NOTE: E’ ilseguito’ di STELLA DEL NORD, che potete trovare sia sul sito dell’Ysal che sul mio http://www.dhely.altervista.org.

 I pg non mi appartengono, ma sono della Marvel (e sono pure un po’ OOC.. ma, veramente, non è che uno possa scriverli davvero IN character visto che pure loro ne cambiano le caratteristiche una volta ogni due mesi.. per non parlare del colore dei  *capelli*, cosa che dovrebbe più semplice da tenere a mente, penso!! Sig.)




Neve e ghiaccio

parte X

di Dhely


Per Jean Paul volare era semplice quanto respirare. Non doveva neppure concentrarsi, bastava pensarlo appena e i suoi piedi si sollevavano dal suolo senza la minima fatica. Era bellissimo, incantevole. Volare, per lui, era quasi la panacea per ogni male, era meraviglioso, lo rilassava, lo faceva sentire a posto: l’aria sul viso e tutt’intorno e quel qualcosa che aveva dentro che lo rendeva così leggero da poter muoversi sulle correnti e su ogni alito di vento.

 

Da così in alto il mondo assumeva una patina particolare, tutto sembrava pulito e scintillante, come se fosse appena nato e su di esso brillasse il primo sole. E poi l’aria era pulita, rarefatta, inebriante come il miglior vino, meglio, anzi. Molto meglio. Non esisteva nulla d’altro al mondo, di così..

 

Ora non esisteva nulla del genere: né l’emozione primigenia di volare, né il desiderio infinito di farlo, e di continuare a librarsi, senza meta, senza scopo. Non c’era eccitazione, desiderio, piacere, non c’era lo sciogliersi struggente nel flusso del suo potere che faceva, in qualche modo, rarefare le molecole del suo corpo e lo rendeva più leggero dell’atmosfera intorno. Non esisteva più nulla di simile.

 

Solamente l’eco delle parole di Remy.

 

Meglio: *una* parola sola, che galleggiava lì, sulla soglia appena della comprensione, e che non voleva assimilare, ma che, insieme, non poteva dimenticare, non poteva cancellare.

 

Morte.

 

La morte era un concetto fondamentale, per quelli come lui. Chi era un soldato, in fondo, viveva con la convinzione che avrebbe potuto facilmente morire in missione, o in seguito ad essa. Era normale, era ciò a cui tutti loro erano pronti, in qualche modo. Ognuno rischiava di morire ogni istante della propria vita, chi aveva da svolgere un *lavoro* pericoloso vedeva solamente aumentato questo rischio all’ennesima potenza.

 

Quante persone Jean Paul aveva visto morire? O aveva saputo essere morte? Quante erano partite, semplicemente, un giorno, e non erano più tornate?

 

Razionalmente era tutto ragionevole ed era tutto corretto: anche ‘giusto’, in una strana visione delle cose.

 

Ma dentro di sé sapeva bene che Pietro *non* poteva morire.

 

Jean Paul non *voleva* che morisse, e questo suo desiderio ora gli pareva sufficiente perché divenisse un ordine da impartire ad un destino che non sapeva se esistesse o no. Un desiderio forse, non bastava a cambiare le leggi della fisica, la continuità dello spazio-tempo, ma il suo cuore gli diceva altrimenti.

 

Avrebbe dovuto starsi preoccupando, forse, di cosa gli avrebbe detto nel momento in cui ce l’avrebbe avuto davanti agli occhi, di come avrebbe fatto a staccarsi la lingua incollata al palato per .. parlargli, dirgli quello che doveva, anche se non conosceva neppure mezza parola che sarebbe servita allo scopo. Però non l’aveva ancora trovato. Non sapeva neppure *dove* trovarlo.

 

Se l’avesse *potuto* trovare.

 

Dio.

 

Non conosceva *nulla* di Pietro. Aveva lavorato mesi con lui, aveva stampato in mente ogni singola espressione del suo viso, ogni gesto, ogni cenno.. si erano parlati, aveva strappato da quelle labbra alcune ammissioni, lievi confessioni senza importanza: quando gli aveva parlato di sua figlia, quando gli aveva accennato di sua moglie, piccole sfumature del rapporto che, adamantino, si dipanava tra lui e sua sorella. Aveva assaggiato il suo sapore, s’era impregnato del suo aroma, l’aveva baciato e toccato, l’aveva amato fino a morire sul suo corpo, troppo bello per essere vero, si era lasciato amare, aveva costruito il suo piacere a tempo con quello di Pietro e i loro cuori avevano battuto all’unisono, avevano gemuto nello stesso istante, si era ubriacato alla vista del suo orgasmo e..  ma ora, anche se ne fosse andato della sua stessa vita, non avrebbe saputo dire dove avrebbe potuto essere.

 

Non alla base dei Vendicatori, altrimenti se ne sarebbe andato con un mezzo governativo. Da sua moglie? Se fosse stato così, su un altro pianeta, e ovunque si trovasse, nell’universo, il pianeta Attilan non riusciva proprio ad immaginarlo, non avrebbe *mai* potuto raggiungerlo.

 

Ma poteva essere ovunque, pure sulla Terra,  e anche se Jean Paul poteva volare, e muoversi ad una velocità impressionate, quanto tempo ci avrebbe messo a  setacciare tutto il pianeta in cerca di un uomo solo? E l’avrebbe mai trovato?

 

Non sapeva se sarebbe sopravvissuto a questo fallimento. Non poteva lasciarlo andare, ora. Non così. Aveva troppe cose da dirgli, esistevano troppi riflessi sul fondo di quegli occhi così chiari che non aveva ancora intuito, che non riusciva neppure ad immaginare potessero esistere.

 

Mancava il fiato a pensarci, il mondo gli si oscurava di fronte gli occhi e tutto si dimostrava essere vuoto, e grigio e triste e impossibile da sopportare..

 

Non sapeva come, né dove, ma *doveva* trovarlo.

___

 

L’infermeria della scuola era sempre la stessa, da mesi, da anni. Mc Coy l’aveva costruita, migliorata, resa più efficiente, resa all’altezza di qualunque aspettativa si potesse avere verso il primo, serio centro medico per mutanti. Ma Xavier *conosceva* quel posto.

 

Ricordava com’era nato, quando era solo un ammasso di computer, con i cavi di collegamento che intralciavano i passi e i letti, che erano solamente barelle, lasciate di lato, come se non ci fosse tempo di curare in maniera *normale* i mutanti feriti.

 

Ora era tutto differente. Ora poteva essere davvero considerato un luogo moderno, all’avanguardia. Il meglio del meglio. Eppure il bianco era sempre quello, asettico e odoroso di medicinali, di.. sangue, dolore, morte. Forse era solo una deviazione, quella, data dal suo potere telepatico. Come distinguere le sensazioni dategli dai suoi cinque sensi primari, e tutto quello che la sua telepatia, che la sua sensibilità interiore gli riversavano dentro? Tanto dolore, tante lacrime.

 

E quel qualcosa che solitamente gli stringeva sì il cuore, ma che riusciva a dominare, ora era una lama di luce e pena, grondante veleno e ghiaccio, inficcata con violenza nel costato: era.. era un letto sfatto, le lenzuola bianche appena abbandonate di lato, e una divisa.

 

Blu notte e argento, il segno scintillante di un fulmine luminoso a dividere in due un corpo che, ora, non riempiva più quella stoffa, non la obbligava più a tendersi, e muoversi, brillando qua e là nell’infinita marea dei secondi che scorrevano, nel tentativo supremo di emularli, di superarli.

 

Argento e blu notte, un tessuto di molecole instabili per sopportare la sua velocità, un paio di stivali fatti di qualche materiale assurdamente avanzato. Niente armi, perché Pietro, Quicksilver, non n’aveva mai avuto bisogno, perché il suo corpo veloce più del pensiero poteva essere l’arma più pericolosa di quella che chiunque avrebbe potuto immaginare.

 

E: un paio di guanti.

 

Di semplice pelle, leggeri. Uno argento, l’altro blu notte, in modo da seguire i colori della divisa. Dei guanti che Pietro, Quicksilver, non aveva mai abbandonato da.. quanto tempo era passato? Quicksilver era stato se stesso *con* quei guanti addosso, da quando era accaduto..

 

Quicksilver: il nome chimico del mercurio. Il mercurio era bello da guardare, incantevole, una rarità fra i metalli: liquido a temperatura ambiente, argentato, denso, pesante sulla pelle. E velenoso, intossicante. Pietro non avrebbe potuto scegliere, per se stesso, un nome in codice migliore.

 

Meglio: suo *padre* non avrebbe potuto scegliere un nome migliore per questo suo meraviglioso figlio, nervoso e instabile, rapido e argenteo, un lampo di luce bianca che solcava il mondo ad una velocità tale da non lasciare immagine di sé, alle sue spalle, ma che non poteva che affascinare, ammaliare, legare a se spiriti e sguardi, immagini e desideri.

 

Uno che era fatto solo per essere guardato ma che non poteva essere toccato, senza correre il rischio di intossicare chiunque l’avesse fatto, di morire al suo contatto. Quegli occhi troppo vicini, quella bocca, quel corpo.. mercurio, mercurio liquido e pericoloso, non ancora ossidato, che poteva penetrare nei pori della pelle, che poteva essere respirato, che poteva essere assimilato a livello molecolare e che poteva uccidere. Uccidere un cuore, di sicuro.

 

Charles allungò le mani e fece per sfiorare quei guanti: li sapeva morbidi e confortevoli. Li sapeva indispensabili per non mostrare al mondo il dolore che Pietro celava dentro di sé, il marchio della sua appartenenza, un legame che per tutta la vita si era sforzato di combattere e di annullare, ma che era lì, sempre lì. Con lui. Dentro di lui.

 

Un veleno che avvelenava il mercurio stesso, che lo rendeva schiavo, che lo rendeva opaco, ossidato.

 

Allungò le mani, Charles, ma le dita tremarono un attimo prima del contatto e si ritrasse. Troppi ricordi, troppe immagini. Troppi pensieri, ricordi, sensazioni. Troppe cose provenienti da un passato così terribile che aveva cercato, almeno per mille volte, di cancellare, ma che non poteva, né ora né allora.

 

, forse, mai.

 

Mai.

 

Le sue mani si sollevarono, posandosi sul suo viso. Chiuse gli occhi, come se, per un instante, il suo non vedere sarebbe potuto bastare a cancellare tutto: il dolore che possedeva dentro, il ricordo che lo mangiava vivo.

 

E quel paio di guanti rimase là, appoggiato sulla divisa perfettamente piegata su un letto sfatto, intoccato e intoccabile. Un involucro vuoto che non riportava alla mente altro che vuoto, altro che mancanza.

___

 

Jean Paul abbassò lo sguardo sull’asfalto grigio e si ritrovò a sbuffare, preoccupato.

 

Stava per arrivare la primavera, ma lì a New York l’aria era fredda anche se prometteva in ogni modo lo spuntare delle prime foglie sugli alberi, lì a Central Park.

 

La gente gli correva attorno, indifferente, piena di problemi, pensieri, idee che non avrebbero mai potuto interessarlo. Che probabilmente mai l’avrebbero sfiorato, né, nonostante tutto, avrebbero davvero potuto.

 

Aveva provato alla base dei Vendicatori e ovviamente non l’aveva trovato. Poi era stato all’aeroporto dove aveva estorto un’informazione che non avrebbe dovuto avere: un’hostess di terra, incantata dai suoi modi affabili e dai suoi occhi grigi, che sapevano essere terribilmente sensuali quando era necessario, gli aveva detto che sì, quella mattina era arrivato un passeggero che somigliava alla descrizione che lui gli aveva fatto. Ma aveva richiesto un biglietto aereo per un posto che lei, sinceramente, non sapeva neppure dove fosse, e, comunque non c’erano posti disponibili fino alla settimana successiva.

 

Se n’era andato, e ‘dio, era proprio un bel ragazzo, sa? Ma non ha sorriso neppure una volta, sembrava .. no, non arrabbiato per il volo, ma molto triste. Ha detto una cosa tipo: sono arrivato tardi.

 

Jean Paul l’aveva ringraziata appena, e poi non l’aveva più degnata d’un secondo sguardo.

 

Pietro era stato in aeroporto e poi era ritornato in città. Probabilmente. O magari aveva affittato una macchina ed era andato chissà dove, o, magari, stava passeggiando lì da qualche parte..

 

Poteva essere ovunque e da nessuna parte allo stesso tempo, eppure lui non lo avrebbe saputo. Non *poteva* saperlo.

 

Che volesse prendere un volo per chissà dove, poi, non lo aveva neppure sospettato. Dopo tutto *non* lo conosceva. Non sapeva dove avrebbe voluto essere, ora, al posto che *lì*.

 

Dopo tutto era solo.. solo *andato a letto* con Pietro. Non aveva fatto, con lui, né più né meno di quello che aveva fatto con centinaia di altri ragazzi, di altri uomini. Non era successo nulla di diverso, di strano, eppure.. eppure ora era tutto differente. Non aveva mai cercato un amante la mattina dopo un amplesso, non gli era mai importato niente di quello che potesse accadere ‘in seguito’. Anzi, chiunque avesse avanzato pretese verso di lui in quel senso, era sempre stato trattato peggio di quanto fosse riuscito a fare.

 

Jean Paul era un uomo libero e ne era sempre stato orgoglioso. Non credeva nella monogamia a tutti i costi, anzi, non credeva neppure nella monogamia in sé. Non aveva mai avuto bisogno di esser insieme con qualcuno per sentirsi bene, a posto. Completo.

 

Tutte quelle chiacchiere sui colpi di fulmini, sull’innamoramento, su trovare la ‘propria metà’ per realizzarsi davvero: non ci *credeva*.

 

Ed ora era lì, in uno schifoso parco pubblico, luogo che solitamente odiava per principio, a tormentarsi, domandandosi dove potesse essere un uomo che non gli doveva dei soldi, che non gli aveva rubato chissà che affare.. solo: gli *mancava*.

 

Aveva *bisogno* di Pietro.

 

Aveva bisogno di vederlo, di sapere che.. che stava bene. E se sarebbe morto davvero, cosa che non riusciva a credere, ebbene, avrebbe voluto farlo sentire a suo agio, voleva dargli il suo calore, voleva che il gelo in cui Pietro era perennemente avvolto non gli avvelenasse più l’anima: bastava che durasse anche pochi giorni, poche ore, gli sarebbe bastato. Aveva *bisogno* di Pietro, oh Dio, lui che non aveva mai avuto bisogno di nulla escluso se stesso.. doveva trovarlo.

 

Non poteva lasciarlo andare via così. Solo l’idea gli faceva mancare l’aria nei polmoni, lo faceva impazzire.. e Jean Paul lo sapeva che non era un comportamento ragionevole, però non poteva farci nulla, non sapeva come convincersi che la sua vita sarebbe andata avanti anche se non l’avesse trovato. Che avrebbe benissimo *potuto* non trovarlo e.. lo sapeva benissimo che il suo atteggiamento era stupido, infantile! Era assurdo.

 

Avrebbe dovuto vergognarsi di se stesso.

 

Ma anche per la vergogna, ora, non trovava uno spazio adeguato, dentro di sé.

 

C’era solo la paura, il vuoto, e i passi che gli rimbombavano dentro, seguendo tracciati invisibili agli occhi di ognuno, ma presenti solo al caso, e al suo spirito. Forse.

 

Forse.

 

Jean Paul si ritrovò a sorridere mentre si fermò, immobile, di fronte a .. a un palazzetto del ghiaccio. *Quel* palazzetto. Dove si erano incontrati, quasi per sbaglio, la prima volta. Dove si erano scambiati le prime parole. Dove..

 

Dove Pietro non avrebbe potuto esserci.

 

Perché avrebbe dovuto essere lì?

 

Non c’era alcun motivo perché potesse trovarlo in quel posto: i cancelli erano aperti, un paio di pulmini scolastici erano parcheggiati, insieme a una decina di altre macchine. Dall’interno arrivavano i suoni rimbombanti della musica e le tante urla, le risate di ragazzini, il fischietto degli allenatori.

 

Era tutto alieno, diversissimo da quella sera: mancava l’atmosfera, mancava la solitudine, il silenzio. E poi.. poi, Jean Paul, aveva associato a quel posto una sensazione di vicinanza silenziosa che riguardava solo loro due. Se Pietro fosse stato lì, sarebbe stato perché stava aspettando *lui*.

 

E Pietro non aveva alcun motivo per aspettarlo.

 

Socchiuse gli occhi e prese un respiro.

___

 

Era stato lui a dirlo a Remy. Il coraggio era ben differente che affrontare dei nemici sanguinari in campo aperto: il coraggio era vivere. Era prendere in mano il proprio cuore e mostrarlo a chi occupava già quel cuore, e donarglielo, correndo il rischio non solo di essere rifiutato, ma di essere ferito, fatto a brandelli, fatto soffrire in una maniera impossibile da dire. Correre il rischio consapevolmente, e farlo con un sorriso.

 

Socchiuse gli occhi: non si era immaginato che, da quella vetrata, di giorno, sarebbe potuta entrare così tanta luce, anche se grigia, perlacea. Anche se fuori non c’era un cielo incantevole e azzurro come una placca di maiolica smaltata e il sole s’intravedeva appena oltre il velo denso e continuo delle nubi.

 

Ai suoi piedi, giù nella pista, il ghiaccio scintillava bianco e grigio. Non era il ghiaccio che conosceva lui. Non era il ghiaccio delle alte latitudini, quando esso si formava naturalmente ed era bello e selvaggio, dai bordi frastagliati e taglienti, così assolutamente freddo come mai nessun aggeggio umano avrebbe saputo crearne uno uguale. Quel ghiaccio non era trasparente, era bianco, e aveva un odore strano, sapeva di.. di chiuso. Innaturale. Artefatto e artificiale.

 

In fondo quella pista non serviva per essere contemplata, ma perché fosse utilizzata. Lame di metallo ne solcavano la pelle senza strapparne gemiti di dolore, forse proprio perché quel ghiaccio non era mai stato vivo.

 

Era tutto molto triste.

 

Jean Paul percorse, in silenzio, le gradinate di cemento, sbrecciate dall’uso, cercando l’angolo *giusto*. L’angolo perfetto, da dove avrebbe potuto guardare l’Houdston e insieme la pista, con quella precisa prospettiva che si ricordava bene. Benissimo.

 

Era stupido: lì dentro c’era troppa gente. Pietro non amava la gente. Lui non amava la gente. La folla. Il caos. La musica troppo alta e troppo dozzinale. I ragazzini che urlavano. Le mamme che ridevano.

 

E lui, solo e vuoto.

 

Come era sempre stato: no, non era una sensazione nuova, per lui, solo che adesso tutto gli pesava addosso con una differente intensità, con un nuovo valore, mostrando un diverso significato.

 

Si lasciò guidare dagli occhi, dalla vista che si stendeva appena oltre l’ampia vetrata, annullando ogni altro senso, cercando il posto esatto, come se quello avrebbe potuto essere.. una consolazione, sì. Non poteva essere altro e non poteva essere *di più*, ora.

 

Vagò per istanti che gli parvero eterni, come se stesse camminando tra i filari di cipresso di un grigio cimitero freddo. Fino a che non fu come trovare la lapide invisibile che cercava.. e si sedette.

 

Chiuse gli occhi, ora, e lasciò che il passato gli rivivesse dietro le palpebre. Il ghiaccio silenzioso, scheggiato ed echeggiante di singhiozzi non versati sotto di loro, i gradoni di cemento, brutti e impersonali, che crollavano a picco su quel lago ghiacciato che aveva brillato al tocco della luna come se fosse vittima di una malia incantata. Era stato tutto un sogno, probabilmente. Forse si era sbagliato, forse aveva vissuto solamente un sogno, un qualcosa di non reale, forse..

 

Il freddo intorno a lui crebbe, come a voler pareggiarsi, quasi, al ghiaccio che si sentiva dentro, bastante a fargli fermare il cuore in petto. A rendere i suoi sogni, i suoi desideri, ghiacciati, pronti a crollare in frantumi al primo sospiro: una cascata di diamanti pronti a sciogliersi al primo tepore primaverile, che non sarebbe provenuto da lui, in un tintinnare infinito d’arcobaleni scheggiati.

 

Qualcosa lo strappò da quei suoi pensieri, e Jean Paul si sentì offeso, irritato e defraudato da un pensiero prezioso, che doveva essere suo, e sacro. Dove nessuno poteva entrare, dove nessuno avrebbe dovuto..

 

Un corpo caldo, accanto al suo.

 

Caldo.

 

Un tepore che .. che *ricordava*, nonostante lo strano abbigliamento, la giacca di pile scura, le maniche lunghe, a coprire per tre quarti le dita chiare e un paio di normalissimi jeans.

 

Jean Paul non sollevò lo sguardo, ma per poco sorrise.

 

“Pietro..”

 

Provò, sussurrando appena il nome scivolatogli fuori dalle labbra, sperando che, se non fosse stato lui, che se si fosse sbagliato, non sarebbero arrivate domande su domande, e spiegazioni imbarazzanti che non voleva dare.

 

Invece.

 

“Credevo di poter stare solo, qui.”

 

Un piccolo sorriso che si scambiarono in silenzio, un ghigno nascosto, che conoscevano solamente loro. Un sussurro senza un vero significato, forse.

 

Ma era lì. Pietro era lì con lui. Era lì.. come se lo stesse aspettando.

 

“Non potevi credere davvero che non ti avrei trovato, qui, vero?”

 

Un nuovo sorriso, e questa volta ci fu coraggio bastante per sollevare gli occhi e posarglieli negli occhi. Un pallido sorriso su quel viso troppo stanco, ora, provato, ma candido, bianco e luminoso come sempre se l’era sognato.

 

“Già. Ho fatto male i miei conti, pare.”

 

Non c’era reale convinzione nelle sue parole. Jean Paul si sentì rilassare, per un attimo.

 

Era lì, con lui.

 

E lui gli stava parlando.

 

Avevano tempo, potevano avercelo, ora. Avevano una possibilità e non l’avrebbe sprecata.

 

Qualcosa di forte gli si gonfiò in cuore e si ritrovò a sorridere di nuovo: un sorriso in grado di rivaleggiare col sole in ferragosto. Pietro lo fissò e si ritrovò a guardarlo stupito, un po’ lontano, dubbioso.

 

Ma, in quel momento, quella reazione non aveva alcuna importanza che andasse oltre la splendida espressione che dipinse sul viso di Pietro: ed era qualcosa di così impagabile da poter lasciare tutto il mondo senza fiato.

 

Ed era solo per lui.

 

___ CONTINUA..