Memories of The Lost Time

 

parte III

 

di Castalia Rimu




Mi svegliai nel letto di Mick. Un panno bagnato mi era stato appoggiato in fronte. Goccioline d'acqua mi scorrevano lungo il viso, altre lungo il collo. La stanza era illuminata solo dalla debole luce della abat-jour. Rimasi a guardare il soffitto con la mente completamente vuota per minuti, forse ore.
La sveglia sul comodino segnò le 15.30 con un suono acuto e prolungato. In quel preciso istante, Michael entrò nella stanza.
- Alex?- Chiese piano.
- Alex, sei sveglio?- Chiese poi con un tono un po' più alto.
- Non c'è bisogno che alzi la voce, ti sento benissimo…- Dissi. Lui mi si avvicinò e si sedette al mio fianco. Mi posò una mano sulla fronte, dopo che ebbe spostato il panno.
- La febbre è passata. Sai da quante ore sei rimasto svenuto?- chiese pacatamente.
- Abbastanza per sentirmi come un panno appena strizzato…-
- Mmmh… -
- Cos' hai da mugugnare?-
- Solamente mi sarei aspettato un altro genere di risposta. O meglio, una domanda. -
- Tipo?-
- "Perché?" o " Come?" o…-
- Sì, ho capito. Adesso taci per favore…-
- Non eri tu quello che voleva conoscere tutta la verità…-
- Vuoi chiudere quella bocca?!-
-… e che era pronto al peggio?-
- La mia concezione di "peggio" non arrivava certo a questo!- Non rispose e rimase a fissarmi intensamente. Sentivo la rabbia crescermi dentro come mai nella mia vita.
- Se sei venuto qui per stuzzicarmi e divertirti di tutta questa dannatissima situazione, farai meglio ad andartene prima che ti prenda a pugni!- Sbraitai. Poi sentii di botto tutta la stanchezza e l'indolenzimento scorrermi nelle vene. Mi venne il fiatone.
- Farai meglio tu a darti una calmata, o sverrai di nuovo. - Disse lui col suo solito tono pacato. Mi accasciai rilassando ogni muscolo nel morbido calore delle coperte e del cuscino.
- Mick?-
- Mmmh?-
- Davvero mio padre non ti disse altro a riguardo?-
- No. -
- Dannazione…. Dannazione…Dannazione…- Sibilai. Detestavo ridurmi in stati così pietoso da portarmi persino alle lacrime. E' la cosa più umiliante che ci possa essere. Dove sta scritto che piangere aiuta a sfogarsi?
Michael si chinò su di me, mi mise una mano sotto la schiena e mi sollevò a sedere, lasciando che la mia testa si posasse sulla sua spalla.
- Mi dispiace Alex. - Disse.
- Oddio…Oddio…- Mugugnai tra i singhiozzi. Il piangere mi sfinì a tal punto, che, ancora con gli occhi bagnati, mi addormentai con la testa appoggiata alla spalla di Mick.
Il mattino seguente non andai a scuola. Vagai per la casa come un fantasma, non percependo alcuna sensazione. Passai tutto il pomeriggio seduto in poltrona ad ascoltarmi vecchie cassette Jazz di mio padre. Non profferii parola. Rimasi completamente in silenzio sotto lo sguardo pacato di Mick, il quale si limitò solamente a rivolgermi qualche parola per quanto riguardava la cena.
Solo la sera dopo cena ci fu un vero e proprio dialogo tra noi. Molte cose dovevano ancora accadere, molte delle quali spiacevoli, estremamente spiacevoli, ma in un certo qual modo, utili per dimenticare.
Dunque, quella sera Mick ricevette una telefonata da Manhattan (almeno così mi pare di ricordare…), riguardo una nuova proposta di lavoro. Il cliente, però era molto particolare. Si trattava infatti di una vecchia amica d'infanzia di Michael, che a causa della tipologia del suo lavoro molto simile a quello di Mick, era tutt'ora sotto il mirino di un'organizzazione che raffinava e spacciava oppio. Perché? Beh, un cliente di questa donna le aveva dato l'incarico di infiltrarsi nell'organizzazione ed ucciderne il giovane capo che aveva ucciso sua figlia dopo averla brutalmente violentata.
Certo un'azione disperata, ma comunque accettata. Morale della favola, la giovane non era riuscita nel suo intento, poiché, data la scarsa esperienza, si era fatta scoprire quasi subito.
Quella ragazza si chiamava Daniela.
La donna si sarebbe fermata a casa nostra la settimana seguente per un paio di giorni, e, dato l'imminente arrivo, Michael mi disse che per quelle due notti, avrei dovuto rimanere negli alloggi degli studenti della mia scuola.
- Ma te lo scordi proprio!-
Gli gridai mentre stava ancora lavando i piatti in cucina.
- Figurati se devo combinare un simile via vai per un paio di notti!-
- Guarda che lo dico per te. Ti ho già spiegato la situazione, no? Se quelli che la cercano arrivassero a questo indirizzo - cosa estremamente probabile - non solo dovrei proteggere lei, ma anche te. -
- Non trovarmi fuori certe scuse! E' una killer o un'impedita la tua amichetta? Oppure hai in mente "altri" programmi?-
Lo dissi, con l'intento di ironizzare, ma la cosa suscitò un netto fastidio dentro di me. E questo mi scombussolava oltre ogni dire.
- Alex, quando ragioni così sembri un marmocchio delle elementari!-
- Tsè! Ma se non hai nemmeno una vaga idea di come fossi alle elementari!-
- E' qui che ti sbagli. Esattamente come sei adesso. -
- Dio, quando parli così mi mandi in bestia…-
- Dici così perché ho ragione. -
- Mick, ti prego…-
- Senti, tornando al discorso di prima, cerca di fare poche storie, il tuo tutore sono ancora io e tu diciotto anni ancora non li hai. Decido io, chiaro?- E detto questo si affacciò oltre la soglia della cucina lanciandomi uno sguardo che non ammetteva repliche. Mi misi a ridacchiare.
- Cos' hai da ridere?-
- Quel grembiulino a fiori ti sta una meraviglia mio caro!-
- Spiritoso…- Detto questo si ritirò di nuovo in cucina. Con un sospiro decisi che sarebbe stato meglio se anch'io me ne fossi andato in camera mia, a finire i compiti di chimica. Raccolsi le mie cose e, mentre mi allontanavo, dissi con un sorriso malizioso stampato in faccia:
- Comunque, sappi che non cambio idea. Ho ceduto la camera in dormitorio ad un mio amico che ne aveva più bisogno di me!-
- Dannazione, Alex!-
"E' facile prevedere le sue mosse", pensai, ridacchiando tra me e me.
La serata si concluse così.
Passò poi la fatidica settimana, senza particolari avvenimenti.
La sera del settimo giorno, io e Michael eravamo in silenzio in salotto, ognuno perso nei propri pensieri. Come al solito, io sulla poltrona, lui sul divanetto. Il ticchettio dell'orologio scandiva i minuti, sembrava, più lentamente del solito. Il silenzio era rotto solo dal nostro respiro.
- Cos' hai?- Chiesi poi io d'improvviso.
- Cosa vuoi dire?-
Volsi lo sguardo verso di lui, che fissava tranquillo un punto indefinito davanti a sé .
- Tu hai qualcosa. Anche se non mi guardi lo si capisce lo stesso. -
Rimase in silenzio.
- Insisto. -
- Non sono tenuto a dirti nulla. -
- D'accordo, come vuoi, però guardami almeno in faccia mentre ti parlo. -
- Guarda che non ti sto ignorando. -
- Andiamo, che anche se ho otto anni in meno di te, non sono stupido. -
- Io non dico che sei stupido, dico solo devi imparare a farti i fatti tuoi.
- Guarda, giuro che non mi permetterò mai più di preoccuparmi per te, anche se dobbiamo condividere la stessa casa e se sei l'unica cosa che posso chiamare famiglia. Promesso! -
- Alex, piantala. Io ti ho semplicemente chiesto di non impicciarti dei miei pensieri. Ti pare esagerato?-
Decisi di non dire più nulla. Non mi aveva guardato un attimo durante tutta la discussione. C'era qualcosa che lo aveva messo in uno stato di grande tensione. Aveva forse a che fare con la nostra inquilina provvisoria?
Passarono due ore, in cui nessuno dei due si mosse o parlasse.
- E' per…come si chiama….accidenti… Daniela…? Che ti sei ridotto ad emanare elettricità come una centrale elettrica?- Stavolta lui si voltò verso di me. Lo sguardo gelido e tagliente come una lama. Mi spaventai.
- Scusa. - Volse lo sguardo verso il basso. Si accasciò contro lo schienale del divanetto con un breve sospiro.
- Alex, ci sono cose che non posso dirti, che sono mie, personali. Se davvero ti preoccupi per me, rispettami. Per favore. - Mi guardò di nuovo, ma stavolta aveva il solito sguardo pacato e pacifico.
- Sì. Sono davvero ancora un marmocchio, mi dispiace. -
- No, non lo sei. -
La sua risposta mi lasciò a dir poco stupito. Volsi lo sguardo verso di lui, ma non era più seduto. Sì era alzato e si stava tranquillamente dirigendo verso il mobiletto dei liquori.
In quel preciso istante, suonò il campanello.
Andai io ad aprire la porta, dato che dopo la seconda scampanellata Michael non aveva dato cenno di voler abbandonare la sua posizione. Come aprii la porta quel che mi trovai davanti mi lasciò senza parole. Una giovane donna sui vent'anni coi capelli color rame e tanti riflessi del color del miele, due occhi di un blu profondissimo da sembrare quasi nero, mi fissava esitante. Se io arrivavo appena alle spalle di Mick, lei gli arrivava a dir poco al mento. Il fisico che sembrava quello di una modella, longilineo e sottile. Mi sentii come una cosa minuscola ed insignificante al suo cospetto.
- Salve. Sono Daniela Lumengreen. E' questo, vero, l'appartamento di Michael Mangel?-
- S-sì.. - Fu l'unica cosa che riuscii a blaterare, prima che lei mi superasse velocemente, abbandonando la borsetta nell'ingresso.
- Mick!!- Urlò slanciandosi verso di lui, che nel frattempo si era spostato all'inizio del corridoio. Si buttò nelle sue braccia, lasciandomi sbalordito.
- Mick… Mick…Mick…- Sussurrò, stringendosi di più a lui.
- Ciao Daniela…- Rispose piano lui.
Pochi minuti dopo, ci trovammo tutti seduti nel salotto, con Daniela seduta al fianco di Michael.
- Allora, questo è Alexander Crimson il figlio del mio ex collega Jeff Crimson che è venuto a mancare poco tempo fa. - Mi presentò così Michael a Daniela. La quale con un sorriso, mi disse:
- Piacere Alexander.Che strano cognome! Devo dire che è piuttosto insolito che sia capitato proprio a chi fa un mestiere come il nostro. Che coincidenza, vero?-
- Era il cognome di mio padre, signorina Lumengreen. - Risposi un po' irritato. Nonostante il suo aspetto, come prima impressione, quella ragazza mi sembrò un po' sciocca. E c'era ancora quel qualcosa di incredibilmente fastidioso che mi agitava dentro, sul quale non riuscivo ad avere controllo.
- Alex non essere scortese. - Mi rimproverò Mick con la sua solita espressione gelida.
- Mi creda, signorina, non era assolutamente mia intenzione. - Dissi freddamente in risposta, rivolgendomi alla nostra ospite.
- Oh…- Fu tutto quello che disse. Non sapevo perché, ma quella donna m'irritava terribilmente.
- Scusatemi ora, ma è meglio che vi lasci soli. Buonanotte. - Nessuno dei due mi rispose.
Mi diressi verso l'ingresso, m'infilai un paio di scarpe da ginnastica, presi un maglione dall'attaccapanni e, chiudendomi la porta alle spalle, mi diressi verso il terrazzo del palazzo.
Il cielo era di un color nero pece, lucido dei riflessi delle luci della città. Un brezza piacevolmente tiepida mi agitava i capelli e le maniche del maglione, appoggiato sulle mie spalle. Inspirai profondamente. Ma cosa m'era saltato in mente di comportarmi a quel modo? "Mah...e che importa, in fondo? Mica sono obbligato ad amarla alla follia, eh!"… Sbuffai… " Non trovare giustificazioni stupide Alexander!Quella ti sta antipatica punto e basta!"…
" Chissà perché poi…" Continuai questo monologo idiota con me stesso per un po'. Poi non riuscendo a trarre alcuna conclusione, smisi di corrucciarmi con un profondo sospiro. Mi misi ad osservare il paesaggio che mi trovavo davanti per un bel po', perdendo la cognizione del tempo.
- Alex, a cosa stai pesando con quella tua testa vuota?-
Era Michael.
Non mi voltai nemmeno, dato che lui stava comunque avvicinandosi a me.
Quando arrivò al mio fianco, risposi:
- A nulla. Osservavo il paesaggio. -
- Per tre ore?-
- Tre ore…?- Risposi quasi biascicando le parole - Proprio non me n'ero accorto…-
- Mi spieghi perché sei stato così freddo con lei?-
- Senti da che pulpito! Mister "ghiacciolo" per eccezione viene dire a me queste cose…-
- Non sei affatto spiritoso. Rispondi alla mia domanda. -
- Ok, ok… Mi ha fatto un po' sentire a disagio trovarmi Naomi Campbel con la pelle bianca in casa…Eh! Poi ti si è buttata addosso a quel modo e questo, devo proprio ammetterlo, mi ha messo ancora più a disagio…- Appoggiai il
mento sul palmo della mano destra e sbirciai la sua espressione con estrema tranquillità. Non ho idea del perché, ma avevo come l'impressione di esser stato anestetizzato in qualche modo da qualcuno… Ero così calmo e rilassato
che non mi rendevo nemmeno pienamente conto di quello che dicevo.Anche perché in effetti quel dialogo senza senso mi stava decisamente annoiando…
- Ti s'è appiccicata come una ventosa…- Mi scappò improvvisamente da ridere, immaginandomi per un attimo quei due in versione "innamorati-senza-speranza", come quelli che si vedono nei vecchi film, in preda alle lacrime per il loro amore impossibile. Ancora in preda ai sussulti del riso, continuai:
- Ha ha… Mpf… Avreste proprio dovuto vedervi…!- Lui non fece nemmeno una piega, come al solito.
Quella sera dovevo proprio essermi rimbambito…Rimase a fissarmi in silenzio, finché non la smisi di fare l'imbecille. Poi
parlò:
- E' per questo che l' hai trattata così?-
- Sì, te l' ho già detto. Pensi che ci sia dell'altro?- Di certo non potevo dirgli che l'avevo presa in antipatia. Per ragioni, tra l'altro, di cui nemmeno io ero a conoscenza…
- Sì, lo penso. Ma lasciamo perdere, tanto non me lo diresti comunque. No?-
Non risposi. Ripresi semplicemente a fissare tranquillo il paesaggio che mi trovavo davanti.
- Dov'è adesso la tua amichetta?-
- Dorme. Nella tua camera da letto. -
Mi voltai di scatto, come se fossi stato punto all'improvviso.
- COSA?!- Lui sospirò.
- Hai capito bene. Dove altro potevo metterla?-
- Ma nella tua camera, no?! Tanto sei abituato a dormire sul divano! Ti svegli come minimo tre o quattro volte per notte!- Poi lo fissai con un sorriso malizioso: - Oppure, dato che mi pare di aver afferrato certi dettagli del vostro rapporto, non avreste certo problemi a dormire assieme,
Mmmh?-
Lui scosse leggermente la testa.
- Certo che con questo argomento sei proprio fissato, ragazzino…-
- Lo so, lo so. Devo farmi i fatti miei…-
Rimase poi in silenzio, fissando anche lui il paesaggio.
- Non riesci a dormire stasera Mick, che te ne stai qui a fare discorsi stupidi con questo marmocchio?-
Non rispose. Ecco che gli ricompariva quell'espressione triste che aveva sempre quando papà era ancora in vita e lui se ne stava sul balconcino traballante a fissare il cielo. Come se in qualche modo avesse captato i miei pensieri, estrasse da una tasca dei jeans una sigaretta senza filtro ed un accendino. Appena dopo, già la grigiastra scia di fumo si librava leggera in aria.
- Dovresti smettere di fumare come un turco, Mick. Tra quello che bevi e la quantità di sigarette che fumi, il cancro proprio non te lo toglie nessuno!-
- Grazie!-
Una risatina di rassegnazione gli colorò il viso, lasciandomi a bocca spalancata.
- Chiudi la bocca Alex, o ci entreranno le mosche. -
- H-ha..hai RISO?! Tu sei capace di ridere?!-
Gli occhi gli s'incupirono un po'.
- Sono davvero un essere così freddo?- Si voltò verso di me, scrutandomi intensamente con quei suoi sottili occhi grigi. Lì per lì, non seppi cosa rispondere… Sospirai svogliatamente.
- Michael Mangel, ma che domande mi fai adesso?- Dissi. Lui mi fissò, attento. Scossi la testa con una risatina.
- Tu sei quel che sei e basta. Il tuo carattere è quello che ti porti appresso, e so per esperienza che non esiste uomo, demone, o Dio in grado di fartelo cambiare. Ti sei accollato sulle spalle la responsabilità di uno stupido diciassettenne che aveva appena perso il padre; le spese per la scuola, per i vestiti, l'affitto e tutto il resto. Sei stato molto generoso e buono, anche se a modo tuo.- Persi di nuovo lo sguardo nel lucido paesaggio che avevo davanti.
- Mio padre era una persona che definire introversa sarebbe dire poco. Al suo confronto sei più che eloquente!- Mi fermai un attimo, abbassando lo sguardo sulle mie scarpe da ginnastica ormai da buttare.
- Dio mio Mangel, non sono abituato a fare certi discorsi, accidenti a te!- Alzai di nuovo lo sguardo verso di lui che continuava a fissarmi pacatamente. Sbuffai.
- Non sei una persona fredda. Solo un po' troppo particolare in certe cose.
- Conclusi in tono tranquillo. Mi mandò un sorriso, appoggiandomi una mano sulla testa.
- Grazie, Alexander Crimson.-
- E' meglio che tu vada a vedere come se la passa la nostra affascinante ospite. Ma vedete di non fare porcate nella mia camera, capito?- Mi diede un piccolo scappellotto e con un sorrisino mi posò un bacio sulla fronte.
Abbandonandomi ai miei pensieri, se ne tornò all'interno dell'edificio dopo aver gettato la sigaretta.
Ero sconvolto.
Mi sfiorai con la mano tremante il punto in cui aveva posato le labbra e rabbrividii.
"Ma che accidenti mi sta succedendo?!" Fu l'unico pensiero coerente che riuscii a mettere insieme.
Quando, dopo una mezz'oretta, anch'io me ne tornai in casa, non appena mi trovai davanti allo specchio e fissai la mia immagine riflessa mi venne in mente la morte di mia madre.
Fino a pochi giorni prima avevo pensato che lei fosse morta di parto, per il suo cuore troppo debole. Ma Mick mi aveva detto che era stata sacrificata da mio padre in cambio della salvezza di molte altre vite. Persino i parenti
avevano mentito. Che non fossero poi veramente a conoscenza dei fatti? No, impossibile. Come cavolo si poteva nascondere un buco di pallottola al medico dell'ospedale?! E poi tutte quelle belle parole di comprensione che
avevo detto riguardo al loro lavoro, in fondo non erano poi del tutto sincere, poiché io non ero pienamente soddisfatto di quel che mi era stato detto. Volevo capire bene, conoscere i dettagli. C'erano ancora molte domande alle quali dovevo dare risposta.
Con un sospiro mi asciugai la faccia gocciolante e me ne andai a letto.Il mattino seguente, mentre mi dirigevo in salotto, sentii la vocina di Daniela resa isterica e stridula dalla sua evidente alterazione, inveire contro Michael, dal quale però non giungeva alcuna risposta.
Tentando di legarmi i capelli con il solito laccio delle scarpe, entrai senza fare una piega nella stanza. Mi sedetti sulla mia poltrona e notando il caffè posato sul tavolino, me ne versai un po' ed iniziai a berlo tranquillamente. Il comportamento di quella donna m'incuriosiva stranamente.
Sembrava una scimmietta.
Pochi istanti dopo Mick comparve dalla cucina asciugandosi le mani nel grembiule. Mi vide e con un cenno del capo mi salutò.
Quello strillare ininterrotto cominciava a darmi fastidio. Posando la tazzina vuota sul tavolino le dissi:
- Miss Lumengreen, potrebbe abbassare leggermente il tono di voce? - Levai distrattamente lo sguardo su di lei che si era zittita tutto d'un colpo e mi stava fissando con evidente imbarazzo.
- Non lo dico per scortesia, ma dato che non siamo da soli in questo condominio e non tutti sono già svegli alle sette e mezza della mattina, gradirei non ricevere lamentele di alcun genere. -
Stavolta la fissai lentamente e con estrema attenzione. Lei chinò il capo e sussurrò un debole:
-Scusate… -
Sospirai.
- E ora mi dica cosa le ha fatto questo animale per indurla ad alterarsi in quel modo. -
- Io non le ho fatto proprio niente. Le ho semplicemente spiegato che ci sono cose che non si possono far tornare. Molto cambia col tempo…-
Mi rispose per lei Michael con la sua solita pacata indifferenza, mentre posava il vassoio con la colazione sul tavolo. Azzannai subito la punta di un croissant con la marmellata.
- Ma Mick perché non ci possiamo concedere una seconda prova? Insomma, in fondo sono state le circostanze che ….-
- Adesso basta. Mi sono stufato di questo argomento. E tu sei più dura del granito. -
- Mmmh, mi pare di aver capito che sia meglio che io me ne vada nell'altra stanza adesso…- Dissi mentre ancora finivo di masticare l'ultimo pezzo di croissant.
- Grazie Alex, tu sei davvero molt…- Iniziò Daniela, ma Michael la zittì subito.
- Non ce n'è bisogno, l'argomento è chiuso. - Così dicendo fece per voltarsi e tornarsene in cucina, ma lei lo afferrò per un braccio.
- Non è vero! Ma perché diavolo ti comporti in questo modo?! Perché sei così dannatamente freddo adesso che dopo anni, finalmente, ciò che ci faceva da muro si è sgretolato e possiamo ancora stare insieme?! Eh?! Me lo dici?!
Perché io non riesco proprio a capirti!-
" Oh oh, qui l'aria inizia di nuovo a surriscaldarsi…" Pensai mezza eccitato e mezza scocciato alla ricomparsa delle sue grida. C'era però una sofferenza enorme negli occhi di quella donna, ora incupitisi per la rabbia. Doveva amare davvero molto Mick…Mah.
- Allora adesso ascoltami bene Daniela, perché non mi ripeterò più. Non si può tornare indietro e io mi sono scordato tutto. - Ribadì con una pericolosa calma Michael.
Voltatosi verso di lei, la prese per le spalle e, fissandola negli occhi le disse:
- Sei stata tu alla fine, impuntandoti sui tuoi capricci a far succedere quel che è successo. È stata solo una tua decisione la causa della nostra separazione e adesso, come volevi tu, ho dimenticato ed ho preso una strada completamente diversa dalla tua. Nel mio cuore non c'è più nulla, come non ci sei più tu. -
Ero così sbalordito da quelle parole che, senza accorgermene, me ne stavo perfettamente immobile da un bel po', con la paura di emettere anche un solo suono che spezzasse l'atmosfera, come un'intrusione non desiderata. Lei si
staccò bruscamente da lui e se ne andò senza fare una piega in camera mia.
Mick rimase immobile.
- Certo che se continuerai a rifilarmi tante sorpresine come questa dietro fila mi verrà un infarto per lo sbalordimento, caro il mio rubacuori. -
Dissi io ad un certo punto per spezzare un po' la tensione. Ma non c'era ironia né malizia nelle mie parole. Solo dispiacere per lui.In tutta risposta, schiantò un violento pugno contro la parete che mi fece sobbalzare.
- Adesso ci manchi solo tu con quella tua dannatissima ironia!- Mi sibilò tra i denti lui. I suoi occhi mi lasciarono gelato quando scaricarono tutta la loro rabbia su di me.
Lo fissai così spaventato, che Michael, sussurrando uno "Shit!" tra i denti ed ammorbidendo la sua espressione, mi si avvicinò fino a sedersi sui talloni davanti a me, tutto rattrappito sulla poltrona.
- Quando ti raggomitoli a quel modo e mi fissi con quei tuoi occhioni, mi sembri proprio un bambino…-
Vergognandomi del mio essere così pavido quando si trattava di lui, presi a fissarmi le mani intrecciate intorno alle ginocchia.
- Hehe, alle volte sei proprio buffo Alex...-
Disse poi lui posandosi una mano sulla fronte, sorridendo. Risi anch'io.
- Che posso farci se mi fai così paura alle volte?-
Mi guardò un po' sorpreso.
- Davvero?-
-Sì. -
Rimasimo a fissarci tranquilli, come cullati dalla placida atmosfera che in quel momento si era creata. Poi, dopo pochi secondi, vidi Mick che veniva afferrato con forza per le spalle e strattonato all'indietro. Sorpreso, si voltò di scatto. Il suono sordo di un violento schiaffone si abbatté su di lui, lasciandolo senza parole. Era Daniela.
- Adesso capisco! Adesso capisco tutto! Capisco fin troppo bene cos'è in realtà che non ti fa riavvicinare a me, bastardo! Mi fai schifo!- Tuonò poi con tutta la rabbia che aveva in corpo.
Michael le si portò di fronte facendola scomparire con la sua imponenza, e la fissò con tanta glaciale durezza che le gambe non le ressero. I loro occhi però rimasero fissi gli uni negli altri.
Lei non cedette al suo sguardo, nemmeno un istante.
Mick non disse una parola; si limitò solo a continuare a fissarla per qualche secondo ancora, poi si diresse verso il terrazzo.
Subito, non osai nemmeno muovermi dalla mia posizione. E così nemmeno Daniela, che fissava il vuoto con un sorriso ironico stampato in faccia.
Poi, con uno sforzo di volontà, mi alzai dalla poltrona e mi diressi verso di lei. Mi chinai, posandole una mano sulla spalla destra, poggiando le ginocchia sul pavimento.
- Daniela?- Chiesi. Nessuna risposta.
- Daniela, tutto bene?-
- Tu cosa ne dici?- Mi rispose poi con malcelata ironia.
- Vuoi che me ne vada nell'altra stanza?-
- No. Rimani. Vorrei parlare un po' con te. - Mi posò una mano sul braccio che le tenevo appoggiato sulla spalla e levò il volto verso di me, fissandomi intensamente.
- Di cosa vuoi parlare?- Le chiesi incontrando il suo sguardo.
- Di Mick. -
Non ho idea del perché, ma quella risposta m'infastidiva. L'aiutai comunque ad alzarsi e ci sedemmo sul divanetto.
- Allora, cosa vuoi sapere?- Chiesi subito. Lei mi guardò attentamente.
- Ti ha mai parlato di noi?-
- No. -
- Mai?-
- Mai. -
Lo sguardo le si fissò nel vuoto.
- Quello che ha fatto prima…- Aspettai che terminasse la frase ma non lo fece.
- A cosa ti riferisci?-
- Beh, il sorriso. - Disse. Sorrisi.
- Ah quello. Strano da parte sua vero?- Mi appoggiai allo schienale.
- Appunto. -
- Che vuoi dire?- Voltai il capo verso di lei.
- Con me non lo aveva mai fatto…- Rimasi stupito.
- Cosa? Ma tu non eri la sua donna?-
Lei gettò il capo all'indietro e rise.
- Perché ridi ora?- Mi sollevai dallo schienale. Che fosse rimasta scossa da quello che era successo prima?
- Ragazzino tu proprio non ne sei consapevole, he?- Il suo sguardo mi fece irrigidire. Era sostenuto da una maschera d'ironia, ma non nascondeva il dolore che lo trasformava.
- Consapevole di cosa?- Avvicinò il suo viso al mio.
- Lui non ha mai, dico mai, sorriso a nessuno tranne che a sua madre in tutta la sua vita. Capisci cosa vuol dire?- Ero sempre più confuso. Non capivo. O per meglio dire, mi rifiutavo di capire un fatto evidente. Lo avevo già preso in considerazione, ma non volevo riconoscerlo.
Assolutamente. Non lo tolleravo.
- Ma che accidenti vuoi dire?!- Persi la pazienza. Lei si alzò in piedi di scatto.
- Perché tu?! Perché un marmocchio come te che non sa un accidente di lui?!
Perché?!-
Mi alzai in piedi anch'io.
- Hei! Hei! Datti una calmata! Quello che sostieni tu non è possibile, capito?! Cosa credi voglia dire un sorriso?!- Le sbraitai di ritorno.
- Cosa vuol dire?! Vuol dire tutto!- Mi afferrò violentemente per le spalle e mi diede una forte scrollata. - E ti dico anche un'altra cosa. Tu non mi piaci! Ma in te rivedo quello che ero io una volta e non voglio che tu finisca come me!-
- Non ti capisco! Da cos'è che mi vuoi sottrarre, he? Speri di guarirti le ferite e di sfogare la tua rabbia tormentandomi?!- Mi mollò uno schiaffone.
- Razza di stupido moccioso! Ma con chi credi di parlare, he?! Con una cretina che non sa come gira il mondo?- La guancia mi pulsava tremendamente.
- Se ti avvicini troppo a lui senza sapere a chi ti stai affidando prima o poi ti ferirai! E guarda cos'è capitato a me che ho sperato!- I suoi occhi mandavano fiamme.
Io, che mi rifiutavo di aprire gli occhi sui cambiamenti che avrebbero sconvolto tutto quello che a malapena si reggeva in piedi del mio presente, non capivo quello sul quale Daniela mi stava aprendo gli occhi. Ero confuso
ed arrabbiato con la mia mente che non accettava la realtà.
- E va bene. Gli parlerò, contenta?- Dissi staccandomi bruscamente dalla sua stretta.
- Bene. - I passi di Michael si sentivano provenire dalle scale. Lei si voltò verso la porta e, sempre da girata, concluse:
- Ecco la tua occasione. Affrontala la realtà, non aggirarla, altrimenti, credi a me, dato l'ambiente in cui tu presto ti troverai a vivere, non sopravviveresti. -
Poi voltò lo sguardo verso di me, fissandomi ironicamente.
- Questo mondo è marcio e da quello che mi è parso di capire, da solo rimarresti travolto dal suo marciume e non riusciresti più a liberartene. Auguri!-
Mentre se ne andava, avvertii chiaramente il suo sussurrare:
-Un maschio … è innamorato di un maschio…ed io che sapevo com'era il suo cuore…heheh..che follia..che follia..-
Mick entrò dalla porta, non muovendosi finché lei non lo ebbe superato oltre la soglia. Chiuse poi la porta e mi si avvicinò, puntando il suo sguardo gelido su di me.
- Cos'avevate da sbraitare a quel modo?- Mi chiese dopo qualche secondo.
- Lei mi ha detto che devo parlarti. - Lo fissai a mia volta gelidamente.
- Parlarmi?-
- Sì. O meglio, che tu dovresti dirmi qualcosa che non riesci a dirmi. -
- Io…?- Disse, fissandomi interrogativamente.
- Lei dice che non avevi mai sorriso a nessuno. Perché a me, dunque?-
- Io…- Non riuscì a terminare la frase che si udì un urlo lacerante.
Entrambi scattammo come due molle verso la porta e ci precipitammo verso il terrazzo. Daniela era li, stesa inerte sul cemento.
-Daniela!- Urlò Mick e le si fece accanto. Non osai muovermi. Un'altra persona morire no. Dio ti scongiuro, no.
-Daniela! Daniela!?- Continuava a sbraitare Mick. Mi accorsi poi che dal corpo di lei fluiva una scia rossa di sangue, che percorrendo tutto il suo corpo fino alla gamba destra, andava a creare una piccola macchia sul pavimento del terrazzo… Abbassai la testa e chiusi gli occhi.
Improvvisamente una raffica di spari si abbatté su di noi, sollevando pezzi di cemento secco in aria. Mick prese in braccio il corpo inerte di Daniela e facendomi un cenno ci precipitammo verso le scale, sbattendoci alle spalle la porta d'acciaio.
Corremmo a perdifiato. Michael spalancò la porta di casa con un calcio, ma non appena dentro notammo che i vetri delle finestre erano rotti. C'era un gran silenzio. Abbassandosi, Mick si diresse verso la cucina e, quando anch'io lo raggiunsi, chiuse la porta a chiave.
Il mio respiro, come del resto il suo, era nervoso. Daniela, sempre stretta tra le braccia di Mick continuava a perdere sangue, imbrattando di rosso i suoi jeans.
Non me la sentii di dirgli di lasciarla.
Dalla casa non giungevano rumori, tutto era perfettamente avvolto nel silenzio. Ma la presenza di qualcosa che si muoveva, che strisciava in silenzio, con intenzioni precise, si avvertiva tutt'intorno a noi, rilasciando i suoi odori fastidiosi, ferendo i nervi.
- Mick, e ora che facciamo..?- Chiesi in tono appena udibile. Non mi rispose. Fissava Daniela con lo sguardo vuoto, come uno specchio che non riflette nulla. Capivo cosa provava. Oltretutto avevano appena litigato.
Non era stato lasciato loro nemmeno il tempo per riconciliarsi…Ma in qualche modo dovevamo uscire da quella situazione.Il cuore di Mick pulsava in preda all'odio e questo andava a nostro vantaggio. Forse la vendetta era l'unico modo per sbloccarlo dallo stato in cui si trovava.
- Mick, mi ascolti? Dobbiamo trovare una soluzione…- Non feci in tempo a terminare la frase che lui si voltò verso di me e, guardandomi con la più feroce delle sue espressioni, mi disse:
- Cosa vuoi adesso Alex? Cosa vuoi da me adesso?!- Mi disse ciò sibilandolo tra i denti, con un tono appena sussurrato, secco e tagliente. Era in uno stato di shock tale che sembrava impazzito. Mi faceva paura, una paura
indescrivibile a parole. Avrei preferito una pallottola in corpo che dover sopportare quella tensione lancinante, che dover di nuovo affrontare lui. Ma mi feci coraggio e dissi:
- Voglio che ti riprendi, che cerchi di pensare al modo di andarcene da qui.
- Lo guardai, ma lui era di nuovo con lo sguardo fisso su Daniela, che iniziava a perdere il suo colorito ed ad assumere il colore livido della morte. Mi scesero le lacrime senza che nemmeno me ne rendessi conto.
- Vuoi davvero lasciarla in quello stato?! Non vorresti rompere il muso a chi le ha fatto questo?! He?! Mi ascolti Michael Mangel?!- Alzai un po' il tono della voce e lui scattò verso di me, inferocito più che mai.
Mi afferrò per il collo fissandomi con quei suoi occhi vuoti e freddi come il ghiaccio. Le mie lacrime gli colavano sulle mani che mi strangolavano. Non respiravo. Tuttavia non mi mossi. Mi limitai a fissarlo. Ero disperato.
Dalla gola mi uscì un suono incoerente e strozzato. Stavo perdendo i sensi…Improvvisamente però, lui sciolse la presa.
Mi accasciai a terra tossendo il più piano possibile per non farmi sentire da quelli che stavano fuori… Inspiravo aria a grosse boccate e mi asciugavo le lacrime che però non la smettevano di scendere.
- Alex…io…che ti ho fatto..?- Chiese Mick piano. Mi voltai verso di lui, con la vista completamente appannata dalle lacrime. Continuavo a tossire.
Appoggiò la testa di Daniela per terra, sorretta dalla giacchetta che si era appena tolto, anch'essa ormai imbrattata di sangue. Mi si avvicinò e fece per appoggiarmi le mani sul viso, ma mi scostai spaventato. Avevo paura che
volesse di nuovo strangolarmi. Ero così terrorizzato che non riuscivo ad essere pienamente cosciente di quello che succedeva intorno a me.
Lui ritirò le mani e mi chiese di nuovo:
- Che ti ho fatto Alex? Dimmi che ti ho fatto per favore…- Era forse più spaventato di me.
- N.. nulla, non spaventar.. - Interruppi la frase, colto da diversi colpi di tosse molto violenta che cercai di trattenere meglio che potevo. Lui mi abbracciò forte, così all'improvviso che non riuscii ad evitarlo. Non riuscivo a muovermi.
- Perdonami! Mi dispiace Alex, perdonami per piacere... Mi dispiace, mi dispiace…!-
Tremava così violentemente che faceva tremare anche me. Il sollievo mi si sciolse nelle vene, spandendosi dolcemente.
" E' tornato in sé… Meno male.." Pensai. Lo abbracciai a mia volta. Mi sedetti sulle ginocchia, appoggiando il mento sulla sua spalla. Lui si strinse di più a me posando a sua volta il capo sulla mia spalla.


 

      

  

 


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