Join me in death

di Kaede


I. DO YOU THINK I’M A WHORE?

-siete pronti con la telecamera? Dategli la lavagnetta e cominciamo. Bene. Come ti chiami?-
-“Kyle”-
-sai dove sei?-
-“sì”-
-dove?-
-“in un manicomio”-
-ospedale psichiatrico, non manicomio. Quanti anni hai, Kyle?-
-“non so circa venti”-
-diciannove. Da quanti anni sei qui?-
-“ho perso il conto quando sono arrivato a quattro ormai saranno sei o forse sette”-
-otto. perché sei qui?- 
-“sono pazzo, vero?”-
-sì. Sai cos’hai addosso?-
-“una veste bianca. Come tutti quelli che sono qui. Posso ritornare nella mia stanza?”-
-sì. Ciao Kyle.-

Lo sguardo spento, vuoto. I capelli biondi sembravano sbiaditi. E pensare che una volta brillavano come l’oro…
Il corpo era magro. Forse troppo. Aveva la carnagione chiarissima. La veste bianca ricadeva lungo le sue forme, talvolta nascondendole, talvolta evidenziandole e contribuiva a farlo sembrare un ectoplasma…o un angelo. Una creatura sovrannaturale. 
Una volta al mese, tutti i “matti”, come erano chiamate le persone che vivevano in quel luogo, facevano una breve conversazione con uno psicologo. Quello che li visitava da circa sei anni, era un incompetente sulla cinquantina d’anni. Ma a nessuno interessava. Nessuno si preoccupava più di tanto. Bastava che i “matti” non dessero fastidio con i loro “atteggiamenti indemoniati” e le loro “parole folli, senza senso”. Anche volendo, comunque, non avrebbero mai potuto infastidire nessuno…il manicomio era stato costruito nel mezzo di una distesa infinita d’erba e alberi. Probabilmente l’intento era quello di isolare i “matti” dal resto del mondo. Nessuno voleva gente come quella. Nessuno apprezzava le qualità dei “matti”. Nessuno s’era mai interessato ai bellissimi quadri che dipingevano, alle loro poesie e alla voglia che avevano di sentirsi amati. 
Kyle era lì da otto anni, ormai. I suoi genitori l’avevano rinchiuso lì dentro quando era ancora piccolo per capire che posto fosse. Aveva appena undici anni, quella volta. Ma non era il più piccolo. 
Le suore, che si prendevano “cura” dei malati, dicevano che Kyle era stato violentato e che la madre era troppo debole per sopportare una simile “umiliazione”. Quindi il padre, per non farla star male, aveva preso il bambino e l’aveva portato nel manicomio, facendogli credere di andare in un parco giochi. 
Kyle non è mai stato pazzo. Mai. 
Il ragazzo si era chiuso in se stesso e non parlava più. I suoi dialoghi avvenivano sempre attraverso lavagnette e rispondeva, sempre scrivendo, solo allo psicologo. Quello psicologo. Con gli altri non aveva mai dato segno di voler “dialogare”. Forse aveva paura che, se avesse parlato, qualcuno avrebbe potuto capire che lui non era pazzo. Aveva imparato a recitare la sua parte alla perfezione. Aveva imparato a sopportare le prese in giro da parte delle suore che, come tutti, lo credevano un malato mentale. Credevano che lui non potesse capire. E invece capiva. Ma ormai non ci stava più male. Ormai aveva imparto a superare. All’inizio era stata dura. Quando era piccolo, piangeva sempre. Si nascondeva. Scappava. Poi era maturato e aveva capito che era stato tutto inutile: i suoi tentativi di fuga, le sue lacrime, le sue parole e le sue preghiere. Erano solo i deliri di uno pazzo, uscito di senno per colpa di una violenza, di un abuso da parte di un uomo. Tuttavia, nessuno sapeva perché con lo psicologo “parlava”…infondo, se c’era una persona in grado di capire che non era folle, quello era proprio lui. Oltre agli altri malati. Ora stava passando davanti a un gruppo di uomini, intenti a dipingere. Si fermò e prese in mano una di quelle opere, osservandola: era strana. Fatta a carboncino. C’era disegnata una donna. O un uomo, non si capiva. Aveva i capelli lunghi, più o meno come quelli di Kyle. La figura apparentemente androgina, era nuda. Questa persona, era in piedi, girata di schiena che guardava fuori dalla finestra. Concentrò la sua attenzione nello stesso punto della persona disegnata e notò una palla divisa a metà. Era la terra. Sussultò. Quel disegno era bellissimo. Continuava ad osservarlo. 
-Puoi tenerlo, se ti piace.- alzò gli occhi, sentendo quelle parole. Quello che vide fu sorprendente: avrà avuto sì e no venticinque anni. I capelli castani, abbastanza corti e spettinati. Gli occhi verdi e grandi. Profondi. Si sarebbe potuto perdere, in quegli occhi. Ma evitò qualsiasi reazione. Allungò la mano, porgendogli il disegno e, quando il ragazzo lo prese, lui corse via. 

L’altro rimase fermo, in piedi con il suo disegno fra le mani. Non capiva cosa potesse aver detto di male, per far scappare “l’angelo dai capelli lunghi”, come lo chiamava lui. Che poi era da lui che aveva preso l’ispirazione per fare quel disegno. In poche parole, la figura dell’opera a carboncino, era Kyle.

Kyle non capiva chi fosse quel ragazzo. Perché gli aveva rivolto la parola? Nessuno lo faceva! Tutti quanti, anche quelli che avevano davvero disturbi mentali, sapevano che lui non parlava. Però non lo aveva mai visto, era nuovo, forse. Era uno di loro, visto che aveva la veste bianca. 

-perdi il tuo tempo, se speri in una sua risposta. È bello ma…non proferisce parola. Tutti sanno che Kyle non parla!- ecco perché non aveva risposto. Ma perché era scappato? L’uomo che gli stava accanto, non gli aveva chiarito questo dubbio. 
-perché è scappato?- chiese, allora. Voleva saperlo. Doveva saperlo. 
-beh…l’avrai spaventato perché gli hai parlato e qui nessuno gli parla. Cosa vuoi che ne sappia! Io devo venire analizzato, non devo analizzare!- e se ne andò, arrabbiato. Simon se ne stupì ma, in fin dei conti, era abituato a quelle reazioni. 
Simon era arrivato lì una settimana prima, ma era la prima volta che permetteva a Kyle di vederlo. Nei sei giorni precedenti si era accontentato di guardare l’altro ragazzo senza che questo lo vedesse. Eppure non si era mai accorto che non parlava! Si rendeva perfettamente conto di aver fatto un errore, parlandogli. Anche perché Kyle era fuggito, spaventato. Non era di certo questo, il risultato che sperava di ottenere.
Simon era stato trasferito più volte, da un ospedale psichiatrico all’altro. Creava notevoli problemi alle suore perché non stava mai fermo e cercava spesso di scappare. Qualche volta ci riusciva…ma la sera tornava, perché non gli piaceva stare in giro troppo. Ed allora, com’era d’usanza a quei tempi, lo picchiavano e lo sottoponevano all’elettroshock. Questo lo faceva davvero impazzire. Otto anni di elettroshock ti rendono veramente psicolabile. Cioè, forse lui era veramente pazzo. L’avevano rinchiuso perché aveva catturato un uomo. L’aveva legato, torturato e, infine, accoltellato. Nessuno aveva mai conosciuto il motivo di quell’assassinio. Fatto sta che doveva venire incarcerato ma, siccome proveniva da una famiglia molto ricca e in quel modo avrebbe destato stupore e scandalo, i parenti lo fecero rinchiudere nel manicomio più lontano, spargendo la notizia che il figlio era andato a studiare in America. 
Aveva girato quasi tutti gli ospedali psichiatrici del Paese. Ma in quel momento si trovava lì. E non se ne sarebbe andato senza Kyle. 

II. YES, HONEY. I THINK THAT YOU ARE A BITCH. 

Certo, sapere che Kyle poteva considerarsi affetto da mutismo, facilitava notevolmente le cose. L’avrebbero infastidito non poco gli urli e le preghiere del ragazzo. Grazie al fatto che non parlava, invece, poteva violarlo liberamente. Per quello lui adorava quel posto. Era psicologo solo di nome…di fatto sapeva a malapena dove si trovava il cervello e quello che sapeva era dovuto all’esperienza. Le domande che faceva ai malati mentali, erano dettate dalla sua curiosità, più che dalla professionalità. Assegnare medicinali era facile: bastava somministrare due o tre pasticche di calmante e qualche sonnifero. L’unica cosa vagamente problematica avveniva quando gli veniva presentato davanti agli occhi un uomo o una donna che non si calmava neppure col valium oppure che aveva evidenti problemi mentali. In quel caso, c’era la lobotomia. Scegliere la parte da lobotomizzare, in effetti, era abbastanza difficile. Non era l’azione in se, a preoccuparlo. La sua croce era costituita dalle giustificazione sul “perché aveva scelto quella parte di cervello”. Tuttavia, se l’era sempre cavata egregiamente. Naturalmente la lobotomia non aveva mai portato miglioramenti ai pazienti, che o morivano o vivevano vegetando. Ma questo non era importante. 
Anche Kyle doveva venire lobotomizzato perché non parlava. Credevano che una parte del suo cervello fosse lesa, quindi volevano esportarla. Ma in un modo o nell’altro, usando qualche parola sentita da qualche parte, lo psicologo aveva evitato che questo avvenisse. Non l’aveva fatto per il bene di Kyle, ma solo perché non gli sarebbe piaciuto andare a letto con un ragazzo a cui mancava una parte di cervello. Oltre al fatto che la cicatrice attorno alla testa l’avrebbe impressionato. Comunque, non aveva mai fatto nulla per evitare che il ragazzo venisse sottoposto all’elettroshock. Quella “terapia” non lo impressionava perché esteriormente Kyle non cambiava in nulla.
-per oggi abbiamo finito.- era uscito da lui e si era vestito lentamente, senza degnare Kyle nemmeno di uno sguardo. Solo quando fu completamente vestito, gli si era avvicinato e gli aveva afferrato con forza il viso -mi raccomando, Kyle…non dire niente a nessuno della nostra…intensa cura…- poi l’aveva baciato, mordendogli un po’ il labbro inferiore, dal quale uscì qualche goccia di sangue… -ma che sbadato…dimentico sempre che tu non parli…- e si era allontanato, ridendo…

Kyle ora era lì, seduto nel freddo e bianco pavimento di quella stanza nivea. Era ancora nudo. La “cura”, come chiamava lo psicologo il rapporto sessuale al quale lo costringeva, era stata come sempre quasi letale. Ormai erano circa sei anni che andava avanti quel rapporto proibito. Era proibito ma non segreto, comunque. Più di qualcuno, suore comprese, sapeva bene che il dottore si divertiva con lui e con altri…ma nessuno se ne preoccupava…quando qualche malato veniva violentato o picchiato e si lamentava col personale, quest’ultimo non gli credeva o non voleva credergli. Erano solo le parole di un pazzo…
Kyle e il suo corpo erano proprietà di tutti i dipendenti, così come gli altri ragazzi. Era normale che qualche infermiere o psicologo che fosse si prendesse libertà con loro. Infondo si spaccavano la schiena per quel branco di pazzi, no? Per quei relitti…per quegli animali…se uno di questi era bello, perché non sfruttare questa sua qualità per far sfogare quelli che lavoravano per lui?
Di certo, nessuno si preoccupava di Kyle e degli altri ragazzi. Eppure quelle persone, quei ragazzi soffrivano…anche se erano davvero psicologicamente malati. Kyle stava già male di suo…mangiava poco…ma non perché non avesse fame, tutt’altro!...solo che il cibo, lì, nel manicomio, scarseggiava sempre per i malati…ma non per il personale. Quelli si abbuffavano come maiali. 
Oltre alla denutrizione, comunque, c’era il fattore psicologico…il fatto d’essere rinchiuso in un manicomio nonostante fosse sano di mente. Non poteva decidere di uscire da lì, parlando improvvisamente ed usando questo mezzo per togliere dalla testa di quella gente l’idea che lui fosse pazzo. Non poteva per il semplice fatto che poi sarebbe passato per un matto che ha fatto progressi grazie alle “delicate cure” dello psicologo. E di certo Kyle non desiderava questo. Non voleva che altri ragazzi, oltre a quelli che già erano caduti in quelle mani sbagliate, venissero sottoposti alle cure di quel medico perverso e degli altri maniaci che si servivano dei loro magri corpicini. E in ogni caso non l’avrebbero di certo liberato. E se, per grazia divina, l’avessero lasciato andare, dove sarebbe andato?... 
Infine c’era il fatto d’essere trattata da puttana. Anzi, da puttana squilibrata. Quella gente credeva che lui non capisse. Credevano che la follia li avesse resi stupidi. Ma non era così…al contrario! Del resto, come si diceva prima, nessuno, né le suore, né i medici, s’era mai preoccupato di guardare i capolavori che creavano. 

Kyle si era vestito con una lentezza disarmante. Gli faceva male d’ogni parte. Aveva anche sete. La leggerissima vestaglia che lo rivestiva a lui sembrava pesante quanto un’armatura di ferro. E gli pesava sui lividi violacei, sui graffi, sulle ferite. Poi era uscito dalla sua stanza e si era diretto fuori, dove c’era un pozzo. Le suore che lo vedevano passare non lo guardavano neppure, come se lui non esistesse. Eppure aveva un labbro sanguinante ed una botta molto evidente all’altezza dello zigomo, povero Kyle! 
Ma se le era meritate, quelle randellate…era stato veramente cattivo, Kyle…e sì, aveva addirittura osato ribellarsi a lui…allo psicologo! Aveva cercato di evitare le sue cure! No, così non andava bene. Lo psicologo si era arrabbiato e l’aveva picchiato…l’aveva picchiato finché Kyle non era caduto ai suoi piedi, accarezzandogli gentilmente le gambe e l’aveva guardato con occhi desolati…finché non fu sicuro che quelle che scendevano dagli occhi azzurri del ragazzo e che si mischiavano col sangue che scendeva dal labbro inferiore, diluendolo, non fossero lacrime. Finché non fu certo di averlo fatto piangere, in pratica. A quel punto, l’aveva gettato sulla branda mezza distrutta che fungeva da letto e l’aveva stuprato, senza un minimo d’esitazione. Senza pena. Senza cuore. E Kyle non si era più lamentato. Non aveva più versato nemmeno una lacrima. Era stato molto bravo, Kyle. 
Comunque, ora si trovava all’aperto, davanti al pozzo. I caldi raggi del sole di Giugno lo scaldavano, regalandogli un brivido di piacere, finalmente. Si era aggrappato alla corda, cercando di tirare su il secchio con l’acqua. Aveva impegnato tutte le sue forze, in quel gesto. Ma non ci riusciva. La corda non si muoveva neppure di un millimetro. Era passato un gruppetto di suore e gli avevano chiesto cosa stesse cercando di fare. Lui le aveva guardate, indicando il pozzo con la testa…ma le suore avevano riso, fingendo di non capire ed erano andate via. Lui si era appoggiato sulla corda e si era sforzato ancora e ancora e ancora. Ma niente. Era troppo debole. Forse aveva perso troppo sangue. 
Quando stava per lasciarsi cadere a terra, due mani si strinsero sopra le sue e avevano tirato su il secchio, afferrandolo e appoggiandolo sulla parete rocciosa del pozzo. Kyle si era girato di scatto, aggrappandosi con le mani alla roccia fredda della cisterna e dandole le spalle. Colui il quale l’aveva aiutato era vicinissimo a lui. Talmente vicino da avere il proprio petto a contatto con quello di Kyle. Quest’ultimo sentiva chiaramente i battiti del petto della persona che l’aveva aiutato. Erano veloci…velocissimi. Avevano un suono dolce... 
Kyle alzò lo sguardo quel tanto che bastava per capire chi fosse stato ad aiutarlo. Quello che vide lo fece sussultare. Era il ragazzo che aveva visto quel giorno…quello con quegli occhi verdi così straordinariamente… meravigliosi. Immensi ed infiniti. Anche questa volta, si sarebbe voluto perdere in quegli occhi. L’aveva fissato per un po’. Poi aveva abbassato bruscamente lo sguardo: non poteva rimanere lì. Doveva andarsene, doveva scappare e tornare nella falsa sicurezza che gli offriva il pallido squallore della sua stanza. Così, si era mosso, aveva cercato di allontanarsi da lui. Nel muoversi però, aveva fatto barcollare il secchio e si era un po’ bagnato. Tra l’altro, il secchio era precipitato nel pozzo. Kyle aveva sentito il rumore sordo della corda che si tendeva e del secchio che spaccava l’acqua e si era irrigidito, voltandosi a guardare con occhi spaventati il nero cieco e pieno della cisterna. 
-non preoccuparti, adesso lo tiro su di nuovo…- la calda voce di Simon gli aveva accarezzato l’udito e lui si era di nuovo girato a guardarlo. Poi aveva scosso la testa ed aveva cercato di continuare la sua opera di fuga. Ma una mano si era saldata attorno al suo polso e aveva costretto Kyle a fermarsi. La stretta era decisa…eppure gentile. -no, non andartene…io non voglio farti male…davvero…voglio solo pulirti quelle ferite…- Kyle si era bloccato per qualche istante, ma subito dopo aveva ricominciato ad agitarsi. Aveva soffocato qualche gemito…

III. I DESIRE TO LISTEN YOUR VOICE…

Parlami come il cielo con la sua terra 
Non ho difese ma 
Ho scelto di essere libera 
Adesso è la verità 
L'unica cosa che conta 
Dimmi se farai qualcosa 
Se mi stai sentendo
Avrai cura di tutto quello che ti ho dato 
Dimmi 
Siamo nella stessa lacrima, come un sole e una stella
Luce che cade dagli occhi, sui tramonti della mia terra 
Su nuovi giorni… 

Simon sapeva che Kyle aveva paura. Si vedeva benissimo. Eppure non voleva lasciarlo andare. Non aveva intenzione alcuna di farlo scappare. Non era egoismo, il suo. Non era neppure cattiveria o cocciutaggine. Semplicemente, temeva che, lasciandolo correre via, non l’avrebbe visto più. Aveva paura che succedesse qualcosa a Kyle e che il ragazzo non fosse preparato a subire altri traumi…
Così l’aveva bloccato, imprigionandolo fra se stesso e il pozzo…poi aveva allungato le braccia, tirando su la corda nella quale era appeso il secchio pieno d’acqua. Dopodiché aveva tirato fuori un fazzoletto bianco di stoffa e l’aveva immerso nell’acqua…
-stai tranquillo, angelo…- disse, Simon. Kyle si era fermato, aveva smesso di agitarsi. Forse si era solo rassegnato. Simon allora ne aveva approfittato ed aveva appoggiato delicatamente il fazzoletto sul labbro inferiore di Kyle, togliendo via il sangue… -brucia?- chiese gentilmente Simon. Kyle lo guardò, scuotendo lentamente la testa. Aveva di nuovo lo sguardo spaurito e tremava. Sembrava un angelo al quale avevano appena strappato le ali. Tuttavia…era meravigliosamente bello…

Non capiva perché quel ragazzo si stava prendendo cura di lui. E poi perché diavolo l’aveva chiamato “angelo”? Lui era tutto tranne che un angelo! E poi, perché gli parlava? Non aveva ancora capito che lui non gli avrebbe mai risposto? Possibile che fosse così stupido? O magari era davvero pazzo…no, pazzo non era. Lui capiva subito quando una persona era uscita di senno. A forza di rimanere lì aveva l’esperienza di un medico! Più o meno come lo psicologo. Oh…e se quel ragazzo fosse stato mandato dal suo “medico” perché lo controllasse…? O per provocarlo, forse…beh, in quel caso era già morto. Lui si stava facendo curare da quella persona. Di certo lo psicologo non avrebbe gradito. No, no. Era stato di nuovo cattivo. Generalmente lo picchiava quando cercava di fargli capire che non voleva accettare le sue “cure” o quando qualche altra persona di serviva sessualmente di lui. Come se fosse colpa sua! Ma tanto Kyle non poteva protestare…come faceva? Lui ufficialmente non parlava! In effetti, non era sicuro di ricordarsi come si faceva a parlare. Erano davvero sei anni che non proferiva parola. Forse un giorno avrebbe provato a parlare, quando sarebbe stato sicuro che nessuno l’avrebbe potuto sentire….…
-ecco, ora passiamo allo zigomo…accidenti che bella botta…ma cos’hai fatto per farti fare questo?- e gli aveva appoggiato il fazzoletto bagnato sulla botta che aveva sotto l’occhio…
Kyle aveva solo deglutito. Non poteva fidarsi di nessuno. 
-ma quando mi farai ascoltare la tua voce? Dev’essere bellissima…perché non vuoi parlarmi, Kyle?- Kyle sgranò gli occhi. Come faceva a conoscere il suo nome? -ah, scusa…ti starai chiedendo come faccio a sapere come ti chiami…me l’ha detto Ben…sono certo che lo conosci, lui alloggia nella stanza di fronte alla tua. Comunque io mi chiamo Simon…- così adesso sapeva che quel ragazzo di chiamava Simon… (si può leggere sia “Saimon” che “Simòn” ^^ NdKae) comunque la persona che lo stava curando, sapeva tante cose su di lui, da quanto aveva appena detto...sapeva addirittura qual era la sua stanza. Perché, poi? Gli aveva detto Ben anche questo? Tra l’altro, non era neppure sicuro che fosse stato Ben a parlare. Secondo lui gli aveva spiegato tutto lo psicologo. Non sapeva perché l’avesse fatto. Del resto, quell’uomo era molto più pazzo di malati che curava. Era uno psicopatico. 
-bene…ho finito!- Simon sorrise. Kyle lo guardò di nuovo e non poté non rimanere affascinato. Erano anni che non vedeva un sorriso sincero come quello…
Simon mise il fazzoletto sul muretto del pozzo e lasciò cadere il secchio all’interno della cisterna, poi sollevò una mano, facendola scorrere fra lunghi capelli di Kyle…
-sono così morbidi…tu non sai quanto tempo ho passato ad immaginare di toccarli…- Kyle sussultò, spingendo un po’ Simon e scuotendo con forza la testa… -no…non posso lasciare che tu fugga…non ora, angelo mio…- e accarezzò con l’altra mano il collo di Kyle…il ragazzo biondo aveva smesso di spingerlo e di muoversi. Aveva le mani appoggiate sul petto di Simon e lo guardava, lasciandosi accarezzare da quelle mani grandi e da quelle parole gentili e calde…
-Simon! Vedo che hai conosciuto Kyle!- una voce li interruppe. Kyle sgranò gli occhi e si buttò a terra, liberandosi così dalla dolce prigione di Simon, poi abbracciò le proprie gambe, ricominciando a tremare…
-sì…ma…Kyle…cosa ti succede…?- aveva chiesto poi, Simon, inginocchiandosi davanti a Kyle e accarezzandogli i capelli…
-non preoccuparti…è uno dei suoi attacchi…ho la cura adatta a questi, vero Kyle?- lo psicologo si era avvicinato ai due e aveva allungato una mano, afferrando Kyle per un braccio e tirandolo su a forza. 
-così gli farà male!- aveva gridato Simon, alzandosi e osservando il medico con sguardo torvo…
-no, non si fa male…su, Simon, ora torna in camera tua. Kyle deve prendere le medicine…- e se n’era andato, trascinando via Kyle. Kyle teneva la testa bassa e camminava, seguendo lo psicologo come un cane seguirebbe il suo padrone. 

Simon sperava che quell’uomo potesse fare davvero qualcosa per calmare Kyle. Ma ne dubitava fortemente. Il ragazzo, infondo, aveva cominciato a comportarsi così da quando era arrivato il dottore. Non sapeva cosa pensare. Di certo, per ora, non poteva fare molto. Poteva solo tornare in camera sua, come gli aveva chiesto di fare lo psicologo e rimuginare sui fatti accaduti. Aveva passato del tempo con Kyle e questo lo faceva stare bene, infinitamente bene. Il giorno dopo, sarebbe sicuramente andato a trovarlo. Per ora aveva un solo scopo: far parlare Kyle.

IV. SORRY HONEY, I MUST RAPE YOU …

Appena varcata la soglia, lo psicologo aveva spinto Kyle a terra, facendolo finire accanto al letto. Dopodiché, aveva sbattuto la porta e si era avvicinato velocemente al ragazzo. Lo aveva spogliato con forza e insolenza dei pochi indumenti che indossava. Infine, l’aveva fatto inginocchiare e aveva incatenato le caviglie di Kyle ai piedi del letto e gli aveva legato con una spessa corda le mani, fermandogliele dietro la schiena. Kyle così non poteva muoversi, gli era concesso solo di piangere silenziosamente, cosa che già faceva.
-è inutile piangere, adesso. Dovevi stare attento prima. Adesso devo somministrarti la tua cura…ed è già la seconda volta, oggi…invece di migliorare, tu peggiori…dovresti vergognarti- e mentre parlava si slacciava i pantaloni… -…e mi fai perdere tempo…come se potessi permettermi di perdere tempo con te!- …poi estrasse dalla tasca del camice bianco un pacchetto di sigarette e se ne accese una… -questa volta, visto che non hai ancora capito che non devi lasciarti toccare da altri, ti punirò. E ti farò più male di prima…- lentamente, si inginocchiò davanti a Kyle, che lo guardava, tremando e piangendo… -non credere che a me piaccia farlo…preferirei di gran lunga andare a passeggiare, visto il tempo…- afferrò con la mano libera una ciocca dei capelli di Kyle -ti sono diventati lunghi…beh, del resto sono sei anni che non li tagli…vero Kyle?- Kyle annuì debolmente. Forse lo psicologo non percepì quel gesto, o forse, finse di non percepirlo. Fatto sta che tolse la mano dai capelli di Kyle e gli diede una sberla, facendogli uscire una gocciolina scarlatta dal naso… -devi rispondere! So benissimo che sai parlare!- lo psicologo era un ipocrita, fra le altre cose. Gli piaceva il fatto che Kyle non proferiva parola perché così poteva stuprarlo senza che questi urlasse. Però lo infastidiva perché, diceva, gli sembrava di parlare da solo. 
Tuttavia, Kyle non aprì bocca. Tornò a guardare con occhi pieni di lacrime l’uomo che gli stava davanti, poi abbassò un po’ la testa. Il medico si offese per non si sa quale ragione e si alzò, dando un tiro alla sigaretta ed espirando il fumo, quindi diede un calcio in pancia a Kyle, che gemette, sputando un po’ di sangue e accasciandosi per tossire…
-ora che quella bella boccuccia è sporca di sangue, vedi di darti da fare e di farmi godere, se non vuoi prendere ancora qualche calcio…- e gli alzò il viso con una mano, mettendo il suo sesso a contatto con le labbra di Kyle. Il ragazzo non provò neppure a divincolarsi. Aprì la bocca e cominciò a fare quello che, dopo molti anni, aveva imparato a fare tanto bene. Succhiò, cercando di non pensare a quello che stava facendo. Generalmente, quando lo psicologo usciva dalla stanza, Kyle vomitava. A volte gli veniva naturale, altre volte si aiutava con due dita in gola. Era l’unica cosa che lo faceva stare un po’ meglio…gli sembrava di pulirsi, di lavare via lo sporco che aveva dentro. Tra l’altro, pensare a questo mentre giocava con il membro del dottore, lo rassicurava, lo risollevava. Sentì lo psicologo gridare di piacere e svuotarsi nella sua bocca. Kyle cercò di inghiottire tutto ma, forse a causa del calcio che gli era stato dato dallo psicologo stesso, non ci riuscì e sputò un po’ di seme. Il dottore, quando si riprese, lo guardò con cattiveria…aveva gli occhi che brillavano per la rabbia, la bocca contorta in una smorfia collerica…
-eppure lo sai che certi stupidi scherzetti non me li devi giocare…- disse e sbatté piano la sigaretta, facendo cadere la cenere per terra e si accasciò davanti a Kyle, che aveva annuito e che ora lo fissava, terrorizzato. 
-non capisco perché ti comporti in modo così avventato…sembra quasi che ti piaccia soffrire! Sarà perché sei pazzo…o sei un pervertito?- rise istericamente. Kyle deglutì. L’uomo smise di ridere e si avvicinò al suo viso. Poi, gli leccò il labbro, sopra il quale era scivolato un rivoletto del sangue che gli usciva dal naso. Salì piano, pulendogli con la lingua la parte appena sopra il labbro e succhiandogli un po’ la pelle che lambiva.
Quando ebbe finito, si staccò e guardò la sigaretta…
-…è rimasto solo il mozzicone, ormai…- guardò Kyle e accostò la sigaretta al petto del ragazzo, all’altezza del cuore -…vediamo se così urli, piccola puttana squilibrata…- e schiacciò il mozzicone acceso, spegnendolo sulla pelle di Kyle. Il ragazzo non gridò. Mugugnò soltanto e pianse. Ma non fece ascoltare la propria voce al medico. Poi abbassò la testa e, quando lo psicologo allontanò la sigaretta, notò che sul suo petto era comparsa la bruciatura. Gli faceva male. Gli faceva un male cane. Avrebbe urlato davvero, se solo avesse potuto farlo. Se non ci fosse stato quel medico. Non voleva dargliela vinta. La libertà, o il dovere, di non proferire parola, era l’unica dignità che gli rimaneva. Senza di questa, sarebbe stato spogliato di tutto. 
-sei dannatamente testardo!- gridò il dottore, lanciando via il mozzicone e dandogli un altro calcio in pancia. Kyle sputò ancora un po’ di sangue e il dottore sbuffò per la rabbia, gli liberò le caviglie e lo spinse a terra, costringendolo a mettersi prono…gli divaricò le cosce con non curanza e lo penetrò con il proprio membro, con un’unica spinta. Kyle lanciò un grido muto e lo psicologo continuò ad ansimare e ad entrare ed uscire da lui, con forza sempre crescente, senza mai curarsi del dolore immenso che provava il ragazzo. Con un urlo, l’uomo si sciolse dentro di lui. Kyle, naturalmente, non venne. Non gli era capitato neanche una volta, di venire. Non si eccitava neppure. Solo soffriva. Tutti i rapporti sessuali che aveva avuto, erano stati stupri a suo danno. Non aveva mai fatto l’amore con qualcuno. A volte, gli capitava di pensare a come sarebbe stata la sua vera prima volta. Lui se la immaginava in un campo di margherite, con il loro profumo che stuzzicava dolcemente le narici sue e della persona che amava…l’unico problema era che…non aveva mai incontrato qualcuno da amare. 
Il medico uscì da lui e si alzò in piedi, dopo avergli liberato le caviglie.
-non devi comportarti male, Kyle. Non devi essere così cattivo. Lo sai che non mi piacciono i bambini cattivi, vero Kyle?- Kyle annuì mestamente. Cercò di sedersi, ma l’azione si rivelò impossibile poiché il fondoschiena gli doleva e aveva le mani legate…guardò il dottore…
-no, le mani non te le libero. Ti libererà la suora domattina, quando viene a pulire la stanza. Così vede quanto sei stato cattivo.- Kyle abbassò la testa e lo psicologo gli prese il viso tra le mani, sollevandoglielo…lo guardò un po’, poi gli diede una sberla su una guancia e una sull’altra. 
-non mi piace il modo in cui mi guardi. Ora me ne vado. A presto…- e si abbottonò i pantaloni e il camice, uscendo. 
Pensandoci, la terapia del medico, aveva portato davvero un miglioramento in Kyle. La paura che lui aveva di quella cura, infatti, lo aveva spinto a cercare una via di comunicazione che lo portasse a “discorrere” di tanto in tanto con lo psicologo. Probabilmente, infatti, era per quello che con lo psicologo comunicava. Non era del tutto inutile, allora…

V. ΦΙΛΊΑ (AMICIZIA)

Simon uscì dalla mensa con una smorfia schifata stampata in faccia, mentre pensieri disgustati riguardanti il cibo che erano costretti a mangiare, gli affollavano la mente. Tuttavia, nonostante l’avesse cercato a lungo con lo sguardo, non aveva visto Kyle. Aveva incontrato solo lo psicologo, che l’aveva guardato con noncuranza, mentre parlava assieme ad alcuni suoi colleghi. Vedere lo psicologo e non Kyle, l’aveva insospettito. Non gli era piaciuto per niente il modo in cui l’aveva trascinato via, poche ore prima. E soprattutto, non gli era piaciuto il modo in cui aveva reagito Kyle, vedendo l’uomo. Questo l’aveva subito fatto riflettere. Aveva quindi deciso di anticipare a quella sera la visita a Kyle, che avrebbe dovuto svolgersi l’indomani mattina.
Entrò nella stanza di Kyle, dopo aver bussato. Si stupì del fatto che la porta era aperta. 
-Kyle…? Sono Simon…- cercò il ragazzo con lo sguardo e dopo qualche istante, lo individuò: Kyle era nudo, la testa reclinata in avanti, i lunghi capelli arruffati, le gambe malamente incrociate ed era come se cercasse di stare seduto. Molto probabilmente era svenuto. Simon gli si avvicinò di corsa e gli liberò le mani, poi lo prese in braccio e lo stese sul letto, coprendolo col leggero lenzuolo…
Dopodiché, si diresse fuori con un fazzoletto di stoffa, pulito e una ciotola in mano. Andò al pozzo, dove bagnò il fazzoletto e riempì la scodella. A passo svelto, tornò da Kyle, cominciando a medicarlo e a lavargli le ferite. Il ragazzo, sentendo l’acqua fresca sul viso e sul petto, si svegliò e lo guardò…
-non preoccuparti, angelo, sono io…- Kyle sgranò gli occhi, spingendo via Simon e rannicchiandosi in se stesso, dopo essersi girato per dare le spalle all’intruso. Poi, si appoggiò le mani sul viso e ricominciò a piangere, tremando come una foglia…
Simon appoggiò la ciotola a terra e vi buttò dentro il fazzoletto…quindi, si avvicinò a Kyle e gli accarezzò dolcemente le spalle…
-Kyle…non devi avere paura di me, te l’ho detto anche prima…io…si, ho ucciso un uomo ma a te…a te non farei mai del male…vorrei…solo capire perché quello psicologo ti fa questo…- Kyle smise di tremare e tolse le mani dal viso, voltandosi e guardando Simon…
-ce l’ha con te perché non parli?- Kyle continuò a guardarlo e si asciugò le lacrime, che stavano lentamente smettendo di scendere…dopo un po’, abbassò lo sguardo e scosse le spalle…
-non lo sai neppure tu…guarda, secondo me, ti fa tutto questo solo perché sei meraviglioso…e lui è così sadico da godere quando una persona incantevole sta male…- Kyle alzò gli occhi e lo osservò con espressione sconvolta, poi arrossì violentemente e si coprì il viso con una mano…
Simon rise e arruffò dolcemente i capelli del ragazzo, che sussultò…
-no…calmati…non ti faccio male piccolino…- Simon toccò ancora una volta i capelli di Kyle, che prima s’irrigidì e poi lo lasciò fare, rilassandosi…
-è strano come qui tutti sono convinti che quello psicopatico sia un bravissimo psicologo…- Kyle aprì le dita della mano che teneva sul viso per poter guardare Simon…
–insomma, capirebbe anche un cieco che quello lì è un impostore…neppure il più stupido degli uomini curerebbe qualcuno…violentandolo!- Kyle lasciò che il braccio gli cadesse lungo un fianco e puntò su Simon uno sguardo stravolto…
-mh? Ti stupisci perché ho capito che le sue cure sono solo stupide scuse per stuprarti? Beh, sono pazzo mica scemo!- e sorrise calorosamente…

VI. HOWEVER…LISTEN MY TEARS…

Ascoltami 
Ora so piangere 
So che ho bisogno di te 
Non ho mai saputo fingere 
Ti sento vicino 
Il respiro non mente 
In tanto dolore 
Niente di sbagliato 
Niente, niente... 

Kyle continuò a fissare Simon. Aveva pianto davanti a lui. E Simon non l’aveva preso in giro, come faceva sempre lo psicologo…anzi, l’aveva accarezzato e coccolato. Inoltre Simon sapeva tutto…
Aveva addirittura capito che quello psicologo era un impostore. 
La cosa che più di tutte l’aveva sorpreso, però, era che continuava ad interessarsi a lui. Quella sera era anche venuto a trovarlo. A trovarlo, a vedere come stava, non a violentarlo. Non si poteva di certo dire che Kyle fosse abituato a questo genere di trattamenti. Quando un medico, uno psicologo, una suora o qualcuno in generale, entrava in camera sua, era o perché aveva avuto qualche scatto (dovuto, comunque, allo stress che stava accumulando a forza di stare lì dentro) e quindi dovevano portarlo a fare l’elettroshock, o perché volevano visitarlo o, più frequentemente, perché volevano sfogare i loro istinti sul suo grazioso corpicino. 
Finora, nessuno si era presentato da lui con l’unico scopo di fargli un po’ di compagnia. 
Nessuno a parte Simon, naturalmente. Anche adesso, lo stava guardando con quegli occhi così belli e dolci…
-ma quanto sono sbadato! Volevo portarti una cosa ed invece me ne sono completamente dimenticato…- Simon si alzò e Kyle lo guardò con sguardo interrogativo
-aspettami qua, non muoverti!- e corse fuori dalla stanza. Kyle temette che quella di Simon fosse una fuga. A dire il vero, si stava già rassegnando a tornare ad essere di nuovo solo, quando Simon rientrò nella sua camera. Aveva un foglio in mano…
-ecco qua…- il ragazzo si avvicinò di nuovo a Kyle, posandogli il foglio sulle gambe…
-da come l’hai guardato quando l’ho fatto, mi sembrava ti piacesse e così…- Simon sorrise dolcemente –te l’ho portato…-Kyle guardò l’opera…era di nuovo quello con la figura apparentemente androgina, che guardava fuori dalla finestra e vedeva il mondo spezzato a metà…
-volevo regalartelo già quella volta ma sei corso via e non sono riuscito ad inseguirti…- Kyle spostò lo sguardo dal quadro al viso di Simon…i suoi occhi sembrava chiedessero “è davvero per me?”…
E Simon, anche quella volta, capì.
-sì, è per te, angelo.- Kyle sentì gli occhi riempirsi di nuovo di lacrime e pianse, spostando il foglio per non bagnarlo. Era felice. Simon si sedette sul letto, accanto a Kyle, e lo strinse forte a se…il ragazzo dai capelli lunghi, poté avvertire un brivido lungo la schiena, quando Simon lo abbracciò…erano anni che qualcuno non lo faceva…tuttavia, si accoccolò contro l’ampio petto dell’altro ragazzo, lasciandosi andare alle sue teneri cure. Stava cominciando a fidarsi di lui. 

VII. KISS MY LIPS, ANGEL…

Simon baciò i capelli di Kyle e glieli pettinò gentilmente con le dita, tentando di calmarlo un po’. Quando il più giovane alzò il viso, Simon gli accarezzò le guance, asciugando così le tracce bagnate lasciate dalle lacrime. Allora Kyle tornò a buttarsi sul ragazzo, stringendo forte le stoffa della vestaglia di Simon, all’altezza del petto. Poi sfregò un po’ il viso contro la spalla dell’altro e chiuse gli occhi. Li riaprì pochi istanti dopo, quando tornò a guardare Simon negli occhi per poi curvare le labbra in un timido sorriso…
Simon si stupì non poco e lasciò passare alcuni istanti prima di rispondere al sorriso. Dopodiché, passò il pollice sulle delicate labbra di Kyle, che portavano ancora la ferita fattagli dallo psicologo. 
-è un peccato negare al mondo il piacere di vedere il tuo sorriso, angelo…- Kyle non staccò gli occhi da quelli di Simon. Sentiva il cuore martellare nel petto…non aveva mai provato nulla di simile. Non era paura, la sua. Non capiva cosa fosse. Solo, sentiva che con Simon avrebbe forse potuto fare l’amore nel campo di margherite, come sognava. Pensò che si stava lasciando andare un po’ troppo. Infondo conosceva Simon da un giorno. Poteva anche essere una presa in giro. E il pensiero che fosse stato lo psicologo ad organizzare tutto questo, non l’aveva ancora abbandonato completamente. Eppure…quegli occhi…come poteva, l’infinità che essi racchiudevano, mentire? Non era forse…amore…il raggiante sole che splendeva al loro interno? Le bugie avevano una luce totalmente diversa…anche se l’unico affetto che conosceva, era quello che, credeva, provassero i propri genitori nei suoi confronti, sapeva che quello che splendeva negli occhi di Simon era amore.
Kyle si avvicinò timidamente al viso di Simon e chiuse gli occhi. L’altro ragazzo, allora, accostò il volto a quello di Kyle e sfiorò le labbra del ragazzo dai capelli lunghi con le sue, depositandovi un dolce bacio. Kyle sussultò. Lo voleva, certo. Però non si aspettava che quel contatto fosse così tenero…l’aveva immaginato innumerevoli volte, aveva anche provato a sfiorare le sue labbra con le dita, immaginando che fossero le labbra della persona amata, nella speranza di capire come potesse essere baciare questa. Ma mai aveva pensato a qualcosa di così dolce. Non erano baci, i contatti crudi e violenti che gli riservavano i suoi molestatori, soprattutto lo psicologo. 
Simon sorrise dolcemente. Kyle gli stava dilaniando l’anima con la sua dolce esistenza. Lo amava, ormai. Non c’erano confutazioni o dubbi, a proposito. Inoltre, si rendeva conto di stare diventando molto importante per l’angelo dai capelli d’oro. E questo era un enorme passo avanti…tutto andava secondo il suo plausibile e affettuoso piano. Kyle prima o poi avrebbe parlato…e la prima parola, dopo anni di silenzio, l’avrebbe ascoltata lui. Non sapeva neppure Simon in persona perché facesse tutto questo per Kyle. Però…la prima volta che l’aveva visto s’era promesso di fare qualsiasi cosa per portarlo fuori da quel posto e renderlo finalmente felice. Quando, poi, aveva scoperto che Kyle non parlava…aveva subito deciso di aiutarlo. Ed ora quello era il suo secondo pensiero. Il primo, infatti, era Kyle.

VIII. CAN YOU LOOKING MY SMILE AGAIN, PLEASE?

Erano passati più o meno due mesi dal bacio che Kyle e Simon s’erano dati. Dopo quel giorno avevano avuto poche occasioni di stare assieme. Lo psicologo, infatti, aveva notato qualche cambiamento in Kyle. Il ragazzo cercava di opporsi agli stupri, scalciando e disobbedendo agli ordini. Questo portava all’unico rimedio conosciuto: l’elettroshock. Era sottoposto all’elettroshock molto spesso e questo toglieva del tempo ai suoi incontri con Simon. Inoltre, quando lo psicologo o altri riuscivano a violentarlo, lo picchiavano in modo da rendere impossibile ogni suo movimento. Così, non riusciva ad andare da Simon ne a farlo entrare in camera sua perché Kyle crollava, addormentandosi, non appena avevano finito di seviziarlo. 
Tra l’altro c’era il rischio che lo psicologo intuisse qualcosa. Kyle si era messo a scrivere su un piccolo quaderno…e parlava solo di Simon. Non aveva mai detto il nome del ragazzo, si limitava a chiamarlo “il mio amore”. Le pagine ingiallite del quadernetto nero, gli servivano per riordinare i suoi sentimenti e per parlare delle fantasie che faceva frequentemente e che vedeva come protagonisti solo lui e Simon. 
Comunque, quel giorno, lo psicologo aveva letto il diario. E si era stupito; l’aveva picchiato, violentato. Poi aveva strappato alcune pagine dal quaderno, uscendo dalla stanza e lasciando Kyle in lacrime. Dopo essersi calmato, aveva stretto a se il piccolo diario e aveva preso il pennino e il piccolo calamaio colmo d’inchiostro nero che s’era fatto dare da un altro paziente (aveva imparato ad avvicinarsi un po’ di più agli altri malati, seppur evitando di parlare). S’era disteso a terra ed aveva cominciato a scrivere…

“Lui mi ha scoperto…
Non ti ho mai parlato di lui, dell’uomo che, credendosi uno psicologo, entra quasi ogni giorno nella mia camera per sottopormi alla sua cura. Non è una cura…anche questo me l’ha insegnato il mio amore…è solo una banale scusa per violentarmi, passando quasi inosservato. O meglio, tutti sanno che lui mi violenta, ma nessuno ci fa caso perché tanto sono pazzo e di me si può fare quel che si vuole. Tanto io non capisco niente…
Non è l’unico che si prende quel tipo di libertà con me…tanti lo fanno…ma lui è il peggiore. Lui mi picchia, mi brucia, mi lascia da solo a piangere. Solo perché vuole sentire la mia voce…
…il mio amore…mi manca tantissimo…anche lui mi brucia, ma le ustioni che mi lascia sono completamente diverse da quelle che mi lascia lo psicologo…
Quelle che mi fa il mio amore sono dolci, delicate…eppure scottano, sì…lui mi scotta…i suoi baci ardono ancora sulle mie labbra…il suo sapore…è rovente…
Da quando mi ha baciato, io…sento di poter parlare con lui…ma non attraverso stupide lavagnette, come faccio con lo psicologo…no, voglio parlare con lui…voglio gemere…voglio urlare di piacere…invocare il suo nome mentre facciamo l’amore…sì…mentre facciamo l’amore…perché con lui lo farei, davvero…lo amo…lo amo…davvero…”

Simon, in quell’istante, entrò nella stanza. Evidentemente, lo psicologo, preso da un attacco d’ira, aveva lasciato la porta aperta…
-Kyle…- aveva sussurrato appena, sorpreso dall’ingenuità con la quale Kyle se ne stava nudo, disteso per terra…poi aveva notato le ferite e gli era corso incontro…
Kyle aveva appena avuto il tempo di chiudere il diario, che era stato invaso dall’abbraccio di Simon. Gli erano mancate, quelle braccia…aveva tastato poche volte la loro forza…eppure sentiva che senza di esse, non poteva davvero vivere. Si era aggrappato a Simon, aveva nascosto il viso nella sua spalla, aveva inspirato il suo odore…
Simon si era allontanato un po’ da Kyle e l’aveva preso in braccio, per poi sedersi e adagiare l’altro ragazzo sulle sue gambe…
-è successo…ancora…?- Kyle l’aveva guardato ed aveva abbassato gli occhi, annuendo debolmente…Simon allora lo strinse di nuovo a se e lo baciò sui capelli… -non permetterò …che accada…di nuovo…angelo mio…- Kyle alzò il viso e socchiuse gli occhi, invitando con quella muta richiesta, Simon a baciarlo sulle labbra…e Simon non si era fatto pregare. L’aveva baciato, con dolcezza, passione, amore e tutto ciò che c’era di più tenero. Aveva intrecciato la lingua a quella di Kyle, gli aveva accarezzato la schiena, il collo, i capelli…avrebbe fatto l’amore con lui, se non avesse avuto paura di spaventarlo. Infondo era ancora presto. Così si allontanò di poco e si allungò, prendendo la spugnetta ch’era immersa nella bacinella d’acqua, posta sul piccolo comò bianco di ferro verniciato e compensato. Quindi, aveva cominciato a lavare con cura le ferite di Kyle. Al ragazzo dai capelli lunghi bruciava, ma resisteva. Così, quando alla fine ebbero finito, Kyle si vestì, sempre aiutato da Simon e si diressero assieme nella mensa. Erano già le 18, quindi era ora di cena.
Simon parlò a Kyle per tutta la strada e l’altro ragazzo gli rispondeva attraverso sorrisi e piccoli gesti. A cena, non poterono sedersi vicini poiché ad ogni paziente era stato assegnato un posto e non poteva venire cambiato. 
Ma dopocena, Simon andò in camera di Kyle e stette assieme a lui fino alle dieci, l’ora in cui le luci dovevano essere spente. Quindi, lo baciò e tornò in camera sua.

IX. YOU ARE A WICKED WHORE. WHY?

Kyle si era appena disteso nel letto quando lo psicologo, seguito da un paio di suore, avevano fatto irruzione in camera sua e l’avevano trascinato e buttato in una cella umida e sporca, situata nella parte più vecchia dell’ospedale psichiatrico. In quelle celle, tenevano i malati più cattivi, quelli considerati pericolosi. Li rinchiudevano e li picchiavano, dopo averli vestiti con una camicia di forza. Poi li lasciavano lì, sanguinanti e sofferenti, mangiati vivi dai topi e dai vermi. I più forti però, resistevano anni e urlavano dal dolore…d’estate infatti, quando le finestre dell’ospedale erano spalancate, si poteva ascoltare le loro grida, cariche di sofferenza e agonia. Chiedevano solo di morire…
-…e così adesso, hai deciso di fare la puttana con Simon. Lo sai che non mi va bene, Kyle? No no…a nessuno di noi va bene. Te l’ho ripetuto milioni di volte, ma tu non mi ascolti mai…e noi siamo costretti a punirti. E siamo costretti a punire anche lui…- in quel momento, Simon, scortato da due infermieri e tre suore, era comparso dinnanzi alla cella di Kyle…
-Kyle…?- aveva chiesto, incredulo. Non capiva perché il ragazzo fosse lì…
-e si, proprio Kyle…- lo psicologo s’era girato ed aveva ordinato a due infermieri di legare Simon alle sbarre della cella. Gli infermieri eseguirono, sbattendolo con prepotenza sulle sbarre e legandolo. Per poco non si ruppe i denti. Kyle si alzò e corse da lui, guardandolo con sguardo desolato, come se si sentisse in colpa… -…vi abbiamo scoperti, sapete? Sappiamo bene che voi due siete amanti. E questo non ci piace proprio per niente.- aveva sussurrato lo psicologo, a pochi centimetri dall’orecchio di Simon…
-non siamo amanti!- aveva replicato Simon, nel tentativo di salvare lui e Kyle…
-oh, non devi mentire, sai? Vi abbiamo visti mentre vi baciavate, questa sera. E in più abbiamo letto quello che scrive Kyle in…- tirò fuori da una tasca del camice, il diario di Kyle -…questo quaderno…“da quando mi ha baciato, io…sento di poter parlare con lui…ma non attraverso stupide lavagnette, come faccio con lo psicologo…no, voglio parlare con lui…voglio gemere…voglio urlare di piacere…invocare il suo nome mentre facciamo l’amore…sì…mentre facciamo l’amore…perché con lui lo farei, davvero…lo amo…lo amo…davvero…”…che belle parole ha scritto il nostro piccolo Kyle, vero?- Simon rimase allibito e fissò Kyle, che arrossì violentemente, abbassando lo sguardo…
-vedi, Simon, se c’è qualcuno con cui Kyle deve parlare, quello sono io. Tu devi farti gli affari tuoi…sei solo un criminale, finito qui per chissà quale ragione.- Kyle, sentendo quelle parole, sgranò gli occhi. Simon cercò di girare la testa per guardare lo psicologo in faccia…
-l’ho fatto solo per salvarlo! Non volevo che lo violentasse ancora! Non potevo sapere che l’avrebbero rinchiuso qui!- si giustificò Simon…
-non devi giustificarti…meriti una punizione per quello che hai fatto con Kyle. Mentre io mi prenderò personalmente cura del ragazzino…- detto questo, entrò nella cella e si avvicinò a Kyle, prendendolo per le spalle e staccandolo dalle sbarre a cui stava aggrappato nel tentativo di stare più vicino a Simon. Lo sbatté a terre e gli fu subito sopra, incurante del fatto che Kyle tremava e piangeva. Cominciò a spogliarlo…
-fermati!! Fermati, lurido bastardo!- Simon gridava come un ossesso, si dimenava con forza e, nonostante fosse legato, riusciva ad impedire che gli infermieri lo toccassero. Ma non poteva fermare lo psicologo che continuava a sfiorare e ad accarezzare Kyle, sotto gli occhi furiosi di Simon…
-non devi fare tutta questa confusione, però…- lo psicologo si fermò un attimo, girandosi dalla parte degli infermieri…-avanti, usate la frusta…- quindi, guardò Kyle… -adesso, Kyle, assisteremo assieme ad una scenetta divertente ed eccitante…- dopo questa parole, si chinò su Kyle, ricominciando a baciarlo e costringendolo a tenere lo sguardo puntato su Simon.
Una suora spogliò l’altro ragazzo della leggera veste bianca, mentre un infermiere si apprestò a prendere una delle fruste appese al muro grigio e vecchio che li circondava, cominciando a percuotere la schiena di Simon, che digrignò forte i denti per non urlare. Le frustate, prima moderate, diventarono ben presto insopportabili. Simon non ce la fece più ed urlò forte…
Lo psicologo rise, senza mai smettere di passare le mani sul corpo del ragazzino che stava violentando. 
Kyle in quell’istante dilatò le pupille, cominciando ad agitarsi, aprendo la bocca come se stesse per urlare qualcosa, ma dalle sue labbra uscì solo un flebile “Simon…”…
Il ragazzo, alzò la testa, guardando Kyle…
-Kyle…- il ragazzo più giovane non disse altro, ma cominciò a piangere, cercando in ogni modo di liberarsi dalle mani dello psicologo…
Simon sorrise, sicuro di se e scalciò un paio di volte indietro, mandando a terra gli infermieri e le suore. Appena riuscì a fuggire dalla stretta dello psicologo, il piccolo Kyle prese un sasso, che si era staccato dal muro della prigione e lo lanciò addosso all’uomo, chiudendo forte gli occhi e colpendolo in testa. L’uomo cadde, perdendo i sensi. Il ragazzo ne approfittò, si vestì e liberò le mani di Simon, che a sua volta gli aprì la cella. A quel punto, Simon prese la frusta e la usò per imporsi sugli infermieri e sulle suore, obbligandoli così ad entrare nella cella, occupata dallo psicologo, richiudendo la porta a chiave e tornando ad indossare la veste bianca. Quindi, fuggì dal vecchio edificio assieme a Kyle. Arrivarono ai piedi del pozzo davanti al quale avevano avuto il primo vero incontro e solo in quell’istante, si resero conto che si stavano tenendo per mano. Kyle arrossì, abbassando lo sguardo, senza però lasciare la mano di Simon. 

X. THIS LIFE AIN'T WORTH LIVING

Ci vollero alcuni istanti prima che entrambi riuscissero a respirare normalmente. Non gli capitava spesso di correre così e i loro fisici non erano preparati. 
-Kyle…ora…io e te, dobbiamo andarcene da qui…dobbiamo fuggire e rischiare…perché potremmo costruirci una nuova vita…ma potrebbe anche…non andarci così bene…-
-prima…tu…spieghi a me…- Kyle si appoggiò una mano all’altezza della gola. Parlare gli faceva male, le sue corde vocali non erano più abituate a simile sforzo –c-cosa intendeva dire…lo psicologo…con quelle parole…- e si fermò, tossendo forte…Simon lo abbracciò, facendolo calmare e infine gli diede due deboli pacche sulla schiena, che bloccarono la tosse…

Noi siamo così giovani. 
La nostra vita è appena cominciata, 
ma già abbiamo considerato di scappare da questo mondo…

Simon sospirò. Pensò che, infondo, quel momento prima o poi sarebbe dovuto arrivare. Ed era giusto che Kyle sapesse cos’era successo, perché avevano rinchiuso Simon nel manicomio criminale, prima di trasferirlo in mille istituti psichiatrici normali. 
-l’uomo che ti ha violentato…- si bloccò per qualche istante: non ce la faceva a guardare Kyle negli occhi…non riusciva a non pensare a come avrebbe reagito quel meraviglioso ragazzo alla notizia che stava per dargli…ma doveva continuare, quindi raccolse le forze e tentò il tutto per tutto…-era mio padre…- chiuse forte gli occhi, stringendo i pugni…
Kyle sgranò gli occhi. 
Non poteva essere vero…
Non ci credeva e non ci voleva credere!
Aveva trovato la persona da amare, la persona giusta.
Si era convinto che le sofferenze che aveva provato sarebbero state eliminate una a una da Simon…
Da quel ragazzo così dolce, con il quale voleva fare l’amore come nei suoi sogni!

This life ain't worth living, 
this life ain't worth living,
this life ain't worth living, 
this life ain't worth living…

Allungò, un po’ tremante, una mano, alzando il viso del ragazzo che stava davanti a lui e lo guardò attentamente negli occhi.
Non mentiva, era chiaro.
Piangeva.
Aveva gli occhi lucidi, pieni di lacrime che, ostinatamente, evitava di far scendere.
-l’hai…ucciso…?- chiese, con una voce tanto sottile da non sembrare nemmeno lui…
Simon non rispose, semplicemente, lasciò che una lacrima solcasse il suo volto. 
Da quant’era che non piangeva…?
Anni.
Otto anni, per la precisione. Da quando aveva ucciso suo padre…
Aveva pianto quando, passando per la fattoria della sua famiglia, aveva visto suo padre che violentava quello splendido ragazzo, mentre sua madre, povera donna, era in casa a bere il tè delle cinque con le amiche.
Cercò di fermarlo, ma ormai il peggio l’aveva fatto.
L’aveva stuprato, il ragazzo era svenuto e l’aveva quindi lasciato cadere a terra. 
Simon si arrabbiò, s’infuriò. Fisicamente era forte, fortissimo, Simon. Lui amava correre, arrampicarsi sugli alberi.
Lo prese per il colletto della camicia, lo trascinò nella stalla, lo legò alla sedia che usava la servitù quando doveva mungere le giovenche, lo picchiò, lo torturò ed infine, con un vecchio e arrugginito coltellaccio, lo uccise. Poi rimase lì, fermo, inginocchiato accanto al cadavere del padre e piangeva, piangeva, piangeva…
Non si mosse nemmeno quando la sorella del padre, una grassa e acerba monaca che viveva con loro, entrò nell’ovile e vide la scena. Non ci fu nemmeno bisogno di fare troppe domande. Solo “sei stato tu?” e uno sfinito “sì”, sussurrato e rotto dai singhiozzi.
Suo padre era debole…aveva la forza che avevano i nobili…la forza di chi sta tutto il giorno a mangiare e a riposare.
Ma trovava sempre la forza di violentare qualche piccolo sventurato, come Kyle.
L’aveva sorpreso più volte, l’aveva anche detto alla madre che, sciocca com’era, non c’aveva mai creduto. Lei si limitava a vivere nell’illusione della fedeltà del marito; fedeltà che neppure le importava. Era sufficiente che le permettesse di usare tutti i soldi che voleva, in modo da poter comprare nuovi profumi e vestiti sempre alla moda. Quella donna rideva, assieme alle sue ricche amiche, delle sventure altrui, senza conoscere quelle della propria famiglia. Ma le sue amiche le conoscevano bene e, quando lei non c’era, non facevano che parlare dell’infedeltà del marito, “che preferiva ragazzini giovani e freschi a lei, che ormai era vecchia e sciupata”. In realtà aveva il viso fresco come il petalo di una rosa, ma si sa che quando si spettegola non si presta attenzione ai dettagli…
Comunque, quando Simon era più piccolo, il padre provò ad abusare anche di lui, ma la madre interruppe il gesto sul nascere poiché entrò in camera, accusando l’uomo di non darle abbastanza soldi.
Piano piano l’ira di Simon cresceva, aspettando solo di esplodere, di uscire.
E trovò la libertà in quel tiepido giorno di primavera.
Kyle…l’aveva visto tante volte e l’aveva sempre trovato tenerissimo, oltre che meraviglioso, nonostante non c’avesse mai parlato.
Abitava relativamente vicino alla sua villa, ma usciva raramente.
Aveva sentito dire che era portato ad attirare ogni sorta di virus, influenza o peste che fosse.
Secondo Simon però, la verità era che i genitori di Kyle erano troppo gelosi del loro piccolo tesoro per lasciarlo uscire.
Capitava che, mentre era seduto sul ramo di qualche quercia, vedesse passare Kyle, piccolo e dolcissimo, sotto l’albero su cui stava appollaiato.
Allora si limitava a sorridere, guardando la sua pelle bianca, delicata e quei capelli biondi, a quei tempi corti e che non gli coprivano neppure quel collo così delizioso e inconsciamente provocante. 
Non era mai sceso dall’albero per parlargli…o semplicemente per mostrarsi a lui. Aveva paura che fuggisse, prendendo paura. Così rimaneva sull’albero e aspettava rientrasse dalla breve passeggiata per vederlo passare di nuovo…
Quando, quel famoso giorno, non lo vide rincasare, andò subito a cercarlo e successe quel che successe.
Imparò a disegnare, stando nel manicomio. 
Otto anni dopo rivide Kyle. Non si sarebbe mai e poi mai aspettato di vederlo in un ospedale psichiatrico. E soprattutto, non avrebbe mai creduto che questi gli si avvicinasse. Pensava che anche lui fosse a conoscenza della sua storia, visto che si tramandava da manicomio a manicomio, come una vecchia leggenda. Ma quando lo guardò, capì subito che era lui. Il suo cuore l’aveva riconosciuto subito, non aveva avuto neppure un dubbio…
-sì…- sussurrò dopo alcuni minuti, Simon…Kyle abbassò lo sguardo. 
Cos’avrebbe detto?
L’avrebbe allontanato da se e sarebbe scappato via, lasciandolo solo?
Non lo sapeva. 
Si girò, cercando forse un modo per cercare di distrarsi…
In quel momento, vide un gruppo di persone uscire dall’ospedale psichiatrico. 
Erano solo i malati…nessun infermiere, nessuna suora…
Correvano, correvano fortissimo…alcuni saltati, in preda a chissà quale delirio.
Pochi istanti dopo, vide un fumo nero e denso uscire dalle finestre aperte dell’edificio.
Udì alcune delle voci che si disperdevano, in quel marasma euforico di persone che fuggivano di qua e di là, senza meta, senza tristezza…
-Dio ha punito i servi del Diavolo!-
-parto per l’Africa! Parto per l’Africa!-
-che l’Arcangelo Gabriele ci salvi!-
-mamma, mamma, sono uscito! Mamma, mamma, dove sei? Mamma!-
Certe voci si confondevano, molte frasi non erano chiare e il fuoco cominciava a mostrare le sue lingue infuocate, lambendo sensualmente le pareti dell’ospedale…
Kyle si guardò intorno, disorientato…
Cosa stava succedendo?
Non lo capì mai, come non lo comprese neppure Simon. 
Fatto sta che ad un tratto, cominciarono a correre.
Corsero per chissà quanto, corsero finchè non caddero, stremati, nel mezzo di un campo di grano. Riposarono un po’, poi ripresero a correre. Salirono su un treno a vapore, senza mai essersi rivolti la parola.
Arrivarono in una città, scesero dal treno e corsero di nuovo, velocissimi…
Rubarono alcuni vestiti da uno stendiabiti che trovarono in un vicoletto buio, di una qualche città senza nome. Si vestirono, ancora in silenzio. Poi si sedettero e si guardarono…
-è stato…per una buona causa…lui ha pagato…forse troppo…ma anche tu…- mormorò Kyle, appoggiandosi contro il braccio di Simon.
Simon all’inizio non disse nulla, semplicemente sorrise.
Poi abbracciò Kyle…
-ti amo, angelo mio…- sussurrò, mentre Kyle sorrideva e arrossiva dolcemente, stringendo fortissimo Simon.

Cinque anni più tardi, due ragazzi discretamente vestiti, uscivano dall’ affollato negozio londinese nel quale lavoravano, intenti a dirigersi verso l’ appartamento che condividevano.
Due nomi che nessuno conosceva, due persone ignote.
Simon e Kyle. 
Assieme per sempre.

-FINE-