Memories of the Lost Time

 

parte I

 

di Castalia Rimu

 



A volte mi chiedo perché mi sia messo in mente di mettere su carta la mia vita.Come se fosse poi importante…
Ma, dato che ormai ho cominciato, lo farò.
Il mio nome è Alexander Crimson. Mio padre era un Americano, mia madre un'Italo-americana. Lei morì poco dopo avermi messo al mondo, perciò non ho idea di come fosse, dato che mio padre bruciò tutti i ricordi che aveva di lei nel momento esatto in cui morì.
Come so questo? Beh, avrò modo di spiegarlo più avanti, adesso non è ancora il momento.
Tornando a mia madre, per quanto possa sembrare assurdo, per diversi anni non fui nemmeno a conoscenza di come si chiamasse.Il nome di mio padre era Jeff. Un uomo molto forte, ma pieno di ombre e sofferenze. Alla morte di mia madre, i miei parenti materni tagliarono completamente i rapporti con lui. Volevano però ottenere la mia custodia, poiché erano convinti che un uomo come mio padre, così sconsiderato da aver messo incinta mia madre, tanto debole di cuore (almeno questa era la causa
della sua morte, secondo loro) non avesse le capacità per prendersi cura di me. Morale della favola, mio padre fu coinvolto nella causa per il mio affidamento.
Contro ogni logica ed ovvia previsione, lui vinse.
Passati circa quattro anni si trovò un lavoro un po' insolito, che mi privava della sua presenza alla notte e, alla mattina, me lo ritrovavo sul divano che dormiva con ancora tutti i vestiti addosso. Quando compii 15 anni, ci trasferimmo ( per via del suo lavoro) dall'Italia in America, più precisamente alla periferia di New York, dove una cugina di mio padre era riuscita a procurarci un appartamento. Era un monolocale incastonato, come un pezzo di legno, in mezzo a tanti altri piccoli appartamenti.
Quel quartiere, sembrava un viaggio nel passato, con strade appena utilizzabili ed i mattoni delle case messi deliberatamente a nudo. Un posto tranquillo, dove non sentivi altro che silenzio (un po' inquietante a volte…). Mi ricordo che per i primi tempi mi capitava di svegliami la notte, spaventato da un sibilo strano, e quando aprivo gli occhi ed ascoltavo attentamente, mi rendevo conto che era il mio respiro. Non ho mai sentito la mancanza della mia terra natale. Non l' ho mai sentita mia, mai. A scuola, essendo io non interessato a crearmi amicizie vere e proprie, sono sempre stato per i conti miei, rispondendo agli altri solo per
cortesia, o per obbligo, quando si trattava di insegnanti. Fino all'ultimo anno delle medie i miei insegnanti mi trattavano in due modi: o mi facevano dei gran sorrisi e si complimentavano con mio padre, non solo per i miei voti, ma anche per la mia "maturità" (Ma, a mio parere, non facevano altro che scambiare la tranquillità e l'indifferenza con la "maturità"), oppure si presentavano a mio padre tutti allarmati, perché ero un bambino completamente asociale. Dal canto suo, mio padre non si è mai curato di cosa
gli dicevano gli altri. Tutte le volte mi si avvicinava e mi sorrideva, dicendo di non darmi pensiero per certe cose.
Dopo che se ne andava, quasi piangevo sentendomi ad un passo dal cielo, perché sapevo che anche se non lo dava affatto a vedere per riguardo a me, non sorrideva mai a nessuno. C'era qualcuno a cui mostrava il cuore alle volte, ed il fatto che fossi io, riempiva di gioia il mio volto da bambino.
In America mio padre aveva un socio di nome Michael Mangel, ma lui lo chiamava sempre Angel. In effetti tutto in lui rispecchiava l'aspetto di un angelo..
Era così biondo che i suoi capelli sembravano tanti fili d'oro, la carnagione bianchissima e due sottili occhi grigi. Da come si comportava però Michael in reazione a questo appellativo, faceva capire quanto lo trovasse sgradevole.
In effetti pareva avere un significato ironico…
Michael era molto scontroso, ti guardava sempre con uno sguardo ambiguo, freddo e triste insieme. Quando papà tornava a casa al mattino, lui rimaneva da noi fin quando non si svegliava, per cui quando anch' io mi svegliavo e trovavo mio padre sul divano, lui compariva dalla cucina con un vassoio carico di una caffettiera e tre tazzine di caffè.
Mio padre non approvava affatto che io bevessi il caffè. A dir la verità non ho mai saputo per quale motivo non volesse. Non voleva e basta e trasgredire mi piaceva in una maniera incredibile, anche in queste piccole cose.
Le mie giornate erano tutte uguali, ed in esse predominava un fastidioso particolare che compariva sempre al comparire del cattivo umore di Michael. Per la mia età ero molto basso ed il mio corpo sembrava non avere la minima intenzione di darmi dei lineamenti un pò più mascolini.Rimanevo delicato e sottile, il fisico glabro ed asciutto di un bambino.
In base a questo, Michael si sentiva deliberatamente autorizzato a trattarmi come un marmocchio, ed anche a mollarmi qualche schiaffone se lo riteneva opportuno.
Secondo quel che la memoria mi consente di ricordare, sono sicuro che per i due anni che ho continuato a vivere in quel modo, lui non mi abbia mai trattato con un minimo di rispetto.
Poi, due mesi dopo il mio diciassettesimo compleanno, accadde una cosa che sgretolò completamente tutto ciò che era la mia vita…
Come al solito, mio padre uscì la sera per lavoro. Saranno state circa le undici. Quella sera, però, Michael non andò con lui, rimase a casa con me.Guardai la tv fino a mezzanotte.Quando la spensi mi arrivò un atono " Buonanotte" dal balcone.
Lui se ne stava sempre su quel dannato balcone traballante ( Dio solo sa come facesse a reggerlo) a fumarsi una sigaretta.
Scusate, ma anche se fuori luogo, sospenderei un attimo il racconto per dirvi un paio di cose su di lui….Come ho già avuto modo di dirvi il suo aspetto era estremamente contrastante col suo carattere freddo e distaccato.
Quando mi portava a fare spese in macchina, ogni volta che ci fermavamo ad un semaforo, gridolini, bisbigli, risatine, e qualche volta anche espliciti apprezzamenti rivolti alla sua persona, ci accompagnavano per tutta la durata della sosta. Lui non diceva nulla, né smuoveva il suo freddo cipiglio, a dimostrazione di quello che gli passasse per la mente in quel momento. Solo un paio di volte mi è capitato di sentirlo inspirare più profondamente del normale.
Ma solo perché in quel caso gli epiteti rivoltigli erano davvero pesanti.Una volta addirittura gli hanno fatto delle avanches piuttosto spinte mentre camminavamo per strada. Solo che in quel caso erano due uomini decisamente sballati per via delle grandi quantità di droga che giravano in quel posto..
Lo vidi irrigidirsi e piantare quello che gli aveva rivolto la parola contro il muro di una casa che costeggiava il marciapiede. Non ho idea di cosa gli abbia detto, sta di fatto che quando lo ha mollato, questo non si è più mosso dalla posizione in cui era, con gli occhi spalancati, per un bel po'. Ma quel che identificai nello sguardo di quell'uomo non era solo paura. Vi era qualcosa di molto più particolare, a cui allora non seppi dare un nome.
Comunque, quella è stata l'unica volta che gli ho visto perdere il controllo di sé.
Michael aveva 25 anni quando accadde l'evento di cui vi parlavo. Una cosa che mi ha sempre incuriosito di lui, nonostante non sia mai riuscito a tollerarlo per la sua arroganza nei miei confronti, era che a volte sembrava mutare improvvisamente e dare sfogo a tutto ciò che aveva dentro.
Per esempio, a volte lo sorprendevo a fissare il cielo di notte sul balcone con un'espressione estremamente triste. Mostrava la debolezza di un bambino che, posto di fronte ad una situazione contro la quale non aveva alcun potere, stesse per mettersi a piangere ed a urlare.
Per farla breve, non riuscivo a darmi una definizione di lui nella mia mente. Non capivo "cosa" fosse. Però mio padre sembrava comprendere. E con questo ci ricolleghiamo a ciò che stavo dicendo prima…
Allora, dopo che mi fu data la buonanotte, mi diressi in camera mia e mi misi a dormire. Non ricordo di preciso cosa sognai, ricordo però che furono degli incubi terrificanti. Quando la mia mente non ne poté più mi svegliai di soprassalto. Sudavo freddo.
Diedi un'occhiata all'orologio sul muro. Segnava le 3. Mi alzai e mi diressi verso la porta con l'intenzione di andare a prendermi un caffè. Tanto, quando mi sveglio non riesco assolutamente a riaddormentarmi. Come fui sul corridoio, una ventata gelida mi arrivò diritta in faccia e per un attimo mi tolse il respiro.
Stavo per urlare a Michael di chiudere la porta, ma le parole mi morirono in bocca non appena il mio sguardo si posò sulla porta d'ingresso. Era spalancata e Michael era chinato su qualcosa. Mi avvicinai a lui, e quando gli fui alle spalle, mi sporsi per vedere ciò era in quel momento oggetto del suo interesse.
I miei occhi si dilatarono. Sentii come se il sangue mi fosse defluito d'improvviso dal corpo, i muscoli delle gambe si fecero molli. Non riuscendo più a sostenere il peso del mio corpo, caddi a terra tremante.Era mio padre, che, privo di sensi, giaceva inerte tra le sue braccia. Michael allungò un calcio alla porta, che sbatté violentemente risvegliandomi dallo shock. Ma riuscii solamente a trascinarmi contro la parete destra del corridoio per farlo passare. Nel frattempo aveva sollevato mio padre e, sorreggendolo, lo stava accompagnando verso il salottino.
Probabilmente si era ripreso quel tanto che bastava per riuscire a stare in piedi.Lo aiutò a togliersi l'impermeabile ed a sdraiarsi sul divano. Dalle smorfie che vedevo comparire sul suo volto, doveva provare un gran dolore.
Non appena Michael gli ebbe sistemato una coperta addosso, venne verso di me. Mi si inginocchiò davanti e disse :
- Alzati Alex, devi darmi una mano a medicare tuo padre. -
Lo guardai negli occhi. Erano seri, ma allo stesso tempo esprimevano impazienza e preoccupazione.
Il respiro era mezzo affannato, ed era più pallido del solito.Non ho idea del perché, ma vederlo in quelle condizioni mi diede coraggio. Una strana soddisfazione s'impadronì di me, permettendomi di recuperare in qualche modo il controllo. Era piacevole vederlo agitarsi, come se si sentisse impotente in quella situazione. Sì, lo era molto.
Afferrai la mano che mi stava tendendo, e mi alzai.
- Vieni.- Mi disse poi, facendomi strada fino al divano. I rapidi ed affannosi respiri di mio padre creavano una strana tensione nell'aria. Mi accovacciai ai piedi del divanetto e posai la mia mano sulla sua, fredda e sudata. Aveva il volto pallido, solcato da due profonde occhiaie violacee ed imperlato di tante minuscole goccioline di sudore. Abbassando lo sguardo sul torace, notai un enorme taglio da coltello tra le costole. Ripresi a tremare, ed istintivamente mi voltai verso Michael.
Lo fissai intensamente, estremamente agitato. Anche lui non staccò lo sguardo da me per parecchi secondi. Poi parlò.
- La ferita che vedi è stata fatta da un coltello. Le sue condizioni sono brutte. Ha perso molto sangue e, dato che è stato rigirato più volte nel taglio, la ferita non riesce a rimarginarsi. -
Prima di continuare trasse un profondo respiro e si passò una mano tra i capelli.
- Non ho idea se se la caverà o meno. Non ci rimane che aspettare e vedere cosa succederà nelle prossime ore. -
Abbassai gli occhi sul pavimento con un lungo sospiro. La mia mente era in uno stato di tale confusione che ancora non avevo bene preso coscienza della situazione. Con gesti automatici scostai la coperta e la camicia e, aperta la cassetta del pronto soccorso ( l'unica cosa mai mancata in casa mia) che Michael mi aveva portato, presi ad occuparmi del taglio.
Sin da quando ero piccolo non era insolito doverlo medicare, dopo un nottata di lavoro. Ma una ferita così tremenda non l'avevo mai vista (evito di descrivervela, primo per evitarvi uno spettacolo così orribile, secondo perché il solo ricordare quella scena mi fa tornare i conati di vomito che in quel momento mi colsero).
Come terminai, riposi il disinfettante e la garza che mi era avanzata e mi diressi in cucina a buttar via il cotone ed i panni sterilizzati sporchi che avevo usato per tamponare la ferita. Non credo di aver mai provato una sensazione tanto strana in vita mia come quella che mi riempì in quel momento.
Guardando le garze sporche mi sentivo quasi in colpa di aver rubato quel sangue a mio padre.
Ero terribilmente in ansia, ed ogni tanto il mio cuore veniva preso come da una breve tachicardia. E quando succedeva, ondate di gelo percorrevano tutto il mio corpo, facendomi perdere per un attimo la capacità di coordinare i movimenti.
Odiavo trovarmi in quello stato. Non prendetelo come un segno d'insensibilità, ma sin da piccolo ho odiato profondamente trovarmi in situazioni che mi fanno sentire impotente. E, specialmente quella in cui mi trovavo in quel momento mi faceva una gran
rabbia. Il sapere di non essere d'aiuto a mio padre, ridotto in quello stato mi faceva odiare me stesso.
Un sottile profumo di caffè mi arrivò alle narici distraendomi dai miei pensieri.
Mi voltai verso il salottino e vidi Michael che trafficava con la caffettiera e le tazzine, accanto al piccolo tavolino a centro sala.
Mi avvicinai a lui, lanciando un'occhiata a mio padre che continuava a contorcersi e ad ansimare, stritolando nuovamente svenuto un lembo della coperta.
-Quanto zucchero?-
-Lo prendo amaro.- Risposi, mentre mi sedevo. Presi ad osservare tutto quello che faceva; mi limitavo a seguire i sui movimenti, senza pensare a nulla.
Il fumo usciva lento dalle tazzine..
Quando Michael mi posò sotto in naso una delle due, abbassai lo sguardo sulla mia immagine riflessa dal liquido marrone. " Come mi sono ridotto male…"pensai."tutto ciò è semplicemente assurdo."
Eppure doveva pur esserci una spiegazione.
Sollevando lo sguardo dalla tazzina, mi trovai davanti il serio cipiglio di Michael anche lui intento, come me prima, a scrutarne il contenuto.
" Forse chiedendo a lui potrei cominciare a capirci qualcosa" Sfiorai con un dito il bordo della tazzina "… Conoscendolo però, potrei anche non cavare un ragno dal buco…" Sospirai " …Tanto cosa ho da rimetterci? Proviamoci!…"
Sollevando di nuovo lo sguardo, notai che era lui ora mi stava guardando.
-Perché non portiamo papà all'ospedale? Magari riuscirebbero a curarlo…-
-Alex vedi di non dir cazzate, sai benissimo che non possiamo.-
-E ' a causa del lavoro?-
-Sì.-
Mi guardava come se cercasse di capire dove volessi arrivare con le mie domande. Non mi sono mai ritenuto una persona curiosa. In fondo ognuno ha un segreto di cui non vuol condividere l'esistenza con nessuno. Ma in quel caso ero più che determinato ad arrivarci in fondo.
-Lui non mi ha mai detto che lavoro fa. Credi di potermi dire qualcosa, se te lo chiedessi?-
-No, non credo.-
"Ma come diavolo fa ad essere sempre così pazzesco?! Cristo santo, mio padre sta morendo maledizione!"
Persi completamente la pazienza. Il respiro mi si era fatto pesante.
-Tutta questa faccenda mi sta facendo arrabbiare! Mio padre si sta contorcendo su quel ca**o di divano per il dolore, rischia di morire e io non so un accidenti di niente riguardo a quale sia la causa! Credi che me ne possa rimanere qui in silenzio?!-
-Alex vedi di darti una calmata. Sbraitare a quel modo non serve a niente.-
Mi guardava fisso, glaciale. Tutta la mia rabbia svanì così come era venuta.
Quando lui aveva quello sguardo..mi spaventava davvero..
Non mi ero accorto che nell'impeto di rabbia mi ero alzato dalla sedia, così rendendomi effettivamente conto del mio comportamento puerile, mi risedetti senza riuscir a sollevare lo sguardo. Bevvi in un sorso tutto il caffè. Da tanto era bollente mi si ustionò la lingua.
Lo sguardo di Michael era sempre fisso su di me.
- Perdonami. Per un attimo ho perso la testa.- Dissi. Con un'alzata di spalle si portò alle labbra la tazzina e sorseggiò con estrema calma il liquido marrone.
- Mmnh…. - Mugugnò - Credo sia il caso che tu te ne torni a letto. Sei completamente inutile qui. Al resto ci penso io. -
Per nulla soddisfatto della risposta, mi alzai e mi accovacciai di nuovo a fianco di mio padre. Gli presi una mano tra le mie. Tutto il suo corpo era scosso da fremiti così violenti da far tremare persino il divanetto. Una fitta al cuore mi colse impreparato e rabbrividii anch'io. Il solo pensiero di lasciarlo in quelle condizioni mi faceva sentire scorretto. Lui mi aveva sempre aiutato nei momenti di dolore ed ora che lui ne aveva bisogno non potevo certo lasciarlo a rantolare su quel dannatissimo divano.
- Michael, io resto qui. - Dichiarai. Lui si alzò e si diresse verso il balcone.
- Fa un po' come ti pare. Non ho voglia di mettermi a discutere con te. Io ti ho avvertito.- Si fermò di scatto, come se si fosse ricordato di qualcosa
- Nel cassetto della sua scrivania, quello a destra, ci troverai un paio di siringhe e del sedativo. Somministragliene un po', direi circa metà confezione. Dovrebbe avere effetto dopo poco, così se te la sentirai, potrai dormire senza rimorsi di coscienza.- Alzò un mano in segno di saluto
- Buon lavoro.- Disse infine ironicamente e se ne andò a fumarsi la sua sigaretta.
In effetti, pochi minuti dopo che gli iniettai il sedativo si calmò e un lungo sospiro di rilassamento gli uscì lento dalle labbra.
Anche io mi concessi un attimo di relax. Quella notte era veramente snervante, non ne potevo più di tutta quella tensione. Mi appoggiai ad un bracciolo del divano. Mi domandavo con insistenza se mio padre alla fine si sarebbe salvato oppure no.
Non avevo le forze di mettermi a pensare a questo.In quel momento dovevo solo ed unicamente occuparmi di lui.
Sembrava che il sedativo fosse davvero potente, dato che mio padre dormiva tranquillo da ormai diverse ore. Mi tranquillizzai. Tra le tante cose che mi passarono in mente in quel momento, una prese possesso di me, non appena il sole sorse trapassando i muri delle case: mia madre. Cosa non avrei dato per provare una volta l'abbraccio consolatore di una madre, di una voce tenera
che ti sussurra " Io sono qui, non avere più paura".
Mi scossi improvvisamente, quando sentii il forte sbattere della porta-finestra che dava sul balcone. Il rumore dei piedi nudi di Michael sul pavimento.
"Guarda un po' che cosa mi stavo mettendo a pensare..Alle volte sono davvero stupido.."
Mi alzai per sgranchirmi un po' le gambe doloranti. Solo quando guardai l'orologio mi accorsi che erano ormai le otto del mattino. Avevo completamente perso la nozione del tempo.
- ALEX!- Mi voltai verso il corridoietto e notai che Michael mi stava osservando mostrando una tremenda impazienza. - E' già la sesta volta che ti chiamo!-
Sospirai.
- Che vuoi Mick?-
- Io vado al market a fare spese, vieni con me che mi aiuti a portare le borse.- Lo guardai sbalordito.
- E papà ?-
S'infilò con noncuranza una mano nelle tasche alla ricerca del portafoglio.
- Stai tranquillo, il sedativo che gli hai dato era estremamente potente. - Allungò un pollice verso il divanetto - Dormirà ancora per due o tre ore. Perciò non preoccuparti.-
Ero sempre più allibito.
- Ma ti rendi con..-
- Muoviti.- Tagliò corto lui. Si infilò le scarpe, si buttò su una spalla la giacca e spalancò la porta. Il sole filtrò impertinente in casa,
accompagnato da quel fresco odore del mattino, permeato dell'umido profumo di terreno bagnato. I raggi incorniciavano la figura di Michael facendo risplendere i capelli dorati ed i vestiti chiari che indossava.
In quel momento, nella mia mente passò un pensiero per me inconcepibile all'epoca, ma che più tardi si fece più chiaro e pieno del suo significato:
"Ecco perché nonostante tutto lo definiscono un angelo..Già, proprio un angelo…" Mi affrettai verso di lui.
In quella strada, c'era il solito via vai di venditori ambulanti di gelati, hamburger, pesce e fiori.
Alzai lo sguardo su Michael, serio come sempre, intento ad osservare un punto indefinito davanti a sé.
Tutt'intorno, l'aria sapeva di pioggia; una strana brezza gelida mi solleticò il collo, scompigliandomi i castani capelli corti.
All'improvviso, senza che me ne rendessi conto, fummo davanti al market. Era un minuscolo edificio color topo, con una grande scritta arancione sul davanti, che potava il nome della catena di supermercati a cui apparteneva. Come le porte scorrevoli si aprirono fummo travolti dallo stantio odore di aria condizionata, che regnava indisturbato all'interno del piccolo edificio. Mentre compravamo i soliti cibi confezionati, mi ritrovai ancora una volta a passare lo sguardo sulla figura di Michael che stava per gettare
distrattamente un'altra scatola di tonno nel carrello. Mi guardò con aria interrogativa.
Mi scossi d'improvviso, dandomi del cretino.
- Ho bisogno di verdure. Andiamo al mercato?-
- Hmm, ok..- Rispose atono. Finì di prendere quel che occorreva, e mi precedette all'uscita.
Ero stranamente insensibile ad ogni cosa e questo probabilmente lo davo parecchio a vedere, perché lo vidi spostare il suo sguardo grigio su di me.
- Che hai?-
Fissai gli occhi avanti a me, abbozzando una mezza smorfia senza significato.
- Niente di particolare.- Mi guardò per qualche secondo, poi tornò ai suoi pensieri con un'alzata di spalle.Non appena entrammo in casa mi resi improvvisamente conto dell'oscurità che vi regnava.
Affidai le borse a Michael e presi ad aprire tutte le finestre. L'aria fresca che proveniva da fuori inondò la stanzetta ed in poco tempo prese il posto all'odore di chiuso. Il tonfo dei pacchetti di carta che venivano pesantemente sbattuti sul tavolo della cucina mi fecero trasalire.Mi diressi in cucina, cacciai via Michael e presi possesso dei fornelli.
Ogni tanto lanciavo una furtiva occhiata a mio padre che continuava a dormire beato sul divanetto. In un attimo di distrazione mi cadde un gambo di sedano dalle mani, andando a schiantarsi sul pavimento. Mi chinai a raccoglierlo e come alzai lo sguardo notai che aveva preso improvvisamente ad agitarsi convulsamente e ad emettere gemiti di dolore. Mollai di botto il coltello ed il sedano.
- Michael!- Sbraitai.
Mi accasciai ai piedi del divano.
- Papà! Papà che hai?!-
- Alex..ander..- Alitò piano. Non mi accorsi che nel frattempo Mick si era precipitato al mio fianco.
- Papà, sono qui.- Sussurrai. Senza che nemmeno me ne accorgessi presi a tremare come una foglia. Avevo paura. Un terrore terribile di rimanere solo.
Michael mi posò una mano sulla spalla. Mi voltai di scatto, ma appena mi accorsi che era lui tornai a guardare mio padre.
- Ormai gli anestetici servono a poco. Nel giro di poco si deciderà tutto.-
disse Mick in tono appena udibile.
Non osai alzare lo sguardo. Avevo paura. Tanta paura.
- Alex…Angel …- Ci voltammo entrambi verso mio padre, che aveva alzato lo sguardo su di noi. Tremava violentemente ed il tono della sua voce era malfermo.
- Sì Jeff. Siamo qui.- Gli sussurrò Michael. Entrambi ci avvicinammo di più in modo da capire quel che voleva dirci.
- Angel… occupati di Alex… Quando sarà il momento.. sai cosa devi fare.. vero?- Gli lanciò un timido sorriso. Michael abbassò il capo in segno di tacito assenso.
- Sì.- Disse poi in fine. Lo sguardo di mio padre si posò su di me.
- Alex..-
Una sua mano tremante si sollevò verso di me, sino a posarmisi su una guancia.
-Alex..ci sono tante cose che tu non sai..che non ho potuto dirti..perdonami per questo..e per non poter essere il padre che avrei dovuto essere sin dall'inizio..-
Una lacrima solitaria mi scese gelida, lungo una gota.
-No. Non dire cose che non sono vere.-
Gli sorrisi ed i suoi occhi si riempirono di calore ed affetto. Guardò ancora Michael, poi di nuovo me. Chiuse gli occhi, trasse un profondo respiro e si spense.



 

 

      

  

 


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