Questa 'cosa' esiste da parecchio, è una fic che scrivo nei ritagli di tempo quando non mi viene in mente niente ^^''' (quindi non aspettatevi gran che!!)

E' idealmente concepita come una serie di 'puntate' autoconclusive di cui, per il momento, vi mando la prima.

Spero vi piaccia (_ _)


Jewel

parte I

di Naika

 

 

La sua pelle è di un colore delicato, liscio e vellutato, come i petali di una rosa candida.

I suoi capelli sono un manto d’argento scintillante che scivola fino a terra con riflessi che neppure il più splendido dei cristalli potrebbe sperare di possedere.

Porta abiti di seta argentea e gioielli d’oro ai polsi e ai lobi delle orecchie appuntite.

Il suo passo è leggero, elegante, felino.

Il suo portamento fiero, regale, magnifico.

 

Questo è Jewel.

 

Occhi d’argento fuso che hanno perduto la loro luce.

Lunghe cicatrici azzurre che gli segnano il volto androgino e i polsi sottili.

Un’unica, candida, ala, ormai solo ad ornamento dato che la sua compagna gli è stata strappata ormai da molto tempo, sempre che l’abbia avuta.

Una voce profonda e fredda come il ghiaccio.

Indifferente, terribile, spesso crudele.

 

Questo è Jewel.

 

Si dice che sia un angelo scacciato dal cielo.

Un figlio dell’estinta stirpe degli unicorni.

Il frutto di qualche incantesimo sbagliato.

 

Ma in effetti nessuno lo sa.

Nessuno sa niente di lui.

 

Sempre che sia un lui.

 

Potrebbe benissimo essere una lei se non fosse per la mascella un po’ troppo squadrata e la voce decisamente maschile.

Vive solo nella sua piccola casa poco lontano dal nostro villaggio ma non scende mai a valle.

Non so che cosa mangia, se mangia, perchè nessuno l’ha mai visto cacciare, pescare o fare qualunque altra cosa necessaria a procurarsi del nutrimento.

Nessuno si avvicina alla sua dimora.

 

Hanno paura di lui.

 

E’ stato ferito, sfregiato, mutilato.

Il suo corpo porta i segni di una crudeltà inimmaginabile.

 

Eppure da l’impressione di racchiudere una potenza spaventosa.

O di averla racchiusa.

 

Chi è?

Cos’è?

 

La sua pelle è troppo chiara perchè vi scorra del sangue rosso come il nostro.

Dovrebbe dunque appartenere alla stirpe magica, ma a quale?

Le sue caratteristiche somatiche sono un’accozzaglia di tratti rubati a creature di cui ormai si sente parlare solo nelle leggende.

 

E’ da quando ho quattro anni che appena ho un minuto libero sgattaiolo qui per guardarlo.

Da quando l’ho visto la prima volta ne sono rimasto incantato.

 

Un colpo di fulmine.

 

La sua bellezza androgina.

La sua alterigia diafana.

Ha scelto di spezzarsi pur di non piegarsi.

 

Lo amo.

Lo amo da questo mio albero ai limiti della piccola radura in cui vive.

Lo amo ormai da quattordici lunghissimi anni.

 

Lui è stato la mia famiglia, il mio amico e il mio compagno anche se non ci siamo mai rivolti la parola.

Anche se non ha mai posato i suoi occhi dalla pupilla felina su di me.

I miei genitori sono morti lo stesso giorno che lo vidi la prima volta, soltanto di spalle, mentre si spazzolava i lunghi capelli di seta ancora umidi per il bagno che aveva fatto in quel laghetto, sperduto nel bosco, laddove il mio pianto disperato mi aveva condotto.

 

Vidi quei tagli che deturpavano la sua carne delicata.

Vidi quelle cicatrici che deformavano i suoi lineamenti perfetti.

Ero solo un bambino ma pensai... pensai che se lui aveva avuto il coraggio di affrontare il suo dolore, ed era sopravvissuto, così avrei potuto fare anch’io.

 

E così ho fatto.

 

Sono diventato un uomo.

Sono apprendista presso il fabbro del villaggio e il mio corpo si è sviluppato, sono diventato alto e possente.

Le ragazze mi fanno il filo e i ragazzi invidiano la mia bravura con la spada.

Non sanno che ogni qualvolta ero spaventato, ogni volta che mi sentivo solo, tornavo qui.

Su questo grande albero che mi ha sempre celato nel suo abbraccio protettivo concedendomi di spiarlo.

 

Nella sua bellezza deturpata ritrovavo il coraggio.

Nella sua fierezza ferita riscoprivo la mia volontà.

 

Ormai non sono più il ragazzino che si scorticava le braccia arrampicandosi su questa vecchia sequoia, non ho più bisogno della sua forza per camminare a testa alta,  però, nonostante tutto continuo a venire qui, ad arrampicarmi su questi rami che sono praticamente cresciuti con me appollaiato sopra e non posso fare a meno di passare le ultime ore prima del tramonto ad osservare questo piccolo prato coperto di margherite e quella casa di legno.

 

Lui non è cambiato.

E’ ancora identico a come lo vidi il primo giorno.

Probabilmente quel suo sangue strano gli da la longevità tipica degli esseri fatati.

 

I miei sentimenti per lui invece sono cambiati.

Sono cresciuti con me, prendendo forza giorno dopo giorno, man mano che anch’io ne acquisivo.

 

Lo amo.

Lo amo come solo un uomo può amare.

Lo amo con tutta la maturità del mio corpo e della mia anima.

 

Non è più ammirazione, non è più bisogno o semplice desiderio.

 

Trattengo il fiato e rimango immobile quando la porta di casa si apre e lui esce con passi lenti fermandosi poco oltre la soglia sollevando lo splendido volto così orribilmente sfregiato verso i raggi del sole morente.

La luce vermiglia anima la sua pelle rosea di sfumature sinistre mentre le cicatrici spiccano con maggior forza sul suo volto.

 

Dei quant’è bello.....

 

Devo essermi sporto troppo perchè il ramo sotto di me scricchiola pericolosamente e prima che abbia tempo di reagire si spezza facendomi rovinare a terra.

Ormai non sono più un ragazzino avrei dovuto scegliere un ramo più spesso.

 

Mi metto a sedere borbottando imprecazioni tra me mentre mi massaggio la schiena lesa quando lo sguardo mi cadde su un frammento argenteo nell’erba alta.

 

Osservo meglio l’oggetto notando che si tratta di stoffa....

 

La stoffa di un vestito....

 

...il vestito di Jewel.

 

Sussulto sollevando lo sguardo di scatto.

Visto da vicino il suo volto è ancora più bello, i suoi occhi ancora più vuoti e le sue cicatrici ancora più profonde.

“Sono caduto...” borbotto sottolineando l’ovvio mentre mi passo una mano tra i capelli con fare imbarazzato.

 

Non è che come primo approccio sia un gran che.

 

“Ho sentito...” mormora Jewel abbassando quegli occhi strani su di me.

Sento il cuore che mi manca un battito nell’incontrare il suo sguardo metallico.

 

Jewel...

Jewel mi ha parlato...

 

La sua voce è profonda e fredda proprio come me l’avevano descritta ma anche molto musicale, ben impostata quasi melodiosa.

 

Mi lambicco il cervello furiosamente, cercando qualcosa da dire al mio sogno mentre questi perso evidentemente ogni interesse per me si sta già apprestando a rincasare.

“A...aspetta!!!” balbetto balzando in piedi.

Si ferma sulla soglia voltandosi verso di me, leggermente infastidito.

“Cosa...?” mi chiede glaciale.

“Io.... io...”

Che cosa posso dirgli per trattenerlo ancora qualche secondo?

Per poter ascoltare ancora una volta la sua voce?

“..ti amo...” mormoro prima di riuscire a mordermi la lingua.

Jewel rimane immobile per alcuni secondi, sul volto androgino una leggera espressione di stupore, prima di richiudersi con un tonfo la porta alle spalle mormorando un “Stupidi esseri umani!” che mi giunge fin troppo chiaramente alle orecchie.

 

...

 

Ok, il mio primo approccio con lui non è stato dei migliori ma questo non fa diminuire il mio buon umore!!

Ho parlato con lui!

Il lavoro non mi è mai sembrato così leggero.

Il capo mastro mi ha fissato divertito mentre forgiavo un’ascia fischiettando.

 

Oggi farò un secondo tentativo.

Ho già deciso.

 

Insomma l’ho osservato da lontano per troppo tempo è ora di agire.

 

Che cosa potrebbe succedermi al massimo?

Mi dirà di no e mi metterò il cuore in pace.

La mia coscienza mi fa diligentemente notare che lui mi ha già detto di no ma io la ignoro come se niente fosse mentre mi dirigo verso il pendio che porta a casa sua.

 

Sono un po’ nervoso lo ammetto.

Sposto di mano il regalo che ho portato per lui mentre busso all’uscio di legno spesso.

Ci ho pensato a lungo.

Mi sarebbe piaciuto portargli dei fiori ma Jewl è un uomo, almeno credo, e non so se si possono regalare dei fiori ad un uomo.

Non ho idea di che cosa mangi per cui ho dovuto scartare anche l’ipotesi cibo.

Alla fine gli ho forgiato un bracciale di metallo levigato.

Ci ho messo quasi dieci giorni per finirlo ma è venuto bene.

Ho copiato su di esso gli stessi, strani, simboli che ho visto sono incisi sui suoi orecchini.

Non è d’oro però ho lucidato il metallo con molta cura sino a farlo scintillare, inoltre è di una lega molto leggera così che non gli appesantisca il braccio.

 

Ha dei polsi così sottili....

 

Fisso l’uscio in silenzio.

Ho bussato ormai da un paio di minuti ma nessuno ha aperto.

Potrebbe essere in casa e non aver nessuna voglia di aprire.

Oppure potrebbe essere nella foresta.

Sono un po’ indeciso sul da farsi quando avverto un fruscio dietro di me.

 

Mi volto e me lo ritrovo davanti.

 

E’ così bello che mi incanto dimenticandomi tutto mentre lui solleva un sopracciglio candido fissandomi sorpreso.

“Che cosa vuoi?” sussurra gelido.

Mi riscuoto di scatto porgendogli il piccolo cofanetto di legno in cui ho riposto il bracciale.

 

Continua a fissarmi senza muoversi.

 

Non sembra intenzionato a prendere il mio dono.

Apro la scatola per mostrargli che non è niente di pericoloso e il sole trae dei riflessi leggeri sul metallo.

Jewel abbassa lo sguardo sul bracciale, in silenzio, e, per una frazione di secondo, mi sembra di scorgere un lampo di un’emozione, che non riesco a decifrare, nei suoi occhi, che tuttavia scompare immediatamente mentre rissolleva il volto verso di me.

 

“E’ per te!” specifico io.

 

Non sembra molto contento.

 

Anzi penso che se io non fossi davanti alla porta di casa sua sarebbe già entrato sbattendosela alle spalle come dieci giorni fa.

“Regalalo ad uno della tua specie...” mi dice chiudendo il coperchio della scatola con tono definitivo.

Si ferma a pochi passi di fronte a me ma, nonostante lo sguardo assassino che ha negli occhi, io non mi sposto.

Se mi spostassi da qui lui entrerebbe in casa e io non lo vedrei più.

E’ così bello con la luce del sole che gli accarezza i lineamenti sottili traendo lampi d’argento dalle ciocche candide dei suoi capelli.

 

“A me piaci tu!” rispondo piccato.

 

E succede un miracolo.

 

La sua bocca si tende in quello che è vagamente, ma inequivocabilmente, un sorriso.

Allunga una mano e prende la scatola di legno.

“Adesso vattene...” mormora ma la sua voce non è più così fredda.

 

Per oggi ho avuto la mia vittoria meglio non esagerare.

Gli regalo il migliore dei miei sorrisi mentre saltello giù dal piccolo portico.

Sono assolutamente euforico.

 

Jewel ha accettato il mio regalo!!!

 

“Me ne vado, me ne vado...” gli assicuro gioiosamente e lui sbuffa scuotendo le spalle.

“Ma torno a trovarti domani!” gli prometto.

Lui si volta incredulo, fermo sulla soglia di casa sua, prima di entrare e sbattersi la porta alle spalle.

E lo sento di nuovo ringhiare: “Stupidi esseri umani!!”

 

Sì, sì anch’io ti amo tanto!

 

....

 

Non sia mai che io non mantengo una promessa!

Sono di nuovo davanti a casa sua.

Ho bussato ma anche stavolta non mi ha risposto nessuno.

Mi sono dunque appollaiato sui gradini che portano alla piccola veranda e aspetto godendomi gli ultimi raggi di sole.

L’aria è tersa e limpida, se non fosse per il freddo si starebbe divinamente.

Lancio un’occhiata al fagotto posato accanto a  me.

Gli ho portato del cibo.

Mi piacerebbe cenare con lui anche se temo di correre un po’ troppo.

Non so nemmeno se mangia.

Comunque per non correre rischi ho portato un po’ di tutto.

Mi guardo in giro e di lui ancora nessuna traccia.

Il sole sta ormai sparendo dietro gli alberi della foresta e io comincio a preoccuparmi un po’.

E se non torna?

O se è in casa e mi sta volutamente ignorando?

Ma io non mi arrendo!!

So essere molto tenace e paradossalmente è stato proprio lui a insegnarmelo!

 

Mi stringo nella giacca di lana riproponendomi mentalmente di portarmi un mantello la prossima volta.

Fa dannatamente freddo qui fuori, d’altronde ormai è notte fonda.

Rabbrividisco per l’ennesima volta e mi sfugge uno starnuto.

Finirò per prendermi un raffreddore.

Forse sarebbe meglio che me ne tornassi a casa.

Sono ancora indeciso sul da farsi quando sento la porta alle mie spalle aprirsi con un ‘clack’ e un fascio di luce dorata, leggera mi illumina le spalle.

 

Mi volto e gli sorrido.

 

Il bastardo era in casa e mi ha lasciato fuori tutto questo tempo!!

 

Dovrei pestarlo ma mi basta lanciargli un’occhiata per dimenticarmi tutti i miei propositi di vendetta.

Come fa ad essere così dannatamente splendido?

 

“Sei ancora qui?” mormora.

 

Sembra scocciato.

Probabilmente lo è.

 

Gli porgo il mio miglior sorriso.

 

“Te l’avevo promesso no?” gli dico candido.

Lui scuote le spalle “Vattene...” sussurra gelido prima di richiudersi la porta alle spalle con un tonfo.

Da dietro l’uscio inevitabile lo sento borbottare: “Stupidi esseri umani!!

 

Mi sveglio completamente indolenzito.

Dormire sui gradini di legno non è poi così comodo.

Però stranamente non ho freddo.

Mi sollevo a sedere con un mugolio stiracchiandomi la schiena indolenzita e noto la coperta di lana pesante che scivola dalle mie spalle accasciandosi a terra.

La raccolgo tra le mani fissandola curioso mentre la consapevolezza di chi me l’abbia messa addosso mi fa sorridere vittorioso.

Affondo il volto nel tessuto stranamente morbido, per essere lana grezza, e avverto un profumo delicato e fresco.

 

Il suo profumo.

 

La ripiego con cura deponendola dinanzi alla porta di casa poggiandovi accanto le provviste che avevo portato, a mo’ di ringraziamento.

Riuscirò a conquistarti!!

Ormai ho deciso.

Mi incammino verso valle fischiettando, le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni.

 

...

 

“Ryo va a prendermi altre barre di ferro!” mi urla mastro Derek da dietro al forgia.

Mi pulisco le mani sul grande grembiule di cuoio e mi dirigo verso la porta che separa la fucina dal negozio dove sono appese le spade, le asce e le altre nostre produzioni.

Drian, il figlio del proprietario, un grosso idiota con il quoziente intellettivo di un pollo a parer mio, sta fissando con un ghigno di scherno un gatto bianco dall’aria piuttosto spelacchiata, che tiene per la coda.

La bestiola si contorce cercando di liberarsi mentre il figlio del fabbro la scuote con forza.

“Guarda come si agita la bestiaccia!!” ride con scherno mostrandola al suo molosso, seduto immancabilmente ai suoi piedi, che sta seguendo ogni movimento della palla di pelo con maligno interesse.

Non capisco come una persona per bene come Mastro Drek possa avere un figlio del genere.

Comunque non ho intenzione di lasciare quella povera bestiola nelle sue mani.

Drian sarebbe capacissimo di darla in pasto a quel suo cane, ancora più idiota di lui.

“Lascia stare quella povera creatura!” lo ammonisco.

Drian mi lancia un’occhiata di sufficienza.

“Il nostro difensore dei deboli e dei derelitti!!” mi sfotte.

Ma ormai sono così abituato ai suoi insulti che non ci faccio nemmeno più caso.

“Dallo a me Drian!” stavolta la mia voce è suonata un po’ più minacciosa.

Nonostante la sicurezza che gli da il fatto di essere il figlio di uno degli abitanti più in vista del villaggio resta comunque più piccolo di me di almeno dieci centimetri e per quanto stupido anche Drian sa benissimo che se dovessimo venire alle mani sarebbe lui a rimetterci, e suo padre non lo difenderebbe di certo.

Mi lancia addosso il gatto come se fosse uno straccio e io lo prendo al volo tenendolo con delicatezza tra le braccia.

E’ magro da far paura e tra il suo pelo candido come la neve noto numerose cicatrici.

 

Non deve aver avuto una vita facile.

Eppure conserva tutto il suo spirito e la sua voglia di combattere.

 

Mi ricorda un po’ Jewel.

 

“Tra randagi ve la intendete...” non perde occasione di ricordarmi Drian prima di alzarsi e andarsene seguito dal suo cane.

Stringo la mascella cercando di trattenere non tanto la rabbia quanto la tristezza.

Il gatto fra le mie braccia intanto si agita forsennatamente cercando di liberarsi dal mio abbraccio.

Provo ad accarezzargli il capo per tranquillizzarlo ma ne ricavo solo un lungo graffio sulla mano.

“Razza di irriconoscente!!” borbotto lasciandolo andare.

Balza con grazia a terra fissandomi per un secondo con i suoi occhi grigi prima di sgattaiolare fuori del piccolo cancello di legno che delimita il magazzino.

Scuoto la testa ricordandomi del motivo per cui sono venuto qui e vado a recuperare le barre di ferro per mastro Derek.

 

Durante la pausa per il pranzo mi cerco un angolino tranquillo poco dietro la fucina da dove posso ammirare le piccole coltivazioni baciate dal sole mentre mangio il mio panino.

Un abbaiare fastidioso mi distrae dalla mia contemplazione.

Quello stupido cane di Drian sta inveendo contro qualcosa appollaiato tra i rami del pruno, dietro la casa del mastro.

Mi avvicino e noto tra le foglie verdi una macchia candida.

“Sempre nei guai tu eh?” gli chiedo e il gattaccio in tutta risposta soffia anche contro di me.

 

E’ una causa persa in partenza.

 

Mi verrebbe voglia di lasciarlo lì ma alla fine scuoto le spalle.

Lancio ciò che resta del mio preziosissimo pranzo a quell’ingordo di un molosso che parte alla carica, rincorrendo il mio panino, e ignorando le unghiate che mi tira il felino lo prendo di nuovo tra le braccia.

“Smettila di agitarti, ingrato!!” gli borbottò contro prendendo ad accarezzargli il capo con dolcezza.

 

Infondo è solo spaventato.

Si agita ancora ma con meno forza.

 

Alla fine pare arrendersi e si lascia accarezzare giungendo a posare il muso sul mio braccio.

Sorrido passandogli la mano tra il pelo candido.

Comincia fare le fusa piano chiudendo gli occhi, rilassandosi nel mio abbraccio.

E’ strana la sensazione che mi da questa palla di pelo rovinato.

Chino il volto e gli poso un bacio sul capo e allora avverto quel profumo sottile.

 

Lo stesso profumo che aveva la coperta stamani.

 

“Jewel?” sussurro incredulo.

Il gatto solleva il capo dal mio braccio e balza a terra.

“Ryo dove sei finito?” mi volto per osservare il capo mastro che mi guarda stranito.

“Che stai facendo qui dietro? E’ ora di tornare al lavoro.”

Annuisco prima di voltarmi a cercare il gatto ma di lui non c’è più traccia.

 

Sono letteralmente scappato fuori della fucina quando Derek mi ha detto che potevo andare.

Arrivo davanti a casa sua e mi blocco quando vedo il gatto bianco seduto sui gradini.

Mi fissa con i suoi occhi grigi per un momento prima che con uno scintillio tutta la sua figura muti.

Jewel allarga l’unica ala bianca verso l’esterno per poi richiuderla scuotendo il capo.

“Perchè?” gli chiedo incredulo.

Lui si limita ad alzare le spalle “Curiosità...” mormora.

Mi avvicino piano fino a fermarmi davanti al gradino su cui è rimasto seduto.

“Hai cambiato idea?” gli chiedo speranzoso.

Lui solleva un sopracciglio non comprendendo e io mormoro “Sullo: Stupidi esseri umani” gli dico cercando di imitare il tono con cui lo dice sempre lui.

Jewel mi sorride “No...” mormora tranquillamente alzandosi e dirigendosi verso la porta di casa.

Sbuffo ma incrocio le braccia sul petto.

“Io non mi arrendo!” gli dico torvo e lui si volta fissandomi negli occhi.

 

Il suo sguardo è strano.

Meno freddo.

 

“Fa come vuoi...” borbotta.

 

Oh bhe!

Questo lo considero un invito!!!

Copro velocemente la distanza che ci separa e con la velocità del fulmine gli scocco un bacio sulla guancia chiara.

Lui balza indietro incredulo, come se si fosse ustionato.

“L’hai detto tu: fai come vuoi?” gli ricordo io con un sorriso beato.

 

L’ho baciato! L’ho baciato! L’ho baciatoooo!!!

 

“Tu... tu...!!!” cerca le parole senza riuscire a trovarle alla fine esplode in un: “Ah!” esasperato e si sbatte la porta di casa, alle spalle, con violenza.

Inutile dire che da dietro l’uscio giunge il suo: “Stupidi! Stupidissimi esseri umani!!”

 

....

 

Oggi piove.

Anche se sarebbe più esatto dire che diluvia.

Uffa!

Sono bagnato fino al midollo quando arrivo sotto il portico di casa sua.

Ho un freddo cane!!

Busso ma ovviamente l’infame non mi apre.

Saltello da un piede all’altro cercando di scaldarmi, strofinando le mani una contro l’altra senza molto successo.

Mi prenderò un malanno, miseria!

Provo ad alzare di nuovo il pugno per bussare quando la sua voce mi riscuote.

“Sei di nuovo qui?” mormora placido.

Non sembra molto seccato stavolta mentre mi oltrepassa e gira la chiave nella toppa di casa sua.

Anche lui è bagnato fradicio e tiene tra le braccia un fascio di erbe dalla lunga foglia verde scuro.

Probabilmente è andato a raccoglierle nel bosco.

Si volta a fissare la mia figura bagnata per poi lanciare un’occhiata all’interno della sua casa.

Fissa di nuovo me e poi scuote le spalle entrando.

Ecco adesso mi sbatterà la porta in faccia come al solito.

Sigh.

Però almeno l’ho visto!

Ci resto quasi secco quando lui si ferma poco dopo l’uscio e si gira a guardarmi.

“Smettila di bagnarmi la veranda, entra...”

 

Cosa, cosa, come, come?

 

Mi.. mi ha invitato in casa sua?

Oh dei muoio!!!

Mi affretto a seguirlo dentro guardandomi attorno curioso.

La sua casa è costituita da un’unica stanza pressochè vuota.

C’è un enorme caminetto spento, un letto appoggiato contro la parete poco lontano da esso e un  tavolo di legno, con un paio di sedie accanto.

Alcune mensole su cui sono disposte erbe di vario tipo e quella che pare una piccola credenza completano lo spartano arredamento che sembra aver visto tempi migliori.

Lui poggia le erbe che ha in mano sul tavolo e si toglie il mantello bagnato gettandolo su una delle due sedie prima di lanciare uno sguardo vago al camino spento.

Nel momento stesso in cui i suoi occhi si posano sulla legna riposta al suo interno i ciocchi prendono fuoco illuminando la stanza con il loro riverbero.

“Comodo!” esclamo stupito avvicinandomi al fuoco per sorbirne un po’ di calore.

Lui naturalmente mi ignora tornando vicino al tavolo, cominciando a separare le varie foglie.

Mi concedo di seguire i suoi movimenti aggraziati con occhi adoranti prima che un violento starnuto mi scuota il corpo.

Rabbrividisco allungando le mani verso il fuoco.

“Non ti asciugherai mai se non ti togli quegli abiti bagnati...” mormora piano facendomi sussultare.

Naturalmente ha ragione... però...

Lui mi fissa con un sopracciglio sollevato, studiando con interesse il rossore sul mio viso.

Sembra divertito dallo vedermi in imbarazzo.

Al diavolo!

Comincio a spogliarmi liberandomi dei vestiti inzuppati mentre lui, tornato indifferente, si sposta per prendere una coperta.

Mi tolgo anche la biancheria fradicia restando nudo davanti al carezzevole calore del fuoco mentre Jewel, fermo a pochi passi da me, mi osserva, la coperta che dovrebbe darmi in mano, ma nessuna apparente intenzione di tendermela.

Comincio a sentire un sospettissimo calore serpeggiarmi nel ventre sotto quel suo sguardo minuzioso e scientifico che studia ogni centimetro della mia pelle.

“Bhe posso andare?” gli chiedo incrociando le braccia sul petto, mettendomi in posa per lui.

 

Tanto a questo punto...

 

Lui si avvicina piano e mi tende la coperta.

Sì, puoi andare..” mormora piano, così a bassa voce che mi volto a fissarlo incredulo chiedendomi se per caso io non l’abbia immaginato.

Quello che vedo mi lascia senza fiato.

 

Jewel... Jewel si sta spogliando!!!

 

Boccheggio stringendo forte la coperta attorno al mio corpo mentre lui lascia cadere la sua lunga veste bagnata, a terra, mettendomi di fronte il suo corpo candido.

 

Armonioso.

Perfetto.

Macellato.

 

Dei, chi gli ha fatto una cosa simile?!

 

Noto sulla spalla sinistra una cicatrice profonda e leggermente rigonfia anche se molto vecchia.

“Allora ne avevi due...” mi esce in un sussurro dalle labbra mentre allungo la mano per sfiorare l’ala candida che ancora possiede.

Lui rabbrividisce, spostandosi in fretta.

“Non toccare le mie ali..” ansima piano.

“Sc.. scusa...” balbetto notando il rossore che gli ha colorato le guance.

Sembra che quello sia un punto molto delicato per lui.

Il mio sguardo scivola inevitabilmente verso un altro punto delicato del suo corpo alla ricerca di una risposta ad una domanda che mi assilla da parecchio.

“Sei un maschio..” constato.

Lui solleva un sopracciglio sorpreso “Avevi dei dubbi?” chiede divertito.

Per fortuna non sembra offeso.

“Bhe... sì!!” ammetto.

Scuote il capo piano con ritrovata indifferenza prima di mormorare “Scaldami...”

“Co.. COSA!?” chiedo io incredulo ma non faccio in tempo a porre la domanda che me lo ritrovo tra le braccia.

Si accoccola contro di me ed emette un basso suono soddisfatto.

 

Sarebbe il paradiso, se solo non avesse appena assunto la sua forma felina!!!

 

Ho dormito nel suo letto con lui beatamente acciambellato accanto al mio ventre.

Gli ho accarezzato la schiena per tutta la notte godendomi la piacevole sensazione del suo pelo setoso tra le dita.

Chissà se anche i suoi capelli sono così morbidi.

Socchiudo le palpebre piano nella semioscurità ovattata, dev’essere l’alba perchè la luce che ci illumina è veramente poca ancora.

Sposto la mano per accarezzarlo quando incontro qualcosa di morbido e vellutato.

Non è pelo... è pelle!

Sbarro gli occhi ritrovandomi il suo viso a pochi centimetri dal mio, profondamente addormentato.

 

E’ stupendo.

 

La luce dell’alba disegna riverberi d’arcobaleno tra i suoi capelli candidi e la sua pelle pare argento fuso.

Allungo una mano sfiorandogli una guancia piano, passando con enorme delicatezza i polpastrelli su una delle sue tante cicatrici.

Accidenti non resisto!

Allungo il viso e gli accarezzo le labbra con le mie.

Sono morbide, dolci e umide.

Mi ricordano le pesche sciroppate che faceva mia madre quando ero piccolo.

Erano il mio dolce preferito!

 

Lui si muove piano e socchiude gli occhi fissandomi.

Mi allontano ma non di molto e gli regalo il mio miglior sorriso.

Lui solleva un sopracciglio con quel suo tipico modo di fare prima di spostarsi un po’ e appoggiare il capo sul mio petto.

“Jewel..” ansimo piano.

E’ la prima volta che lo chiamo per nome.

Azz.. veramente non lo so qual’è il suo nome.

Ma lui sembra sapere che questo è il nomignolo che gli ha dato la gente.

 

Gioiello.

Mai termine sarebbe stato più azzeccato.

 

“Sei comodo e caldo...” sussurra contro la mia pelle e io sento il mio amico del piano di sotto saltare sull’attenti nell’avvertire il suo respiro caldo scivolare sul mio petto nudo, sfiorando con delicatezza un capezzolo.

“Mi vuoi tenere come scaldaletto?” gli chiedo scherzoso.

Lui si scosta e penso che stia per alzarsi quando invece scivola con grazia sopra di me.

 

Oh dei!

Se è un sogno: NON SVEGLIATEMI!

 

“Che.. che stai..” non riesco a finire la frase che lui mi fissa negli occhi.

E’ strano guardare in delle iridi dalla pupilla appuntita, affilata.

“Mi desideri?” mormora piano e la sua voce è bassa, morbida e calda.

Negare sarebbe stupido anche perchè credo che senta benissimo la mia erezione contro la sua coscia.

“Sì ti desidero..” gli rispondo a voce bassa.

Lui allarga le gambe e strofina il bacino contro il mio, piano, una carezza leggera che tuttavia mi toglie il fiato.

“In tanti mi hanno avuto...” mormora portando la sua bocca ad un soffio dalla mia, sfiorandomi le labbra con le sue.

Allungo il viso per cercare un bacio più profondo ma lui si allontana senza lasciarsi toccare.

“Mi hanno preso con la forza...”  continua con quella sua voce maliziosa e ipnotica, mi gira la testa, il suo profumo, il suo corpo contro il mio, non capisco più niente.

“Tu sei come loro?” mi chiede “Tu che dici di amarmi...?”

Si muove piano su di me, facendo aderire il suo corpo al mio, getta indietro il capo con un ansito leggero, un lento sospiro che mi fa rabbrividire con forza.

 

Così sensuale.

 

“Prendimi, puoi farlo...” il suo ordine roco manda in tilt il mio cervello.

Lo rovescio sul letto sotto di me, spingendolo con forza sotto il mio corpo, un solo input nella mia mente: averlo!

Averlo a tutti costi, ora.

Senza riguardi, senza fronzoli, senza carezze.

Voglio solo affondare nella sua carne, sentirla dilaniarsi per me.

Gli afferro una gamba e lo tiro con forza contro di me, lui solleva i fianchi e mi fissa negli occhi.

 

Scintillano.

 

I suo occhi grigi sono due laghi di baluginii azzurri.

 

Intensi.

Saettanti.

 

Malevoli.

 

C’è crudeltà.

Frammenti di ghiaccio gelido.

Lame di vetro affilate.

 

E poi...

 

Dolore.

 

Infondo a questi due pozzi di liquido argento c’è tanto dolore, disperazione, paura.

 

La sua freddezza, la sua malizia, li copre ma non li cela del tutto.

E io mi rendo conto di che cosa stavo per fare.

L’avrei preso con la forza.

L’avrei violentato senza rispetto ne cura.

 

Tu che dici di amarmi, ha sussurrato prima.

 

“Io ti amo Jewel, e non ti voglio così!” glielo mormoro sulle labbra facendo salire le mani ad accarezzargli dolcemente i fianchi, chinandomi a sfiorargli le labbra con le mie prima di scivolare al suo fianco e lasciarlo libero del mio peso.

Lui rimane immobile per un momento e poi emette un lungo sospiro chiudendo le palpebre, quando le riapre si appoggia su un fianco e mi guarda.

Per la prima volta, per la prima volta da quando l’ho visto lui mi regala un sorriso.

Un sorriso leggero ma vero!

E... dei!

Se è possibile è ancora più bello.

 

“Sei il primo essere umano che resiste alla mia magia lo sai?” sussurra e io sbarro gli occhi senza capire.

Lui si accoccola di nuovo contro di me, con fiducia, appoggiandomi una mano sul ventre.

“Mia madre era una strega molto, molto potente...” comincia a raccontarmi con voce leggera “...forse la più potente mai esistita. I suoi poteri le permettevano di avere qualunque cosa essa desiderasse, era ricca, bella e intelligente!” sussurra.

“Ma anche lei era un essere umano e s’innamorò di un giovane...” sospira piano e io sollevo la mia mano per intrecciare le mie dita con le sue, incentivandolo a continuare il racconto.

“L’uomo non credeva ad una simile fortuna e si prodigava in dichiarazioni di amore eterno per lei...” strofina la guancia contro il mio petto e io gli passo una mano, dolcemente tra i capelli candidi.

“Mia madre tuttavia aveva vissuto molto a lungo e non era una sprovveduta, così decise di sottoporre il suo amore ad una prova...” racconta e la sua voce diventa improvvisamente lontana e musicale.

 

“Argento, oro e diamanti,

l’eleganza di un unicorno fatto di gemme scintillanti,

Marmo, cristallo e neve,

la purezza di un angelo dalla pelle candida come seta lieve,

cobra,  falco e pantera

la bellezza suadente e silenziosa  della sera,

Rose, veleno e fiamma rossa,

una sirena dalla malia ipnotica che conduce alla fossa.”

 

“Non.. non capisco..” mormoro confuso.

“Sono le parole dell’incantesimo con cui mi creò..” mormora piano “...la sola parte che io rammenti...” specifica.

“Voleva la creatura più bella che si potesse concepire, voleva una bambola stupenda di fronte alla quale ogni uomo avrebbe perso il senno...” sospira.

Bhe direi che ci è riuscita.

“La notte prima del matrimonio mi vestì di veli pallidi e mi mandò a casa di lui...” racconta e io trattengo il fiato immaginando come possa essere andata a finire.

“Ti ha violentato?” sussurro piano.

Annuisce con il capo senza proferire parola per alcuni minuti ed io non posso che rabbrividire cercando di immaginare come possa essersi sentito.

Avere visto la luce da pochi giorni e ritrovarsi vittima di un simile abuso che spezza il corpo e infrange l’anima.

“Ero stato creato per quello...” sussurra “...solo se lui fosse stato veramente innamorato la mia voce, il mio profumo, non avrebbero avuto il sopravvento sul suo autocontrollo...”  spiega.

E adesso capisco che cosa ha fatto prima.

Ha usato il suo potere su di me!

Mi ha messo alla prova.

 

“Il mio corpo è velenoso...” lo mormora sollevandosi su un gomito per guardarmi negli occhi.

 

“Velenoso?” chiedo senza capire.

Annuisce e i capelli gli scivolano in una cascata d’argento sulla pelle bianca.

“Nel momento stesso in cui il seme di un mortale ne bagna l’interno, il veleno entra in circolo, e il mio amante muore in pochi minuti, tra atroci tormenti...” sussurra gelido.

Spalanco gli occhi incredulo.

Fantastico, resterò vergine per tutta la vita! Penso con mesta autoironia.

“Lo sposo dunque morì?” cerco di distrarmi riportandolo sul racconto.

Lui annuisce piano “Ma mia madre aveva sottovalutato la forza del suo amore per lui...” sussurra piano “...quando le dissi che era morto... impazzì.” Mormora scuotendo la testa “E’ stata lei a farmi queste...” mormora mostrandomi le cicatrici.

 

Dei...

 

“Mi torturò per giorni e giorni, sfogando la rabbia per il tradimento del suo amante su di me..” sussurra “...mi tenne in vita con la sua magia per mesi, anni, facendomi a pezzi e risanandomi, uccidendomi e riportandomi in vita...” racconta e la sua voce trema al ricordo, lo stringo a me con dolcezza posandogli un bacio tra i capelli candidi e lui sospira piano, tranquillizzandosi.

“Alla fine non resse e si suicidò...” dice piano “...lasciandomi incatenato nelle segrete del suo castello.”

Mi sfugge un singhiozzo e lui solleva il capo stupito “Piangi?” chiede incredulo.

Lo stringo con forza tra le mie braccia “Non è giusto Jewel, non è giusto!”sussurro tra le lacrime.

Come può, come può aver sopportato tanto dolore?

“Non piangere per me...” mormora con voce roca regalandomi un sorriso confuso.

Sembra un bambino ora, una creatura così innocente nel suo dolore.

“Come.. come sei scappato?” gli chiedo mentre lui raccoglie le mie lacrime con le dita, osservandole con curiosità.

Scuote le spalle con indifferenza “Quando si seppe che mia madre era morta i predoni diedero l’assalto al castello per rubarne le ricchezze, uno di essi spintosi nei sotterranei mi trovò e decise che mi voleva per se, è stato lui a portarmi fuori di lì.” riassume brevemente.

“Immagino che sia morto anche lui...” suppongo e Jewel annuisce “Ovviamente...” dice con una tranquillità che mi gela il sangue nelle vene.

D’altronde se non fosse stata per questa sua gelida indifferenza non credo che sarebbe sopravvissuto.

“Ho vagato a lungo, ho imparato ad usare il mio corpo come arma per restare in vita o avere quello di cui avevo bisogno...” scuote le spalle “..finchè non sono arrivato qui e ho deciso che ero  troppo stanco per continuare così...”

“E adesso che cosa vuoi fare?” gli chiedo trattenendo il fiato in attesa della sua risposta.

“Mi ami ancora?” risponde alla mia domanda con un’altra domanda, fissandomi “Anche se sai che non potrai avermi mai?”

Annuisco senza esitazione.

“Allora vorrei averti come scaldaletto...” sussurra accoccolandosi di nuovo tra le mie braccia.

Lo avvolgo nel mio abbraccio con fare protettivo accarezzandogli la schiena “Non chiedo di meglio...”  mormoro.

 

Sono felice.

Non sono mai stato così felice in vita mia.

Tra me e Jewel va tutto bene.

Di giorno lui viene in armeria, sotto sembianza di gatto, e si appallottola sulla mensola a godersi il calore del fuoco e a seguire i mie movimenti con interesse, la sera quando ho finito di lavorare andiamo a casa insieme.

Ho scoperto che non ha bisogno di mangiare anche se il cibo non gli fa male e ci sono certe cose che gli piacciono, tipo la frutta e la menta.

E poi ho scoperto che nonostante il suo aspetto sia molto ‘polare’ non tollera bene il freddo motivo che lo spinge frequentemente a venire ad accoccolarsi contro il mio petto.

Non che a me dispiaccia sia chiaro!

“Ryo?” mi chiama osservandomi stupito.

Cavoli mi ero perso nei miei pensieri e non mi ero accorto che lui mi aveva raggiunto a letto.

Si siede accanto a me con un sorriso lieve sulle labbra “Avevi un aria ebete...” commenta tranquillamente.

 

Non è diventato più simpatico.

 

“Stavo pensando a te!” gli confesso cingendogli la vita con un braccio.

Lui solleva l’ala per farmi spazio e poi la riabbassa.

Sento le piume candide sfiorare la mia pelle è una sensazione leggera, strana.

Con curiosità spingo la mano su per la sua schiena sfiorando con le dita l’attaccatura dell’ala bianca e quasi sussulto quando sento Jewel emettere un lungo gemito di piacere.

“Ry.. Ryo no... per favore..” sussurra agitandosi.

“La tua pelle è così delicata qui” gli soffio in un orecchio prima di allungare la lingua per lambirglielo mentre la mia mano torna a sfiorarlo.

Sussulta tra le mie braccia cercando improvvisamente la mia bocca e questa volta quando la mia lingua gli chiede di socchiudere le labbra per lasciarla entrare lui si abbandona al bacio, venendomi incontro con il corpo.

Lo porto sopra di me, anche perchè ho paura di schiacciarlo se lo spingo sotto, e faccio scorrere le mie mani sul suo corpo nudo.

Jewel geme in quel modo ipnotico e assassino che risveglia in me istinti violenti.

Non lo fa apposta.

E’ stato creato per far impazzire gli uomini e ci riesce benissimo.

Ricaccio l’istinto animale che mi aveva ordinato di sbatterlo contro il materasso e riprendo le mie carezze cercando con la mano destra la sua virilità, spingendo la sinistra lungo la schiena ad accarezzargli i glutei.

Ansima piano affondando il viso contro il mio collo portando le sue mani sui mie fianchi strofinandosi contro di me.

Sua madre ha fatto decisamente un ottimo lavoro.

 

I suoi gemiti sono afrodisiaci.

Il suo profumo annienta la mia volontà.

Le curve del suo corpo incollano le mie mani su di lui, obbligandole a scorrere veloci sulla pelle rovinata eppure ancora così delicata.

 

Faccio scivolare un dito dentro di lui e lo sento tendersi.

“Ryo!” ansima sorpreso.

“Shh...” gli soffio contro le labbra “Lasciati andare”.

Lo faccio stendere al mio fianco stimolando il suo corpo con la sinistra mentre la destra lo accarezza tra le gambe.

Trema e ansima, agitandosi fra le mie braccia ed è bellissimo coi capelli candidi sciolti, arruffati, e il volto altero arrossato.

Sento le sue mani scendere tra le mie gambe e cominciare una lenta carezza del mio membro.

Perdo completamente la cognizione del tempo e dello spazio mentre le sue mani mi strappano suoni che non credevo di poter emettere.

I nostri respiri accelerano crescendo, soffocando, tra i baci umidi che ci scambiamo con urgenza, finchè lui non viene con un grido nella mia mano e io non posso fare che altrettanto.

“Dei piccolo...” sussurro senza fiato sfiorandogli le palpebre chiuse con baci leggeri.

“Chi sarebbe il piccolo?” mi chiede divertito socchiudendo gli occhi argentei per fissarmi.

“Tu...” mormoro facendo scorrere l’indice sul suo naso.

“Per tua informazione io sono molto più vecchio di te, sai mortale?” sussurra sollevando una mano sottile per coprire un lento sbadiglio stanco.

“Oh davvero e sentiamo quanti anni avrebbe Vostra Anzianità?” lo prendo bonariamente in giro.

“Novantasei...” è la sua candida risposta.

“Quanti!???” non posso fare a meno di sobbalzare incredulo.

Che era una creatura longeva l’avevo intuito ma.. qui si esagera!

Non è che... “...sei immortale?” gli chiedo sovra pensiero.

Ma Jewel scuote il capo piano “Mia madre è riuscita ad uccidermi più di una volta..” mormora con un brivido e io mi do del deficiente da solo per il lampo di terrore che ho visto nei suoi occhi.

Lo attiro accanto a me e ci copro entrambi con la spessa coperta.

“Jewel..” non posso fare a meno di chiamarlo dopo un lungo momento di silenzio.

Spero solo che non si sia già addormentato.

“Hmm?” e il suo mugugno di risposta.

Bhe almeno è ancora sveglio.

“Qual’è il tuo nome...?” gli chiedo piano “Intendo il tuo vero nome...”

Lui sospira puntellandosi sul mio petto per guardarmi “Mia madre non ha avuto il tempo di darmene uno e nel corso dei miei viaggi ne ho usati così tanti da perderne memoria...” mi risponde corrucciato.

“Allora non ti da fastidio se continuo a chiamarti Jewel è un nome che ti dona...” gli dico con un sorriso.

Lui si riaccoccola contro di me “Jewel può andare...” sussurra.

 

Mai che mi dia soddisfazione completa!!

 

“Altrimenti potrei chiamarti Micetto...” lo prendo in giro.

“Ci tieni così poco alla tua vita?” mugugna senza nemmeno alzare il viso.

Ridacchio divertito cominciando ad ipotizzare i nomi più mielosi e assurdi che mi vengono in mente.

“Falla finita!” ringhia lui all’ennesima proposta del genere “Trottolino”

“Non apprezzi il mio estro poetico!” lo rimbrotto fissandolo imbronciato.

“Tu NON HAI estro poetico” mi gela lui “E adesso lasciamo dormire...” borbotta assonnato.

Lo adoro quando fa così e lo stuzzicherei ancora solo per vedere di nuovo il suo sopracciglio destro scivolare verso l’alto scettico o i suoi occhi squadrarmi tra i divertito e l’esasperato ma domani mi attende una lunga giornata di lavoro e ho bisogno di dormire.

“Ti lascio dormire...” gli sussurro sfiorandogli le labbra con un bacio.

Sospira abbandonandosi nel mio abbraccio, sistemandosi meglio contro di me.

Credo che si sia addormentato quando sento distintamente la sua voce soffiare un dolce: “Grazie Ryo...

Penso che se abbassassi il capo noterei sulle sue guance quella delicata traccia di rosa che lo rende splendido.

Gli passo una mano tra i capelli candidi, pettinando con le dita le lunghe ciocche prima di abbassare il capo per posare una bacio tra i suoi capelli profumati.

 

Buona notte, amore mio.

 

fine (per ora ^_-)....


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