Disclamer: i personaggi, nonché la storia sono miei.
Note: dedicato a quelle poche persone che hanno la pazienza di leggere e soprattutto a Soren, Bluice e Ria che ogni tanto mi chiedono a che punto sono, cosa che da un lato mi riempie di sensi di colpa ma dall'altro mi è da stimolo. Grazie ^_______^

Le Pietre di New Empire

parte VI

di Petra




XXII

Un edificio massiccio di cemento grigio, una scatola senza finestre, rigido e cupo. Tutto intorno un muro di cemento armato sormontato dal filo spinato. Di fatto una prigione presidiata da uomini in uniforme nera, uniche presenze umane in quei dintorni, a parte qualche raro passante. 
Nella notte oramai nascente Milos poteva appena distinguerne le facce bianche, qualche lampeggiare di denti, il luccichio delle armi. Il silenzio era quasi ossessivo, rotto a tratti dal suono ovattato di una voce umana che dava secchi ordini. 
Vide un uomo avanzare nel viale, camminava un po' curvo con gli occhi che fissavano ostinati un punto sull'asfalto, sempre troppo vicino alle sue scarpe. Andava svelto e nonostante ciò impacciato, eppure i suoi passi non facevano alcun rumore come se camminasse in punta di piedi, troppo preoccupato di attirare l'attenzione. Svoltò un angolo e svanì inghiottito dal buio. 
Era di nuovo completamente solo, pensò Milos. 
Se ne stava nascosto nel parco che divideva il ministero della morale pubblica al resto della città di Futura, in posizione strategica di fronte al largo viale che si apriva sulla prospettiva del palazzo presidiato. Era quello il luogo dove venivano condotti i processati per corruzione, prima di svanire nel nulla. 
Il ragazzo era seduto su una panchina, col capo appoggiato alla spalliera e gli occhi socchiusi. Accanto al lui giaceva un libro spalancato sul dorso. Sperava, così, di aver l'aria di uno studente che si era addormentato mentre studiava, ma temeva di essere, in realtà, profondamente ambiguo e sospetto. 
La minuscola scatola che gli aveva dato Keith era sprofondata nel taschino della divisa, all'altezza del petto. 
Nei giorni precedenti aveva fatto alcune prove e ne aveva sperimentato le potenzialità. Il raggio in treD registrava immagini chiarissime anche attraverso la stoffa dei vestiti. Aveva avuto quest'informazione la prima volta che, dentro il bagno, aveva messo in funzione l'apparecchio. La voce e il volto dell'uomo erano apparse a dargli alcune istruzioni tecniche indispensabili e lo avevano informato di alcune caratteristiche che lo avevano incuriosito e sollevato. In effetti era consolante sapere che non doveva andarsene in giro con quella scatoletta in bella vista tra le mani. In realtà essa funzionava per mezzo di miriadi di raggi laser, così sottili da attraversare le fibre dei vestiti. Ciascuno di questi raggi registrava un'immagine minuscola, di un infinitesimo di pixel e le trasmetteva al microcomputer che provvedeva a sintetizzarle e a ricomporle come un puzzle. 
Aveva fatto delle prove ed ogni volta era rimasto sorpreso. Le immagini che uscivano da quella scatoletta erano le più nitide che avesse mai visto. L'obiettivo minuscolo zumava particolari, volti, dettagli, come se niente potesse sfuggire a quell'occhio curioso ed implacabile. Sembrava che un bisturi tagliente fosse calato sulla realtà a sezionarla pezzo a pezzo. 
Qualcosa di simile avveniva con i suoni. Quell'aggeggio era in grado di registrarli a distanze incredibili, inoltre sembrava fosse predisposto per analizzare ed isolare le conversazioni da ogni altro rumore, come se fosse programmato soprattutto per cogliere il suono della voce umana. 
Nelle due settimane successive al suo ritorno su New Empire Milos se l'era spassata un mondo a spiare alcuni interessanti scambi di idee fra i suoi compagni e persino fra i Master. Lo divertiva quasi sadicamente l'idea che nessuno intorno a lui potesse più avere segreti e per i primi giorni ne aveva approfittato con l'entusiasmo di un bambino. In poco tempo aveva raccolto un materiale tale da essere in grado di ricattare metà istituto. Oh, lui l'aveva sempre saputo che sarebbe bastato togliere un po' di vernice dalla superficiale ipocrisia che ricopriva i rapporti di potere tra quelle mura per ritrovarsi davanti il peggiore dei verminai. L'aveva sempre saputo, ma averne le prove era qualcosa di ben diverso. 
Una violenza rozza, quasi meccanica, priva persino di quell'elementare gusto di fare del male verso il quale gli esseri umani sembrano eccellere. Solo uomini e ragazzi che sfogavano sui più deboli una cattiveria fredda e frustrazioni meschine. Ciascuno tormentato e tormentatore a sua volta, in una scala gerarchica che dal rettore procedeva con ignobile inesorabilità fino all'ultima matricola. Nessun innocente, e forse nemmeno nessun vero colpevole, solo un congegno vuoto, privo di volto, che stritolava carne, orgoglio, pietà, coraggio: il meglio di ognuno.
Poi, improvvisamente, si era stancato, o forse era più giusto dire che si era spaventato. Semplicemente aveva compreso la reale portata di ciò che stava aveva tra le mani e per la prima volta l'implicazione di ciò che era diventato gli si era rivelata con una evidenza da togliere il fiato. 
Su Narito aveva accettato di portarsi dietro quella stupida cosa per un moto di ribellione e rabbia. In fondo si era solo lasciato trasportare dagli avvenimenti e dalle chiacchiere di quell'impossibile Naritano che avevano scavato solchi di profonda irritazione nella sua anima. Ma, se doveva essere sincero, nemmeno per un attimo aveva creduto di poter essere utile e meno che mai pericoloso. Era solo uno studente, lontano migliaia di miglia da ogni stanza del potere, un anonimo essere umano tra i milioni che popolavano New Empire, solo, senza appoggi, insignificante. La peggiore scelta che potessero fare se davvero avevano bisogno di una spia. Così aveva creduto. E adesso invece seduto su quella panchina del parco, di fronte al ministero della morale pubblica, si chiedeva se il giocattolo che aveva in tasca fosse in grado di annullare la distanza che lo separava dall'edificio e registrare ciò che avveniva dentro quelle mura. 
Avrebbe conosciuto la verità? Il solo pensiero lo riempiva di un formicolio di terrore e piacere insieme.
Però, a ben guardare, ne dubitava, era troppo lontano anche per quel congegno sofisticato, e i muri dell'edificio troppo spessi, per ottenere qualche informazione comprensibile. E anche le immagini che stava registrando dovevano essere maledettamente insignificanti, solo i volti dei soldati e qualche volto di Master di infimo grado che entrava ed usciva dal portone d'acciaio. I reclusi venivano condotti in quella prigione solo a notte fonda, questo ogni abitante di New Empire lo sapeva bene, ma certo Milos non poteva star lì, su quella panchina, a fingere di dormire, fino a tarda ora. La sua presenza era già abbastanza sospetta adesso che le prime luci si stavano accendendo nella città al tramonto. 
Doveva trovare un modo per avvicinarsi, trovare un modo per far funzionare quell'occhio inesorabile, era essenziale ora quella cosa, adesso che aveva sperimentato l'urgenza del desiderio di sapere. 
Aprì gli occhi, si stiracchiò come un gatto, continuando la commedia a beneficio di occhi infidi. Poi, si alzò, raccolse i libri e cominciò ad incamminarsi lungo il viale, allontanandosi dall'edificio sinistro. 
Un modo lo avrebbe trovato, era solo questione di tempo, bastava avere pazienza. Aveva vinto ai giochi pangalattici, collezionando due medaglie d'oro, una d'argento e il nuovo record dei cento metri stile libero. Il suo potere nei mesi avvenire sarebbe cresciuto in modo esponenziale e dopo il diploma sarebbe stato un master di quarto livello. 
Già adesso si prospettavano alcune occasioni fin troppo interessanti. Come il ricevimento al Palazzo d'Estate dell'indomani. Certo non era niente di personale, erano stati invitati tutti gli atleti e tutti i membri dello staff che avevano partecipato ai giochi, ma lui avrebbe appuntato in bella mostra sul petto le sue medaglie e sul viso il migliore dei suoi sorrisi e sarebbe stato al centro dell'attenzione, poteva scommetterci qualunque cosa. 
Si allontanò con passo calmo dal parco ed imboccò il corso che conduceva nel centro della città. Futura si rianimava mano a mano che si inoltrava al suo interno. Le vetrine dei negozi scintillavano e le luci azzurre e gialle dei laser proiettavano immagini treD nel cielo azzurro cupo. L'aria era tiepida per l'estate imminente e molta gente si attardava per le strade. Vide uomini in divisa di master dei diversi gradi, donne giovani vestite di bianco accompagnate dalle anziane in abiti severi, molti studenti che come lui si affrettavano a tornare nei collegi, la vita solita di ogni sera. 
Vicino alla statua del capitano un gruppo di ragazzi stava ridendo di qualcosa, uno di loro, bruno ed esile, appoggiava il peso del corpo ad un piede, con una deliziosa torsione dell'anca.
Milos sentì il cuore balzargli in gola e sorrise. L'indomani, forse, avrebbe rivisto Athom.



XXIII

Era la donna più strana che il ragazzo avesse mai incontrato. Non riusciva nemmeno a definirla bella, ma indubbiamente doveva esserlo, oppure semplicemente aveva un gran fascino. Ma c'era qualcosa di indefinibilmente imbarazzante in lei e Athom si chiese subito cosa potesse mai essere. Era seduta su uno dei divani che adornavano la sala dei ricevimenti del Palazzo d'Estate e come voleva l'etichetta non si alzò all'arrivo dell'uomo e del ragazzo. Semplicemente porse ad entrambi la mano inguantata, ma nonostante ciò Athom avvertì il calore della carne che la stoffa non riusciva del tutto a schermare. Arrossì, perché era la prima volta che toccava la mano di una donna che non fosse sua madre o sua sorella e poi perché si ritrovò gli occhi di lei puntati in viso, con un'aperta espressione di curiosità. 
"Ambasciatrice, questo è Athom Coleen, il mio prezioso collaboratore." Lo presentò Master Reinald e lui sentì una voglia improvvisa di sprofondare nel centro della terra.
"Vi ho udito suonare l'inno di New Empire, mio giovane amico," disse lei, "E subito mi sono ripromessa di conoscervi. Ammiro moltissimo il vostro talento di musicista, credo che suoniate l'albatros in modo meraviglioso."
Athom si sentì arrossire fino alla radice dei capelli e se ne stette imbambolato, incapace persino di un semplice grazie. Master Reinald gli venne in aiuto, per fortuna.
"Questo è davvero un complimento di valore," disse con grazia mondana, "visto che arriva da una delle più grandi musiciste che le colonie abbiano avuto negli ultimi anni,"
L'ambasciatrice sorrise in un modo che Athom mai si sarebbe aspettato da una donna. Diretta e un po' sprezzante, con una punta di brusca ironia.
"Non adulatemi Reinald, so perfettamente cosa pensate di una donna musicista, ma in fondo non posso che perdonarvi in nome del vostro indubbio fascino e delle vostre maniere perfette."
Milos vide il volto del suo mentore oscurarsi per un breve attimo, ma subito il solito sorriso aperto apparve sul suo viso.
"Voi non siete una donna comune, siete l'ambasciatrice di uno stato straniero, con il quale New Empire mantiene da sempre ottimi rapporti." 
Le parole erano cerimoniose ma c'era qualcosa nel modo di pronunciarle che stupì Athom, una durezza che aveva imparato a riconoscere e a temere. Si volse verso l'uomo, ma vedendo la sua espressione serena pensò di essersi sbagliato. Si diede dello stupido e ammise con se stesso che non era che un povero ignorante, sbattuto in un mondo di cui a stento comprendeva i sottintesi e le regole. Come quel ricevimento, ad esempio, e i mille altri impegni a cui era stato costretto a presenziare dopo l'evento dell'inno. Era così imbarazzante per lui muoversi in mezzo a tutte quelle personalità cercando di evitare gaffes spaventose e di mettere insieme due parole che non fossero un puro balbettio.
"Ho l'impressione che l'ambasciatore di Narito vi stia facendo dei cenni," disse improvvisamente la donna. Master Reinald si voltò a guardare un uomo di mezz'età, bloccato da una mezza dozzina di altre persone in alta uniforme, che stava disperatamente cercando di attirare la sua attenzione. Sorrise alla donna e al ragazzo:
"Scusatemi un attimo solo, ambasciatrice, la lascio in compagnia del mio pupillo." E con un solo inchino andò via.
Athom si sentì assalire da un senso di panico, ora era da solo con quella signora straniera, dai modi alieni. Il solo pensiero di cosa dire o di come comportarsi lo mandavano nel panico più completo. Ancora una volta detestò di cuore quel maledetto ricevimento, e una punta d'astio coinvolse anche Master Reinald. Perché doveva sempre esibirlo a tutti con quel sorriso che sembrava dire: "E' mio, non è grazioso?" ?
Athom rabbrividì d'angoscia a sentire quell'ondata di rivolta salirgli dentro, subito sostituita dalla fitta oscura del senso di colpa. 
Nel frattempo la donna di fronte a lui non aveva smesso un attimo di osservarlo con aperta curiosità. Athom si permise di sorriderle timidamente di rimando, mentre provava la fastidiosa sensazione di non sapere cosa farsene delle mani.
"Il vostro inno è meraviglioso" disse l'ambasciatrice, con l'aria di voler fare conversazione e Athom le fu grato per aver rotto per prima l'imbarazzante silenzio.
"Vi ringrazio," disse compito, "Master Reinald ne è molto fiero."
Lei gli lanciò uno sguardo strano, leggermente ironico forse, ma Athom non era sicuro di essere in grado di leggere negli occhi di quella donna, troppo diversa da quelle che aveva conosciuto finora, troppo sicura di sé.
"Oh, non ne dubito," disse "Peccato che egli non abbia il benché minimo talento per comporre niente di simile."
Athom sussultò e la fissò sbalordito ma lei non aveva cambiato espressione. Lo guardava ancora con volto sereno e sorridente, come se avesse appena pronunciato il più galante dei complimenti.
"Naturalmente ci sono pianeti nella galassia che sono capaci, non solo di comprendere, ma addirittura di premiare un talento vero, quando esso si manifesta." 
Disse in fretta quelle parole, senza guardarlo in faccia, ma continuando a sorridere. Athom segui il suo sguardo e vide che Master Reinald stava tornando verso di loro.
"Vorrei che vi ricordaste, mio caro ragazzo, che le ambasciate sono protette dall'immunità. Lo dico nel caso vi venisse voglia di evadere dal vostro solito tran tran. La mia, in particolare, sa essere parecchio ospitale con chi ha un talento come il vostro..."
Athom spalancò gli occhi esterrefatto, convinto di stare travisando ogni parola. Possibile che quella donna lo stesse invitando a... disertare? 
"Smetti di fare quella faccia , sta arrivando." L'ambasciatrice sussurrò quelle parole con tono tagliente, nonostante continuasse a sorridere suadente.
"Spero che il mio giovane pupillo non l'abbia annoiata!" 
Negli occhi di Master Reinald lampeggiava una luce infastidita, quasi irata.
"Ma niente affatto, lo trovo anzi un giovane pieno di vero talento." Rispose lei e adesso persino l'orecchio poco allenato di Athom poté avvertire l'ironia graffiante.
"Perdonatemi, ma ci sono altre persone a cui desidero presentarlo, benché sono sicuro che nessun altro farà su di lui l'effetto che avete avuto voi, signora!" 
La donna gli porse la mano senza smettere di sorridere e Athom si alzò confuso. 
"Arrivederci a presto, mio caro," disse rivolgendosi al ragazzo, ma Master Reinald lo trascinò via, impedendogli di rispondere.
Lo prese sotto braccio e lo avvolse nel calore del suo corpo, costringendolo ad adeguarsi al suo passo.
"Guarda, Athom," disse con tono allegro, gli atleti sono arrivati.
In quel momento infatti la sala si stava riempiendo di giovani dalle divise austere, accompagnati da uomini dai volti gravi. I nuovi arrivati sembravano compresi dell'importanza del momento, ma anche spaventosamente imbarazzati e fuori posto, persino quelli che tentavano di mascherare dietro un volto gelido la propria emozione. 
"Ma sono stati invitati tutti?" chiese Athom impressionato.
"Solo una rappresentanza," rispose distrattamente Master Reinald, "Gli atleti migliori e le squadre che hanno vinto più medaglie".
Ma già così erano numerosissimi e l'enorme sala all'improvviso sembrò molto piccola e affollata.
Athom vide l'Erede avanzare verso il gruppo e fermarsi davanti ad un Master di secondo grado, porgendogli la mano in segno di benvenuto. Un gesto gentile che suscitò l'approvazione nei presenti.
Sotto la guida dell'uomo vestito di nero, gli atleti avanzarono nella sala, poi si fermarono, in attesa, di fronte al seggio del Capitano dell'Astronave. L'anziano leader si alzò a fatica, sorretto dal braccio del suo attendente e con voce tremante tenne un breve discorso di ringraziamento. Una cerimonia tutto sommato breve ed austera, del tutto informale, poiché il saluto ufficiale ai suoi atleti vittoriosi New Empire lo aveva già tributato una settimana prima, sotto l'enorme Pietra dell'Astronave, la più antica del pianeta. 
Immediatamente dopo aver parlato il Capitano si allontanò, accompagnato dalla sua scorta, ma il ricevimento continuò, una rassicurante musica melodica suonava di sottofondo e gli invitati cominciarono a rilassarsi, o a sforzarsi di farlo. 
"Bene, questo ti farà piacere," disse all'improvviso Master Reinald che non si era mosso dal fianco di Milos per tutta la durata della cerimonia. Il ragazzo non si rese subito conto cosa l'altro intendesse, fin quando non vide avanzare verso di lui l'Erede insieme ad un giovane biondo ed atletico, bello da fare sobbalzare il cuore.
Athom guardò esterrefatto Milos venire verso di lui, sorridente, perfettamente a suo agio, mentre chiacchierava amabilmente con l'Erede in persona. E anche l'uomo, solitamente serio da mettere i brividi, sorrideva rilassato, rivolgendo verso l'altro metà del suo viso asciutto su cui aleggiava un'espressione soddisfatta. Li seguivano altri uomini, alcuni facevano parte della scorta dell'Erede, altri Athom non li aveva mai visti, ma dalle loro divise comprese si trattava dello staff della squadra di nuoto. Senza alcun dubbio erano dei dirigenti, due di loro indossavano persino le insegne di master di secondo grado, ma l'Erede non sembrava degnarli della minima attenzione, concentrato com'era nell'affabile conversazione col nuotatore. 
"Un tipo molto abile, il tuo amico," disse Master Reinald ed Athom si stupì della nota di disprezzo che risuonava nella voce del suo maestro.
Finalmente il gruppo si fermò davanti a loro e Athom sentì il cuore accelerare assurdamente sotto lo sguardo di due paia d'occhi. Freddo e arrogante uno, distaccato e sereno l'altro.
"Frederick, lasciate che vi presenti a questo giovane così promettente," disse l'Erede, rivolgendosi a Master Reinald. Athom vide il volto dell'uomo aprirsi in uno dei suoi affascinanti sorrisi, mentre porgeva a Milos una stretta virile.
"Abbiamo avuto già il piacere di incontrarci, anche se per un breve momento, ma non credo che voi ve ne ricordiate, cadetto Ranke"
Milos sorrise di rimando e il volto sembrò illuminarsi di un'espressione schietta e sincera.
"Come potrei aver dimenticato il piacere di avervi incontrato Master?" disse facendo baluginare i denti perfetti.
Athom sentì qualcosa dentro di lui tremare, mentre un rivolo di sudore gli scorreva lungo la schiena. Ricordò l'ultimo suo incontro con Milos e le parole che il ragazzo aveva rivolto contro Master Reinald. Era davvero la stessa persona che parlava adesso con quell'aria serena e deferente? Sentì un groppo salirgli in gola: meraviglia, paura e una fitta di dolore che non riusciva ad identificare meglio. In quel momento i suoi occhi vagarono nella sala e si accorse, con stupore sordo, che sui volti di tutti aleggiava, in modo più o meno manifesto, lo stesso identico sorriso. Possibile che lui fosse l'unico ad avere voglia di scappare?

XXIV

Athom ebbe la risposta a quella domanda ben prima di quanto si aspettasse. Presto infatti l'Erede e Master Reinald non poterono esimersi dall'accordare al resto del gruppo l'attenzione che essi si aspettavano. Sarebbe stata una scortesia fin troppo palese ignorare due Master di secondo grado solo per continuare una schermaglia con un bel giovanotto aitante. 
Milos e Athom perciò si ritrovarono finalmente l'uno di fronte all'altro a fissarsi con una punta di gioia e di imbarazzo. Il più grande prese Athom per il braccio e lo condusse un po' in disparte, in uno degli angoli della sala sovraffollata. 
"Ci speravo che fossi qui anche tu" gli disse, lanciando intorno un breve sguardo indagatore. Athom lasciò che un sorriso nervoso gli tirasse le labbra pallide. 
"Ho seguito tutte le tue gare. Sei stato magnifico" disse quelle parole tutte d'un fiato, quasi fosse atterrito dal loro stesso suono. 
Trovarsi di nuovo sotto quello sguardo così carico di sottintesi... lo aveva desiderato e anche temuto. Ma adesso tremava letteralmente, infatti, fino a che punto poteva ingannare quegli occhi implacabili?
"Sei dimagrito," disse Milos fissandolo in viso "Sei stato male, forse?"
Ecco, appunto. Athom si mosse a disagio, non ce la fece a sostenere l'esame diretto di quelle pupille chiare e si ritrovò a guardarsi la punta delle scarpe e a darsi mentalmente dello scemo.
"Ehi!" sentì l'altro esclamare, "Ma non potremmo andarcene da qui? Questo posto mi dà i brividi! mai visti tanti ipocriti rinchiusi tutti nella stessa gabbia." 
Athom rise divertito e sollevato. Divertito di ritrovare il Milos che conosceva e sollevato perché ancora non era giunto il tempo di rispondere alle domande che temeva.
"Se siamo bravi e abbastanza silenziosi, forse possiamo svignarcela," disse, e afferrandolo per un braccio lo condusse fuori dalla sala.

Attraversarono corridoi tortuosi, cambiarono di piano con l'ascensore, ed infine si fermarono davanti ad una porta di legno verniciato di bianco ed oro come tutte le altre che si aprivano su quell'androne. 
Athom aprì e invitò Milos ad entrare. Si ritrovarono in una ampia stanza arredata con gusto antiquato e con raffinata semplicità. L'attenzione di Milos fu attratta da uno strano oggetto che occupava il centro della stanza. Sembrava una sorta di tavolo, ma aveva una forma troppo strana, inoltre la parte anteriore si apriva a scatola e rivelava la presenza di una tastiera in cui si alternavano una serie di pulsanti bianchi e neri.
"Che cos'è?" Chiese indicando il tavolo misterioso.
"Si chiama pianoforte," rispose Athom, "E' un antico strumento musicale terrestre. Questo è un pezzo autentico, nemmeno io ne avevo visti prima, se non in vecchie foto."
Milos si avvicinò e con un dito sfiorò i tasti, poi fischiò piano.
"Deve valere una fortuna," disse
"Oh, sì," confermò l'altro, "Ma non preoccuparti, non sono diventato ricco tutto d'un tratto. Appartiene a Master Reinald come ogni altra cosa qui dentro. In realtà queste erano le sue stanze prima che si sposasse e andasse a vivere nell'altra ala del palazzo."
Milos guardò la superficie lucida dello strumento e si chiese in quale modo potesse mai suonarsi un arnese simile. 
"Come si suona?" chiese, dando voce al suo pensiero. Athom sorrise e si avvicinò, si sedette sullo sgabello davanti allo piano, e appoggiò le mani sui tasti. Ne uscì fuori un suono che fece sobbalzare Milos. Era sonoro e forte, ma vi era qualcosa di molto tenero anche, una vibrazione che si diffondeva nell'aria riempiendola di una misteriosa bellezza.
"Vuoi che ti suoni qualcosa?"
"Sì, mi piacerebbe,"
Athom mosse le dita agilissime, premendo sui tasti e traendo da essi una serie di suoni ascendenti.
"Oh no, ti prego, una scala no!" implorò Milos con aria comicamente allarmata. Athom rise e lo guardò con espressione maliziosa, ma poi tornò a concentrarsi sulla tastiera. Cominciò a suonare, una musica vera stavolta, qualcosa che Milos non aveva mai udito. Un susseguirsi di note veloci e cristalline come una cascata, intercalate da una melodia lenta, dolce e malinconica.
Smise improvvisamente e Milos ebbe la netta sensazione che si fosse fermato a metà. 
"Continua," sussurrò per non interrompere l'incanto, ma il ragazzo scosse la testa.
"E' meglio di no," disse, "Master Reinald non vuole che perda tempo con queste sciocchezze."
"A me piaceva..."
Athom sospirò e si alzò in piedi, il suo volto pallido sembrava smunto per l'angoscia. Milos lo guardò preoccupato.
"Cosa sta succedendo?" chiese con una nota dura nella voce.
Athom si strinse nelle spalle ma evitò il suo sguardo. 
"Athom, guardami in faccia"
L'altro ubbidì quasi per riflesso condizionato e Milos si ritrovò di nuovo davanti a quel volto stanco a fissare gli occhi cerchiati di nero.
"Che cos'hai? Cosa sta succedendo?" ripeté con tono perentorio.
"Cosa vuoi che sia? Niente." disse l'altro, ma nella voce gli tremavano le lacrime.
Milos sentì un moto di vera ira salirgli dentro. Si avvicinò al musicista e lo afferrò per le braccia, lo trascinò sotto la luce della lampada e lo guardò fisso dentro gli occhi. Athom tentò di opporsi e soprattutto cercò di evitare quell'esame così accurato, ma Milos non sembrava aver più molta voglia di scherzare.
"Hai uno sguardo strano, l'ho notato appena ti ho visto e sei anche dimagrito. Dimmi cosa sta succedendo!" aveva cominciato a scuoterlo, sempre più irato di fronte al silenzio dell'altro.
"Lasciami, mi stai facendo male," si lamentò il ragazzo più giovane e solo allora Milos si rese conto che aveva serrato le mani intorno alle braccia troppo fragili.
Allentò la stretta ma nello stesso tempo lo attirò a sé e se lo strinse al petto. Lo sentì tremare come un animaletto atterrito e una pena profonda gli scavò le viscere.
"Non sei malato, vero?" gli sussurrò nell'orecchio. Fidati di me, ti prego, avrebbe voluto urlargli, ma le parole non volevano saperne di venire fuori e allora lo serrò ancora di più con una disperazione che era il segno di un possesso.
Athom respirò forte, quasi a tentare di recuperare una calma che gli sfuggiva. Poi parlò, anche lui piano, anche lui dentro l'orecchio dell'altro.
"Non ho niente, sono solo un po' stanco."
Milos lo allontanò da sé tenendolo sempre per le braccia e lo guardò di nuovo in viso. Athom si sforzò di sorridere. 
"Stiamo lavorando a qualcosa di veramente grosso, adesso. Vedrai sarà una grande sorpresa. Però è faticoso e in questi ultimi giorni ho dormito poco. È solo questo, sto bene..."
L'altro lo osservò dubbioso, ma Athom sorrise ancora e poi si abbandonò sul suo petto.
"Mi sei mancato," gli disse con un sospiro e Milos impietrì. In un momento comprese senza bisogno d'altro, come se Athom avesse finito per confessargli ogni cosa. Sapeva che il ragazzo non avrebbe mai pronunciato quelle parole se non fosse stato sull'orlo della disperazione. Sentì un sudore freddo corrergli lungo la schiena e i capelli drizzarsi sulla nuca, ma non disse niente. Soltanto lo strinse, cercando di non spaventarlo ancora di più, nascondendogli tutta la sua angoscia.
"Voglio che torni da me, trova il modo di farti mandare di nuovo in collegio. Ricordati che me lo hai promesso."
Sapeva che si stava comportando in modo infantile e che tormentarlo non era certo il modo giusto di aiutarlo, ma cos'altro poteva fare? Il pensiero della propria impotenza lo riempiva di una rabbia fredda.
Lo vide sorridere, anche se i suoi occhi erano lucidi di lacrime trattenute. Però non gli disse niente e Milos capì che aveva perso la forza di mentirgli. E lui si sentiva così inutile, non aveva modo nemmeno di consolarlo, niente del tutto se non...
Appoggiò le labbra sul suo orecchio 
"Ti amo," ecco glielo aveva detto e adesso che tutto l'intero universo andasse pure all'inferno, cosa gli importava?
Athom si staccò e lo fissò stupito.
"Che cosa dici?" mormorò pallido come un cencio.
"Vuoi che te lo ripeta?."
"Milos..." Athom gemette, mentre i suoi occhi diventavano due pozzi liquidi.
"Ti amo. Vuoi sentirlo di nuovo? Ti..."
"Sono un ragazzo..." la voce di Athom sembrava un gemito.
"Non potrei provare niente di diverso se tu fossi una donna."
"Non dire cose così..." Athom quasi urlò, "Sei completamente pazzo..." e gli si buttò tra le braccia. 
Milos tacque, troppo impegnato a respirare il profumo che sprigionava dai capelli del ragazzo che lo stringeva convulso. 
"Va bene, calmati, ora, andrà tutto bene, vedrai. Tutto bene." 
Lo accarezzò piano, con dolcezza, le sue mani scesero dai capelli alla schiena e quasi sobbalzò a sentire sotto le dita la forma appuntita delle scapole. Troppo magro, troppo persino per uno scricciolo come lui.
Ma Athom sollevò il volto e gli offrì le labbra con un gesto così disperato che Milos dimenticò ogni pensiero. Lo attirò ancora più vicino e finalmente le loro labbra si unirono. Lo baciò dolcemente, prima, per non spaventarlo di nuovo, teneramente a fior di labbra, poi la sua lingua cercò accesso dentro di lui e le sue labbra si incollarono con forza. Un bacio profondo, possessivo e nello stesso tempo dolcissimo. 
Sempre baciandolo cominciò a spingerlo gentilmente verso il divano e con una mossa abile lo fece sdraiare sui cuscini e gli fu sopra. 
La sensazione di quel corpo sotto il suo era talmente incredibile che Milos temette di perdere la testa. Una voglia cieca di strappargli di dosso i vestiti e di possederlo con forza, senza una parola, gli sconvolgeva i nervi. Con uno sforzo di volontà spaventoso si controllò. Non voleva fargli del male, una cosa così non se la sarebbe mai perdonata, per tutta la vita.
Gli accarezzò il volto sudato guardandolo negli occhi. Vi lesse paura, confusione, ma anche abbandono. E bastò quello per eccitarlo ancora di più. Adesso che sapeva che significava quella voglia che gli saliva dentro, e che sapeva come poteva essere bello spegnere quel fuoco che gli bruciava le viscere era ancora più difficile dominarsi. Cominciò a sbottonargli la giacca della divisa e a strattonargli la camicia fuori dai calzoni. Finalmente la sua mano risalì lungo l'addome a cercare il calore della sua pelle e la dolcezza vellutata di un capezzolo. Lo strinse delicatamente tra le dita, ma a quel semplice gesto sentì Athom sobbalzare così forte che temette potessero cadere entrambi dal divano.
"Mi... Milos..." la sua voce roca aveva una nota di allarme preoccupante, troppo per sopportarlo.
Annuì con un sospiro e dandosi mentalmente dello stupido, tolse la mano, però non lo lasciò andare del tutto. 
Si chinò sulla sua bocca e cominciò a depositare una serie di piccoli baci intorno alle sue labbra, agli angoli delle guance e sulla fossetta del mento prima di impossessarsi di nuovo della sua bocca e baciarlo con una lentezza esasperante. Gli catturò la lingua e gliela succhiò con dolcezza, poi gli esplorò l'interno della bocca, approfondendo quel bacio fino alla disperazione. 
Infine, si staccarono ansanti, Athom si mise seduto, lo sguardo completamente smarrito e Milos si girò supino e poggiò la testa sulle gambe del ragazzo. Le mani di Athom si sollevarono e si posarono sul suo capo pettinandogli piano i capelli. 
"Non ce la faccio più" disse Milos, "Se continua così credo che diventerò pazzo," sorrise divertito dalla nota tragica che vi era nelle sue stesse parole. 
"Ma quanto sei scemo!" disse Athom, e anche lui sorrideva.
Milos alzò le braccia, le passò dietro la testa dell'altro e lo attirò verso di sé costringendolo a chinarsi sulla sua bocca.
"Promettimi che farai di tutto per tornare da me," gli sussurrò prima di impossessarsi della sua bocca.
"Sì," disse Athom e aprì le labbra alla lingua di Milos.

Continua...



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