Dog Eat Dog

parte XV

di Hyoga & Snatch




Fuori dalla roulotte, quando Sonny tornò, c'era una macchina in più.
Una Chrysler.
Syd.
Cristo!


Reynolds distolse per un attimo gli occhi dal suo interlocutore, alzò appena la testa, come un animale selvatico in ascolto.
Dei passi, pensò, affrettati e non particolarmente pesanti. Norton preoccupato perché ha visto la macchina dell'altro negro.
-Un perfetto cane da guardia…- commentò Syd spostando lo sguardo sulla porta.
Si aprì, Sonny sporto in avanti gettò lo sguardo, prima di tutto, ai due letti.
Syd…
-Ciao Sonny, come vanno le vacanze?-
-Syd…-
-Avevi proprio bisogno di una mano, vero?-
Syd si alzò, raggiungendolo.
-Le cose sono successe che…- iniziò Sonny, e Syd prese la pistola dalla sua cintura.
-Adesso sistemiamo, eh?-
Tolse la sicura, mentre Sonny gli afferrava il polso.
-Fammi spiegare.-
-Spiegare cosa, testa di cazzo?!- urlò Syd svincolando il polso e guardandolo da capo a piedi. -Non ce l'hai fatta, ok… Pensi che il tuo amico Syd non se ne preoccupasse? Sono venuto a farti una visitina, e ora sistemiamo tutto.-
Reynolds deglutì a vuoto, ma riuscì a rimanere impassibile.
-Se mi fai spiegare, cristo!- sbottò Sonny. Spiegare cosa? Niente da spiegare, ma ancora qualche dannato secondo.
-Quali stronzate dici, quali? Te ne rendi conto?!-
Puntò la pistola verso lo sbirro.
Andavano chiarite le cose, subito, prima che Sonny dicesse altre stronzate di cui pentirsi.
-Basta parole.-
-Cristo, aspetta!- urlò Sonny, e prese di nuovo il polso.
Per poco, un colpo non partì.
Syd strattonò, ma stavolta la presa era sicura.
-Molla questa cazzo di pistola e fammi parlare!-
Le mani di entrambi finirono sull'arma, le mani di entrambi con i tendini tesi e la pelle tirata sulle nocche.
-Non hai un cazzo da dire!-
-Dammi un fottuto secondo!-
-Fottiti Sonny!-
Il poliziotto fissava alternativamente l'uno e l'altro, con la disperante consapevolezza che anche un colpo partito per sbaglio l'avrebbe freddato. Dopo tutto questo, crepare per sbaglio sarebbe stato quasi tragicomico.
Lo scoppio arrivò stranamente attutito.
Spazzò via ogni altro rumore, lasciando un sordo ronzio nelle orecchie di tutti e tre.
Reynolds, disteso sul letto con gli occhi puntati sui due.
Sonny, gli occhi sgranati in quelli di Syd.
Syd, gli occhi sgranati e basta.
-… Fottiti…- ripeté Syd, e con le parole uscì il sangue.
Reynolds vide la scena in diretta. Il colpo attraversò il torace del negro da parte a parte. Del resto non si sarebbe aspettato di meno dalla sua pistola, in fin dei conti era una 357 magnum.
Ebbe anche una fugace visione dello sguardo vitreo del morto, e di quello di Norton, non meno vitreo.
-Non…- cominciò Sonny, mentre Syd cadeva a terra.
Non avrei voluto?
Non hai nulla, vero?
Non stai crepando, vero?!

Il corpo cadde, trascinato giù dall'inerzia.
-L'hai fatto secco, complimenti.- constatò gelido Reynolds.
Sonny non rispose.
Syd - cristo, non è Syd - era a terra, posizione scomposta. Sembrava rotto - non è Syd, è il corpo di Syd. La testa reclinata indietro, e il petto fumante. Sanguinava. Sanguinava di un ferita bruciata, acre.
Sonny sporse una mano in avanti. Tamponare. Si bloccò poco prima che le dita raggiungessero quella voragine nera macchiata di riflessi rossastri.
Sangue per terra, sangue a bagnare le scarpe di Sonny.
E Syd lo stava fissando, un occhio aperto e l’altro socchiuso, la carne molle rilasciata all’inerzia, flaccida come quella di un vecchio.
-E' andato, amico. Cibo per alligatori.-
Sonny non rispose.
"Tu dovevi essere cibo per alligatori."
Guardò la pistola appesa al suo indice.
"Io dovrei essere cibo per alligatori."
-A volte le cose non vanno come si vorrebbe, eh?-
-Devo portarlo dagli alligatori…-
Avrebbe dovuto.
Si sporse di nuovo, allungò le mani per almeno raddrizzare quella cosa, ma, ancora, tenne le dita ferme a mezz'aria.
"Non posso portarlo veramente tra gli alligatori…"
Reynolds osservò con distacco il corpo del negro morto. Aveva visto troppi cadaveri per esserne impressionato. Se mai, poteva impressionarlo il modo in cui era diventato carne fredda.
Quando c'era stato da sparargli, Sonny si era messo in mezzo.
-A quanto pare ti devo la pelle.- constatò con un'assurda calma Reynolds.
Sonny alzò la testa, gli occhi sbarrati.
Rimase così, parecchi secondi, sul punto di dire qualcosa.
Ma alla fine la riabbassò, la pistola ancora appesa all'indice.
La appoggiò per terra, con la delicatezza che avrebbe usato se non ne avesse mai toccata una.
Doveva portare Syd nella palude, veramente. E aveva l'angosciante sensazione che se avesse atteso avrebbe cominciato a discernere i due concetti. Tempo che passa. Syd era vivo - Syd è morto.
Uscì, verso il cofano della macchina, guardando dritto davanti a sé per non vedere, né sentire, il sangue sulle scarpe. Stava creando macchie dietro di sé, impronte come Pollicino e le sue fottute briciole.
Ma avrebbe dovuto raccoglierle da solo, con uno straccio e il cuore morto. Era l’unico modo. Deglutire, ancora, e mandare giù ogni accenno di umanità. Per sopravvivere.
La tela cerata vecchia, che avrebbe dovuto essere buttata, era sulla macchina. La tela cerata per coprire il corpo, come una garza su una ferita, prima di alzare Syd.
Il poliziotto assisteva a tutto questo. Non avrebbe potuto fare nient'altro, per la verità, dal momento che era ancora legato e non poteva muoversi.
Il ragazzo rientrò, il telo in mano. Lo aprì, coprendo il cadavere.
Malamente, muovendo le mani come se stesse armeggiando con meccanismi mai usati, cercò di rendere quel corpo un qualsiasi fagotto. Ingombrante, difficile da trascinare, ma inanimato come ogni fagotto. Scivolò, sulle mani e sui piedi. Sollevò il corpo e questo ricadde, più scompostamente di prima. Lo sollevò di nuovo, con rabbia e stizza, e Syd di nuovo si sottrasse ricadendo con un tonfo sul pavimento.
Sonny chiuse gli occhi, si decise ad afferrare le spalle.
Syd pesava.
Syd che aveva sempre avuto la straordinaria capacità di scivolare come aria pesava come un corpo morto pesa.
Syd che riusciva quasi a evitare le pallottole, e usciva sempre indenne da ogni situazione, si faceva, inerte, impacchettare come un pezzo di hashish.
Sonny cominciò a trascinare, uscendo dalla roulotte.
Reynolds lo osservò sbuffare mentre il corpo inanimato cozzava contro gli scalini. Lo vide solo per pochi secondi, perché poi uscì dal suo campo visivo. Sentì a lungo, però, degli ansiti che sembravano quasi singhiozzi, secchi e rauchi.
Li sentì affievolirsi man mano che il ragazzo si allontanava col suo fardello.
Reynolds rimase da solo. Osservò la scia di sangue che usciva dalla roulotte e che si stava seccando lentamente, passando dal vermiglio al bruno cupo quasi nero. La contemplò assorto per alcuni minuti, guardandola filtrare attraverso le fessure del pavimento di plastica finto legno.
Tese l'orecchio cercando di distinguere segni della presenza di Norton fuori, ma evidentemente il ragazzo stava cercando di allontanarsi il più possibile col suo fardello.
Probabilmente non sapeva ancora che non importa quanta distanza metti fra te e un cadavere, il fantasma ti viene a tirare i piedi lo stesso.

Gli tornò in mente la palude, la radura dove Norton l'aveva portato il primo giorno. Chissà se lo stava portando là? Forse nella testa di Sonny quello era il luogo della morte. Il luogo dove gli alligatori fanno pulizia di tutto, corpi e memoria.
Quante volte era andato vicino a finire là in quei giorni? Quante volte il ragazzo aveva cercato di racimolare il coraggio per portarlo là? Perché lui sapeva che era che l'avrebbe portato per abbatterlo.
Chissà come, ma lo sapeva. Forse aveva cominciato a capire qualcosa della psiche del suo carceriere. Magari a forza di starci insieme i suoi processi mentali non gli erano più così alieni.
Beh, quasi tutti.
Una cosa non l'aveva capita: ammazzare il suo amico del ghetto per salvare lui?

Non sapeva quanto tempo fosse passato. Un bel po' comunque, perché la macchia di sole che si allungava sul pavimento si era spostata dalla pozza di sangue, che aveva nel frattempo quasi seccato, alla parete opposta a quella dove si trovava il suo letto.
Trascinare un corpo morto sul terreno molle della palude non è un lavoro facile, in effetti.
Immaginò la fatica di Norton. Fatica mista a dolore e senso di colpa, la peggiore.
Dopo, molto dopo, cominciò a sentire dei passi che si avvicinavano, lenti e strascicati.
Il ragazzo entrò con la felpa fradicia, scurita dall'acqua e da tenaci macchie scure.
Si era lavato, forse per una volta senza sentire il freddo, ma l'inespressività sul suo volto faceva supporre che l'acqua non l’avesse reso pulito quanto avrebbe voluto.
Prima di ogni altra cosa, ignorando il letto e il sangue incrostato a terra, si cambiò gli abiti. Allora, con un aspetto quasi normale, prese la pistola da terra e, lo sguardo dritto davanti a sé, si avvicinò al letto di Reynolds.
Il poliziotto si voltò verso di lui. A questo punto non era neppure escluso che gli sparasse in testa. Un gesto riparativo per cercare di stordire il senso di colpa che sicuramente aveva cominciato a divorarlo. Un sacrificio per accompagnare all'inferno l'anima del filosofo della strada.
Immaginava già il soliloquio di Norton, che si rivolgeva idealmente al suo mentore – Vedi Syd? Alla fine l'ho trovato il coraggio.
Tutto molto poetico ed edificante.
Ma il ragazzo si limitò a puntargli la pistola alla tempia senza sparare.
Le chiavi delle manette in una mano, le aprì.
La pistola sempre alla tempia, non le richiuse su niente.
Il mirino verso Reynolds, sempre più cedevolmente verso Reynolds, e le labbra serrate in una linea diritta, parlò.
-Vattene.-
L'altro finalmente si alzò in piedi, tese i muscoli intorpiditi, si massaggiò i polsi doloranti. Non disse nulla, si limitò a fissarlo attento, pronto a scattare via se per caso il ragazzo avesse deciso di alzare nuovamente la pistola con l'intento di sparare.
-Vattene.- ripeté Norton, e si portò una mano sugli occhi.
La voce si era incrinata.
La seconda parola detta, e parlare sembrava costringerlo a razionalizzare.
-Non vado da solo,- rispose con calma Reynolds. -tu vieni con me. Sei in stato d'arresto, ricordi?-
Assurdo forse parlare di arresto in una circostanza del genere, ma forse sarebbe servito a spostare il contesto da una lamentazione generica e indefinita ad un piano concreto.
Sonny si riscosse, e lo guardò.
-VA FUORI DAL CAZZO!-
L'arma tremò in aria, e Sonny di conseguenza. Quasi fosse il metallo ad avere controllo su di lui e non viceversa.
Reynolds sembrò ritrovare in un attimo l'atteggiamento che aveva avuto - secoli prima? - al distretto di polizia, quando aveva fermato i quattro colleghi con una frase.
-Non vado da nessuna parte, Norton. Non senza di te. Tu sei in arresto.-
E si mosse verso di lui.
L'indice tremò sul grilletto, mentre l'arma cadeva e il braccio di Sonny cercava di mantenerla ferma, salda, convincente. Autoritaria. Come i gesti compiuti con coscienza. Lo sbirro avrebbe dovuto andarsene. Era libero, e vivo, e con la coscienza a posto. Perché non se ne andava?
Il poliziotto fece un altro passo, apparentemente indifferente all'arma puntata contro di lui.
-… Cristo!- sibilò Sonny, e la alzò a braccio teso. L'indice sfiorò il grilletto, e si ritrasse per un secondo come se ne fosse scottato.
Bastò quel secondo per convincere Reynolds a scattare per disarmare Sonny. In un attimo gli fu addosso, una mano ad afferrare il braccio che reggeva l'arma, l'altra alla spalla, per mettere il braccio in leva.
L'ultimo movimento possibile dell'articolazione e Sonny lanciò l'arma lontano.
Quello - un altro sparo nelle sue orecchie e sarebbe stato lui a morire - e un calcio alla cieca scattato come una molla.
Perse l'equilibrio, crollarono entrambi a terra, imprecando, rovesciando sedie e suppellettili.
La pistola era finita chissà dove, i due erano rimasti avvinghiati.
La forza fisica nettamente superiore di Reynolds, e l'adrenalina in Sonny. Colpi troppo veloci e, soprattutto, l'incapacità di percepire il dolore. Non si sarebbe fermato finché i muscoli lo reggevano.
Fuori di testa per una serie di cose, menava colpi alla cieca.
Colpiva, indifferente se i suoi pugni arrivavano sulla carne dell'altro, sul pavimento, sulla gamba del tavolo, su qualsiasi altra cosa.
Ringhiava come un animale selvatico, Reynolds faticava a tenerlo fermo, ad evitare le sue mani.
Aveva provato a colpirlo, ma l'altro era in uno stato in cui non sentiva neppure il dolore; avrebbe dovuto massacrarlo di botte per ridurlo all'obbedienza.
Decise di fermarlo con una presa di judo e di tenerlo lì finché non si fosse calmato.
Sonny, un braccio completamente immobilizzato e il peso dell'altro sulla cassa toracica - nessun dolore, ma il fiato si era bloccato, e l'impressione era di non poter liberare i polmoni o sarebbe stato schiacciato - strattonò la testa in avanti, spingendo con le gambe per liberarsi.
Reynolds strinse leggermente la presa, controllando agevolmente i contorcimenti dell'altro.
-Fottiti! Fottiti!- uscirono da Sonny, un'imprecazione dopo l'altra. Sbatté la testa sul pavimento un paio di volte, finché non vide la visuale oscurarsi.
Reynolds strinse ancora una volta la presa, ma sentiva il corpo dell'altro ancora teso e pronto a scattare. Fissò il ragazzo dritto negli occhi, come ad imporgli la calma che gli aveva intimato a voce.
Sonny, gli occhi ancora offuscati dalla patina accecante della botta, diede un altro paio di calci al vuoto.
Poi si fermò.
Quello sguardo aveva ragione. Era inutile cercare, ancora, di smuovere il mondo attorno a sé.
E, sopra a ogni cosa, quello sguardo, per quanto odiosamente di uno sbirro che vuole portarti dentro, era la cosa più vicina a un tentativo di comprensione.
-... Calmati...- ripeté Lex, questa volta con tono meno autoritario.
La presa si allentò lentamente, come a saggiare la disponibilità dell'altro a calmarsi effettivamente.
La testa di Sonny annuì. Un piccolo colpo, secco, il collo bloccato dalla tensione.
Non stava più soffocando.
Con il fiato bruciato dalla frenesia, il cuore a mille, zittì l'adrenalina che gli incitava il sangue.
Lex inspirò allentando ancora la presa. Ormai la sua era una posizione puramente formale, come quella che avrebbe tenuto sul tatami per mostrare la presa a degli allievi. Si mosse lentamente in avanti, avvicinando il proprio viso a quello di Sonny.
Trascorse un attimo - il doveroso nanosecondo in cui mostrare perplessità - in cui Sonny rallentò il movimento. Perplessità, si, negli occhi arrossati, ma poi…
Reynolds si rilassò ulteriormente sul corpo caldo e teso che prima aveva stretto con tutte le sue forze. Strano, si sentiva così pesante. Forse avrebbe dovuto alzarsi, avrebbe dovuto liberarlo, dal momento che si era calmato.
Ma rimaneva lì, ormai praticamente abbracciato all'altro. Una presa di judo solo per mostra, per far vedere che loro erano uomini e non facevano cose romantiche.
Eppure nessuno dei due accennava a muoversi.
… Se non per avvicinare il proprio viso a quello dell'altro. Lentamente, a piccoli scatti esitanti, ma era quello che stavano facendo.
Le labbra di Sonny si socchiusero, ne uscì una parola silenziosa - l'incipit di tante parole inconcludenti - e poi, come la sera prima, un'immagine, l'uomo nudo ai lavatoi, si sovrappose a un gesto.
Una sensazione, era più giusto dire, come se quei frammenti fossero rimasti in lui perché palpabili come la carne, e lo pensò con quanta lucidità riuscì a racimolare mentre sentiva il fiato dello sbirro, Reynolds - cristo, Lex! - e pensava che non c'era disgusto a frenarlo mentre si avvicinava.
L'altro si fermò appena un attimo - l'ultimo secondo di ritrosia - poi posò delicatamente le proprie labbra su quelle socchiuse di Sonny.
Il braccio che gli teneva intorno al collo lo strinse di nuovo a sé, la mano gli scivolò fra i capelli in un gesto affettuoso.
I primi momenti, più casti di un bacio infantile perché frenati dal timore - qualsiasi timore, migliaia di timori a cui appellarsi - poi Sonny liberò il braccio e si appoggiò su un gomito, per spingere e premere di più le labbra.
Non ci fu una consequenziale logica da quel momento a quello in cui si ritrovarono del tutto distesi, le gambe incastrate, e le mani non più chiuse a pugno ma aperte e singole dita per afferrare la stoffa e sfilarla.
Forse avrebbero potuto essere altrove.
Decisamente, ci sarebbero state mille situazioni più adatte. Lex in ufficio, o magari ancora tra i berretti verdi senza imbarazzanti complicazioni sulla coscienza.
Corpi come il suo, come quello di Sonny, corpi che puoi stringere senza remore. Corpi così simili al tuo, confortanti quanto guardarti allo specchio.
Lex si strinse di nuovo a Sonny, mentre il loro bacio si faceva più profondo, appassionato, diveniva avido come l'urgenza che sembrava spingerli uno contro l'altro, uno con l’altro.
Le mani di Sonny, meno impacciate sui contorni maschili, scivolarono fino alla cintura. La propria. E poi quella di Lex. Frenetiche le dita sulla zip e il torace spinto in avanti per non perdere il contatto.
L'altro lo lasciò fare, lasciò che le sue mani gli scorressero sui fianchi, che lo liberassero degli indumenti. Intanto lo baciava, gli esplorava la bocca con la lingua, premendosi contro di lui fremente.
Senza un attimo di pausa, perché pensare significa imbattersi in un motivo per fermarsi. Ce ne sarebbero stati mille. E uno solo per continuare, a cui aggrapparsi.
I jeans di Sonny scesero, calciati via in fretta, e scesero quelli di Reynolds mentre si sollevavano i corpi, bacino contro bacino e piccole scosse quando le due erezioni si toccarono, trascinandosi sul letto.
Per un po' si rotolarono avvinghiati, baciandosi, gemendo, ansimando. Li aveva presi una sorta di frenesia alla quale non riuscivano a sottrarsi. Si accarezzavano avidi, facendo scorrere le mani sui muscoli duri.
-Sonny...- sussurrò Lex, staccando appena le labbra. Aveva il volto arrossato e gli occhi trasparenti.
I capelli biondi gli ricadevano scomposti sulla fronte.
Sonny aggrottò la fronte.
Sbirro?
Aveva davanti una persona. Qualcosa di diverso da un fratello, da una puttanella o da ogni possibile definizione. Una persona, nuda in ogni senso, e la smania di condividerci quanto più fiato e carne possibile.
Forse solo per quel momento.
Ma bastava.
Forse solo per quel momento e vaffanculo quelli dopo.
I boxer di entrambi scesero, il rumore delle cuciture strappate ignorato, e un gemito ruppe il sottofondo ansimante quando le dita del ragazzo si strinsero decise sulla virilità dell'uomo.
Lex gemette inarcandosi contro di lui, mentre un brivido di piacere gli percorreva la spina dorsale. Lo baciò di nuovo, sulle labbra, sul viso, mormorando il suo nome tra i sospiri.
Le mani scivolarono a cingergli i fianchi.
-Cristo… Dillo, dillo ancora…- sussurrò Sonny. Sentire il proprio nome, ancora, sospirato in quel modo, mentre muoveva la mano. Appoggiò la fronte sul petto di Lex, chiuse gli occhi e tastò con i denti la carne soda.
-... Sonny...- ripeté Lex accarezzandogli piano il viso.
I suoi occhi azzurri non abbandonavano quelli nocciola dell'altro.
Anche le dita, Sonny morse, mentre con i polpastrelli si bagnava del seme di Lex.
Discese, pelle accaldata contro pelle accaldata, e si mise tra le sue gambe.
Controllo, controllo o avrebbe continuato a masturbare l'altro fino a morire del suo orgasmo.
Lex rimase per un attimo fermo, il sesso ancora turgido dell'altro contro l'addome, le labbra sul suo collo.
Gli passò una mano fra i capelli, lo baciò lieve su una tempia. Poi si mosse fino a circondare il suo sesso con una mano. Strofinò lentamente il pollice sul glande congestionato, andando a carpire la goccia di liquido trasparente che vi si era raccolta in punta.
-Muovila…- disse Sonny, ingoiando un singulto. Ne aveva bisogno, ne aveva bisogno come se non avesse mai fatto sesso in tutta la sua vita.
Lex cominciò a muovere lentamente la mano.
-Così ti piace?- gli sussurrò all'orecchio.
-Non dire stronzate…- ridacchiò Sonny, ma subito dopo socchiuse gli occhi per un'altra botta di piacere. –Muovila…!-
L'altro gli baciò lieve le labbra, masturbandolo intanto con forza e allo stesso tempo con dolcezza.
Sonny gliele morse, frenandosi all'ultimo per non fargli male.
Spostò il pube in avanti, e strinse le dita sulla spalla di Lex. -Muovila più veloce…- ripeté, ma nel tono tutta la perentorietà era scemata, sfumando in una supplica.
Lex continuò a muovere la mano col ritmo che aveva deciso di imporre alla masturbazione. Lo baciò ancora una volta, mordicchiandogli le labbra. Poi scese lentamente verso il basso, baciandogli il collo, il petto, gli addominali.
Sonny lo spinse con le mani verso il basso. Quei maledetti baci sul ventre erano una tortura, un incipit troppo frustrante.
Sentì l'altro scivolare con un movimento fluido e sensuale. La mano che gli si muoveva sul cazzo continuò senza rallentare, mentre l'altra gli passò lieve sul corpo, facendolo sussultare di piacere.
Sonny lo tirò giù, verso di sé, rispondendo all'ondata che lo aveva attraversato ed era di nuovo scivolata oltre, lasciandolo a pochi passi dall'avere un orgasmo. Impaziente, fece scendere le proprie dita su quelle di Lex. Strinse e cercò di comandarle. Si contrappose a quel ritmo snervante.
Lex lo fissò per un attimo, osservò il suo corpo muscoloso, color caramello, ora lucido di sudore. Gli sfiorò di nuovo un fianco con le dita, poi il suo viso s’inclinò.
Gli passò la lingua umida sul glande. Dapprima appena appena, solo un tocco lieve. Poi con più decisione, lentamente.
Con conoscenze che non immaginava di possedere, insisté sulla fessura sensibile, spedendo un brivido nelle membra dell'altro, poi scese lungo l'asta, ricoprendola di lunghe leccate.
Dall'alto verso il basso, fino alla base, staccando la mano giusto quel tanto che bastava a non avere intralci nel movimento.
Sonny inarcò la schiena.
Dovette stringere i bordi del materasso per costringersi a non prendere la testa di Reynolds e premerla su di sé. Fargli aprire quelle labbra del tutto e… strinse gli occhi e deglutì.
Tra i due si era probabilmente stabilita quella sorta di comunicazione non verbale che si instaura tra gli amanti e Lex capì quali erano i desideri del ragazzo. Si mosse adagio sul membro congestionato, appoggiò nuovamente le labbra sul glande e lentamente scese verso il basso, prendendolo in bocca.
Bastò quello, e Sonny sbarrò gli occhi.
Sentì l'orgasmo urlare; sentì le ultime tre, quattro fitte di piacere, e si scostò allontanando Lex, l'erezione stretta tra le dita, le gocce dense nel suo palmo scivolare sul lenzuolo.
Lex si allungò nuovamente accanto a lui senza parlare. Di nuovo gli sfiorò le labbra con le proprie.
La sua mano andò ad accarezzargli il petto, che ancora palpitava ansimante.
Il ragazzo aveva gli occhi chiusi.
Prese la mano di Lex con la propria, pulita, e la strinse. Una piccola, breve stretta. Grazie.
Rimase così, la testa incassata nel cuscino, il torace che si alzava e si abbassava, senza dire nulla.
Lex rimase fermo contro di lui, ascoltando il respiro di entrambi che pian piano si normalizzava. Aspettando che tutto il resto pian piano si normalizzasse.
In quel momento non stava pensando, stava soltanto agendo in automatico sulla spinta di impulsi troppo profondi per essere scandagliati lì e in quel momento.
Ma lo sapeva, il cervello non se ne sarebbe rimasto a lungo in stand-by.
Sonny agì per entrambi.
Senza essersi mosso dalla posizione di prima, aprì le dita.
-… Vestirmi.- disse, guardando il soffitto, come per dare a Lex il tempo di spostarsi. Pudore. Doversi staccare uno dal corpo dell'altro fu più imbarazzante di tutto il resto.
I vestiti, certo. Reynolds sembrò accorgersi solo in quel momento della propria nudità e la cosa non gli piacque, una volta che l'ebbe valutata e compresa.
Si alzò, un solo gesto agile, e raccolse i suoi abiti da terra. Avrebbe fatto volentieri anche una doccia, ma probabilmente quello sarebbe stato chiedere troppo.
Non trovò nulla da dire per stemperare la tensione del momento.
Guardò Sonny in piedi, di fianco a lui, concentrato sulla zip che stava sollevando.
Il ragazzo cercò la felpa, sbuffando, e una piccola lamentela detta tra i denti scandì il ritorno alla realtà. Lamentarsi, anche mentre se la infilava: il suo modo di conformare tutto su un'onda neutrale.
Prese una sigaretta dal tavolo, l'accese, si sedette sugli scalini.
Lex sospirò muovendosi irresoluto. Gli sembrava ancora strano essere libero, non avere più le manette che gli stringevano i polsi. E soprattutto avere una pistola relativamente a portata di mano e un pregiudicato in stato d'arresto che fumava una sigaretta sui gradini senza che lui facesse nulla per fermarlo.
Lanciò un'occhiata a Sonny, che però non lo vide, essendo di spalle.
Meglio così, forse. Sarebbe stato abbastanza difficile guardarlo negli occhi adesso. Difficile per entrambi, naturalmente.
Non riusciva a togliersi dalla testa una perla di saggezza, se così si può chiamare, che una volta una puttana si era compiaciuta di elargirgli:
C'è più intimità in una lingua in bocca che in un cazzo in culo.