IL PRINCIPE AZZURRO 11

di Unmei


 

 

Posso parlarti?

 Questo gli chiedeva?

 Ma che razza di testa aveva, quel ragazzo? Con che aborto di cervello ragionava? Il buon senso avrebbe voluto che Julian lo evitasse in ogni modo possibile, che lo odiasse, o che per lo meno cercasse di dimenticarsi della sua esistenza, dunque…..

 ….. Che ci faceva l’impiastro lì, davanti a lui? Ce l’aveva una minima idea di quali fossero le normali procedure comportamentali, in casi simili? 

Se io ti rovino la vita, tu mi bandisci dalla tua esistenza. O, in alternativa, vieni a cercarmi solo per spaccarmi le ossa. Non vieni a ‘parlare’, per di più con gli occhi bassi. Non è normale. Non è sano.

 

 Alan non sapeva davvero cosa dire: ritrovarsi davanti Julian, e in quelle circostanze, era qualcosa che non aveva preso in considerazione nemmeno alla lontana. Aprì e richiuse la bocca senza emettere suono, e cercò di mettere insieme la compostezza necessaria a pronunciare un <Vattene fuori dalle palle> che suonasse dignitosamente intimidatorio. Prima che potesse farlo, però,  Julian fece qualche passo avanti e alzò gli occhi, guardandolo meglio. Non capì il perché dell’espressione stupita, e preoccupata?, che subito li attraversò.

 

 “Le braccia! Quei lividi, sulle braccia…..”

 

 Alan se n’era dimenticato, in realtà. Nemmeno facevano male, avevano solo un pessimo aspetto. Lanciò ad essi un’occhiata indifferente; erano ancora scuri, cominciavano appena a sfumare sui margini, e nella loro forma si leggevano con chiarezza le dita che l’avevano serrato. Beh, non si poteva negare che fossero impressionanti.

 

 “È stato Dietrich? Lui ti ha fatto questo?”

 

 Una nota di orrore, nella voce di Julian. Disgusto, ma non incredulità. Un’altra cosa che scopriva sul conto del ragazzo che amava, o che aveva amato. Un altro lato di lui che non aveva mai immaginato, ma di cui non sembrava stupirsi. Non più. Che avesse assaggiato un po’ del vero Dietrich, in quei giorni?

 

 “Ti ha….. “

 “No – lo interruppe subito – Ha solo….. stretto.”

 

Con una forza tale che aveva pensato le ossa si sarebbero spezzate; Dietrich stringeva, e lui sentiva un dolore che gli accendeva scintille davanti agli occhi, ma non riusciva a fare altro che ridere, secco, acuto, guardando fisso colui che era stato il suo ragazzo.

Non avrebbe mai creduto che il riso potesse esprimere tutto quel dolore, fisico, e mentale.

Non avrebbe mai creduto che gli occhi di Julian addosso potessero metterlo così a disagio. Riusciva a leggergli in faccia quello che provava: orrore, disgusto, smarrimento. Dispiacere per lui, anche? No, no, improbabile. Ma di certo scoprire quell’aspetto di Die doveva essere  un’altra robusta spallata alle sue certezze.

 

 “Dimmi quel che hai da dire e poi lasciami in pace.”

 

Mugugnò infine, distogliendo lo sguardo. Doveva essere stanco, perché se fosse stato pienamente in sé lo avrebbe cacciato a male parole. Magari gli avrebbe anche tirato dietro qualcosa di pesante, e possibilmente appuntito. Sentì Julian muoversi, esitare, in imbarazzo quanto lui, se non di più.

 

 “Io….. vedi, io….. volevo chiederti scusa.”

 

.

.

.

 

 Scusa?

 

Chiedeva scusa a lui?

 

Lentamente Alan rialzò la testa e tornò a guardarlo, stralunato, incredulo; Julian gli rivolse un incerto sorriso, avvampando in una maniera che sarebbe stata comica, in un’altra circostanza.

 

 “C-cosa?”

 “Posso sedermi?’”

 “Tu devi essere pazzo. O scemo. O entrambe le cose, certo: una non esclude l’altra.” 

 “Per favore, non dire così! Mi passerà tutto il coraggio!”

 

Alan sospirò, e fece un cenno a indicare il divano. Il coraggio, per Dio! Ecco, Dio, appunto: lo stava punendo per la sua pessima azione, e con ogni probabilità si stava pure ammazzando dal ridere. Julian ringraziò, sedendo rigidamente, senza nemmeno toccare lo schienale.

 

 “Volevo dirti che mi dispiace….. che non sapevo che Dietrich fosse il tuo ragazzo, che se avessi saputo non avrei mai….. no, no, sto già incespicando. Calma. – respirò profondamente e aspettò qualche secondo prima di riprendere a parlare – Provo ad avvicinare la questione da un altro punto. Quando conobbi Dietrich mi sembrò impossibile che potesse interessarsi a me, e non solo perché il mio primo contatto con lui era stato fargli rovesciare del caffè addosso. Lui era talmente inarrivabile. Popolare, bello, voti eccellenti, ed io…..  beh, è abbastanza chiaro quel che sono. Non certo bello, né brillante. Non ho talenti particolari, i miei voti sono mediocri; che mai avrebbe potuto vedere in me? Nulla, avrei dovuto capirlo subito. Ma immagino di essere stato troppo cieco per vedere la verità, troppo felice per essere sincero con me stesso. Troppo abbagliato. Dietrich è stato il mio primo ragazzo, sai? Mai stato fortunato in questo campo, e decisamente sono troppo timido, o meglio, imbranato, per cercare delle facili avventure. Sempre ammesso che qualcuno desideri un’avventura con uno come me.”

 

 Tacque, per dare modo ad Alan di dire qualcosa, ma quello restò arroccato nel suo silenzio. Forse meglio così. Meglio dire tutto in una volta che essere interrotti e magari non riuscire più a continuare.

 

 “Quella sera, quella in cui tu ti facesti trovare con Dietrich, tornai a casa senza forse rendermi del tutto conto di quanto era successo. Era stato talmente inaspettato e….. inimmaginabile, per me, che non mi sembrava reale. Mi sentivo male, stordito, ma solo dopo me ne sono reso conto. Il colpo non era del tutto affondato: stupidamente una parte di me ancora sperava che fosse una specie di scherzo e che tutto sarebbe tornato come prima. Heh! Avrei dovuto prendere i vestiti di Die, tutte le sue cose, e buttarle dalla finestra. Banale come scenata, ma sicuramente sarebbe stata liberatoria, no? Invece non ho fatto proprio nulla. Ho aspettato, solo questo, sentendomi in ansia come se io avessi commesso un torto. Per quasi due ore, prima che Dietrich rincasasse.”

 

Due ore?

 Si domandò Alan. Non era tornato subito da Julian, dunque, dopo aver lasciato lui. C’era più di un’ora di tempo, nel mezzo, e non riusciva a immaginare come Dietrich l’avesse passata. Non era il tipo da ritardare il momento di uno scontro, e poi una discussione con uno come Julian poteva definirsi scontro? Difficile anche che avesse girovagato cercando di inventarsi un’improbabile giustificazione. Forse era solo una prova di poca considerazione; poteva permettersela, visto che ormai la maschera era stato costretto a gettarla.

 

“E poi?”

Aveva detto a se stesso che non avrebbe aperto bocca, che avrebbe lasciato parlare Julian e poi se ne sarebbe andato senza rivolgergli la parola, ma non poté evitare la domanda, curioso. Julian si morse le labbra, poi su di esse comparve e subito svanì l’ombra di un sorriso amaro.

 

“Poi, quando l’ho di nuovo avuto davanti, è stato come se non lo conoscessi. Come se quella persona non l’avessi mai incontrata prima. Anche la sua faccia mi sembrava diversa, forse perché quel tipo di sorriso, arrogante, derisorio, non l’avevo mai visto, su di lui. Non sono riuscito a chiedergli nulla, non ne trovavo la forza, né il desiderio. Avrei dovuto provare rabbia, rivedendolo, eppure non era quello che sentivo. Volevo solo….. che se ne andasse. E lo ha fatto: ha raccolto le sue cose e ha preso la porta, dicendo solo che sarebbe stato seccante tornare a vivere al campus. Prima di questo, però, mi ha raccontato tutto.”

 

 Alan scoprì di non riuscire a sostenere lo sguardo di Julian. Provava l’istinto, il desiderio, di abbassare gli occhi, ma lo combatté: non avrebbe mai ammesso così palesemente il proprio disagio.

 

“Mi ha detto di come aveva deciso di….. ‘divertirsi‘. Mi ha detto di te. Mi ha detto tutto, compreso il fatto che per lui non sono mai stato nulla, che avrebbe continuato ancora per mesi nella sua finta, se tu non ti fossi messo in mezzo. Mi ha detto che non si aspettava ti saresti ribellato così. E poi lì è venuta la rabbia, ma non verso Dietrich: verso me stesso. Per essere stato stupido, illuso ed ingenuo. Per avergli creduto, per essermi innamorato senza sospettare nulla, nemmeno di quanto fosse poco credibile che lui potesse provare interesse per me….. oh, ma questo l’ho già detto. I miei giorni con lui, ciò che gli raccontavo, confidavo, la fiducia che gli ho dato….. a ripensarci è così….. umiliante.”

 

 “Era questo che mi dovevi dire?”

 Alan sentì la voce raschiargli la gola. Assurdo stare lì ad ascoltare quei patemi, e rivangare una faccenda che voleva solo dimenticare, ignorare, far finta non fosse mai accaduta. Se non altro, almeno, sembrava che Julian fosse giunto alla fine del suo discorso.

 

 “Veramente era una specie di preambolo; ne avevo bisogno, per arrivare dove volevo. Alan, tu c’eri prima di me, nella vita di Dietrich, e che me ne volessi fuori è normale. Se ora la vostra relazione si è spezzata starai di certo male. Io invece mi sono reso conto che la persona che amavo non esisteva; compiango la mia stupidità, ma non soffro più per la sua perdita. Anzi, ho capito che devo cambiare molte cose in me e nella mia vita, ma prima….. Alan, io davvero sono stato bene con te. Forse mi sto comportando da sciocco e da ingenuo ancora una volta, ma sarei felice se tu mi considerassi sul serio tuo amico. Se per te fosse possibile, se tu volessi provare a recuperare qualcosa di buono da questo disastro….. te ne sarei grato.”

 

 Fu più di quanto Alan potesse sopportare. Si alzò di scatto e letteralmente scappò, correndo via dalla stanza, dal negozio e soprattutto da Julian.

 

***

 

 Di là della porta, Aidan e Damien furono quasi investiti dal fuggiasco; cose che possono capitare, quando si è intenti a origliare. Nel tirarsi bruscamente indietro Damien finì addosso ad Aidan che, nonostante lo stupore, fu abbastanza desto di riflessi da approfittarne per stringerlo a sé. Abbracciarlo era un evento così raro che non credeva di averne memoria; il suo calore e il suo profumo, sì, Messe de Minuit, gli riempivano i sensi, gli davano alla testa. Erano sensazioni in cui si sarebbe perso a lungo, ma purtroppo per lui dovette accontentarsi di circa tre secondi:

 

 “Ti stacchi per conto tuo o devo disarticolarti le braccia?”

 

E, dato il tono mortifero con cui la domanda venne posta, non si sentì propenso a tentare la sorte. Obbedì e, appena mollata la presa, Damien entrò nella stanza sul retro. Trovò Julian intento a imprecare sottovoce e a massaggiarsi una coscia; a giudicare dalla posizione in cui si trovava doveva aver battuto contro lo spigolo del tavolo, probabilmente cercando di correre dietro ad Alan.

 

 “Impressionante, lo hai sconvolto.”

 

 Gli disse in tono divertito.

 

 “Però non è esattamente il risultato che speravo di ottenere. Credo proprio di aver peggiorato la situazione.”

 “Sciocchezze, è andata ottimamente. Lo hai confuso e hai inasprito certi sensi di colpa che voleva a tutti i costi ignorare; non ti resta che insistere e vedrai che affonderà. Fossi in te, però, lascerei passare qualche ora: fallo rimuginare un po’, gli servirà.”

 “Da parte tua - aggiunse Aidan - è stato gentile cercare di riavvicinare Alan, nonostante il suo comportamento.”

 “Gentile o stupido?”

 Chiese sconsolatamente Julian, andando al divano e lasciandosi cadere pesantemente.

  “C’è chi direbbe che i due aggettivi si equivalgono, ma io non lo credo. L’unico che potrebbe comportarsi da stupido, adesso, è Alan, se si mettesse a seguire il suo pseudo-orgoglio, perdendo l‘occasione che gli offri.”

 “E cosa ti fa pensare che l’occasione gli interessi? Dopotutto…..”

 “Me lo fa pensare il fatto che in questi giorni ho visto come stava, e lo ha visto anche Damien. Lui potrà non aver più aperto bocca sull’accaduto, ma era chiaro cosa lo rodesse. Io credo che gli piacesse la tua compagnia, ma che non voglia riconoscerlo; significherebbe ammettere d’aver fatto del male a un amico.”

 

Julian gli rivolse uno sguardo dubbioso; l’idea di credere a quelle parole gli piaceva, ma temeva che fosse solo un azzardo, che Aidan fosse troppo ottimista. Però certo, lui conosceva Alan da molto tempo, perché avrebbe dovuto parlare a sproposito? L’unica cosa su cui sbagliava era credere che gli avesse fatto del male: lui avrebbe voluto ringraziare Alan per le decisioni che lo aveva portato a prendere, per avergli aperto gli occhi, e non solo su Dietrich. Anzi, sicuramente lo avrebbe ringraziato.

 

 “Insistere, eh?”

 “Insistere!”

 “Beh, tanto più ridicolo di così non posso rendermi. Ditemi quando si farà vivo in negozio e gli tenderò un altro agguato.”

 “Dilettante - sogghignò Damien - Due agguati nello stesso posto non sono una tattica brillante.”

 

 

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<Vai a casa, ti fai un paio di birre, una bella doccia e non ci pensi più.>

 

Così aveva pensato. Invece, seduto a gambe incrociate sul letto, tormentando le corde della sua chitarra, traendone note lamentose, doveva ammettere di aver sbagliato. Ci pensava eccome, da ore.

Stupido per essere rimasto ad ascoltare tutto il discorso di Julian, stupido per essere scappato, e peggio che stupido per il senso di perdita che non riusciva a cacciare. Quel sentimento provato controvoglia era quanto di più irritante e soffocante avesse mai sperimentato. E gli era anche completamente passato quel poco appetito che aveva.

Tutto per un impiastro occhialuto?

 Ridicolo!  

Doveva essere l’effetto di tutto lo stress e la bile accumulati negli ultimi tempi. Doveva prendersi una pausa, staccare. Aveva tutto il tempo che voleva e nessuno ad aspettarlo: poteva prendere la moto e andare verso sud, cercando un sole più caldo. Se avesse cambiato aria per un paio di settimane, lontano da Seattle, avrebbe buttato fuori il veleno, svuotato la testa da ogni pensiero greve. E si sarebbe potuto trovare, lungo la strada, qualcuno, più di uno, con cui scopare. Senza sentimenti, legami, coinvolgimenti, senza nemmeno conoscerne il nome, per quel che gli importava. Così avrebbe compensato. Per troppo tempo era andato a letto soltanto con Dietrich, e troppe emozioni aveva messo nel loro rapporto, ottenendo in cambio cosa? Non si sarebbe mai più fatto coinvolgere a tal punto.

 Un viaggio, vagabondare un po’. Poteva pensarci quanto voleva, persino progettare il tragitto, ma in realtà già sapeva che non si sarebbe mosso, non avrebbe reagito: per il momento stava benissimo lì a terra dove si trovava, nessuna voglia di alzarsi e scrollarsi la polvere di dosso.

 

 Fu allora che il campanello trillò; un primo breve suono, seguito da uno più deciso. Non aspettava nessuno, ma immaginò dovesse essere Damien, o Aidan: in fondo loro avevano assistito alla sua gloriosa fuga dal negozio. Uno di loro poteva aver deciso che fosse giunto il momento di tenergli la lezione di morale, maturità e buon senso che fino a quel momento gli era stata generosamente risparmiata. In quel caso era molto più probabile che il visitatore fosse Aidan, intenzionato a riprendere la predica lasciata in sospeso una decina di giorni prima. L’idea non lo entusiasmava, ma prima o poi avrebbe dovuto sorbirsela in ogni caso; forse doveva rassegnarsi a far finta di ascoltarla.

 

 “Che c’è?”

 Sbottò, rispondendo al citofono. Che predica fosse, dunque, ma a distanza.

 “Alan, sei tu?”

 

Restò spiazzato per qualche secondo, prima di rendersi conto che non si trattava del suo amico con una voce improvvisamente diversa dal solito.

 

 “Julian? Che cosa ci fai qui?”

 “Non avevamo finito di parlare, e così…..”

 “Per come la vedo io, avevamo finito eccome. Il mio indirizzo te l’hanno dato quei due ficcanaso, ci scommetto!”

 “Beh, sì. Mi hanno suggerito loro di venire qui. Avevo provato anche a chiamarti sul cellulare, ma la prima volta non ha risposto nessuno, e dopo doveva essere spento.”

 “Certo che era spento! Lo era apposta. Ciò non ti suggerisce nulla?”

 “Un sospetto mi viene, ma visto che ormai sono qui potresti farmi salire, no?”

 “Scordatelo!”

 

Chiuse bruscamente, accorgendosi con irritazione che quel po’ di calma che era riuscito a conquistare era prontamente svanito. Perché diavolo insisteva, quello scemo? Aveva fatto il suo nobile tentativo e gli era andata male, non poteva semplicemente rinunciare e andare a tormentare qualcun altro? O a distrarsi spendendo un po’ di soldi, o magari a schiantarsi con quella sua bella macchina, tutto andava bene, purché lo lasciasse in pace. Le sue speranze furono deluse quando poco dopo il campanello squillò ancora. Uno squillo della durata di qualche secondo, poi una breve pausa  e un altro suono prolungato. Così, ancora e ancora. Dopo una trentina di ripetizioni Alan esaurì la pazienza.

 

 “Finiscila, Cristo!”

 “Mi fai salire?”

 “In che lingua vuoi che te lo ripeta? NO!”

 “Allora continuo, tanto non ho altro da fare.”

 “Ma porc….. fai quel che cazzo ti pare, io stacco la corrente al citofono.”

 

E bastò scollegare un filo perché un trillo si spegnesse a metà.

Ah, silenzio! Meraviglioso silenzio!

Che Julian rimanesse di sotto a pigiare quel pulsante per quanto tempo che gli pareva, ciò che ne avrebbe ricavato sarebbe stato fare la figura del cretino con tutti quelli che lo vedevano.

 

 <La prossima volta che vedo quei due stronzi li sistemo io! Invece di ordinargli di starmi lontano lo spalleggiano pure, i maledetti!>

 

Accese la televisione per distrarsi un po’, ma continuò a indirizzare anatemi ai colpevoli della sua sventura. Come diavolo era venuto loro in mente di dare a Julian l’indirizzo di casa sua? Magari dietro a quegli occhiali tondi si celava uno stalker  ossessionante e pericoloso! Fu nel mezzo di queste elucubrazioni che qualcuno bussò. O forse aveva sentito male, chissà. Azzerò il volume e si mise in ascolto; poco dopo bussarono di nuovo. Esasperato, rassegnato, si decise ad alzarsi.

 

 “Dimmi. Che. Non. Sei. Tu.”

 

 Pregò, con gli occhi chiusi e la fronte appoggiata alla porta. Perché magari era un predicatore che faceva la questua, o un boy scout che vendeva biscotti….. c’era sempre la speranza, giusto?

 

 “Accidenti, hai davvero staccato il citofono! Credevo dicessi per dire!”

 La speranza poteva andare a farsi fottere.

 “Si può sapere chi ti ha fatto salire?”

 “Mi sono infilato dentro quando un tizio è uscito, semplice. Allora, visto che sono qui, mi apri?”

 “Hai problemi con la memoria a breve termine? Ho già detto di no!”

 “Ma parlare attraverso la porta chiusa non è molto- “

 “Guarda che non hai capito: io con te proprio non ci voglio parlare!”

 “Beh, insisterò. Prima o poi uno dei due dovrà cedere; posso continuare a bussare fino a farti saltare i nervi.”

  “Per me puoi anche prendere a testate la porta; metterò cuffie e musica a tutto volume.”

 

 Così disse, ma non lo fece. Restò lì dov’era, ascoltando i colpi di Julian; leggeri, pesanti, insistenti. Non riusciva a spiegarsi perché mai quel tipo ci tenesse tanto ad imbastire un qualche rapporto con lui, perché fosse così cocciuto nel cercare la sua amicizia. Erano diversi, sotto ogni punto di vista: carattere, estrazione sociale, modo di vivere, e approfondendo la conoscenza le  differenze si sarebbero solo moltiplicate. Non poteva esistere proprio niente fra di loro, perché quello stupido non voleva capirlo? Tanta insistenza era così….. confondente. Spiazzante. E sì, lo incuriosiva. Detestava rendersene conto,ma capì che se Julian gli avesse dato retta e se ne fosse andato, se gli avesse voltato le spalle decidendo di mandarlo al diavolo, ne sarebbe stato avvilito.

 <Non c’è nessuna possibilità che si possa diventare amici.>

Si ripeté. Anche provandoci non poteva funzionare, non con quelle premesse. Solo Julian sembrava non riconoscere la realtà. A meno che….. a meno che non fosse lui a voler vedere la situazione più cupa di quanto fosse. Ora che Dietrich era uscito dalla vita di entrambi, dov’era il problema?  Anzi, stringere amicizia con Julian, o almeno un legame positivo, poteva essere una rivalsa, modo per staccarsi ancora di più da ciò che era ormai passato, dalla morbosità del suo rapporto con Die. Ammetterlo, però, lo faceva sentire uno smidollato.

 

Julian andò avanti a bussare per almeno mezz’ora; di tanto in tanto ad Alan parve di riconoscere qualche motivetto accennato a suon di nocche e di pugno.

 “Idiota.”

 Mormorò, più che mai deciso a non dargliela vinta.

 <Vediamo chi si stancherà per primo.>

 Passarono ancora alcuni minuti, poi i colpi cessarono. Che si fosse finalmente arreso? Si mise in ascolto per cogliere altri rumori: quello dell’ascensore, i passi di Julian che se ne andava, ma non udì nulla. Rimase pazientemente con l’orecchio teso per cinque minuti, e ancora niente, nemmeno un suono. Ciò probabilmente significava che Julian era ancora lì, fermo e muto. Se davvero era così, sarebbe stata la prova definitiva di avere a che fare con un pazzo. Si decise a guardare dallo spioncino, ed eccolo: seduto contro il muro di fronte alla sua porta, con l’aria abbattuta, per quanto potesse giudicare dal suo limitato punto d‘osservazione. Chissà se aveva anche intenzione di dormire sul suo zerbino, quella notte. E chissà se c’erano le premesse per denunciarlo per molestie.

 

<So già che me ne pentirò.>

Si disse, e aprì la porta.

 Dalla soglia restò a fissarlo per qualche istante, mentre Julian ricambiava titubante il suo sguardo. Oh, ne aveva davvero abbastanza!

 

 “Levati dalla faccia quell’espressione da piccola fiammiferaia ed entra!”

 

***

 

 

 “Ha un buon profumo.”

 

Disse Julian con un sorriso, quando Alan gli mise tra le mani una tazza di caffè. Anche il sapore era buono: sapeva un po’ di nocciole, forse anche di cioccolato.

 

 “Non mi hai tormentato così a lungo solo per fare commenti sul caffé, immagino.”

 “No. No, in effetti. Cercavo di rompere un po’ il ghiaccio, ecco. Spero che tu non sia troppo arrabbiato.”

 “Sono solo completamente basito. Io non ti capisco proprio.”

 “Perché?”

 Perché? Se tu fossi una persona appena normale, mi detesteresti, non vorresti più avere nulla a che fare con me. Potresti presentarti alla mia porta con l’intenzione di spaccarmi la faccia, forse, oppure per propormi un’alleanza per far passare un brutto momento a Dietrich….. ma venire a dirmi di cercare di recuperare qualcosa di buono….. va proprio oltre i miei schemi mentali!”

 “Quello con cui non voglio più avere a che fare, nel bene o nel male, è proprio Dietrich. Non voglio più saperne nulla, non mi interessa, non sprecherei per lui un grammo di energie né per una vendetta né per una riconciliazione. Ma con te è diverso.”

 “Nonostante mi sia comportato come e peggio di lui?”

 “Questo non è vero: Dietrich ha fatto male anche a te, e ti sei difeso, ne avevi il diritto. Non fraintendermi, non sono particolarmente entusiasta del metodo che hai scelto, però lo capisco. E, come ti ho già detto, grazie a questo ho riflettuto, e ho preso alcune decisioni importanti. Ora sono pronto a cominciare tutto da capo, e il passato non ha più importanza; se tu non ci fossi stato, invece, starei ancora vivendo una menzogna.”

 

 Alan voltò il viso, cercò una risposta caustica, sgarbata; qualcosa che demolisse tutti quei buoni propositi e scottasse definitivamente Julian, allontanandolo per sempre. Non ci riuscì, però, e forse nemmeno lo voleva. Si trovò piuttosto a domandarsi quanto Dietrich gli avesse raccontato di lui: come si erano conosciuti, il loro rapporto così sbilanciato, la sua passata tossicodipendenza. Non aveva mai rinnegato quest’ultima, né se ne era mai vergognato, ma lo metteva a disagio l’idea che Julian potesse sapere, giudicare, e non ne capiva il perché. Fu tentato di chiedergli se ne fosse a conoscenza ma, quando tornò a voltarsi verso l’impiastro, si rese conto che non era necessario. Che non sarebbe cambiato nulla per Julian, e che era sincero quando diceva che il passato non contava. Se l’avesse respinto ancora  forse non l’ avrebbe mai più rivisto, e la prospettiva sembrava fin troppo definitiva.

 

 “Alan?”

 “Sì, sì. Ho capito. Immagino che non ci sia niente di male a fare un tentativo. In fondo….”

 

Si bloccò; stava per ammettere ciò che aveva tentato di ignorare e di negare fino a quel momento, ma sentì che doveva dirlo. Era stato Julian a compiere il primo passo, a mettersi in gioco e a essere completamente sincero con lui, facendolo sentire in colpa e più leggero allo stesso tempo: era giusto concedere qualcosa in cambio.

 

 “…..in fondo non mi dispiacevi del tutto. Se non altro hai gusti decenti in fatto di musica. Ehi, non sorridere a quel modo! Ho detto che possiamo tentare, non che siamo grandi amici!”

 “Certo, ho capito. Ma mi fa piacere lo stesso.”

 

Rumori provenienti dalla porta d’ingresso spinsero Alan ad affacciarsi dalla cucina; un attimo dopo assisteva incredulo all’entrata di Damien, dietro il quale veniva Aidan, che teneva per mano Fabian. Tutta la famiglia, insomma.

 

 “Ho pensato di venire a vedere come procedevano le cose. - disse con un sorriso cospiratore il narcisista dall’ego troppo sviluppato - Allora, vi siete chiariti?”

 “Ma che….. non è per farti piombare qui a tuo piacimento che ti ho dato una copia delle mie chiavi!”

 “Lo so: nel caso ti chiudessi fuori da solo come un imbecille (cosa che è successa più di una volta, ti ricordo), ma ho trasgredito per una buona causa. Allora? Dalla faccia del nostro ragazzo dei quartieri alti direi che è andato tutto bene.”

 

 Julian confermò con un cenno della testa e un bel sorriso, mentre Alan si accese una sigaretta, meditando di cambiare la serratura. Magari anche l’indirizzo, curandosi di non diffondere quello nuovo.

 

 “Ottimo! - approvò Damien - Direi che tale riconciliazione meriti il giusto festeggiamento. Alan, che hai di alcolico?”

 “Sono a secco - ribatté sbrigativamente - Ho solo del Martini, se vuoi.”

 “Ho detto alcolico, il Martini è sciacquatura di palle. E non crederò mai che tu sia rimasto senza niente. Vediamo - si diresse sicuro verso il mobile dove sapeva il suo amico teneva i beveraggi, e aprì lo sportello - ….. in effetti qui hai solo più dei fondi di bottiglia, deprimente. No, aspetta, che c’è qui? Chartreuse!”

 “Mollalo immediatamente!”

 “Non fare l’egoista. Prendi dei bicchieri piuttosto. E se avessi del succo di frutta per Fabian sarebbe perfetto….. ma può andare bene anche del latte.”

 

 Alan si sentì vicino al punto d’ebollizione, ma era troppo esausto per raggiungerlo pienamente. La giornata era stata già abbastanza densa ed emotivamente destabilizzante senza dover anche subire la depredazione dei suoi liquori, né il bivacco dei suoi amici che, con ogni probabilità, dopo sarebbero passati allo svaligiamento del frigorifero e alla presa di possesso di divano e televisore. Strappò Fabian di mano ad Aidan, e se lo mise sulle spalle.

 

 “Il povero innocente può rimanere, non ha colpe. Ma voi….. tutti quanti, uno, due e tre….. FUORI! Levatevi dai piedi, quella è la porta! L’avete una casa? Bene, tornateci!”

 

In fondo sapeva che sarebbero state parole buttate: li conosceva fin troppo bene. Aidan inarcò le sopracciglia, scarsamente impressionato, mentre Damien tracannò un’abbondante sorsata di chartreuse direttamente dalla bottiglia. Julian arrossì e distolse lo sguardo; sembrava in difficoltà, il che  mise subito Alan paranoicamente in allarme.

 

 “Ehm, io….. in effetti una casa non l’avrei più.”

 Disse l’impiastro, concludendo la frase con un sorriso imbarazzato.

 “Come sarebbe a dire? Casa tua è più grande dei nostri tre alloggi messi insieme!”

 Ritorse Alan, pentendosi immediatamente dell‘uscita: si supponeva che lui non fosse mai salito a quell’attico. Far intendere di esserci stato (per ragioni facilmente intuibili)  quando il padrone era assente era quantomeno indelicato, specie nella loro situazione di equilibrio precario. Julian però non diede segno di esserne infastidito, o stupito.

 “Ti ho detto d’aver capito di dover cambiare molte cose nella mia vita, no? Bene. Per prima cosa mi sono reso conto di non stare affatto vivendo la mia vita, ma di stare seguendo una strada già tracciata. Di non stare facendo nulla che mi piaccia davvero, di non fare altro che obbedire a mio padre per paura di prendere decisioni da solo. Era ora di rivoluzionare tutto, quindi….. qualche giorno fa ho comunicato al mio augusto genitore che abbandono l’università. Che per ora prendo una pausa, che cercherò un lavoro, e poi deciderò se continuare gli studi o meno. Certo non giurisprudenza, la detesto. Lui non l’ha presa molto bene.”

 “Ed è passato a rappresaglie economiche?” - chiese Alan, ormai curioso.

 “Non mi dilungo troppo sulle deprimenti discussioni telefoniche che ho avuto con lui, il risultato in ogni caso è che mi ha dato una settimana di tempo per tornare sui miei passi; per ora mi ha bloccato l’accesso al conto corrente di famiglia, allo scadere del tempo metterà in vendita l’attico, buttandomi fuori di casa. Faccia come preferisce, non ho intenzione di tornare sui miei passi.”

 “E pensi di cavartela? Scusa se te lo faccio notare, ma….. nonostante le buone intenzioni tu non mi sembri abituato al duro mondo reale.”

 “Diciamo che negli ultimi tempi ho avuto modo di fare un corso accelerato. Beh, un impiego lo troverò, fosse pure friggere patatine al McDonald‘s, e intanto cercherò una stanza dove trasferirmi. Sono certo che me la caverò. Spero. In realtà….. sono abbastanza terrorizzato.”

 

 Aidan era stato zitto e tranquillo fino a quel momento: seguire lo sviluppo degli eventi era stato interessante anche senza metterci bocca. Ora, però, intervenire era obbligatorio e sacrosanto, perché Julian gli era simpatico, e voleva aiutarlo. E perché la reazione di Alan sarebbe stata imperdibile. Ma via, dopotutto la cosa avrebbe fatto del bene anche a lui.

 

 “Dì un po’, Alan - buttò lì con naturalezza -  in quella stanzetta che hai in fondo al corridoio, piena di cianfrusaglie, un letto potrebbe entrarci, vero?”

 

 

…continua.