I wish you a merry christmas end an happy new years!

I commenti alla fine. Adesso vi dico solo che i personaggi, la storia e le vicende sono state tutte scritte ed inventate dalla mia mente malata sotto il periodo natalizio. "L'opera" qui presente, però, non presenta alcun aspetto- tranne il freddo- di questo periodo annuale. Sarà perché a me il Natale non piace...


...


Last Days

di Ash(lynx)



 

Sono sempre vissuto in una campana di vetro. Non mi sono mai reso conto del dolore e della morte che mi circondavano fino a quando non sono arrivate, silenziose ed invisibili, sotto i miei occhi, a colpire colui a me più caro e, subito dopo, anche me stesso. Solo allora ho conosciuto la vera sofferenza, l'agonia di un essere che sta lentamente andando allo sbaraglio. Dopo la visita della signora Morte sono sopravvissuto convivendo con una costante stretta al cuore e un nodo in gola. Stavo male, ma avevo paura di smettere di soffrire, di dimenticare. Distruggermi era la strada per raggiungerlo. Ancora prima d'arrivare a questa consapevolezza avevo imboccato la strada verso la fine. E la verità è che non mi dispiaceva.

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Il cielo scuro domina sulla città, le nuvole nere impediscono il passaggio dei raggi di sole e preannunciano una imminente pioggia. Il vento soffia, scuotendo violentemente gli alberi, mentre il suo suono mi arriva chiaro e minaccioso alle orecchie. Per la strada non c'è nessuno. Tutti si sono rintanati in casa in attesa che passi la bufera, ma io mi sento irrequieto chiuso in queste quattro mura, da solo. Avvolto nel mio maglione, osservo dalla finestra della cucina la furia del vento, ascoltando il suo richiamo. Voglio uscire. Sento che c'è qualcosa che mi aspetta là fuori, qualcosa solo per me, a cui non posso rinunciare.

Faccio un giro per la casa vuota. I miei genitori sono andati a festeggiare il loro ventesimo anno di matrimonio e non torneranno che fra  tre giorni, perciò ho la casa tutta per me. Potrei fare una festa, ma non ho proprio voglia di incontrare anche qua quei poveri cretini che sono in classe con me e neppure quelli della mia compagnia. Ammetto che è da un po' che li ho abbandonati e non mi mancano per niente. Se fossi ancora in contatto con loro li chiamerei, quantomeno per non sentirmi così solo, ma ora come ora non ho nessuno con cui parlare. Perciò mi metto le scarpe, sciarpa e giubbotto ed esco.

Il vento mi colpisce come un pugile il suo avversario e mi stringo di più al cappotto. Fa freddo, ma non ho la minima intenzione di tornare indietro. L'aria gelida mi entra nei polmoni ad ogni respiro, sento le orecchie e il naso diventare sempre più fredde ad ogni secondo, ma non è un grande problema. Mi ficco le mani in tasca e, chiuso dietro di me il cancello in ferro del giardino, mi avvio verso una meta sconosciuta.

Ad ogni passo, sempre più infreddolito, mi allontano dal centro della cittadina, guidato dal soffiare interminabile del vento. Il suo ululato, che fino a pochi minuti prima mi aveva quasi spaventato, adesso mi rassicura e mi convince ad andare avanti.  Sento sempre più forte la sensazione che mi aveva colto alla finestra. Avverto che la cosa che sto cercando si fa sempre più vicina, e non mi importa più nulla del freddo.

Quando rialzo lo sguardo da terra mi accordo d'essere arrivato al parco giochi vicino al campo sportivo al limite della cittadina. Altri due metri e sarei uscito del tutto. Invece mi fermo, guidato da quella strana forza che mi ha fatto uscire di casa.

Fisso le due piccole altalene che da piccolo occupavo per ore ed ore assieme ai miei amici e mi tornano alla mente tutte le cavolate che ho fatto assieme a loro. Una volta, ad esempio, a sei anni, abbiamo giocato alla guerra di fango, lanciandoci addosso delle palle di melma, dato che aveva da poco smesso di piovere. Siamo andati avanti per ore prima che i nostri genitori se ne accorgessero e ci portassero a casa per lavarci e metterci in punizione. Io, in particolare, sono dovuto rimanere chiuso in casa per una settimana intera. Una tortura per un bambino di sei anni!  Sorrido ripensando a quando mi ero divertito quel giorno.

Ma i giochi coi miei amichetti delle elementari non sono le sole cose che mi tornano alla memoria. Proprio in questo posto ho dato il mio primo bacio. Bé, a dire il vero non era proprio il mio primo bacio. Diciamo che è stata la mia prima "esperienza" omosessuale.

 

Avevo quindici anni, capelli castani e lisci, un po' più lunghi del normale, gli occhi vivaci e una corporatura magrolina. Tutto sommato ero molto carino, soprattutto a detta di molte madri dei miei amici. Dicevano che avevo il viso d'angelo e gli occhi birbanti da furfante. Ero andato al parco assieme ad un mio compagno di scuola, più grande di me di un anno. Anzi no: ci eravamo trovati lì per caso. Mi ero seduto alla base dello scivolo ad aspettare che arrivassero gli altri del gruppo per andare a fare un giro, scambiando con lui un misero "ciao". Lo avevo visto alcune volte a scuola, si chiamava Koharu. Si distingueva dagli altri per la via vitalità, spavalderia e il fatto di non avere peli sulla lingua. In più era carino, a detta delle ragazzine uno dei più belli dell'intero edificio scolastico. Già a quell'età era chiaro che sarebbe diventato presto un playboy. Avevo sempre pensato che uno popolare e "grande" come lui non avrebbe mai degnato d'uno sguardo uno "piccolo" come me. Invece mi ero sbagliato. Quel pomeriggio mi rivolse la parola. Non ricordo cosa mi disse, solo che dopo poco mi si era avvicinato e mi aveva appoggiato entrambe le mai sulle ginocchia. Senza violenza, ma con molta decisione. Guardandolo negli occhi mi ero accorto di una starna luce, che mai gli avevo visto, neanche durante tutte delle sue scorribande. Era irresistibile, così non ho fatto nulla per allontanarmi, neanche quando mi ha baciato. Un bacetto da niente, a fior di labbra, ma mi fece venire i brividi lungo la schiena. Durò molto poco e, quando si staccò, sorrideva. Non riuscii a dire neanche una parola, tanto ero rimasto di sasso! Un ragazzo mi aveva appena baciato! "Innaturale!" fu il primissimo pensiero, ma poi mi corressi: mi era piaciuto, e questo mi preoccupava ancora di più. Come potevo accettare d'essere diverso da tutti i miei amici? Lui se ne andò, senza dire nulla, dopo avermi passato una mano tra i capelli, e lasciandomi nella più completa confusione.

 

Raggiungo lo scivolo e mi siedo nello stesso punto di quattro anni fa. Adesso riesco a risentire quel primo bacio e un nuovo brivido mi percorre la schiena. Sento le lacrime pungermi gli occhi, per l'ennesima volta in questi ultimi mesi. Colla differenza che adesso non voglio piangere. Mentre il dolore mi ripercuote l'anima, mi asciugo gli occhi e mi rimetto in piedi, deciso a smettere di soffrire.

Così il mio sguardo vaga libero per alcuni secondi tra l'erba e lo trovo. La forza che mi ha guidato fino a qui si fa risentire, più forte, e mi indica quel ragazzo, seduto tra l'erba, colla schiena appoggiata ad un albero. É vestito completamente di nero, tanto da sembrare un'ombra. Sento il bisogno di avvicinarmi di più e cammino nella sua direzione, continuando a fissarlo e scoprendo nuovi particolari. Innanzitutto ha gli occhi chiusi, come se stesse dormendo, e i capelli neri e lisci, con alcuni ciuffi che gli ricadono sul viso. La pelle è chiarissima, quasi cadaverica. Tiene le braccia abbandonate per terra, colle mani girate verso l'alto, la testa piegata di lato e le gambe piegate, anch'esse abbandonate al terreno. 

In pochi passi lo raggiungo e mi accovaccio al suo fianco. "Bellissimo!" è il mio primo pensiero, anche se il suo viso è sporco di sangue e ha un grande livido violaceo in un occhio. Mi rendo conto di una cosa più importante: il suo respiro è irregolare, affannato. Il petto si muove velocemente su e giù, come ad enfatizzare l'enormità del suo sforzo. In più ha i vestiti e i capelli completamente bagnati, come se si fosse immerso in una piscina. Trema leggermente e questo mi spaventa un po'. Mi è chiaro che ha la febbre, serve solo la prova del nove. Gli tasto la fronte con una mano e mi basta poco per avvertirne il calore malato.

"E ora che faccio? In questo buco di paese non c'è neanche un misero ospedale!"

Lo scuoto un attimo, per svegliarlo, chiamandolo. Dopo un paio di tentativi socchiude gli occhi mugolando qualcosa di incomprensibile. Mi convinco ancora di più che non posso lasciarlo qua con questo tempo: tra un po' è sicuro che piove.

-          Hai la febbre- dico mentre sta richiudendo gli occhi- ti porto a casa mia, tu resisti.

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Lo adagio sul mio letto. É stata una bella fatica arrivare fino a qua, praticamente portandolo in braccio. Non che pesi troppo, ma io non sono proprio quello che si può descrivere come un ragazzo robusto. Adesso non so bene cosa fare. Per quel che mi riguarda ho avuto pochissime volte la febbre. Comunque mi pare chiaro come il sole che non posso lasciargli addosso questi vestiti completamente bagnati. Anzi, sarebbe il caso di fargli un bagno caldo per riscaldarlo. Peccato che non sia sveglio: sarebbe più facile se avessi la sua collaborazione e mi sentirei meno imbarazzato. Pazienza, mi arrangerò!

Prima di tutto gli tolgo le scarpe e i calzini buttando entrambi in un sacchetto di plastica, per poi metterli a lavare. Passo poi alla giacca e alla maglietta, che fanno la stessa fine dei calzini. Lo osservo un attimo, ancora abbandonato molto sensualmente nel letto, e mi ripeto che è veramente bello. Sul petto, però, ci sono altri lividi ed escoriazioni, segno di una violenta rissa. Non mi sembrano, però, molto gravi: niente per cui valga la pena allarmarsi troppo.

Anche Koharu era bello, forse più di lui. La prima volta che si spogliò davanti a me, solo per me, ricordo che rimasi affascinato dal modo in cui si muoveva, deciso e sensuale.

 

Dopo quel bacio nel parco, alcune settimane dopo, ero andato a cercarlo per chiarire una volta per tutte i miei dubbi. Avevo anche intenzione di dirgli di starmi distante, in quanto non volevo essere etichettato come un gay, ma lui mi prese nuovamente alla sprovvista. Ero a casa sua, in un pomeriggio di aprile, ed eravamo soli. Ricordo ancora che era vestito con dei jeans a vita bassa e una maglietta nera a maniche lunghe, i capelli disordinati e gli occhi accesi. Semplicemente irresistibile. Piano piano, mentre gli dicevo ciò che mi ero ripetuto più volte in quei giorni facendo le prove allo specchio, avevo sentito crescere dentro di me, devastante, la voglia di un altro bacio. Non so se lui se ne sia accordo, solo che, quando avevo finito di parlare e mi ero voltato verso la porta per andarmene, lui mi aveva afferrato per un braccio e, dopo avermi fatto girare in modo da trovarmi i suo occhi puntati sul volto, mi aveva baciato di nuovo. Questa volta con passione. Un bacio profondo, se così si può chiamare. Avevo sentito la sua lingua accarezzarmi le labbra e poi farsi strada nella bocca, senza che io potessi- o volessi- fare qualcosa per fermarlo. Lo avevo assecondando, rispondendo a poco a poco al suo bacio. Nel giro di pochi secondi eravamo distesi sul divano nel salotto, dolcemente avvinghiati, lui sopra e io sotto. Le sue mani mi percorrevano ininterrottamente in petto, scendendo sempre di qualche centimetro. Quando scesero a sufficienza bastò che mi sfiorassero per farmi eccitare completamente. Lui se ne accorse immediatamente, anche perché sarebbe stato impossibile il contrario, e interruppe il bacio. Lo vidi sorridere, mentre con la mano accarezzava la stoffa dei miei jeans con maggior vigore.

-          Allora non è vero che non ti interesso!- disse trionfante, cominciando a baciarmi lungo il collo.

Me lo ricordo come se fosse ieri. Dopo un po' che mi accarezzava da sopra la stoffa, e quando ormai io credevo di stare per impazzire, decise che poteva fare qualcosa di più. Gli ci vollero circa due secondi per slacciarmi i pantaloni e abbassarmeli di alcuni centimetri assieme ai boxer. Soffiò maliziosamente sulla punta della mia erezione, facendomi inarcare la schiena per quel piccolo piacere misto ad insofferenza. Nessuna delle ragazze con cui ero stato fino a quel momento mi aveva provocato reazioni del genere. Ero completamente allo sbaraglio, del tutto nelle sue mani.

-          Koharu...io...- tentai di dire qualcosa, ma non sapevo neanche io cosa.

-          Shhh- sussurrò.

Quel sussurro...mi giunge alle orecchie come se sia stato appena pronunciato, con lo stesso suono rassicurante d'allora. Non vidi cosa fece dopo, ma lo sentii chiaramente. Mi prese in bocca, avvolgendomi e cominciando da subito a muoversi su e giù, succhiando. Pochi secondi e una scarica elettrica mi percosse completamente. So che gemetti, ma non me ne resi subito conto. Sapevo solo che mi piaceva un casino e che stavo godendo come non mai prima. Accelerò il suo movimento e, in poco tempo, raggiunsi il limite e, con un sospiro, mi svuotai nella sua bocca. Lo sentii succhiare e leccare tutto quello sperma prima che rialzasse la testa e mi desse un bacio sulle labbra. Sentii il mio stesso gusto in bocca e, per un secondo, rimasi confuso. Era tutto così strano...così piacevolmente strano!

-          Mi piaci molto- mi disse- ti può sembrare strano, ma io è da tanto che non faccio altro che pensare a te. Vorrei che stessimo assieme.

-          Io...

-          Non serve che rispondi subito. Ti si legge in faccia che sei confuso. Prenditi pure il tempo che ti serve per rispondermi, ma ricordati sempre che, nonostante ciò che la gente può dire, qua non c'è nulla di sbagliato. Quello che abbiamo appena fatto e quello che provo per te non sono un errore, non sono contro natura. Sono sentimenti, irrazionali per definizioni, certamente inusuali, ma giusti.

Mi diede un lieve bacio sulla fronte prima di mettersi in piedi. Lo imitai, mi ricomposi e uscii da quella casa salutandolo senza entusiasmo.

 

Questo ragazzo per alcuni aspetti gli somiglia. É moro e pallido come lui, ma per il resto è troppo magro e decisamente più basso. Koharu era più alto di me di dieci centimetri! Finisco di svestirlo, scoprendo sempre più lividi, tagli e sangue ormai secco sui pantaloni, e gli avvolgo attorno una coperta mentre vado a preparargli la vasca.

In pochi minuti riesco ad immergerlo nell'acqua calda e lui, finalmente, riapre gli occhi e si muove leggermente, mentre ancora lo sorreggo con entrambe le braccia.

-          Chi sei?- mi chiede con voce roca e impastata.

-          Mi chiamo Hiro. Tranquillo, non ti faccio nulla di male.

-          Lasciami: ce la faccio da solo.

Ne dubito, ma faccio come mi ha "chiesto". Riesce a mettersi seduto senza bisogno d'aiuto e a reggersi. Il suo sguardo è cambiato. Da sofferente è diventato pieno di sfida, come se volesse dimostrarmi qualcosa, molto probabilmente che non ha bisogno del mio aiuto né di quello di qualcun altro. Lo assecondo, mettendomi in piedi e avviandomi verso la porta.

-          Il bagnoschiuma e tutto il resto sono sul bordo della vasca. Per quando hai finito là ci sono degli asciugamani-  gli indico due asciugamani sopra il mobiletto vicino alla vasca- fa con calma. Io ti cerco alcuni vestiti asciutti.

Dopo circa un quarto d'ora sento la porta del bagno aprirsi e, dopo qualche secondo, richiudersi, facendolo uscire. Mi trovo in cucina, intento a preparare qualcosa da mangiare per me e per l'inaspettato ospite, ma, nonostante il lungo corridoio ci divida, riesco chiaramente a sentire i suoi passi scalzi lungo esso. Decido di aspettare ancora un po' prima di andare da lui a vedere come sta, se per caso la febbre gli sia scesa e a portargli una aspirina o qualcosa del genere, per dargli almeno il tempo di mettersi addosso i vestiti che gli ho preparato sul letto nell'unica stanza colla porta aperta. Non penso che avrà alcun dubbio sul fatto che quei vestiti sono là per lui, dal momento che, vicini a loro, ho appoggiato tutti gli oggetti personali che gli ho trovato nelle tasche di ciò che indossava prima.

É stato veramente difficile trovare qualcosa che potesse andargli bene: non ho nulla della sua taglia esatta. Spero che si accontenti di portare vestiti leggermente più grandi di lui.

Anche con Koharu era un trauma ogni qual volta che mi chiedeva una maglia o altro, colla differenza che il più delle volte gli stava piccola. Quando i miei non c'erano e veniva a passare la notte da me, immancabilmente, la mattina dovevo prestargli qualcosa, perché era certo che la sera di era sporcato i pantaloni, la maglietta o qualsiasi altra cosa che avesse indosso. Non so ancora come ci riuscisse. Fatto sta che gli toccava uscire di casa con magliette strette e corte o pantaloni difficilmente abbottonabili. E lui sempre a dire che dovevo crescere e mettere su chili, altrimenti non sarebbe mai riuscito ad infilarsi qualcosa di mio! Naturalmente la colpa era perennemente del sottoscritto! Ma il suo riso quando mi rimproverava per i miei abiti troppo piccoli per lui era così rassicurante e necessario. Era aria per me. I suoi occhi brillavano come stelle e si distinguevano anche nel buio, pronti ad illuminare le situazioni più cupe. Era...era...

Già, era. Ora solo era. Non più è. Chino il capo mentre una lacrima mi percorre la guancia fino al mento, per poi cadere a bagnare la mia mano. Quante lacrime ho versato per lui! Quanto dolore ho patito! Quanto dolore ancora sento vivo nel mio cuore, lancinante e distruttivo. Un dolore che mi lascia sveglio di notte e mi dilania l'anima costantemente. Lui se ne è andato, e non potrà più tornare, ma vive ancora dentro di me. Non voglio che se ne vada anche dalla dimora che gli ho creato nel mio cuore, lo voglio sentire sempre presente, che mi accompagni in ogni luogo. Ma so che non sarà mai più come prima, che la sua voce, le sue mani calde, le sue labbra e il suo corpo esisteranno solo nei miei ricordi e ciò mi distrugge. So che il futuro è vuoto per la nostra storia e ormai non c'è neanche più la speranza che possa tornare. Perché la morte se l'è portato via e la vita ha deciso che io dovevo continuare a stare dalla sua parte, anche senza la mia metà. Strappato in due da un colpo secco e implacabile, continuamente a rinvigorire la ferita e ad aumentare il dolore.

"Come posso vivere così? Come posso senza di lui?"

Le lacrime continuano a cadere senza sosta fuori dal baratro dei miei occhi, mentre cerco di non fare alcun tipo di rumore. Le mani mi tremano e la gambe faticano a sorreggermi. Il dolore vuole piegarmi in due e farmi inginocchiare a terra, facendomi dare libero sfogo a ciò che provo. Io non voglio. Io devo essere forte. Non devo far credere che la sua perdita si stata così atroce per me. Nessuno sapeva di noi due e ciò che è stato voglio che continui a rimanere un segreto, ormai solo mio, perché nessuno possa parlarne male e infangare i nostri sentimenti. Perciò ho sempre finto e sempre continuerò a farlo.

-          Questi vestiti mi stanno larghi!

Mi blocco di scatto. Fermo le lacrime che ancora cercano una via di fuga dai miei occhi e mi do un contegno. Non voglio farmi vedere da nessuno, tantomeno da lui, in questo stato.

-          Non ho niente di più piccolo, a meno che tu non voglia indossare vestiti da donna, quelli di mia madre per l'esattezza, e lei non porta mai pantaloni- rispondo cercando d'essere il più naturale possibile.

-          Le gonne non mi donano.

Non mi giro, ma lo sento chiaramente sedersi su una poltrona. Stiamo un po' in silenzio prima che io, essendomi ormai dato un contegno, riesca a parlare senza alcun problema.

-          Come ti chiami?

-          Saki.

-          Non ti ho mai visto da queste parti.

-          Sono arrivato solo oggi. A dire il vero non era mia intenzione fermarmi qua, ma...- lascia la frase in sospeso, senza alcuna intenzione di concluderla.

-          Come sta la febbre?

-          Penso sia scesa.

-          Prendi questo.

Gli porto una medicina e, per un attimo, i nostri sguardi si incontrano. I suoi occhi sono azzurri, mentre i miei sono sicuramente rossi per il pianto. Che bella impressione che devo avergli fatto!

-          Grazie- dice ingerendola, senza dare segno d'aver visto ciò che sicuramente si nota a un chilometro di distanza.

Mi allontano, girando la testa in modo che non possa più vedermi in viso.

-          Comunque è meglio se riposi. Quando ti ho trovato non eri nemmeno cosciente, sono sicuro che hai la febbre ancora alta. Hai fatto a botte, per caso?

-          Non posso fidarmi così tanto di un estraneo- dice ignorando la mia domanda.

-          Fatto sta che stai male. Non mi fido a lasciarti andare via senza la certezza di ritrovarti per terra e doverti trascinare di nuovo fino a qua.

-          Se hai fatto fatica a trasportarmi non è certo colpa mia. Evidentemente sei debole!

-          Ehi! Eri tu che neanche riuscivi a reggerti in piedi!

-          Non sono io il più debole tra di noi. A parte la forza fisica, io non mi vergogno di stare male, quando accade. Tu, invece, da come volti la testa per non farmi vedere gli occhi rossi dal pianto, sei l'esatto opposto!

Un fremito di rabbia. Uno solo, forte e subito represso. Un altro sentimento che va ad aggiungersi a tutti quelli soffocati. L'ennesimo peso sul cuore.

-          Se vuoi rimanere la stanza per te c'è. É quella dove hai trovato quei vestiti. Se non vuoi, la porta è da quella parte e la farmacia subito dietro l'angolo. Comunque sappi che non mi crei alcun disturbo o problema coi miei genitori, dato che torneranno solo tra qualche giorno da una vacanza- rispondo con un tono che spero sia neutrale.

Sospira, ma risponde subito, come se ci avesse pensato solo una manciata di attimi.

-          Spero che la tua cucina sia più buona del riso che si sta bruciando in quella pentola.

Un attimo dopo aver assimilato la risposta affermativa devo correre al fornelli a spegnere il fuoco, per evitare almeno che la stanza si riempi di fumo.

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É notte. La pioggia cade picchiando sui vetri delle finestre, con un suono quasi rassicurate, Ascolto il suo tamburellare mentre mi rovo disteso nel mio grande letto, ormai duro e vuoto, attendendo un sonno che non vuole arrivare. Troppi pensieri mi vorticano nella mente impedendomi il riposo. Non riesco a cacciarli e non trovo pace. Koharu è sempre presente con il suo sorriso aperto e gli occhi furbi, ma sento che manca qualcosa, che il suo ricordo è un poco sbiadito, come coperto da uno strato di nebbia. Mi angoscia. Ho il terrore di dimenticare. L'ho già perso nella realtà, come potrei stare senza il sostegno del suo ricordo? Dimenticarlo sarebbe come tradirlo e non me la sento, dopo avergli giurato fedeltà e amore. Mi sento sporco e colpevole. Mi vergogno di me stesso. Non posso dimenticarlo! Ho promesso di non scordarmi mai il suo viso! Eppure...

Sempre mentre sto fissando il buio, mi torna alla mente uno dei tanti episodi che hanno costituito la nostra relazione e che, da quando è morto, non fanno altro che tormentarmi. 

 

Avevo appena preso una decisione riguardo a noi due. Erano passate circa due settimane da quando ero andato a casa sua e lui si era dichiarato, lasciando molto più scioccato di quando già non fossi. Per quindici giorni sono vissuto nel dubbio, mentre si svolgeva una lotta tra il mio cuore e la mia mente. Mi domandavo come i miei genitori e i miei amici avrebbero preso la cosa se avessero saputo che me la facevo coi ragazzi. Sarei rimasto solo, è chiaro. Questa paura mi fermava e non riuscivo a trovare una soluzione. Perché lui mi piaceva. Avevo impiegato molti giorni ad arrivare a questa consapevolezza, attraversano momenti di grande insicurezza e quasi vergogna, ma ero riuscito a non avere più dei dubbi, su questo. Volevo stare con lui, baciarlo e toccarlo nuovamente, lasciare che le sue mani si muovessero liberamente su di me, ma avevo talmente paura che non sapevo come comportarmi. Furono le sue parole ad aiutarmi, quelle che mi disse il giorno della dichiarazione.

Una sera, spinto da un coraggio quasi innaturale per me, andai a casa sua. Fu una decisione improvvisa, che avevo preso appena ero uscito di casa per andare ad aiutare mia madre a fare la spesa, una delle rare volte che era a casa. Le avevo detto che mi ero ricordato di una faccenda importante e lei non aveva fatto domande, lasciandomi andare. Pochi secondo dopo aver suonato al campanello, venne lui stesso ad aprirmi. Era molto sorpreso, ma aveva lo sguardo contento.

-          Come mai qua a quest'ora?- mi chiese.

-          É che o lo faccio adesso o non troverò mai più il coraggio.

-          Il coraggio?

Mi guardai un attimo attorno. Era buio e non c'era nessuno in giro. L'ideale.

-          Per fare questo.

Lo baciai. Lì, praticamente allo scoperto, come se degli altri non me ne importasse nel più assoluto dei modi.

-          Vieni dentro- mi disse dopo essersi staccato.

Aveva nel viso la stessa espressione di quel giorno al parco e non potei non notare la sua bramosia. Entrai senza più alcun ripensamento, chiudendomi la porta alle spalle.

Fu in quel momento che compresi appieno la sua voglia. Senza lasciarmi il tempo di togliere il cappotto, mi strinse contro la porta d'ingresso e mi baciò con un furore che prima non gli avevo mia sentito. Non riuscivo a muovermi, pigiato tra il suo corpo e il legno, mentre le sue mani stavano già togliendomi la giacca.

-          Due settimane...sono lunghe...- disse in un attimo nel quale si era allontanato per riprendere fiato.

Non mi diede il tempo di rispondere, avventatosi nuovamente sulle mie labbra. Con un unico e fluido gesto mi sfilò il cappotto, lasciandolo cadere a terra, e spostò le sue mani sotto la mia maglietta. Esse salirono sempre di più, alzandomela fino al mento, posandosi sui miei capezzoli ormai turgidi e tastandoli con forza. Il suo bacino si strinse ancora di più al mio, cominciando a strusciarsi. Sentivo chiara la sua erezione e bastarono pochi attimi perché giungesse anche la  mia. Sospirai forte mentre lui spostò la bocca lungo il collo, cominciando a depositarci piccoli e numerosi baci. Spostai indietro la testa, gli occhi coperti da un velo di piacere, mentre il piacere mi annebbiava la mente e mi faceva perdere nel turbinio delle emozioni. Scese ancora fino a che non sostituì colla lingua le due sagge mani. Mi leccò con malizia più volte, muovendo sempre su e giù il bacino, facendomi impazzire per quella piccola piacevole insoddisfazione che giungeva della mia eccitazione, mentre colle mani mi toglieva la maglietta lasciandomi a petto nudo.

La sua bocca tornò velocemente sulla mia, a baciarmi con disperata enfasi, mentre le sua mani presero le mie e le guidarono lungo i suoi fianchi, fino alla sua erezione. Un unico significato racchiuso in questo gesto.

-          Ti prego...sto impazzendo...

La sua voce bassa e roca, modellata dell'eccitazione, mi provocò un violento brivido lungo tutto il corpo. Gli slacciai i pantaloni abbassandoglieli assieme ai boxer come aveva fatto lui come me tempo prima, e glielo presi in mano. Gemette al contatto, preso talmente dell'emozione da non riuscire quasi a reggersi in piedi. Invertii le posizioni, appoggiandolo alla porta che fino a quel momento mi aveva sorretto. Sentivo la mia erezione pulsare violenta, facendo quasi male, per niente appagata, mentre la sua espressione lussuriosa la faceva aumentare. Cominciai a muovere la mano su e giù con sempre più violenza, mentre lui muoveva il bacino in cerca di più...sempre di più...di più...

Sentivo il suo corpo irrigidirsi e la sua goduria aumentare sotto il mio movimento e anche dentro di me ogni muscolo si era teso fino allo spasimo. Sentivo tutto il calore convogliarsi verso il basso unito al piacevole dolore della non appagatezza farsi più violento. Guardai ancora Koharu in volto e vi lessi tutto il piacere che stava provando. Lo sentii tendersi in un ultimo spasimo e venire con un profondo gemito nella mia mano. Pochi attimi e anche io mi contrassi, sovrastato da quelle emozioni, bagnandomi. Caddi a terra in ginocchio, svuotato, sentendo forti i suoi e i miei respiri.

-          Hiro...- sussurrò

-          Hmmm- riuscii solo a rispondere

Si inginocchiò accanto a me e i nostri sguardi si incrociarono. Mi baciò, questa volta dolcemente, posandomi le mani sul collo e tra i capelli, mentre io le tenevo ancora a terra.    

-          Ti voglio bene.

Rimasi un attimo in silenzio. In una situazione del genere un "ti amo" sarebbe stato più romantico, ma in quel momento sarebbe stato solo una vana bugia.

-          Anche io- gli risposi- ti voglio bene.

-          Ti sei bagnato!- disse poi vedendo i miei pantaloni.

Arrossii e me ne stetti zitto, in attesa della sua prossima mossa.

-          Mi dispiace- disse- la prossima volta avrò più riguardi verso di te.

Mi baciò ancora.

-          Andiamo a darci una lavata- disse alzandosi e porgendomi una mano.

Gliela presi e lo seguii nel bagno sicuro che quella "prossima volta" avrebbe avuto presto vita.

 

Mi alzo dal letto deciso ad andare a bere un bicchiere d'acqua per placare la sete che mi è venuta al ricordo. Rimpiango adesso la partenza di mia madre e il suo portarsi dietro l'intera confezione di sonniferi- che poi non so cosa possa farsene in viaggio con papà dato che sicuramente dormiranno poco!

Cammino scalzo lungo il corridoio, senza accendere la luce, rabbrividendo al freddo che c'è nella casa. Non ne capisco il motivo: il riscaldamento è acceso e le finestre sono sempre chiuse. Mi sembra strano, ma non ho per niente voglia di indagare. Mi stringo di più nel mio caldo pigiama e raggiungo in fretta la cucina. Una folata di freddo mi colpisce appena vi metto piede e riesco a scorgere, nel buio, una figura in piedi accanto ad una finestra spalancata.

"Un ladro?" penso. Però mi accorgo che in mano ha una sigaretta e, conscio che nessun ladro si metterebbe comodamente a fumare nella casa di una delle sue vittime, accendo curioso la luce.

Appoggiato con i gomiti alla finestra c'è Saki, avvolto nel grande pigiama che gli ho recuperato e con le pantofole ai piedi. Si volta lentamente, soffiando del fumo e allontanando dalla faccia la sigaretta.

-          Così rischi di ammalarti di nuovo- lo avverto.

-          Tra poco chiudo.

-          Chiudi adesso: in questa casa fa fin troppo freddo.

Sbuffa e, dopo avere tirato l'ultima boccata di fumo, getta via al sigaretta e chiude i vetri.

-          Ti dà fastidio l'odore di fumo?

-          Non molto, a dire il vero.

-          Buono a sapersi. Così la prossima volta non dovrò patire il freddo per fumarmi una cicca.

-          Tsz! Hai fatto entrare talmente tanta aria gelida che il freddo adesso lo patirai comunque!

-          Come mai sei in piedi? Ho fatto rumore?

-          No, per niente. Non riuscivo a chiudere occhio. Tu?

-          Nemmeno. E poi ho pensato che una bella sigaretta sarebbe stata l'ideale per una notte come questa.

-          Ti va qualcosa da bere?

-          Basta che non abbia caffeina: non voglio rimanere in piedi tutta la notte!

-          Acqua? Tè deteinato? Camomilla? Birra?

-          La birra prima di dormire?

-          Perché no?

-          É troppo tardi per quella. Va bevuta la sera, non alle due di notte, a meno che tu non sia ad una festa.

-          Altri reclami?

-          No, nessuno. Facciamo una camomilla, proprio come i bambini piccoli.

-          Vada per la bevanda dei lattanti.

Metto sul fuoco una teiera piena d'acqua e, mentre aspetto che bolli, mi siedo su una sedia davanti a Saki. Mi rendo conto solo adesso di non sapere assolutamente nulla di lui e di essere curioso.

-          Quanti anni hai?

-          16.

-          Io 17. Si può sapere cosa ci facevi nel parco completamente bagnato?

-          Lascia stare. Non è una storia molto bella. Comunque stai tranquillo: non ho più la febbre. Probabilmente ti era sembrata più alta di quanto non fosse in realtà.

-          Può essere. Io non sono un grande esperto di malattie e spesso mi sbaglio, soprattutto sulle temperature. Però mi chiedo come tu abbia fatto a ridurti in quel modo. Quelle ferite, come te le sei procurate?

Prende un profondo respiro e gira la testa da un'altra parte, determinato a non rispondermi.

-          Deve essere proprio una cosa seria se non vuoi parlarne.

Non dà segno d'avermi sentito.

-          Come preferisci: non ti chiederò più nulla. Dato che sei di così grande compagnia, lascia che accenda la tv: questo silenzio potrebbe diventare veramente opprimente.

-          Fai come preferisci.

Accendo la tv e comincio a girare tra canali in cerca di qualcosa di decente, fermandomi, in mancanza di meglio, su un notiziario. Una voce femminile parla sopra delle immagini.

La scena si svolge in una cittadina, per altro vicina a qua, e si vedono chiaramente tre ragazzi all'incirca di diciotto anni che ne stanno picchiando un terzo, più piccolo. Dei passanti provano a fermarli, ma senza risultato. Quando arrivano i carabinieri i tre montano in una macchina trascinandosi dietro la preda e scappano. La donna continua a parlare ed io comincio ad ascoltare le sue parole.

-          Il fatto si è verificato ieri sera alle dieci e un quarto, in centro a *****. Gli assalitori sono tre ragazzi che ancora la polizia non è riuscita ad identificare e che nessuno aveva mai visto prima nella cittadina, mentre il ragazzo più giovane ha solo sedici anni e viveva là da quando era nato, conosciuto da tutti. Si chiama Saki Asana...- mi basta guardare per un attimo la sua foto, forse di qualche anno fa, per capire che si tratta proprio dello stesso ragazzo che adesso è in casa mia e mi volto verso di lui, che non ha ancora voltato la testa, sorpreso per quello che ho appena appreso-...le forze dell'ordine lo stanno cercando, ma nessuno è ancora riuscito ad avere sue notizie. La madre...-

-          Spegni- sussurra- non voglio più sentire.

-          Cosa è successo?- chiedo facendo ciò che mi ha detto.

-          L'hai sentito, no?

-          Solo una parte. Chi erano quelli? Perché non sei tornato a casa?

-          Che ti importa?

-          Sono preoccupato.

-          Mi conosci da meno di un giorno.

-          Eppure è così. Raccontami, forse dopo starai meglio anche te.

Non apre la bocca, così mi avvicino e aggiungo:

-          Prima mi hai dato del debole perché non volevo che tu vedessi i miei occhi rossi e ha detto chiaramente che non ti vergognavi di stare male, quando accadeva. Per come ti stai comportando adesso, invece, si direbbe l'esatto opposto...

La teiera fischia, segno che l'acqua sta ormai bollendo. Lo guardo negli occhi in cerca di una risposta, ma non lascia trasparire nulla. Così mi volto e vado a spegnere il fuoco. É inutile insistere.

Verso l'acqua bollente con le bustine di camomilla in due tazze e le porto in tavola, assieme a zucchero e biscotti. É quando mi siedo che lui comincia a parlare.

-          Prometti che ciò che ti dirò non uscirà da questa stanza.

-          Va bene- rispondo bevendo un sorso.

-          Quei tre ragazzi ce l'avevano con me. Sono in molti, sai, quelli che non mi accettano. Quella sera ero uscito con degli amici e stavo tornando a casa, quando mi hanno aggredito e picchiato. Erano troppo forti. Non sono riuscito a difendermi, né nessun passante è riuscito ad aiutarmi. A un uomo che cercava di calmarli hanno rotto il naso. Poi è arrivata la polizia e loro hanno deciso di filare, senza però dimenticarsi di me. Pensavano che il "gioco" non fosse ancora concluso. Mi hanno portato fuori città, lontani da casa...al buio in una strada di campagna...non c'era nessuno in giro...e hanno continuato la loro opera. Mi ricordo che, a un certo punto, sono svenuto e che, quando mi sono svegliato, mi trovavo in un posto sconosciuto, dentro ad un fosso.

Rimaniamo entrambi in silenzio, poi, prima che io riesca a esporre la domanda che mi preme più delle altre, lui sbotta, come se il bisogno di liberarsi del peso che porta sia troppo opprimente per ignorarlo ancora:

-          Non è tutto!

Il suo sguardo è cambiato. Prima pareva neutrale, anche se tra le parole ho scorto molta rabbia, ma adesso è quasi disperato, che implora aiuto.  

-          Mi hanno violentato- mormora con le lacrime che ormai scendo veloci lungo il suo volto, scosso da tremiti e con il viso contorto in una espressione di profondo dolore.

Mi alzo in piedi e lo raggiungo, per calmarlo, ma lui, al mio tocco, si ritira come scottato.

-          Con un pezzo di ferro- aggiunge alzando di più la voce attanagliato tra rabbia e disperazione- chiedendomi se mi piacesse, SE STESSI GODENDO!!! RIDEVANO, SFOTTEVANO, MUOVEVANO IL FERRO SEMPRE CON MAGGIOR VIOLENZA, IGNORANDO LE MIE URLA, DIVERTENDOSI VEDENDOMI SOFFRIRE!!!!! Poi mi hanno lascito in un fosso, completamente nudo!!

Si interrompe. I violenti singhiozzi gli impediscono di continuare. Si inginocchia al suolo colle mani al petto, come per proteggersi da nemici invisibili, mentre è scosso da nuovi e violenti brividi che gli impediscono quasi di respirare.

-          Saki...- mi avvicino a lui, ormai anche io con le lacrime agli occhi.

-          NON MI TOCCARE!!

-          Quello che ti hanno fatto è terribile, meriterebbero che venisse fatto loro la stessa cosa. Sono ripugnanti...sono...sono....

-          Sono omofobici- mormora- e io sono gay. É per questo che l'hanno fatto: per farmela pagare d'essere fatto in questo modo.

Rimango un attimo in silenzio, ad ascoltare il suono del suo pianto, chiedendomi cosa possa fare per calmarlo. Non è per niente una situazione facile e io non so proprio come comportarmi. Dovrei cercare di tranquillizzarlo, ma non so da che parte cominciare.

-          Ascoltami- dico infine con tono dolce- qua sei al sicuro. Io non ho la minima intenzione di farti alcun tipo di male. Quei tre ragazzi la pagheranno, ma per ora devi cercare di calmarti. Con calma, se vuoi, quando ti sarai ripreso, potremmo andare in ospedale o dalla polizia, ma sei tu che devi deciderlo. Se non vuoi denunciarli, io non ti costringerlo, se non vuoi più parlarne, io non farò nulla. Adesso, però, fidati di me.

-          Vorrei tanto dimenticare...

Gli accarezzo il volto asciugandogli le lacrime. Finalmente non si allontana più al mio tocco, anzi, sembra rasserenarsi un po' colla mia vicinanza.

-          Vieni, andiamo a dormire.

Annuisce, anche se sicuramente non riuscirà a chiudere occhio questa notte, né probabilmente quelle successive. Lo aiuto a rimettersi in piedi e lo conduco nella sua stanza, fino al letto.

-          Hiro, non voglio tornare a casa- dice dopo essersi seduto sul caldo materasso.

-          Puoi restare qui tutto il tempo che vuoi. Adesso prova a dormire. Io rimango qua, seduto in quella poltrona- indico il mobile dall'altro lato della stanza- così se avrai bisogno di me ci sarò.

-          Grazie.

-          Su, stenditi ora.

Appena poggia la testa sul cuscino gli rimbocco le coperte, poi, silenziosamente, mi siedo nella comoda poltrona e rimango sveglio ad ascoltare i suoi irregolari respiri e i lievi singhiozzi che gli escono dalla bocca.

Non posso fare a meno di pensare a quanto terribili siano molto spesso le persone. Come si fa a comportarsi in questo modo con una persona? Con che cuore? E con quale scusa, poi? Che gli piacciono i ragazzi? E con ciò? Quale colpa ha? Non ha infranto alcuna legge, non è un criminale. É solo la sua vita.

La gente ha, però, troppa paura del diverso, sempre pronta a tormentare chi non corrisponde ai suoi ideali di "giusto". Che cosa significa "essere giusti"? Essere uguali agli altri? Fotocopie? Questo è solo un modo per annullare la proprio persona.

Ma la cosa che mi fa più schifo è la religione. Prendiamo il cristianesimo: uomo e donna possono unirsi solo per procreare. Nient'altro. Col tempo, poi, gli stessi hanno potuto unirsi anche solo per il proprio piacere, ma la Chiesa non ha fatto pressoché nulla, forse solo agli inizi, per impedirlo, dicendo che era una cosa sbagliata. Adesso uomo e donna fanno solo del sesso, e a nessuno viene in mente di picchiarli per questo. Però due uomini, o due donne, che si amano, anche se a volte si tratta solo di sesso, sono "sbagliati". Perché? Perché sono la minoranza. Perché non potranno mai avere dei figli. Bé, neanche una donna sterile può, però non è condannata. Che ragionamento di merda...

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E' strano. Lo fisso nel buio ascoltando ogni suo movimento ormai da molto tempo e ancora non mi sono stancato, come se stare qui a vegliare su di lui fosse il mio compito. Ho riflettuto su quello che sto facendo e mi sono accordo di non provare pena nei suoi riguardi, solo un sentimento che da molto tempo non provavo: affetto. Mi sento confuso. Sento che gli voglio bene, quasi quanto a Koharu e mi sento un traditore. Non posso. Non voglio che qualcuno prenda il suo posto. Eppure il mio cuore mi dice che Saki potrebbe e che ne sarebbe contento. Forse smetterei anche di soffrire.

Un sussurro spezza il silenzio che si è creato attorno a me:

-          Sei ancora sveglio?- mi chiede

-          Si.

Lo sento muoversi, alzarsi dal letto e avvicinarsi a me. Non lo vedo, ma posso sentirlo a qualche passo di distanza.

-          Perché?- mi chiede, ed io capisco subito che si riferisce al mio comportamento.

-          Perché...come se fosse facile rispondere...- sto un po' in silenzio, riflettendo- Perché voglio starti vicino- ammetto.

-          Perché ti faccio pena?

-          Perché sono preoccupato- mi affretto a rispondere.

-          Non mi conosci.

-          Non ha importanza. Non serve a nulla conoscere qualcuno se poi non lo si aiuta.

-          E non ti da fastidio che io sia gay?- chiede ancora, avvicinandosi maggiormente.

-          No.

-          Lo sei anche tu, non è vero? E quel Koharu...stavate insieme una volta...

Rimango in silenzio. Non ho molta voglia di rispondere ad una domanda così personale, ma poi lo faccio, lasciando uscire le parole di bocca senza pensarci.

-          Sono gay e Koharu è stato il mio primo ragazzo. Una storia che è durata per due anni, fino a qualche mese fa...

-          Ti ha abbandonato?

-          É morto.

Non dice nulla per un po', mentre io mi sento svuotato, come se mi fossi liberato di un peso.

-          Ci soffri molto.

Annuisco.

-          Ti ho sentito piangere prima. Eri disperato. Hai invocato il suo nome.

Sento una lacrima scendermi lungo una guancia, ma non è il solito pianto disperato. Non so bene come mi sento, solo confuso. Provo meno dolore a sentire parlare di Koharu e questo mi spaventa, perché significa che sto dimenticandomi di lui, che non aveva molta importanza, che Saki adesso è più importante...

-          Non piangere.

Una sua mano mi accarezza il volto. Lo sento tremare, come se avesse paura di quello che sta facendo. Lo lascio avvicinare ancora, incuriosito e speranzoso.

-          Vorrei fare una cosa- sussurra.

-          Cosa?

-          Baciarti.

Appoggia le mani sulle mie spalle, con delicatezza, sempre tremando lievemente, e lo sento mentre diminuisce sempre più la distanza tra le nostre bocche. Non mi muovo. Sento un forte desiderio di baciarlo, ma non voglio tradire Koharu. Sono troppo combattuto.

Appoggia le sue labbra sulle mie e non faccio nulla per allontanarmi. Mi piace. Posso sentire il suo calore e la sua dolcezza, il suo sapore. Mi lecca le labbra colla lingua e io le apro, lasciando che le nostre lingue si tocchino.

Ha spostato il peso del suo corpo in avanti, sedendosi sulle mie gambe e toccandomi colle mani i capelli. Lo prendo per i fianchi, avvicinandolo di più a me, travolto dalla passione che mi sta dimostrando. Mi piace troppo per sottrarmene. Vorrei che non finisse mai. Voglio sentirlo. Voglio che non appartenga a nessun altro che a me. Voglio avere un posto nel suo cuore e occupare i suoi pensieri. Voglio che quando si masturbi pensi a me e quando cerchi tenerezze e amore venga a trovarmi. Voglio che si lasci amare...

-          Hiro?

-          Cosa c'è, Koharu?

-          Come mai la prima volta che sei venuto a casa mia e ti ho fatto un pompino te ne sei andato con la faccia tetra.?

-          Ero sorpreso. Ho sempre pensato alle ragazze, non avevo mai preso in considerazione l'idea d'essere gay. Poi sei arrivato tu e hai, per così dire, capovolto il mio mondo, ciò in cui credevo. Mi sentivo perso.

-          Mi dispiace.

-          A me no, dopotutto. Sono contento d'averti incontrato.

-          Io sono contento d'avere te.

-          ...

-          Hiro?

-          Dimmi....

-          Lasciati amare da me.

-          Si.

 

Mi stacco violentemente. La voce di Koharu mi rimbomba nella testa. Quel ricordo...è successo su per giù un mese dopo che ci eravamo messi assieme...lasciati amare da me...

-          Non posso!- sbotto.

Lui si allontana di scatto, come scottato, mettendosi in piedi.

-          Cosa?

-          No...non posso! Non posso tradirlo!- mi alzo in piedi anche io, andando ad accendere la luce.

-          Non stai tradendo nessuno...- ricomincia a tremare visibilmente e la sua voce tentenna.

-          Si, invece! Sto tradendo Koharu...

-          É morto...

-          Mi ha amato!

-          Ma adesso...

-          Adesso ho tradito il suo amore!

Mi porto una mano alla tempia, frastornato e allarmato. Sento dentro di me tanto dolore, come se avessi infangato qualcosa di sacro. Ho infangato il suo ricordo, sono sporco.

-          Non puoi annullarti per lui!

-          É tutto ciò che ho!

-          Non è vero: tu hai me!

Sbigottito. Lo guardo negli occhi. Ci leggo tutto il dolore subito e la speranza di poter ricominciare, la speranza d'avermi affianco. So di volere la stessa cosa, ma non posso. No: non posso abbandonare Koharu.

Mi allontano da lui, dalla fonte di questa mi confusione, andando a chiudermi in camera mia.

 

-          Koharu, secondo te la nostra storia avrà un futuro?

-          Che intendi dire?

-          Se la gente venisse a conoscenza di noi, ci dovremmo lasciare?

-          Certo che no! Dovremmo stare ancora più uniti!

Mi circondò la vita con le braccia, baciandomi come a ribadire il concetto appena espresso.

Eravamo a casa mia, in un pomeriggio di sole, seduti sul divano. Avevamo deciso di passare la serata assieme e avevo persino messo su qualcosa da mangiare, che avevamo già divorato.

-          Quando hanno detto che tornavano i tuoi genitori?

-          Domani mattina. Rimangono a dormire da quei loro amici...

-          Allora abbiamo tutto il tempo che vogliamo.

-          Per fare cosa?

-          Lo scoprirai presto.

Mi si avventò sul collo, mentre le sue mani tornarono sul mio petto e cominciarono a sbottonarmi la camicia. Quando ebbero finito, spostò le labbra dal collo al petto, cominciando a muoversi lungo percorsi già tracciati in precedenza, provocandomi brividi di piacere ad ogni tocco. Prendendomi per i fianchi mi fece mettere in ginocchio sul divano e portò le sue forti dita sul mio fondoschiena, a palparlo con vigore.

-          Che intenzioni hai?- chiesi.

-          Vorrei fare l'amore con te.

Mi guardò negli occhi, in attesa di una risposta. Non riuscivo a pronunciare una sola parola. Il cuore mi scoppiava nel petto. Dalla gioia, dalla paura, dall'emozione. Non riuscivo ad emettere alcun suono. Così lo afferrai per le spalle e lo baciai a mia volta, annullando la distanza tra i nostri corpi. Lo sentii fremere e un nuovo brivido mi percorse il corpo. Mi tolsi la camicia lasciandola cadere, poi mi staccai da lui e dissi:

-          Andiamo di là, staremo più comodi.

-          Non voglio staccarmi da te- mi riavvicinò baciandomi ancora.

Sentii le sue mani scendere in basso e cominciare a togliermi i pantaloni.

-          Aspetta solo un secondo...basterà che raggiungiamo il letto...- sussurrai.

-          Ok...

Ci mettemmo entrambi in piedi ma, prima che riuscissi a muovere un solo passo, era già su di me intento a baciarmi e a spogliarmi. Mi sfiorò l'inguine e io sentii una scarica elettrica. Questa volta non seppi trattenermi. Lo afferrai per i fianchi, cominciando ad alzargli la maglietta e camminando verso la camera da letto. Gliela tolsi e feci scorrere la mia lingua sulla pelle del suo petto, mentre le mie mani si infilarono dentro i suoi pantaloni a prendergli il sedere. Mi abbassò i pantaloni fino alle ginocchia e spostò una mano appena sopra la stoffa dei boxer, muovendola lievemente in una mezza carezza. Mi fece impazzire. Mi sentii tendere verso di lui in cerca di qualcosa in più. Lo vidi sorridere di soddisfazione.

Mi appoggiò di schiena contro il muro e, liberandomi per un attimo dalla sadica carezza della sua mano, mi sfilò completamente i pantaloni, gettandoli da qualche parte nel corridoio. Appoggiò il suo corpo al mio e sentii la  sua eccitazione sotto i jeans strusciarsi contro la mia. Gemetti, coprendomi la bocca con una mano.

-          Fammi sentire la tua voce- mi disse con voce roca.

Si mosse ancora, più sadico e malizioso di prima, provocandomi una altro gemito che non riuscii a trattenere. Chiusi gli occhi travolto dall'ondata di piacere.

-          Voglio prenderti adesso...qui...

La sua voce roca mi fece impazzire. La mia mente appannata dal piacere non riuscì ad imporsi. Un posto qualsiasi andava bene.

-          Allora muoviti...- risposi con una voce stridula persino alle mie orecchie.

Mi girò verso il muro, abbassando con un colpo secco i boxer. Una mano si insinuò da dietro tra i miei genitali, stuzzicandoli con insistenza, mentre con l'altra si abbassò i vestiti che ancora portava. I suoi occhi su di me mi eccitarono ulteriormente, facendomi definitivamente perdere ogni senso della misura.

-          Koharu...- lo chiamai supplicando per ricevere un po' di soddisfazione.

Mi afferrò interamente l'eccitazione ormai pulsante. Sentii il calore nel basso ventre accentuarsi, mentre il mio corpo tremava dall'impazienza. Avvicinò la sua erezione alle mie natiche, tenendola ferma all'ingresso della porta del piacere. Mosse la mano con maggio vigore, costringendomi a nuovi gemiti.

-          Smettila...

-          Di far cosa?

-          Di rimandare...

-          Come vuoi.

Affondò dentro di me con decisione. Sentii un forte dolore percuotermi il corpo, ma la sua mano si muoveva ancora e mi aggrappai al piacere.

-          Sei così stretto e caldo...- mi sussurrò in un orecchio.

Cominciò a muoversi ritmicamente avanti e indietro, dentro e fuori, procurandomi sempre nuove sensazioni. Mi piaceva. Mi persi nelle ondate di piacere che dava. I suoi gemiti mi riempirono le orecchie e il cuore. L'erezione pulsava ancora più forte, insistente di liberarsi. Doloroso piacere. Irresistibile.

-          Hiro...

Venne dentro di me, innondandomi di tutto il suo liquido così caldo. Non resistetti più nemmeno io, svuotandomi nella sua mano.    

Solo in quel momento mi accorsi dei nostri respiri affannosi e della stanchezza che mi aveva preso.

Mi voltai verso di lui scontrandomi coi suoi occhi, ancora velati dalla passione. Lo baciai aggrappandomi a lui.

-          Vorrei non dovermi nascondere anche ai miei genitori- dissi mentre lo abbracciavo

-          Loro capirebbero secondo te? 

-          ...no...

-          Nemmeno i miei e neanche tutta la gente lì fuori.

-          Cosa facciamo?

-          Io ti amo, Hiro-chan. Questo mi dà la forza di andare avanti.

-          Mi ami?- domandai sorpreso dalle sue parole.

-          Si.

-          É la prima volta che me lo dici- sorrisi.

-          Volevo essere sicuro di non prenderti in giro.

-          Koharu...

-          Si?

-          Ti amo anche io- il suo volto si accese di gioia.

-          Allora facciamocelo bastare.

Ci baciammo ancora avviandoci verso la camera da letto.

 

Mi vesto frettolosamente. Non ce la faccio più a rimanere in questa casa, ho bisogno di una boccata d'aria per schiarirmi le idee. Corro fuori dalla stanza e mi precipito alla porta d'ingresso, senza neanche guardarmi in giro o preoccuparmi di prendere un'ombrella. Mi sento soffocare dal senso di colpa tra queste maledette mura. É una perfida agonia. Devo andarmene. Devo fare chiarezza dentro di me. Non posso continuare così, a soffrire incessantemente e ad ardere di dolore come un fuoco perennemente alimentato da benzina. Qualcosa deve cambiare, o io non resisterò più e tutto ciò per qui ho lottato con Koharu verrà perso per sempre. Non devo permetterlo.

Apro la porta e subito vengo colpito dalla pioggia e dal vento freddo.

-          Hiro...dove vai?

Una voce mi chiama, sicuramente Saki, ma non mi volto. Continuo la mia fuga sotto lo scrosciare della pioggia, correndo come se avesse il diavolo alle calcagna. Non ho intenzione di fermarmi.

-          HIROOO!!!!

L'urlo mi giunge distante, senza valore. Sono troppo disperato per fermarmi.

Piango. Di nuovo e con una nuova forza e mi sento sempre peggio. Questa volta tutto ciò mi porterà alla totale distruzione. Non posso- o non voglio?- impedirlo. Sento che non potrò più tornare indietro e che la strada che ho appena imboccato mi porterà definitivamente da lui. Di nuovo saremo assieme e potremmo amarci. Potremmo amarci...

"Saki!"

Mi blocco, sorpreso dal mio stesso pensiero. Che mi succede? Perché pensando all'amore che provo e che proverò vedo il suo volto? Perché non quello di Koharu? Che significa? Non posso amare Saki...neanche volergli bene...

Mi guardo attorno. Dove sono finito? Ci sono delle mura accostate ad alberi alla mia destra, al dì là della strada. Nessuno è in vista. Un solo lampione illumina il buio che mi circonda.

-          Il cimitero...

Un brivido mi percorre la schiena. Qui è dove giace Koharu. Così vicino a me adesso...

Attraverso la strada spinto dal desiderio impellente di vederlo. Non mi interessa che il cancello sia chiuso o che, al massimo, potrò vedere solo la lapide. La mia mente è totalmente concentrata sul conflitto che mi pervade, a tentare di capire chi è più importante: Saki o Koharu?

Arrivo davanti al grande cancello in ferro, naturalmente chiuso a chiave. Dopotutto, però, è solo un cimitero e a chi verrebbe in mente d'andare a rubare qualcosa proprio qui? Non ci sono, perciò, misure di sicurezza e pure il cancello sembra facile da scavalcare.

Non ho intenzione di fermarmi adesso. Voglio vederlo. Forse sarà l'ultima volta in questo mondo.

Mi aggrappo al ferro colle mani e, facendomi forza, comincio a salire. Scivolo. L'acqua sembra volermi fermare, ma, lo so io e lo sa lei, non ci riuscirà. Ricomincio. Con maggiori impegno e vigore, fino a quando non raggiungo la cima. Mi guardo le mani. Sono rosse e indolenzite per l'inusuale sforzo, rese ancora più deboli dall'acqua. Guardo a terra. Sono, su per giù, due metri e mezzo d'altezza. Devo scendere. Respirando profondamente per recuperare le energie, comincio a calarmi giù dal cancello, con attenzione, per non farmi male.

-          Hiro!!!

Alzo gli occhi. Al di là della strada c'è Saki. Corre nella mia direzione. Vuole fermarmi, glielo leggo negli occhi. Ma io non posso. Devo capire. É troppo presto...

Mi lascio cadere a terra per tutta l'altezza del cancello, preso nuovamente dalla fretta. Devo trovare Koharu prima che lui mi prenda e mi faccia tornare indietro. Devo andare da lui. Stare con lui per sempre. Non possiamo stare divisi.

Mi rialzo da terra, sporco di fango, e ricomincio a correre attraverso lapidi di persone che non conosco. I loro volti mi guardano seri, come a rimproverarmi di interrompere il loro riposo, ma a me non importa. Voglio solo trovarlo e dirgli ancora una volta che lo amo.

Corro. Cado. Mi rialzo. E ricomincio a correre. Dov'è? Leggo veloce i nomi nelle lapidi, ma il suo non lo trovo. "Dove sei?"

Saki mi chiama, ma è troppo distante per vedermi e io lo ignoro, continuando la mia ricerca colmo di disperazione. Comincio solo ora a sentire freddo. Un freddo pungente, che mi arriva fino alle ossa e mi scuote con violenti brividi. Ma non posso fermarmi, né tornare indietro. Ho bisogno di lui ancora una volta.

Lapidi...lapidi...sono circondato da lapidi e nessuna porta il suo nome. Dove è?

"Dove sei?"

Eccolo! É qui, davanti ai miei occhi, finalmente! Mi inginocchio a terra, stremato. Fisso il suo nome, scritto in caratteri grandi e dorati, in una lapide bella quanto lui, per quanto poco sobria. Guardo il suo viso nella foto. É pettinato e porta il suo maglione preferito- quello blu e mi prestava sempre dicendo che gli piaceva indossarlo sentendo il mio odore. Lo accarezzo, ma, al posto della sua pelle calda, c'è il freddo vetro bagnato.

-          Mi manchi...- riesco a mormorare in preda alle lacrime- perché te ne sei andato?

Lo sai anche te, il perché. Non potevo permettere che ti accadesse qualcosa di male. Nulla di più semplice.

-          Non riesco a vivere senza di te. Sono solo.

Non è vero. Hai tanta gente accanto.

-          Chi? I miei genitori?

Quel ragazzo, tanto per cominciare. Tiene così tanto a te da venirti a cercare nonostante la paura che lo pervade.

-          Voglio venire da te.

Io voglio che tu viva. Ho dato la mia vita per questo. Tu meriti di vivere.

-          Mai quanto te.

Non essere sciocco. Io ti amo. La mia vita è niente in confronto al valore della tua, proprio perché per me eri tutto. Come potevo sopportare la tua lontananza?

-          E come posso farlo io!?

Tu hai qualcuno che ti vuole bene. Forse che ti ama.

-          Ma io amo te. Solo te.

Non puoi amare un morto. Non legarti al mio ricordo per sempre. Vivi la vita che ti ho donato. Non sprecarne più neanche un attimo a rimpiangermi. Altrimenti vorrà dire che sarò morto inutilmente.

-          Non voglio tradirti.

Sono io che ti chiedo di andare avanti. Non voglio più vederti piangere a causa mia. Hai versato fin troppe lacrime e troppo dolore hai patito. Adesso basta.

-          Non posso...

Lasciami alle spalle. Non costringerti ad amare un corpo senza vita. Ama chi può ricambiarti.

-          Come Saki?

Si. Come lui. Vagli incontro e rassicuralo. Non tornare più qua.

-          Ma...

Fallo e non avere rimpianti!

-          Hiro! Cosa stai facendo?

Mi volto di scatto. Saki è davanti a me. É stravolto, completamente bagnato e tremante. Gli leggo negli occhi preoccupazione, ma, ancora più in fondo, paura.

-          Non saresti dovuto uscire. Ti ammalerai...- dico.

-          Non dire cazzate! Come stai?-  mi si avvicina e mi accarezza il viso, come se volesse pulirlo dall'acqua- Perché siamo qui?

-          Sono venuto a trovarlo- spiego indicando la tomba di Koharu- per l'ultima volta...

Mi guarda come se non avesse capito bene.

-          Proprio così. Questo è un addio. Sarà l'ultima volta che vedrò la sua tomba.

-          Hiro...

-          Salutalo anche tu. Sarà contento di vedere che non sono solo, che c'è qualcuno che mi vuole bene.

Si inginocchia accanto a me e si mette in posizione di preghiera.

Sono contento di averti dato la possibilità di vivere ancora. Addio, Hiro-chan.

-          Addio, Koharu.

Mi alzo in piedi, un po' confuso, seguito da Saki. Non riesco a capire se quello che ho sentito era solo la mia immaginazione o proprio lo spirito di Koharu. Ma forse non ha importanza. Quello che conta è che il dolore se ne è andato e che il vuoto presto sarà colmato del tutto. Lo ricorderò sempre, ma sarà solo il ricordo del mio primo grande amore. Io continuerò a vivere.

-          Andiamo a casa- dico.

 

-          Che film ti piacerebbe vedere?- chiesi a Koharu guardando le locandine affisse all'ingresso del multisala.

 

-          Non ho preferenze, basta che la sala non sia troppo piena.

-          Ah, già: a te non piacciono le sale affollate!

-          Esattamente.

-          Bé, andranno tutti a vedere i nuovi film americani, perciò una replica giapponese farebbe al caso tuo.

-          Non esagerare: non è che sento il bisogno di vedere per la centesima volta Gamera!

-          Ah no? Che ne dici di questo, invece?

-          Che roba è?

-          É venuto fuori l'anno scorso ed è andata a vederlo un casino di gente. Adesso, però, non interessa più a nessuno. Questa settimana l'hanno messo in programmazione perché non avevano niente altro di meglio. Comunque è molto bello.

-          L'hai già visto?

-          Si. Due volte, per l'esattezza. Mai volontariamente, però. Tu?

-          Mai.

-          Allora andiamo. É perfetto.

Pagammo il biglietto ed entrammo nella sala, praticamente deserta. A parte noi, c'era un'altra coppia, ma dall'altra parte della sala, perciò non creava alcun disturbo.

-          Contento? Siamo praticamente soli!

-          Sono al settimo cielo...- rispose sarcastico.

-          Che vulcano di simpatia...

-          Bé...tu non vieni a letto con me perché sono simpatico...- mi sussurrò in un orecchio

-          Se è per questo, guarda che io non vengo solo a letto con te!

In quel momento le luci si spensero e cominciò la proiezione del film. Rimanemmo in silenzio alcuni secondi, io facendo finta d'essermi offeso.

-          Ti sei arrabbiato?- chiese infine.

-          Sei un idiota.

-          Grazie.

-          É un piacere.

-          ...

-          Perché dovrei essere arrabbiato?

-          Bé...perché ho detto che andiamo a letto insieme...

-          E non è quello che facciamo?

-          A che gioco stai giocando?

-          Io non gioco! É solo che ogni tanto mi piace prenderti in giro!

-          Ah, buono a sapersi!- rispose sarcastico.

-          Non fraintendere! É solo che mi piace vedere la tua faccia quando non capisci qualcosa!- dissi quasi sussurrando.

-          Ti piace?

-          Molto...

Gli presi una mano e me la appoggiai sulla cerniera dei jeans.

-          Ma mi piace di più guardarti mentre lo facciamo...

Sorrise malizioso cominciando ad accarezzarmi sopra la stoffa dei jeans.

-          Sei un porco, lo sai? Sembri tanto innocente, e invece...

Premette con più vigore e io dovetti soffocare un gemito mentre la mia erezione si faceva più dura.

-          Attento: stiamo per giocare ad un gioco pericoloso!- scherzò.

-          Bene, perché mi piacciono questo tipo di giochi!

-          Allora non ti dispiacerà se approfondisco il tutto!

Abbassò la cerniera e slacciò il bottone, per poi infilare una mano sotto i boxer e afferrare la mia erezione. Gemetti ancora coprendomi la bocca con una mano e lui cominciò ad accarezzarmi per tutta la sua lunghezza lentamente e maliziosamente

-          Ti piace, eh? E questo?

Spostò la mano muovendosi verso il basso.

-          Cosa...? No...non qui...

Non si fermò. Bastò che toccasse con un dito il mio orifizio per farmi venire le vertigini.

-          Siamo...in un cinema...- dissi per fermarlo.

-          E allora? Prima non ti importava.

Infilò dentro di me un dito. Mi inarcai trattenendo a stento un grido di sorpresa misto a bruciore.

-          Sei stretto...

-          É...da un bel po'...che non lo facciamo...

Cominciò a muoversi dentro di me, all'inizio lentamente, poi con maggior vigore, toccando sempre quel punto che- lui lo sapeva bene- mi faceva girare la testa. Aggiunse un secondo dito e, infine, un terzo. Andava dentro e fuori seguendo un ritmo e anche io cominciai a muovermi assecondandolo, ormai dimentico della coppia che era in sala. Mi fece impazzire. La mia erezione pulsava come non mai aveva fatto e, ormai, non riuscivo più a trattenermi. Mi sembrava d'avere del fuoco che mi bruciava dentro...

-          Koharu...non ce la faccio...

-          Vuoi di più?

-          Si...

-          Dimmelo...toccami...

Allungai una mano verso di lui e scoprii che si era già abbassato pantaloni e boxer in attesa di ciò. Gli presi il pene in una mano e, seguendo il ritmo che mi aveva imposto, cominciai a muovere la mano lungo tutta la sua lunghezza. Lo sentii gemere sempre più forte, trattenendosi a stento, mentre mi abbassava i vestiti che ancora mi coprivano.

-          Prendimi...entra dentro di me...- sussurrai

-          Si...siediti sulle mie ginocchia...

Fece uscire da dentro di me la mano e anche io mollai la presa che avevo su di lui, sedendomi come mi aveva detto. Potevo sentire la punta della sua eccitazione sul mio orifizio, ma lui non si mosse per entrare.

-          Ti prego...entra...

-          No...fallo te...

Non me lo feci ripetere. Rapito com'ero dalle emozioni non ragionavo più. Mi impalai su di lui senza il minimo indugio, sentendo una fitta di dolore per la violenza.

-          Tutto...bene...?- chiese

-          Si...

-          Bene...perché è...semplicemente fantastico...

Bastò questo a togliermi ogni dolore e cominciai a muovermi su e giù, facendolo uscire ed entrare con spinte sempre più forti e profonde. Ogni volta che entrava mi sembrava d toccare il cielo. Avevo le vertigini dal piacere. Mi sembrava di essere in paradiso. Sentivo le sue mani su di me, a pompare la mia eccitazione, aumentata ancor di più dai suoi gemiti soffocati. Mi sentivo bruciare dalla passione e dall'eccitazione.

-          Non ce la faccio più...- lo sentii sussurrare.

Venne dentro di me ed io, subito dopo, mi svuotai nelle sue mani.

Rimanemmo immobili ad ascoltare i nostri respiri affannati, abbandonati l'uno nell'altro. Una posizione rassicurante e dolce.

-          Ti amo- sussurrai.

-          Me lo hai già detto una volta.

-          Non importa. É semplicemente quello che provo.

-          É quello che provo anche io.

-          Dillo. Dimmi che mi ami e non ci lasceremo mai.

-          Ti amo.

Ci baciammo con dolcezza assaporando ancora una volta il gusto delle nostre bocche. Poi io mi alzai, facendolo uscire da me e, rivestendomi, sedetti al mio posto.

-          Dici che ci hanno sentiti?- chiesi.

-          Forse, ma non importa. Penso che siano molto più presi a farsi gli affari loro per badare anche a noi.

-          In definitiva, nessuno sta guardando il film.

-          Meglio così, no?

Detti un'occhiata allo schermo e dissi:

-          Rivestiti che sta finendo e tra poco si accenderanno le luci.

Lo fece quasi a malincuore, come se volesse farlo di nuovo, cosa che non mi avrebbe stupito.

Quando uscimmo dal cinema era buio e dovevamo tornare a casa..

-          I tuoi sono via, vero?- chiese.

-          Tornano domani mattina presto.

-          Che ne dici di andare a casa tua e continuare quello che abbiamo iniziato in sala?

-          Perché? Abbiamo iniziato qualcosa?- chiesi facendo il finto tonto.

-          No. Niente di importante...- stette al gioco.

-          Meglio.

-          Che ne dici, allora, di andare a casa tua e fare l'amore fino all'alba?

-          Si...penso che si possa fare. Ad una condizione, però!

-          Quale?- chiese stupito.

-          Per una volta...sarò io a prenderti.

Sorrise pregustando l'idea.

-          Si...penso che si possa fare.- rispose prendendomi per mano.

-          Che fai!?

-          Non ti allarmare! Non c'è nessuno per strada e poi è buio, non ci vedrebbero.

Mi rilassai e camminammo in silenzio fino davanti casa mia.

Dovevamo solo attraversare la strada. Una cosa che ti insegnano fin da bambini. Ma io ero troppo preso da Koharu per guardare se passavano macchine in quel momento. Attraversai senza fari problemi, lasciando indietro Koharu che doveva allacciarsi una scarpa.

Due fari improvvisi. Vicini e silenziosi.

Un colpo di clacson come ammonimento.

Rumore di freni che cercarono di arrestare il fin troppo veloce movimento delle ruote.

La voce di Koharu che gridava. Le sue mani su di me che mi spingevano sul marciapiede opposto.

L'ultima volta che sentii le sue mani sul mio corpo.

Mi rialzai da terra, mentre la macchina si fermava pochi metri più avanti e il corpo di Koharu cadeva a terra come una bambola di pezza.

Sentii il rumore della caduta e il suo ultimo gemito di dolore.

Il cuore a mille, l'ansia saliva, gli occhi non vedevano altro che lui.

Gli corsi incontro, colle prime lacrime che cominciavano a scorrere. Lo presi tra le braccia, ma lui non diede segni di vita.. La testa gli cadde indietro, abbandonata sul collo. Gli occhi erano chiusi. Seppi che mai più avrei potuto rivederne il colore e la lucentezza che li caratterizzavano.

Il guidatore della macchina si avvicinò e mi mise una mano sulla spalla. Non sentii cosa disse. Probabilmente aveva chiamato l'ambulanza, ma non sarebbe servito a nulla. Lui ormai non c'era più. Lo sentivo. Percepivo che mi aveva lasciato, che mi era stato portato via. E tutto per colpa mia.

Lo guardai e piansi per tutto il tempo fino a che non arrivò l'ambulanza.

I medici mi allontanarono a forza da lui per fare qualcosa, ma dai loro sguardi addolorati capii ciò che già sapevo: non c'era più nulla da fare.

Il mio Koharu era morto.

Mentre lo portavano via rimasi immobile al buio senza poter pensare ad altro che ai nostri "Ti amo" sussurrati nella sala di un cinema praticamente vuoto.

 

Entriamo in casa, mano nella mano, infreddoliti e stanchi. Non accendiamo la luce, non ce ne è bisogno. Ho solo voglia di dormire, di riposare vicino a Saki.

-          Che vuoi fare?- mi chiede.

-          Andare a letto...a dormire. Sono stanchissimo.

-          Anche io- sbadiglia.

-          Ti va di dormire con me?- al suo silenzio aggiungo- Solo dormire.

-          Ah- sembra sollevato- si, certo.

-          Bene, la camera è...

La luce si accende di scatto, ferendomi gli occhi.

-          Bene, bene...eccoli che tornano a casa come due piccioncini!

É una voce fredda e bassa, che mi fa venire i brividi lungo la schiena. Saki indietreggia spaventato, tremando e mollandomi la mano. Nei suoi occhi leggo il terrore più puro e, senza neanche vedere in faccia il ragazzo che ha parlato, capisco di chi si tratta.

Alzo lo sguardo e mi trovo davanti, come avevo intuito, ai tre ragazzi che avevano aggredito e stuprato Saki. Quello che ha parlato, che dovrebbe essere il capo, siede sulla tavola, mentre gli altri sono in piedi vicino alle finestre.

-          Questa si chiama violazione di domicilio ed è legalmente punibile- dico cercando di non sembrare intimorito.

-          La porta era aperta.

-          Questo ti toglie lo scasso. Ma io ci aggiungerei aggressione e stupro, così, tanto per tenerti dietro le sbarre per qualche anno.

-          Smettila di far finta d'essere un duro, frocetto.

-          Che volete?

-          Finire ciò che abbia cominciato. Sai, Saki, eravamo convinti d'averti ucciso e così ce ne siamo andati a cuor leggero. Poi abbiamo scoperto che eri vivo e in prigione io non ci voglio finire per uno come te!

-          Allora vattene e non ti denunceremo- rispondo al posto di Saki, che sembra aver perso l'uso della parola.

Gli lancio un'occhiata. Si regge in piedi stando appoggiato al muro, tremando di paura, con gli occhi spalancati. Respira affannosamente. Mi avvicino a lui per rassicurarlo, mettendomi tra il suo corpo e quello del criminale. Sono preoccupato per lui. É ovvio che vogliono fargli ancora del male. 

-          Mi prendi per stupido? Se me ne vado lasciandovi vivi, perché ormai anche tu sei diventato un problema, mi ritroverò dentro tra meno di ventiquattr'ore!

-          Ci vuoi uccidere?- chiedo quasi incredulo

-          Certo!

Ho un tremito. Adesso anche io sono in pericolo, più di quanto avessi immaginato. E rischio di perdere, per la seconda volta, la persona a cui voglio più bene al mondo. Non posso permettere che accada di nuovo.

"Saki non deve morire!"

Questo pensiero mi dà il coraggio necessario a mantenermi lucido e a guardare ancora negli occhi il ragazzo.

-          Fissarmi non ti salverà. Rio, Kyosuke, a voi la mossa.

I due i staccano dal muro e si avvicinano a noi. Solo ora posso vedere le loro pistole, entrambe puntate su di noi. Quello che dovrebbe chiamarsi Rio la punta su Saki, che non sembra voler reagire. Io, invece, non voglio che finisca tutto in questo modo.

Entrambe le pistole stanno per far fuoco.

Speranza e disperazione si mischiano dentro di me, guidandomi verso l'ultima resistenza.

Salto addosso a Rio, proprio mentre Kyosuke spara contro di me. Il proiettile finisce chissà dove nella stanza.

-          SCAPPA SAKI!!!- riesco ad urlare.

Rio cade a terra, con me sopra e riesco ad allontanare dalle sue mani la pistola. Mi colpisce con un pugno e mi scaraventa addosso al muro.

Vedo Saki muoversi verso la pistola caduta a terra. Corre.

Rio lo insegue per fermarlo.

Con uno sforzo disumano riesco a buttarmi addosso a lui e a farlo cadere di nuovo a terra, fermandolo.

Saki sta per afferrare la pistola e dentro di me si accende la speranze di riuscire a cavarsela.

Un boato mi giunge alle orecchie, vicino e metallico.

Saki cade a terra, mentre del sangue esce dal suo corpo.

Paralizzato dall'orrore, non riesco a credere a ciò che ho visto.

Saki non può essere morto!

Non può essere successo di nuovo!

Rio mi colpisce, frastornandomi.

Cado a terra senza alcuna difesa, morto nell'anima.

Li vedo tutti e tre in piedi davanti a me, come ombre ai miei occhi non lucidi.

Mi puntano una pistola al petto.

Il cuore comincia a battere, come impazzito. Tremo. Sento che questa volta è veramente la fine.

Adesso ho paura. Una paura del diavolo.

-          Il tuo amico è morto. Tu ora lo raggiungerai e andrete assieme all'inferno

Non riesco a rispondere.

Un secondo boato mi smuove dalla paralisi, ma il dolore lancinante ed improvviso al petto mi blocca. Il respiro mi si mozza, mentre realizzo d'essere ancora vivo.

Mi porto le mani al petto e le sento macchiarsi del mio stesso sangue.

Non riesco a muovermi. Il dolore mi ferma al suolo e non accenna a placarsi. Mi sembra di morire.

-          Addio.

Il loro saluto mi giunge distante mentre se ne vanno chiudendo la porta. Realizzo che tra poco sarà qua la polizia, ma che arriverà troppo tardi. Sento che la vita mi sta abbandonando.

Ma non voglio morire da solo. C'è Saki, lontano alcuni metri.

"Starà soffrendo"

Riesco a voltarmi, cercandolo con lo sguardo.

Lo trovo, disteso su un fianco col sangue che gli sgorga dallo stomaco.

Un lago di sangue lo circonda.

Il suo colorito bianco è reso ancor più cadaverico dai suoi occhi dolorosamente chiusi.

-          Saki...- lo chiamo

Non risponde.

"Ti prego: dimmi che non sei morto!"

Mi muovo verso di lui. Frequenti fitte di dolore mi percuotono il corpo e la mente, ma io non voglio fermarmi. Voglio essergli vicino.

Striscio sul pavimento, abbandonando dietro di me una scia di sangue, e riesco a raggiungere il suo corpo immobile.

-          Saki...-

Allungando un braccio e facendo violenza su me stesso, costringendomi a sopportare nuovi dolori, lo giro verso il soffitto e, finalmente, i suoi occhi leggermente si aprono e dalla sua bocca esce un gemito di dolore.

-          Credevo d'essere già morto...- sussurra.

-          No...siamo ancora vivi...

-          Hanno colpito anche te...

-          Tranquillo. Non è...nulla di grave- mento.

-          Non mentire.

-          ...

-          Mi dispiace. É stata tutta colpa mia.

-          Non ha importanza. Almeno non siamo soli.

-          Hiro...non riesco a muovermi...

Mi spaventa. Che stia già per spegnersi?

-          Prendi per mano- dice- voglio morire tenendomi vicino a la persona che amo.

Lo faccio. Gli afferro una mano insanguinata e gliela bacio, accorgendomi solo ora delle lacrime che sto versando.

-          Saki...io avevo capito una cosa, prima, al cimitero: che volevo stare con te.

-          É un po' tardi per una dichiarazione, non credi?- dice facendo un mezzo sorriso.

-          Si...

-          Hiro...sono stanco...

-          Anche io...

Appoggio la testa sulla sua spalla, cercando di rilassarmi. Il dolore al petto è aumentato e non riesco più, ormai, a focalizzare ciò che mi circonda. É tutto nebbia. Scuro. Incerto. L'unica cosa certa è che questi sono gli ultimi secondi della mia vita.

-          Ti amo- riesco a mormorare.

Ma lui non risponde: non c'è più.

La sua mano giace senza vita nella mia.

L'ultimo nostro contatto.

Tutto diventa ancora più vago e gli occhi smettono di vedere.

Mi abbandono alle tenebre, lasciandomi tutto alle spalle.

L'ultima cosa che sento sono le sirene della ambulanza che si avvicina.

Troppo tardi.

Muoio acconto al mio nuovo ed eterno amore.          

 

Owari

   

Bene, bene...che ne pensate? Allegra no? Dopotutto è Natale!!

Spero che vi piaccia- come sono venute le lemon?- e di no avervi troppo demoralizzati!

Dal momento che non ho voglia di scrivere altri commenti...mi dedico a qualche altra ff in sospeso.

Un bacione a tutti e ricordatevi di commentare,

Ash (Lynx).