NOTE: E’ il ‘seguito’ di STELLA DEL NORD, che potete trovare sia sul sito dell’Ysal che sul mio http://www.dhely.altervista.org.

 I pg non mi appartengono, ma sono della Marvel (e sono pure un po’ OOC.. ma, veramente, non è che uno possa scriverli davvero IN character visto che pure loro ne cambiano le caratteristiche una volta ogni due mesi.. per non parlare del colore dei  *capelli*, cosa che dovrebbe più semplice da tenere a mente, penso!! Sig.)

 

NOTE2: il ‘lato medico’ della faccenda è di mia invenzione, anche perché in questa fic si lavora con un metabolismo tutto confuso (e pure un po’ idiota) come quello di Pietro, chissà le mutazioni che prendereste voi a cosa potrebbero portare! Meglio non fare esperimenti..

L’argomento ‘eutanasia’, invece è di un’attualità scottante. Io ho detto la mia, ma senza prescindere dalla fic per cui, se si vuole iniziare un discorso sulla questione potrei essere a disposizione ma niente flame, per favore! Dhely non è JP che pensa o parla, ho cercato di rendere un suo pensiero credibile con il pg, tutto qui. Grazie per la comprensione!




Neve e ghiaccio

parte XVI

di Dhely


Charles Xavier si guardò intorno con sguardo opaco. Ai suoi occhi tutto appariva come coperto da una patina polverosa, come se ogni cosa fosse vecchia, inutile, brutta.

 

Senza valore.

 

Quanti figli aveva seppellito nella sua vita? Figli ‘reali’, che avrebbero portato avanti la sua discendenza genetica, e figli ideali, che avrebbero eternato qualcos’altro di lui. Il pensiero, un ricordo, un’immagine.

 

Quanti? Tanti, troppi. Eppure pareva che il conto non fosse ancora giunto al termine, pareva che tutto quello non avesse ancora avuto fine. Forse non sarebbe mai riuscito a vedere la fine.

 

La sua follia: così Erich chiamava il suo sogno, ed, in effetti, aveva ragione lui. Per prima cosa: Erich aveva il brutto vizio di avere *sempre* ragione, quando si trattava di dare giudizi sugli altri. Poi: se lo immaginava, Charles, ora, lì, seduto proprio di fronte a lui, su quella poltrona di pelle, al di là della sua scrivania sgombra lustra e perfetta, proprio com’era il parquet che ricopriva il pavimento, neppure *scheggiato*, che sembrava davvero non fosse successo niente.

 

Se lo immaginava, lo vedeva con gli occhi della mente, e del cuore, lì, a scuotere appena il capo, dicendogli che era uno stupido romantico, e che quelli come lui, solitamente, facevano una fine atroce, ma solo dopo aver destinato a una fine ancor più atroce una marea di persone. Erich diceva che il suo sogno era il suo peccato, e lo sapeva meglio di tanti altri lui, perché pure il suo amico viveva per un’idea.

 

E *faceva* morire per un’idea.

 

Ma Erich diceva di essere onesto, lui. Ed era vero: chi pretendeva di instaurare la pace nel mondo come poteva affrontare l’ostilità con la violenza? Era più coerente Erich, che cercava la supremazia con l’imposizione, che non lui, che predicava parità e teneva in piedi una squadra *militare*.

 

Erich avrebbe riso, pure, dicendo che, come il suo solito, si preoccupava troppo, e si preoccupava per nulla di davvero importante, che gli umani erano stupidi e che la storia avrebbe dovuto insegnare che comprendevano solo il linguaggio della violenza e che, quindi, con la violenza bisognava parlar loro.

 

Charles era un romantico, inguaribile ottimista. Forse era per quello che stava così tanto spesso a sentirlo, al posto di tentare di staccargli la testa dal collo ogni volta che si incontravano.

 

Charles strinse le mani nelle mani e avrebbe davvero voluto averlo lì di fronte, sentire i suoi occhi addosso, la sua riprovazione che bruciava, sentirlo caustico e seccato ricordargli che tutto questo era il frutto di ciò che in tanti anni aveva costruito: con stoltezza e ignoranza, che non poteva pretendere altro, e che se era così stupido da permettere che i suoi *bambini* fossero a portata di mano di qualunque pazzo genezero che volesse farli fuori, non doveva mettersi a piangere ogni volta che uno di loro si sbucciava un ginocchio.

 

Avrebbe voluto sentire la sua voce, e il suo disprezzo. Il suo sbuffare di fronte all’ennesimo tentativo di farlo ragionare. Avrebbe voluto avercelo lì, avercelo vicino, e vederlo lottare ogni respiro, ogni battito di cuore, per mostrarsi come *doveva* essere, senza manifestare quello che davvero provava.

 

Erich non mostrava mai la pena che sentiva dentro, il dolore non aveva mai sfogo. Mai. E sembrava sempre così forte, così invulnerabile, come se, su di lui, le sensazioni non avessero presa ma gli scivolassero via di dosso, come olio sull’acqua. Lo aveva amato per questa sua forza, e insieme l’aveva odiato, invidiato. Era impazzito per tutto quello che era, e che lui non sarebbe mai riuscito ad essere e si era scoperto uno stupido a *sapere* che non ci poteva fare nulla comunque. Che Erich non era per lui, che..

 

Era stupido: la Scuola aveva rischiato di saltare, i ragazzi non si erano fatti male solo per un qualche intervento divino e lui lì non riusciva a non pensare ad Erich, seguendo quei tortuosi giri in cui la mente lo imprigionava?

 

E tutto questo per cosa?

 

Sentì un bussare deciso alla porta del suo studio e ringraziò i suoi studenti perché ora, per quanto sembrasse impossibile, non riusciva a reggere quella solitudine da solo.

___

 

Bobby conosceva il ghiaccio, la neve, il freddo. Lui *diventava* di ghiaccio: era il suo potere, una parte di se che non avrebbe mai potuto negare, né rifiutare. Era forse per questo, come diceva Remy, che in lui non esisteva nulla che non fosse tiepido, invitante, primaverile e morbido.

 

Perché lui lo sapeva com’era la neve, quella vera, che ghiacciava anche il cuore, i sentimenti  e ogni speranza anche. La neve vera, quella che era bella, e ispirava al gioco, al divertimento, e che poteva custodire un nocciolo di ghiaccio inarrivabile e terribile.

 

Lui lo sapeva com’era il ghiaccio: pulito e inavvicinabile, che a volte poteva non essere altro che uno strato sottile sottile, erto come corazza dai bordi taglienti ma che un fiato solo poteva far sciogliere.

 

Sì, Bobby conosceva la neve e il ghiaccio, conosceva tutto quello, il candore più immacolato, di cui bastava un millimetro per nascondere tutto alla vista e la purezza più sfinente, con la quale si poteva riempire un oceano e continuare a mostrare ogni singolo frammento della propria anima. Li conosceva perché sapeva cosa si provava a voler essere di ghiaccio e ritrovarsi, invece, solo ad essere una ‘palla di neve’.

 

‘Palla di neve’: era un nome da gatto. Al massimo da cane, eppure ogni tanto, per prenderlo in giro, Remy lo chiamava ancora in quel modo, come quando era una ragazzino ed era appena entrato negli X Men e non sapeva fare niente.

 

‘Palla di neve’: indescrivibile la faccia divertita di JP quando..

 

JP. Strinse le dita e il suo furetto gli si premette addosso. Anche lui sentiva la tensione colma di aspettativa che si stemperava in qualcos’altro, di più profondo, di differente, anche lui si era spaventato da morire con tutto quello che era successo: l’esplosione, i ragazzi, l’odore del terrore e.. Bobby sollevò lo sguardo, e incrociare il suo con quello di Remy lo rassicurò, come sempre. Ma era felice che lui stesse là, seduto su quella poltrona, di fronte al loro letto, e che si limitasse a guardarlo, senza chiedere, senza parlare, senza.. *toccarlo*.

 

Si sentiva meglio da solo, quando stava così.

 

A volte avrebbe potuto voler dare tutto per possedere una vita ‘normale’: niente poteri più o meno stupidi, solo una famiglia, un gruppo di amici qualunque, un lavoro noioso, sottopagato, che non desse alcuna soddisfazione, il sabato sera in cui si doveva uscire e andare la solito bar, in cui incontrare la solita tipa, magari, e parlare male del capo e magari avere anche un conto aperto con uno psichiatra, tanto per sentirsi più ‘in’ e lamentarsi, ma mai troppi scossoni, mai troppe novità, mai troppi avvenimenti che potessero sconvolgere più del necessario. Qualcosa di assolutamente banale. Forse così sarebbe stato felice.

 

Felice.

 

Era un concetto ridicolo: quasi si mise a ridere. Lui *era* felice.

 

Bobby amava, ed era riamato, aveva degli amici meravigliosi, anche se non sapevano non complicare la vita di tutti coloro che stavano loro accanto, aveva dei poteri che forse non lo rendevano più ‘speciale’ di chiunque altro, ma che erano i suoi, come le mani, o i piedi. Aveva un lavoro, per il quale *non* lo pagavano affatto ma che lo faceva stare bene, e si sentiva protetto tanto quanto proteggeva gli altri. Si lamentava spesso del suo ‘capo’ anche se sapeva benissimo che il Professore era la persona migliore che mai avrebbe potuto incontrare.

 

E sapeva che aveva la vita *migliore* che chiunque avrebbe mai voluto avere per sé: una vita che lo faceva sentire utile, amato, unico. Che lo rendeva felice.

 

Nonostante tutto.

 

Aveva avuto paura. Più di quanto ne avesse mai avuto in tutta la sua vita: aveva sempre rischiato molto, con la sua solita incoscienza, ma era lui. I ragazzi erano un’altra cosa, e non l’aveva mai saputo fino a quell’istante in cui aveva *saputo* che avrebbero potuto davvero far loro del male. Molto male.

 

Avrebbe voluto potersi mettere in un angolo e piangere: stare lì, prendere in braccio il suo furetto e chiudere gli occhi, far finta che nulla fosse accaduto, che nulla sarebbe mai accaduto. Dove avesse trovato la forza per stare in piedi, per essere d’aiuto non lo avrebbe mai saputo neppure immaginare. Ma sapeva bene cosa provava adesso.

 

Troppe volte aveva vissuto sulla sua pelle ‘il giorno dopo’: gente che moriva, gente che era morta, e lui che non possedeva più lacrime da versare, una stanchezza soverchiante che non permetteva neppure più di dormire, qualcosa di così sconvolgente da mettere sotto sopra ogni singola fibra del proprio essere, e la consapevolezza che comunque si sentisse lui, da qualche parte stava succedendo *qualcosa*, che qualcuno aveva probabilmente bisogno di lui o che..

 

Aveva incrociato Logan nel corridoio: anche se Bobby sapeva di sembrare un ragazzino, e sapeva ancora meglio che troppo spesso si comportava davvero come se lo fosse ancora, aveva a *viva forza* imparato a riconoscere l’odore del sangue, della violenza. Conosceva lo sguardo che aveva addosso Logan, e sapeva cosa significava.

 

Li aveva trovati.. e li aveva uccisi.

 

Logan era Logan, e Bobby sapeva che non era un pazzo sanguinario, una bestia selvaggia e stupida, ma i ragazzi.. se aveva trovato i colpevoli era certo che nessuno al mondo avrebbe potuto fermarlo e, per quanto lo riguardava, di certo era stato troppo gentile con quegli assassini schifosi. Ma sentiva l’odore del loro sangue sulle sue mani, e quello gli aveva fatto male. Fisicamente: era stato come uno schiaffo, come..

 

Bobby si sentiva davvero stupido, e vuoto. Aveva paura, ed era stanco. Avrebbe voluto.. chiuse gli occhi.

 

“Remy?”

 

Oui Bobby?”

 

“Tu credi che adesso.. che staranno tutti bene? Insomma, che..”

 

Sentì la mano di Remy sfiorargli i capelli, il lento respiro di Pulce fra le braccia: bastava così poco a farlo sentire bene. Perché il mondo era pieno di gente pronta a buttare all’aria tutto quello per follia? Per furia o rabbia? Perché, per un po’, non si poteva essere semplicemente..

 

“Hai fatto un gran lavoro, mon coeur. Forse dovresti dar retta al dottore, e prendere un paio di pastiglie per cercare di riposare un po’: sono certo che ti farebbe solo bene. Domani mattina, col sole, tutto ti sembrerà.. un po’ meno pesante.”

 

Era una speranza pallida, pallidissima, e chissà, si chiese Robert, se se l’era inventata solo per lui, lì sul momento, o ci credeva davvero?

 

“Non voglio dormire! – si sentì disperato, davvero – E se i ragazzi avessero bisogno di me? E se loro non fossero stati tutti messi.. fuori combattimento da Logan? E se..”

 

Singhiozzò. Lasciò che Remy lo abbracciasse e per un lungo istante non riuscì a fare altro che obbligarsi a respirare mentre la testa gli girava, folle, come una trottola impazzita, e la paura, il dolore..

 

“Robert..”

 

Com’era dolce la voce di Remy, quando cercava di quietarlo in quel modo! Com’era caldo e avvolgente il suo tono, e la sua vicinanza che pareva, da sola, poter mettere tutto a posto. A volte vivere in una finzione sembrava un’opzione deliziosa, se non l’unica percorribile per non impazzire.

 

“E se.. se tornasse JP?”

 

Silenzio.

 

“Lo sai che non tornerà.”

 

Bobby scosse appena il capo, prendendo un profondo respiro. Sembrava un ragazzino, a volte si comportava come se lo fosse stato ancora, e forse lo *era* davvero. Ma sapeva le cose, le vedeva.

 

Le *sentiva*.

 

“Io so solo che, quando lo farà, sarà col cuore a pezzi. E che non potrà stare da solo..”

 

“Non si lascerà vedere, allora, lo conosci.”

 

“Non per questo lo lasceremo da solo.”

 

“Lo so. – un sospiro, un bacio appena sulla fronte – Non lo lasceremo da solo, ma tu ora devi dormire.”

 

Forse Remy avrebbe aggiunto altro, ma quando i suoi occhi rossi come sangue appena versato incontrarono lo sguardo del suo compagno, non poté fare altro che tacere.

 

“JP.. Pietro tornerà con lui, vero?”

 

Non una domanda: una richiesta di.. essere consolato. Dolore che si faticava ad esprimere, e molto altro, troppe cose che dolorosamente trovavano la luce.

 

Entrambi ricordavano cosa aveva ringhiato Logan, l’ultima volta che avevano toccato quell’argomento. E sapevano che Robert ci sarebbe stato male per settimane se non fosse esplosa una bomba nella palestra, eppure..

 

‘Pietro è un bastardo, non farà che strappare il cuore a Northstar. Uno così non sa fare altro che spargere dolore. È meglio che crepi.’

 

Non era vero. Bobby non ci credeva, non ci *voleva* credere. E non perché fosse un inguaribile ottimista convinto che a nessuno bisognasse augurare la morte, ma perché aveva visto gli occhi di JP quando, una volta sola, si era permesso di parlare di Pietro, di fronte a lui. Lo sapeva bene che essere innamorati era difficile, e doloroso, anche, ma la luce dentro di lui, in un istante, gli era sembrata la cosa più bella che avesse mai visto e non poteva pensare che uno spettacolo simile nascesse davvero dalla visione di.. di una persona così marcia e brutta, come la vedeva Logan.

 

Lui credeva che JP, semplicemente, potesse vedere delle cose di Pietro che a tutti loro erano precluse, che probabilmente non avrebbero mai potuto immaginare, e che forse, Pietro era davvero quella *fonte* di luce e gioia e calore, o lo avrebbe potuto essere, anche solo per JP. Dopo tutto era quello l’amore, era quello: vedere e comprendere, senza motivo, senza spiegazioni. Era quello che era successo tra lui e Remy, non poteva essere solo un caso.

 

Logan, semplicemente, lo odiava. Odiava Pietro, il legame che manteneva vivo con la sua sola presenza, con suo padre, odiava il suo ingombrante passato, i suoi occhi, probabilmente, e quel qualcosa di oscuro e profondo che gli si agitava, nervoso, sotto la scorza dura e indifferente, fredda, che mostrava la mondo. Anche Logan, come JP, guardava Pietro, e vedeva qualcosa che era solo suo, qualcosa che nessuno di loro riusciva ad intuire.

 

Forse aveva ragione Logan, era vero, ma se sarebbe stato corretto concedere al loro amico il beneficio del dubbio, perché non farlo pure con JP? Perché non poteva essere il secondo ad aver visto *davvero*, e aver compreso? Perché Pietro non avrebbe potuto essere.. solo un uomo, come tutti loro, pieno di difetti e di qualche pregio, che aveva, da qualche parte, una persona giusta per lui? Perché condannarlo a priori per .. per suo padre?

 

Non era giusto.

 

Una persona poteva essere stato un criminale, ma gli avevano insegnato che esisteva la redenzione: quando Robert era furioso non ci credeva, ma se ci pensava nel silenzio della sua propria stanza, *sapeva* che qualcosa di vero, in tutto quel discorso doveva esserci. Era vero: le persone non potevano diventare diverse da quello che erano, ma si poteva imparare  a non compiere più gli stessi errori: lui l’aveva fatto, e anche Remy e.. e chissà quanti altri.

 

Perché non Pietro? Se poi si potesse considerare un ‘errore’ essere il figlio di qualcuno..

 

Magneto era un criminale, e questo lo sapevano tutti, pure recidivo, e *matto*, ma Robert a volte ci aveva pensato a quello che avrebbe dovuto essere, crescere con un padre del genere: e aveva scoperto che, forse, Pietro era più *bravo* di quello che sarebbero stati molti di loro, obbligati a sopportare la stessa situazione. Obbedirgli quando era stato un ragazzino? La giovane età, è vero, non sempre cancella la responsabilità delle azioni, ma Pietro non aveva mai preteso che essa fosse un alibi, né che qualcuno gli levasse di dosso la colpa. Aveva passato metà della sua vita a cercare di rimediare a quello che aveva fatto e, se pure il suo carattere non lo portava a mostrare il suo dolore, Robert non riusciva a credere che tutto quello che aveva fatto fosse solo per .. egoismo, od orgoglio.

 

Pietro *era* orgoglioso. Terribile e freddo, sembrava sempre indifferente, e troppo duro. Ma non aveva mai messo in mostra le sue azioni, la sua fatica, le frustrazioni, il dolore che aveva dovuto provare: e quanto doveva essere *duro* per un uomo orgoglioso ammettere di avere sbagliato? Pietro l’aveva fatto molte volte, ogni volta, almeno, che arrivava ad una chiamata di Charles, quando gli diceva di sì, anche quando la pensava in un'altra maniera, anche quando lavorava per un governo che non gli aveva mai resto le cose più semplici o quando, solamente, si era rifiutato di prendere le scorciatoie che gli venivano offerte per pulirsi al coscienza.

 

Robert non aveva mai compreso davvero la furia iconoclasta, quasi, di coloro che come Pietro, parevano volersi mettere sulle spalle tutti i mali del mondo, e vivere espiandoli, però Pietro non era suo padre..

 

O forse: era più *simile* a suo padre di quanto chiunque mai avrebbe osato ammettere, ma non era *cattivo*: perché lo sentiva, e perché sapeva che JP si era innamorato, e che nessuno poteva amare davvero la cattiveria.

 

“Voglio che viva, Remy. Non voglio che JP soffra.”

 

“Nessuno di noi lo vuole.”

 

“Lo so.”

 

Bastava una volontà a salvare la vita di un uomo? Bobby si sforzò di guardare ai pochi giorni appena passati: lì, la volontà di pochi avevano davvero *salvato la vita* a molti. Quello, e un po’ di fortuna.

 

Quella notte, dunque, prima di dormire, avrebbe pregato un po’. Magari era solo una perdita di tempo, ma, dopo tutto, male non avrebbe fatto.

 

“Remy? Le hai tu le pastiglie che mi ha dato Hank per dormire?”

 

___ CONTINUA..