ho raccolto in uno dei miei tanti viaggi nel Dominio degli Uomini.
No, non posso cedere così, non senza aver ottenuto ciò per cui sono venuto.
Stringo i denti con forza e obbligo il mio petto a sollevarsi, impongo ai miei polmoni di respirare al mio cuore di pulsare ancora una volta.
"Ascolta…" la mia voce esce rauca e faticosa ma riesco a parlare dopo un paio di tentativi infruttuosi.
Ho i polmoni in fiamme e il cuore che mi esplode nel petto ma non mi arrenderò!
Richiamo tutto il mio potere, lo libero attorno a me come uno scudo di calda luce dorata, per proteggermi dal suo semplice esistere.
"Perché?"
Fredda e profonda, la sua voce vibra infrangendo la mia barriera tanto faticosamente eretta, attraversando il mio corpo, infilandosi nella mia anima.
Sento quella leggera, fredda, presenza dentro di me scrutare ogni mio pensiero, ogni mia emozione.
Tremo.
Non posso farne a meno, anche se il suo tocco è leggero e delicato, mi sento violato dove nessuno dovrebbe arrivare mai. Una lacrima cristallina scivola lungo la mia guancia, ne avverto il lento scorrere bruciante sulla pelle, ma non posso muovermi e lascio che cada sul pavimento di marmo intaccandone la liscia perfezione.
D'un tratto l'aria diventa leggera, riesco nuovamente a respirare, sollevo il capo osservando l'uomo immobile dinanzi a me con una muta domanda negli occhi.
Sembra una statua, una algida statua di marmo bianco.
"Perché sei venuto qui Allhanirayas" chiede di nuovo ma questa volta, pur essendo ancora fredda, la sua voce è diversa, non mi attraversa.
La sua pelle è pallida ma non candida com'era poco fa, gli strani disegni sono scomparsi da quel volto diafano, i suoi occhi sono nuovamente chiusi.
Mi ha sottoposto ad un esame?
E' questo che ha fatto, mi ha messo alla prova?
Mi rialzo lentamente mentre la lunga veste bianca, bordata d'oro, che mi identifica come uno dei Dieci Dei Superiori si tende sul mio corpo abbronzato. Scosto una ciocca bionda dal volto ricacciando il ricciolo ribelle dietro l'orecchio.
"Ho un favore da chiederti" la mia voce suona solo leggermente provata da quanto mi è appena successo.
"Un…. favore?" la risposta di Clhavishineriyas e velata da una leggera sorpresa mentre mi fissa sollevando leggermente un sopracciglio scuro. Basta quel semplice gesto di stupore per rendere i suoi lineamenti meno appuntiti, il suo volto meno pallido.
La belva sembra essersi assopita nuovamente sotto quella pelle trasparente, non fa più paura come prima e questo mi da il coraggio di iniziare quella frase che potrebbe essere la mia condanna.
So che non dovrei.... ma non posso… non posso accettare senza tentare quello che sta succedendo.
"C'è una creatura a cui tengo molto che sta morendo…" mormoro ma non riesco a dire altro.
Gli occhi del Sovrano dalle Due Maschere si aprono di scatto, vedo quelle incredibili iridi di cristallo tingersi di un fuoco carminio prima che tutto il mio corpo venga violentemente scagliato indietro dalla sua rabbia. La grande porta da cui sono entrato si apre pochi secondi prima che io mi ci sfracelli contro per poi richiudersi con un tonfo alle mie spalle quando rumorosamente atterro parecchi metri distante, sbattendo violentemente contro il pavimento freddo. Rimango a fissare l'uscio chiuso mentre aspetto che il dolore che si è impadronito del mio corpo cessi.
So che rischio l'annullamento.
Una condanna ben peggiore della morte per un Dio come me, ma devo tentare comunque.
Sono giunto fino a qui ben consapevole che forse avrei inutilmente perso la vita.
Ma sono disposto anche a questo...
Nonostante la rabbia Clhavishineriyas non mi ha distrutto.
Questo deve pur significare qualcosa.
E io sono disposto ad aggrapparmi a qualsiasi cosa.
Mi sollevo lentamente raccogliendo quel poco che resta di me. Mi avvicino al grande portale di legno e appoggio la mano sulla maniglia.
Ma questa volta essa non si abbassa.
Chiudo gli occhi trattenendo il respiro.
Se lui non vuole che io entri nessuno riuscirà ad aprire questa porta.
Il potere di noi Dieci messi insieme non farebbe che scalfire questo legno spesso, intriso del suo potere.
Batto il pugno con rabbia sulla superficie lucida.
"Maledizione apri questa dannata porta!" grido con rabbia.
Non è da me.
Io che fra tutti sono sempre così calmo e gentile.
Non ricordo di aver mai alzato la voce...
Ma la mia disperazione e tanta.
Valery sta morendo per colpa mia e io non posso...
Non posso accettarlo....
Appoggio la schiena allo stipite e scivolo lungo esso sedendomi a terra, sprofondando il volto tra le mani.
Niente ha funzionato. Non ho lasciato nulla di intentato per salvare quella giovane creatura innocente.
E' sempre stato un mio terribile difetto quello di affezionarmi troppo agli essere umani.
Temo che sia nella mia natura.
Sono il Dio dell'Amore no?
Mi era già capitato di innamorarmi di esseri umani incontrati durante i miei viaggi.
Ma mai così...
Con Valery era stato diverso sin dall'inizio.
L'ho raccolta che aveva solo pochi mesi da un cassonetto della spazzatura.
Abbandonata da una madre forse disperata, forse solo incapace di prendersi cura di lei.
Figlia di quella società distrutta e violenta che imperversava nella caotica metropoli in cui ero semplicemente di passaggio.
Avevo deciso di portarla al primo ospedale ed affidarla a qualcuno dei suoi simili che si sarebbe occupato di lei ma...
Ha aperto gli occhi...
Mi ha guardato con quei suoi lucenti occhi castani, così profondi, limpidi ed innocenti...
Anche tu mi abbandonerai ora?
Potevo avvertire quella domanda, potevo scorgere la forza e il dolore con cui nonostante tutto sarebbe andata avanti e avrebbe cercato di sopravvivere...
Quel suo sguardo mi ha tolto il respiro, mi ha legato a se.
Mi sono creato un'identità umana e ho acquistato una casa nel Dominio degli Uomini.
La vita in quelle terre caotiche è molto semplice per un Dio che può ricorrere in qualsiasi momento ad un potere come il mio.
E Valery è cresciuta chiamandomi papà e amandomi con la sua candida dolcezza.
Non che fosse un esempio di bontà celeste ma era una brava ragazza per essere una mortale e in ogni suo gesto porta ancora la traccia di quel coraggio e di quella forza che le ho visto dentro la prima volta.
Finché non ho commesso quell'unico... fatidico...errore.
Fel, una silfide, da poco al mio servizio mi accusava da tempo di trascurare il nostro mondo per occuparmi di 'quell'insignificante creatura umana', ma non ci ho dato peso.
Sapevo che come tutte le Figlie degli Alberi la creatura era molto gelosa delle mie attenzioni e mi era già capitato di dover sedare dei litigi piuttosto violenti tra lei e Sefire, il giovane angelo della musica, al servizio del Dio della Sapienza, che spesso si fermava a palazzo per farmi ascoltare le sue melodie. Non aveva litigato anche con Victorgorth il Dio della Forza, il mio migliore amico, solo perché sapeva bene di non potersela prendere con un Dio del suo grado.
Avrei dovuto rendermi conto del veleno che le infettava l'anima...
La silfide se n'era andata in lacrime dopo l'ennesima sfuriata e io mi ero ripromesso di darle il tempo di calmarsi prima di sedare la sua rabbia.
Stupido...
Avrei dovuto capire...

Allhanirayas si passò una mano tra i riccioli biondi emettendo un sospiro triste.
Quand'era tornato nella piccola villetta di campagna che occupava nel Dominio degli Uomini aveva trovato Fel morta e Valery priva di sensi ormai in fin di vita.
Avvelenata dal sangue carico d'odio stillato dal cuore della silfide stessa.
Era stato inutile chiedere consiglio a Zenanhash il Dio della Sapienza.
Fel si era suicidata accecata dalla vendetta rendendo la sua anima intoccabile per gli dei e il veleno aveva già fatto effetto sul corpo fragile di Valery.
La vita della ragazza aveva già cominciato a scivolare verso la sua ultima dimora, quel castello scuro arroccato sull'unico monte del Dominio Celeste.
C'era solo una cosa che gli rimaneva ancora da tentare....
Clhavishineriyas.
Quel Dio oscuro di cui nessuno sapeva nulla, che tutti consideravano solo un'antica leggenda, le cui origini si perdevano in un tempo così lontano da essere dimenticato persino da esseri immortali quali loro erano.
Aveva scalato quel monte impervio dove il potere divino sembrava inutile e il vento gemeva come un'anima in pena cercando quel castello misterioso, vagando per quelle cime fredde per giorni, settimane...
Prima di riuscire a trovare il maniero.
E il suo silenzioso signore.
Ma aveva fallito anche con lui.
Valery sarebbe morta.
Solo per colpa sua.
Aveva già perso Fel nel più terribile dei modi, non voleva perdere anche quella che considerava sua figlia.
Sapeva che gli uomini erano fragili.
Era preparato a vederla morire ma non così...
Non in quella maniera atroce....
Se il veleno... se quel veleno maledetto avesse completato la sua opera anche l'anima di Valery sarebbe andata distrutta.
Perduta per sempre....
"Ti prego…" mormorò rivoltò a quell'uscio chiuso e silenzioso
"Ti darò tutto ciò che possiedo, il mio potere, la mia vita ma ti prego non farla morire…" supplicò a capo chino mentre le lacrime pungevano gli occhi verdi scivolando sulle guance del dio.
Il suono secco di una leva che scattava gli fece sollevare il capo sorpreso.
Lentamente la porta si stava riaprendo.
In piedi poco dietro di essa il Sovrano dalle Due Maschere lo osservava dall'alto della sua statura con un'espressione vagamente corrucciata sullo splendido volto.
"Perché?" chiese al Dio ai suoi piedi che lo fissò senza capire.
"Perché sei disposto ad umiliarti così, a rischiare tutto per lei, un mortale come ce ne sono fin troppi?"
Allhanirayas rimase sorpreso per alcuni secondi prima che sulle belle labbra gli si disegnasse un sorriso gentile. Clhavishineriyas non capiva...
Non poteva capire...
Nella solitudine di quel castello in cui nessuno aveva mai osato disturbarlo protetto e incatenato allo stesso tempo da quel muro di terrore che la sua sola presenza incuteva non conosceva che la solitudine e il vuoto silenzio di quelle mura. Semplicemente non sapeva che cosa era l'amore.
D'un tratto il più potente degli dei provocò in lui un moto di compassione che gli tolse il fiato.
Si spolverò le vesti e si alzò in piedi.
Ignorando quanto gli gridava il buon senso e aiutato dalla curiosità che era riuscito a suscitare nel Dio della Vita e della Morte gli si avvicinò e allungate con decisione le mani prese quelle pallide di Clhavishineriyas tra le proprie.
Lo sentì sussultare e ritirarsi istintivamente come se quel contatto l'avesse ustionato.
Allahanirayas lo fissò con un sorriso gentile prima di avvicinarsi di nuovo.
"Non avere paura" gli sussurrò dolcemente prendendo le dita candide del Dio e intrecciandole con le sue.
"Apri gli occhi Clhavishineriyas" gli disse dolcemente.
Il Sovrano dalle Due Maschere scosse lentamente il capo in segno di diniego facendo frusciare i capelli d'ebano che si stendevano liquidi dietro di lui, un lunghissimo strascico nero che scivolava sul pavimento della sala del trono creando un forte contrasto con il candore del marmo.
"Ti distruggerei" mormorò e per la prima volta Allhanirayas avvertì una leggera preoccupazione nella sua voce.
Non era così freddo come voleva sembrare.
Dietro la maschera c'era ancora un'anima.
"Non avere paura" ripeté, sembrava assurdo che fosse lui a dirlo.
Non era Clhavishineriyas quello che rischiava di annullarsi.
Però infondo in quel momento il più indifeso tra loro era proprio il Dio della Morte.
Tremava.
Clhavishineriyas tremava mentre lentamente apriva gli occhi.
Le lunghe linee scure scivolarono lungo le sue guance e per un momento quegli strani disegni sembrarono ad Allhanirayas il tracciato di lacrime mai versate, dense di quel dolore e della solitudine di quell'immenso maniero vuoto. La pelle divenne candida ed il Dio dell'Amore ebbe la sensazione di sentire lo scatto con cui la maschera scivolava nuovamente al suo posto, il tintinnio delle catene che si serravano ai polsi del Dio dinanzi a lui.
Avvertiva già le forze venirgli meno.
Era troppo vicino.
Troppo vicino per sopportare il suo dolore, quella lotta estenuante che sotto lo schermo della maschera si dibatteva come una belva impazzita dentro Clhavishineriyas.
Però avvertì anche qualcos'altro.
Avvertì l'energia che il Dio esercitava su se stesso per non riversare quel dolore su di lui e questo gli diede la forza di fissare i propri occhi in quelli screziati dell'altro, di concentrare il proprio potere nelle mani e di infonderlo delicatamente nel corpo freddo di Clhavishineriyas.
"Amore. Ecco perché" mormorò con un filo di voce.
Vide quegli incredibili occhi viola spalancarsi prima di accasciarsi al suolo completamente esausto.

"Papà!!"
Il Dio dell'amore si guardò attorno confuso.
La testa gli pulsava, provava una strana sensazione di... calore...
Dov'era?
Quella stanza aveva qualcosa di familiare ma cosa….
"Papà!!!" protestò una voce accanto a lui, qualcuno lo tirò per una manica del vestito da cerimonia che ancora indossava e Allhanirayas si voltò sorpreso.
"Valery!" gridò d'un tratto saltando a sedere sul letto osservando la ragazza di quindici anni che, ancora in pigiama, lo fissava sorridendo.
"Alla buon ora!!" esclamò "E' mezzora che ti chiam… Hey… ma papà che fai… ehy!!!" protestò cercando di divincolarsi dall'abbraccio paterno.
"Sei guarita!" mormorò Allhanirayas allontanandola leggermente da se senza però lasciarla libera mentre non poteva fare a meno di lasciar scivolare lacrime di sollievo sul volto abbronzato.
La ragazza annuì allegramente con il capo. "E' tutto merito di quel tuo amico bendato" gli raccontò sedendosi sul letto accanto a lui.
"Bendato?" chiese Allhanirayas stupito.
Valery annuì "Non l'ho visto bene... però aveva dei capelli lunghissimi e portava uno strano vestito bianco lungo fino a terra. Era......" arrossì violentemente "Era bellissimo...." mormorò mentre chiudeva gli occhi cercando di rammentare. "Si è seduto accanto a me e io.... non so.... mi sono sentita.... bene...." spiegò la ragazza lottando con le parole per cercare di esprimere al meglio ciò che era accaduto. "E' stato come..." scosse il capo "rinascere..." mormorò passandosi una mano tra i capelli castani in imbarazzo. "Sto dicendo un mare di scemenze?" chiese più a se stessa che al padre.
Allhanirayas la fissò incredulo.
Clhavishineriyas….
"Dov'è?" chiese alzandosi in fretta "Se n'è andato credo" disse la ragazza sorpresa dalla veemenza del padre.
E così aveva acconsentito alla sua richiesta.
Aveva salvato Valery...
Avrebbe dovuto bastargli...
Ma il ricordo delle mani fresche di Clhavishineriyas tra le sue, di quella luce triste che aveva attraversato quei due pozzi viola prima che lui perdesse i sensi gli era rimasto impresso a fuoco nella mente.
"Ma dove siete stati?" gli chiese la ragazza distogliendolo dai suoi pensieri e osservando criticamente la lunga veste bianca decorata in oro e gli eleganti orecchini che adornavano le orecchie del padre. Allhanirayas arrossì rendendosi conto in quel momento che stava ancora indossando gli abiti del mondo divino.
Da tempo Valery non si stupiva più di alcuni atteggiamenti strani del suo giovane padre ma non l'aveva mai visto conciato in quel modo.
"Hemmm…. Bhe ecco ero ad una festa in maschera" mentì con un sorriso.
"Io stavo male e tu sei andato ad una festa in maschera?" gli chiese offesa la ragazza e Allhanirayas arrossì ancora di più. "Ma lì ho incontrato Clhavishaineri… hemmm… Clavis e quindi è stato un bene no?"
"Hmmm" mormorò Valery poco convinta.

Allhanirayas rimase immobile dinanzi al grande uscio chiuso. Era tornato al castello di Clhavishineriyas per ringraziarlo, ma non soltanto.
La verità era che desiderava rivederlo.
Era da quando Valery era andata a svegliarlo nella sua stanza che non riusciva a smettere di pensare a lui.
Posò con fare incerto la mano sulla maniglia prima di abbassarla lentamente.
"Clhavishineriyas" chiamò avanzando nella grande sala del trono.
Il Dio della Vita e della Morte scostò leggermente il capo muovendosi sullo scranno con un fruscio delle lunghe vesti scure.
"Ti ringrazio" mormorò inchinandosi dinanzi a lui.
Clhavishineriyas scosse lentamente il capo.
Teneva le braccia strette attorno al ventre e il suo volto aveva una strana espressione...
Sembrava ... spaventato....
"Quella sensazione era…" gli chiese dopo un attimo di silenzio
Allhanirayas comprese e sorrise dolcemente.
"Amore?.. sì in un certo senso" gli disse il Dio avvicinandoglisi lentamente.
Clhavishineriyas emise un flebile sospiro....
"Non avresti dovuto...." mormorò ma sembrava parlare più a se stesso che a lui.
"Nessuno mi aveva mai toccato" gli confessò mentre per un attimo un brivido attraversava quel corpo sottile. Stancamente il Dio scostò una ciocca scura che gli era scivolata sul volto.
Era diverso.
Molto diverso dalla prima volta che lo aveva visto.
Sembrava improvvisamente così fragile....
Allhanirayas non riuscì a trattenersi dall'impulso di avvicinarglisi e allungare una mano per poggiarla su quella candida del Sovrano dalle Due Maschere.
Clhavishineriyas abbassò il capo come se anche con gli occhi chiusi potesse vedere la mano abbronzata del Dio dell'amore delicatamente appoggiata alla sua.
"Ormai è troppo tardi..." Mormorò debolmente la bella voce profonda intrisa di un'antica tristezza.
Rimasero entrambi in silenzio per alcuni momenti legati soltanto da quel piccolo contatto tra loro.
Il Sovrano delle Due Maschere aveva voltato il capo porgendo la pelle chiara alla leggera carezza dei raggi lunari che filtravano dalle grandi finestre chiuse mentre Allhanirayas lo fissava in silenzio studiandone i lineamenti decisi cercando di dare un significato a quell'espressione dolorosamente lontana.
Il Dio della Vita e della Morte tornò a voltarsi verso di lui.
Sembrava aver preso una decisione.
"Insegnami" mormorò in un sussurro in cui vibrava un vuoto incolmabile.
Allhanirayas scosse il capo facendo ondeggiare i capelli color del grano.
"Non posso. Nessuno può Clhavishineriyas, ma posso aiutarti ad imparare" mormorò intrecciando le dita con quelle pallide. Facevano un deciso contrasto le une strette alle altre.
Provava una strana sensazione per quel Dio dal potere immenso ma dal cuore così vuoto.
Quanto a Clhavishineriyas, lui sembrava solo molto confuso.
"Vieni" gli sussurrò gentilmente tirandolo per la mano.
"Ti porterò nel Dominio degli Uomini, quella terra dominata dai sentimenti è il luogo ideale per imparare" gli disse con un sorriso. Se c'era una cosa che aveva imparato dagli uomini era proprio come dar voce ai propri sentimenti.
Così caotici, confusionari a volte sciocchi, a volte crudeli eppure splendidi in tutte le loro sfaccettature...
Se c'era un luogo dove l'oscuro signore delle Vita e della Morte poteva riscoprire la sua anima, quello era il Dominio degli Uomini.
Se c'era un luogo...
Perchè la sua anima era stata così a lungo incatenata, le sue ali così a lungo inchiodate al suolo che forse...
Forse non sarebbe stato in grado di volare ancora una volta, sempre che l'avesse mai fatto...
Lo osservò con aria critica mentre allontanava quei pensieri cupi per tornare ai più pratici accorgimenti che avrebbe dovuto adottare per far passare quella creatura incredibile per un comune mortale.
Avrebbe dovuto apportare qualche piccola modifica...

Continua...



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