DI ODIO DI AMORE

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CAP: 35/?

 

SERIE: original

 

PAIRING: Pirecrate/Pherio

 

RATING: Nc-17 fisso

 

DISCLAIMERS: Tutti nostri, tutti nostri!!

 

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Per un attimo, o per giorni interi, non aveva alcuna importanza, quello straccio d’ombra divenne tutto il suo mondo. Niente oltre, nulla al di fuori, null’altro oltre ciò che, denso, viveva dentro di lui. Schemi, piani diplomatici, mosse azzardate, soppesare con attenzione tutti i pro e i contro che gli si paravano di fronte andava bene: tutto era benedetto e benvenuto pur di tenere la mente occupata e lontana da lì, e dal suo corpo, ben al riparo dal permettersi di cascare nell’autocommiserazione, o peggio ancora, nel cogliere il dolore, nel dar voce a ciò che, muto, doveva giacere immobile e morto, per sempre dimenticato dall’altro se stesso.

 

Pirecrate no: Pirecrate non voleva guardarlo, non voleva pensarlo pure se lui, malefico, sempre intorno se lo trovava. Gli bastava spingere lo sguardo un poco fuori dal confine invisibile di tiepida ombra che lo circondava, stretto, e lui era lì, sempre.

 

*Sempre*.

 

Ma non l’odiava: ora, qualunque sentimento provato per Pirecrate sarebbe stato un uccidersi e Pherio non voleva, non poteva ancora abbandonare l’esistenza, ché troppe cose e troppo importanti richiedevano un suo intervento, troppo giaceva ancora nelle sue mani e il comportamento di Polinice l’aveva ben dimostrato.

 

Pherio sorrise acre nell’intuire una mano spostare una falda carminia, con intensa attenzione, come a domandare un silenzioso permesso.

 

No.

 

Avesse davvero potuto scegliere, Pirecrate non ce l’avrebbe avuto il permesso di parlargli. Ma un Ilota non poteva scegliere, solo patire.

 

Occhi di ghiaccio, trasparenti e taglienti come schegge d’un cristallo in frantumi, trafitto dalla luce assordante, incontrarono quelli ampi, profondi e tristi di Pirecrate senza un solo suono: troppi silenzi giacevano tra di loro per poterli infrangere con la semplice rabbia d’uno sguardo che si schiantava, furioso, su iridi piene di vento e abissi, d’un azzurro carico come il cielo denso di primavera all’accostarsi della notte.

 

“Pherio, ho da avvisarti che fra poco la nave getterà l’ancora.

 

La lieve esitazione che intuì dietro alle parole fece credere a Pherio d’aver errato i suoi conti sul tempo trascorso in viaggio.

 

“Siamo dunque arrivati?”

 

La prima frase dopo giorni, e il tono era roco più per il silenzio prolungato che per qualche sensazione definita, o per trasmettere davvero qualcosa.

 

“No. – scosse appena il capo, titubante e incerto di fronte a quel viso sempre troppo chiaro, sempre immobile e vuoto d’una qualsiasi reazione, d’un qualsiasi sentimento: come se davvero Pherio non provasse nulla, e nulla sentisse dentro di sé, come s’egli vivesse davvero in un mondo alieno in cui la vita degli uomini era aliena. Ma Pherio, se poteva ingannare chiunque, non poteva ingannare Pirecrate. E Pirecrate lo sapeva, ne era terrorizzato, ché non sapeva che fare, e temeva che se ne andasse di nuovo e ora, solo, non avrebbe saputo come trattenerlo, come richiamarlo indietro .. e Pherio intuiva e ne andava in bestia. Ma il volto restava quello d’un Febo a tutto estraneo – E’ solo una breve sosta per i rifornimenti. Polinice ha ordinato di far scendere gli uomini a terra per questa notte.

 

“Devo seguirti?”

 

“Non puoi. – sospirò, attendendo un cenno, un appiglio, qualcosa che non venne, o che forse non trovò. Allora come chi, troppo stanco di lottare, per un attimo si lasci rinfrescare la fronte sudata dalla lieve carezza del vento, senza pensare a nulla, egli si limitò a sospirare. E sarebbe stato mille volte più luminoso il giorno se la bocca di Pherio non avesse tenuto serrata la bellezza tra le labbra, ma era solo una speranza che quanto più scolorava, più ravvivava l’intensità del ricordo dei suoi rari sorrisi. – Tornerò il più presto possibile.”

 

Nessuna risposta se non un gesto vago e distratto, appena accennato del capo. Così l’aveva congedato; con un semplice sguardo l’aveva di nuovo allontanato: strinse i denti, chiudendo gli occhi nell’accettare la piena sconfitta, attraversando il ponte a grande falcate.

 

Pherio fu infinitamente grato nel sentire lo Spartiato allontanarsi e schiuse le ciglia: la luce morente a volte feriva maggiormente lo sguardo che non il sole fulgente di mezzodì.

 

Sorrise delicatamente a cosa non sapeva: aveva imparato a contare le ore e i minuti a prescindere dagli astri fissati in cielo, senza dover prestare ascolto alle maree o ai venti; il tempo gli scivolava dentro come se ogni istante fosse un granello di sabbia che colasse, denso, contro le lisce pareti della sua anima incatenata da troppi pensieri e da troppi doveri.

 

Seppe quando calò la notte, dunque, senza dover sollevare gli occhi al cielo perché dentro aveva sentito il sole suicidarsi e spargere il suo sangue dorato per tutta la volta finché la notte, pietosa, ne aveva coperto le spoglie col suo denso manto blu. Ora le prime stelle ad occidente, ceri votivi piamente accesi a ricordo del grande signore perduto, scintillavano opache e giovani ma Pherio fu catturato presto da un nuovo stupore: la nave era vuota, se s’escludevano i pochi marinai obbligati a rimanere a bordo per farvi la guardia, e nessuno di loro si sarebbe mai permesso di avvicinarglisi. Nessuno lo faceva mai, se si escludeva Pirecrate, ed egli era fuori, sull’isola di Symi, e là avrebbe dovuto starci almeno per tutta la notte..

 

Invece Pirecrate era lì, accovacciato all’ingresso di quel misero riparo come il bambino chino sulle conchiglie lasciate a riva dal mare, dalle mani troppo tagliuzzate per osare allungarle, nel timore del sale.

 

Stranamente, accanto alle sue ginocchia aveva poggiato una ciotola vuota e una brocca d’acqua, dolce e pulita, ben diversa da quella cosa puzzolente ch’era stato obbligato a bere durante gli ultimi giorni di navigazione. Pherio lo fissò interdetto e stupito, realmente, soprattutto dall’espressione di seria compostezza dipinta, immobile, sul volto del Dimano. Un piglio di battaglia riconosceva in quegli occhi, e intorno ai polsi erano intrecciate le bende dei pugili.

 

Pherio non si pose domande: chinò semplicemente il capo, leccandosi le labbra, famelico, nel fissare l’acqua che ondeggiava appena, ipnotica, seguendo il lieve rollio della nave.

 

“Ti ringrazio.” S’obbligò a dire, come se il vedere l’acqua avesse avuto il potere di risvegliare di scatto tutta la sete che s’era tenuto dentro.

 

“Hai sete?!”

 

Lo stupore più genuino si dipinse in quella voce. Un bambino.. Pherio quasi rise acremente alla propria stoltezza, a quella stupida immagine, a maggior ragione perché i pugni coperti da bende erano pugni mortali, la mente lo sapeva fin troppo bene, ma ora… adesso erano morbidi, rilassati i tendini del polso e delle dita, e nel cuore quelle mani destavano più sensazioni sconvolgenti di qualsiasi bacio persiano.

 

“Da una settimana hanno razionato l’acqua.

 

Ovviamente lui non lo sapeva: a lui non era toccata questa restrizione, in quanto nobile Spartiate. E Pirecrate si mise in piedi di fretta e volò nuovamente per il ponte, attraversandolo, per porgergli una nuova creta ricolma d’acqua.

 

“Dovevi dirmelo!”

 

L’ammonì, ma Pherio, per lunghi istanti, fu troppo intento a riempirsi di quel succo fragrante e benedetto ben più che se fosse stato ambrosia, più che se fosse stato il più prelibato vino dei vigneti di Dioniso, il diluvio in grado di estinguere ogni fuoco. Acqua limpida e fresca, pulita, una carezza meravigliosa lungo la gola, che da lì partiva per spandersi lungo il corpo intero.

 

“Grazie.”

 

Di nuovo un sussurro imbarazzato, a bassa voce. E poi fu di nuovo il silenzio misto a curiosità di sapere cosa sarebbe accaduto, ora, cosa  Pirecrate avesse in testa, e cosa doveva dire, o fare, lui, in risposta, o forse .. forse doveva essere lui stesso a iniziare a parlare e dire qualcosa.. ma cosa dire Pherio non lo sapeva. C’era qualcosa di strano in quello sguardo scintillante e Pherio non aveva ancora compreso cosa fosse: il fastidio, il rifiuto, tutto quello che di solito accompagnava la presenza di Pirecrate erano scomparsi per far posto a .. ad altro.

 

Corrugò la fronte mentre Pirecrate prese un respiro, come se in quel modo volesse radunare il coraggio prima di uno scontro, allungando una mano, da cui pendevano le sottili strisce di stoffa rossa, consunta: le nocche sole erano accuratamente, ancora, ricoperte.

 

“Ti ho portato questo.”

 

Disse, e tra i polpastrelli teneva un’ampolla opaca, sigillata dalla ceralacca lucida e rossa come un lembo di fiamma.

 

“Cos’è?”

 

Pirecrate sorrise, il suo volto si distese in un’espressione che Pherio non poté non trovare mortalmente candida, mentre come un nuovo calore gli infiammò lo sguardo. Le dita scure si mossero sul recipiente, stappandolo, rompendo la ceralacca, facendola in briciole, lasciando che un’incredibile fragranza delicata invadesse l’universo, di fiori appena sbocciati, di brina pura che rende le ragnatele merletti ghiacciati, di un’alba limpida e fredda che colora appena le guance delle statue candide degli dei.

 

“Acqua di rose. – sussurrò appena il nome di quell’elisir per cui la piccola isola era conosciuta fino ai confini del mondo e posta sotto la protezione della divina Afrodite la quale, in quel modo, benediva l’abilità di quegli uomini che con perizia e attenzione, dall’inizio del tempo estraevano, dal fiore rugiadoso della primavera selvatica, non solo un profumo in grado di lavare l’aria e di sollevare gli spiriti oppressi, ma anche un’acqua col potere di lenire le ferite del corpo, di dare sollievo a membra in preda a febbri misteriose. Un qualcosa che era considerata prima e preziosissima fonte di bellezza pure dalle Regine del Nilo. – Di giorno, di notte, vedo che non svolgi i lini: fa caldo caldo, dev’essere una tortura atroce. M’han detto che può darti sollievo.”

 

 Tentò di sorridere di nuovo, ma il volto di Pherio, prima ammorbidito, era ritornato chiuso, inespressivo, e lo sguardo s’era fatto lievemente allarmato, mentre una cattiveria, inconscia e difensiva, gli ghermì le labbra.

 

Pirecrate vide, si sentì il vento di Borea avvinghiare le sedi del cuore.

 

Egli chinò la fronte, ostile, fissa a terra e la pelle chiara si chiazzò di roso, unico segno d’una rabbia che non avrebbe trovato sfogo.

 

Un nodo gli contrasse la gola, impedendogli di respirare, intuendo ciò di cui aveva, per un attimo, temuto Pherio: che l’obbligasse, come aveva fatto Polinice, o peggio, che l’ingannasse di nuovo, che stesse cercando di sedurlo, di ‘comprarlo’ con una moneta che potesse essergli necessaria.

 

Strinse i pugni, le unghie piantate nelle carni. Cosa poteva.. cosa *doveva* fare perché capisse davvero? Perché Pherio comprendesse? Perché non fosse tutto inutile, com’era stato fino a quel momento? Le ore passate, immobile, sul ponte a fargli la guardia, di cui benediva ogni istante ma da

cui aveva sperato d’ottenere almeno uno sguardo, se non di riconoscenza, almeno di comprensione, erano servite a che nessuno più l’infastidisse ma Pirecrate avrebbe voluto.. poter allungare la mano, oh dei celesti!, una volta, una volta sola ancora!, e sfiorargli il viso, e sentire la sua pelle, il suo profumo almeno per un’ultima volta.. Rubargli un bacio sarebbe stato troppo, seppur sentiva forte l’assoluto bisogno di stringerlo a sé, e fra le sue braccia tenerlo, legarlo, lì trattenerlo, proteggerlo e da esso esser protetto. Poter aprire il cuore e mostrargli ciò che aveva dentro, e donarglielo perché ne facesse ciò che più gli piaceva: ma come poteva se Pherio non sollevava più neppure gli occhi su di lui?

 

“Stupido. - rantolò serrato tra i denti - Non avresti dovuto preoccuparti. – socchiuse appena gli occhi - Non avresti dovuto aprirla per me. Un dono simile era da tenere intatto: di certo a Sparta avresti trovato a chi donarlo, se non volevi tenerlo per te.”

 

Fu quasi un’esplosione che ebbe in risposta. Quasi. Non ancora.

 

“Era per *te*! L’ho voluta per te, per nessun altro l’avrei presa!”

 

Voleva urlargli pure che era uno stupido, forte sentiva il desiderio di schiaffeggiarlo e forse anche di piangere, perché come poteva essere così stupido e cieco? Stupido, sì, ecco quel che era, stupido com’era lui stesso che non riusciva a staccarsi da lui, né a decidersi a scioglier la lingua, ché nulla riusciva a dirgli, ché nulla *c’era* da dirsi, ormai!

 

“Presa? – sussurrò pensieroso Pherio, invischiando di cattiveria e malizia le parole. – Con cosa l’hai pagata?”

 

Che t’importa?!”

 

Ribatté, furioso. Pherio sospirò appena, chinando il capo d’un lato: lui era solo uno schiavo, Pirecrate il suo Spartiato. Uno Spartiato sfortunato, che possedeva un Ilota insolente. Uno Spartiate stupido, che possedeva un Ilota di cui non *sapeva* niente, di cui non poteva capire nulla.

 

Accettare ora era semplicemente convincersi, finalmente, che l’amore era un illusione buona solo per i cantori e i poeti, che non esisteva, che non era mai esistito.

 

Era amore quello di sua madre che lo riconosceva solo in quanto strumento della sua propria vendetta? Era amore quello di suo zio che, sì, l’aveva strappato alla polvere del tempio per far di lui uno spartano degno, insegnandogli come colpire nell’ombra, come un ladro, un assassino? Era amore quello di *Astre* che aveva tramato, s’era abbassato alle più infide furbizie, per fargli infrangere la promessa fatta alla dea? E lui aveva mai amato Astre, se per lui non era stato pronto a rinunciare a se stesso ? Con Pirecrate, poi, come chiamarlo amore? Non era stato altro, forse, che la continuazione delle loro sfide, e lui aveva perduto tutto.

 

Vittoria o sconfitta: era amore? No, solo sopraffazione, come tutto il resto, una lotta eterna, una sfida che non sarebbe mai terminata: si sentiva destinato a perdere, e in eterno non i si sarebbe mai rasssegnato.

 

“Nulla, hai ragione. – sussurrò – Chiedo scusa.”

 

Se avesse alzato lo sguardo avrebbe visto la stanchezza cangiare, diventando liquida e poi densa, esasperante, la rabbia e il dolore uniti insieme con così tanta forza da non riuscire a distinguere l’una dall’altra e poi la sofferenza, una marea troppo ampia perché un uomo solo la sorreggesse. Se avesse guardato avrebbe visto la delusione e l’agonia, e forse il suo cuore avrebbe pianto sangue e forse avrebbe cercato di sorridere invece di stringer fra i denti una freddezza che, ulteriore, stava scavando un nuovo solco tra di loro, sollevando un muro perché s’era sentito troppo dolce, e troppo esposto, senza difesa alcuna, senza possibilità di parare alcun attacco. Se avesse realmente osservato, avrebbe visto che Pirecrate gli porgeva mani vuote, e non nascondeva nulla dietro la schiena, gli tendeva le braccia per accogliere, non per ferire o strappare.

 

Pherio non lo fece. Pirecrate singhiozzò di rabbia e furia.

 

“Di molte altre cose, e ben più gravi di questa mi dovresti chieder perdono! Stupido Panfilo che non sei altro!”

 

Il guerriero che era riprese le armi, scintillando crudele alla luce pallida della luna, digrignando i denti.

 

“Sono un Ilota, Pirecrate, ma non devo chiederti perdono di ogni mio respiro solo perché sei il mio padrone!”

 

Stavolta fu Pirecrate a tenere la bocca chiusa, a non trovare le parole: come l’Etna che a lungo ribolle e troppa forza esplosiva ha dentro le vene e singhiozza quel che tiene negli intestini, così egli fu trafitto dall’interno, e la lancia acuminata che strappava il sangue alle viscere scavò una nuova via. 

 

“Non ti sei accorto di nulla!”

 

“Mi sono accorto di fin troppe cose, t’assicuro che altro non voglio sapere di te, lurido infame traditore!”

 

“Traditore? – prese un grosso, enorme respiro, e il fiato era cortissimo in gola- Io t’avrei tradito, Pherio? E se avessi tradito, perché, secondo te, sarei ora, qui, a portarti a Sparta? Hai idea di quello che mi sono lasciato dietro? E invece sono qui, con *te*, perché l’ho scelto! Come puoi darmi del traditore?”

 

C’era più dolore nella sua voce che rabbia, ma l’ira era troppo legata a ferite vecchie e nuove per..

 

“Io chiamo traditore chi colpisce alla schiena, chi non mantiene i giuramenti, chi dice il falso..

 

“Ho commesso errori, ma se questo mi bolla come un traditore, tu non puoi essere definito solo un ingrato, ma molto peggio!”

 

“Ingrato? – Pherio ghignò. Avrebbe voluto regalargli una freddissima espressione di scherno, ma non ci riuscì. Pirecrate gli dilaniava il cuore con quelle parole, con la sua sola presenza, con la forza della sua voce e lui non riusciva a mantenersi lucido. Forse non lo voleva neppure. – Io sarei un ingrato?! E di cosa ti dovrei esser grato, Pirecrate? D’avermi tradito ogni notte con *Astre*? “

 

Di Astre lo sapevi! L’hai sempre saputo, né mai m’hai fatto comprendere nulla! Non puoi pretendere che io mi vada ad immaginare quel che ti gira per la testa! A Delp -“

 

Gridò, stridette dentro di lui la sofferenza che, fragile e immortale dilaniata, scagliò fuori cose d’altro tipo, sepolte da una mente che con costanza e pazienza s’era applicata, folle incosciente, a imbrigliarle e nasconderle.

 

“- o d’avermi disonorato, tagliandomi i capelli, strappandomi il manto e tutto e non chiedendo nulla, neppure una minima spiegazione?-“

 

“Non sai cosa-“

 

E Idrio?! Sai darmi una spiegazione anche di te e *Idrio* che vi rotolate nelle stalle?!?

 

Pherio aveva urlato, esasperato, fuori di sé. Chiuse la bocca con uno schiocco sonoro, i denti che sbatterono contro i denti e il silenzio ripiombò fra di loro, furiosi entrambi, Pherio avvampante d’odio e rabbia e Pirecrate.. Pirecrate pallido come se la pelle fosse stata ricoperta da un velo gelido.

 

 “Non è successo nulla tra me e Idrio.”

 

Secco, lapidario, alle sue stesse orecchie la propria voce suonò stonata, sgraziata. Il ghigno di Pherio, però gli sembrò, per un attimo, creato dallo sforzo di non crollare, di non sciogliersi in lacrime furenti lì di fronte a lui. Solo per un attimo, però, poi ritornò perfetto e perfettamente padrone di sé, come lui non riusciva ad essere.

 

“Sono obbligato a crederti, dopo tutto sono solo un servo, non puoi pretendere che capisca tutto. Ho solo visto voi due che vi stavate abbracciando e baciando, sul fieno: chissà perché ho pensato che fosse successo qualcosa. – sorrise terribile – Allora devo davvero ringraziarti per avermi accompagnato fin qui, al posto di trovare tutto ciò che volevi al fianco di Astre. Come vuoi che sia ripagata tanta generosità?”

 

Pirecrate sentì schiantarsi qualcosa dentro, all’altezza del cuore. Come se tutto il suo mondo fosse andato in frantumi, si fosse polverizzato, scomparendo per sempre fra le pieghe di un cuore che non riusciva più a battere.

 

Perché.. perché erano arrivati lì? A quello? Perché era costretto a sentire Pherio che gli diceva certe cose? Perché, di nuovo, ancora, sul fondo di quegli occhi bellissimi non c’era più nulla? Perché eran ritornati di ghiaccio, e vuoti, terribili, impossibili da sopportare ben più di quando erano colmi d’ira e di furia? Preferiva mille e mille volte sapere che l’odiava piuttosto che ..

 

Sighè..”

 

 “Devo indovinare i tuoi desideri, Pirecrate? O devo essere io a propormi? Vuoi fingere d’esser sedotto, così puoi trovarti una scusa semplice? – si sciolse la stoffa che teneva indietro i capelli, ed essi ondeggiarono lucenti nell’aria scura – Ma non devi, non è necessario. Dopo tutto sono i tuo Ilota. Puoi fare quel che vuoi con me e di me. Vuoi toccarmi? Fallo. Vuoi possedermi?”

 

Sighè!”

 

Il lino frusciò, sinuoso, incantevole, e si disfece in mille spire cadendo elegante sul grembo di Pherio, bellissimo e immobile come una statua, e altrettanto freddo e composto e distante. Il sorriso scolpito non trasmetteva nulla. Pirecrate trattenne il respiro fra i denti, maledicendo il suo proprio desiderio che, contro ogni sua volontà, contro ogni suo pensiero, gli rinasceva in corpo, infiammandogli le membra.

 

Perché penso che l’ordinarmi di nuovo di intrecciarti i capelli sia solo un surrogato di ciò che desideri davvero da me? Dopo tutto devo mostrarti la mia immensa gratitudine per aver fatto tutto questo per me. Per esserti sacrificato così tanto.”

 

 Sighè ! – chiese, o ordinò, Pherio non seppe intuire – T’ho mentito, t’ho tradito. Ho creduto ad Astre e non a te e senza esitazioni t’ho strappato i segni dell’onore perché ti credevo colpevole e .. e poi c’era Astre, e Idrio, ma ti giuro che Idrio l’ho solo baciato e non è stata passione. . Come posso spiegartelo? Io non *so* spiegartelo!”

 

Ad attenderlo s'aspettava uno dei soliti ghigni terribili di Pherio, ma esso, stupefacente, non venne. Cercò di nascere, ma lentamente la maschera sotto i suoi occhi si scheggiava, frantumandosi, saltando via dalla crepa sottile che s'era formata. Lo sguardo lucente si strappò dal suo, tentando, sforzandosi di nascondere quegli occhi divenuti liquidi, per un istante troppo colmi di dolore e lacrime che l'orgoglio impedì di versare.

 

S'era ingannato tanto quanto aveva ingannato lui. E seppe, improvvisamente, le parole da dirgli, da dirsi, perché non era vero che non esistevano, ma solo erano pesanti e difficili, e per dirle bisognava esser pronti ad un rifiuto, esporre il petto al colpo e sperare, pregare solamente che l'altro rispondesse ciò di cui si aveva bisogno per continuare a vivere: perché si poteva, a quel gioco, solo vivere o morire, ché esso non era null'altro che vita.

 

Pherio si sentì ghiacciare, terrorizzato, dal percepire il controllo della sua propria anima scivolargli via, lentamente, fra le dita. Che fare quando tutto era una menzogna? Una finzione? Lui l'aveva sempre saputo: era lui stesso che mentiva, agli altri, al suo stesso cuore, ma non aveva mai avuto importanza. Ora no, ora tutto era mutato.

 

Cosa? E perché?

 

Non lo sapeva, non lo voleva sapere. Non gli importava.

 

Era il dolore, dentro, che aveva rotto come gli argini intorno al suo cuore e lo stava sommergendo, lasciandolo come senza fiato, lasciandolo perduto. Eppure che poteva fare? Come poteva di nuovo cadere nel solito inganno tessuto dalla sua debolezza? Cadere ancora in trappola, nelle spire velenose di un sentimento che non sapeva gestire, di un qualcosa che, palesemente, non sapeva vivere come avrebbe dovuto.

 

Quando al passione affondava le unghie in lui non poteva non giungergli al cuore, e il suo cuore, ora, non era in grado più di reggere un peso simile, e insieme, non aveva difese. Non poteva accettare il piacere senza accendere altro, dentro di e ora, dopo essersi sentito tradito e calpestato e rifiutato e mille altre cose. Non con Pirecrate, poi, ché Pirecrate faceva un male che non poteva dirsi, che non riusciva a sopportare.

 

E il dolore dentro divenne qualcosa di impossibile, un desiderio, un bisogno che non si poteva più tenere alla catena, e tutto scolorava intorno alla fatica che si faceva a trattenere fra i denti un singhiozzo che non doveva uscire e che premeva il costato, ed era sconvolgente e assurdo, dal dolore che faceva provare.

 

"Già. L'hai solo baciato."

 

La voce un sussurro così flebile che pareva appena una preghiera che solo alle orecchie dei Superni dovesse arrivare, così spezzata, infranta e abbattuta che probabilmente una lancia scagliata nel costato avrebbe fatto meno male. Pirecrate tremò e fece l'unica cosa che, in quell'istante, riuscì a fare: tendendo le braccia ne sfiorò le spalle, la schiena, si tese verso quel corpo che ora si mostrava fragile nell'anima e nel cuore, lui che mai aveva mai dato cenno di cedimento, e poggiò il capo nell'incavo del collo, respirando a fondo il suo profumo che si scioglieva nell'aria intorno fra le morbide anse dei lini chiari, che non erano, però, più chiari del suo incarnato. Ed era bellissimo, era ciò che voleva, ciò che aveva sempre voluto anche senza saperlo.

 

Ed era bello, sì, Pherio pensò, abbracciare ed essere abbracciati, possedere e donare in un unico gesto, e si sentì protetto, davvero, per la prima volta nella sua vita c'erano delle braccia a tenerlo insieme, a donargli sicurezza e non a strappargli dignità, o valore, o dolore. Era vero: sollevò le mani a toccare quella schiena dura e si trovò a sorridere della propria debolezza che si specchiava in quella di Pirecrate, e sapeva, ora, che da quel seme avrebbe potuto nascere qualcosa, e sarebbe stato qualcosa di bello, e grande, e avrebbe dato frutto, come il dattero piantato a Firuzeh..

 

"Perdonami, Pherio."

 

Pirecrate non riuscì a dir altro. La consapevolezza di esser stato sul punto di perder tutto quello per qualcosa di cui, in quel momento non riusciva a ricordare il valore, se mai valore c'era stato, lo feriva, ma era una sofferenza che diveniva a ogni respiro più eterea, sottile, e leggera. Incredibilmente essa diveniva pura, e scintillante, e si tramutava in una salda certezza, in qualcosa che fioriva sotto i suoi occhi e che lo rendeva completo, non più solo.

 

La gola nuda sotto la sua fronte tremò.

 

"Perdonami tu, Pirecrate. Sono stato.."

 

Gli occhi densi di azzurro e luce si alzarono sul viso bianco e lo fecero tacere tanto quanto le dita scure posate sulle labbra. Il lieve respiro di Pherio tra i polpastrelli dava a Pirecrate mille leggere scosse ma non di dolore, come se piccoli aghi aguzzi gli si conficcassero sottopelle, ma lì si sciogliessero in un piacere mai provato.

 

Si guardarono, a lungo, in silenzio, Pherio e Pirecrate, come se mai si fossero veduti, come se mai fossero stati con gli occhi negli occhi. Ma in quell'istante tutto cambiò. Tutto divenne diverso: entrambi si sentirono per un istante, come parte di un'assonanza strana, che permeava l'aria, che li avvolgeva e li assorbiva entrambi, e che pure erano loro due a creare coi loro movimenti, coi loro respiri, coi battiti dei loro cuori che scandivano un tempo preciso, costante, cadenzato. Ed era il medesimo per entrambi.

 

Pirecrate sorrise, Pherio arrossì piano, poi tremò, quando la man dell'altro gli sfiorò delicatamente il viso. Dischiuse appena le labbra a sentirlo avvicinarsi e, come un cucciolo, a dargli brevi colpetti col naso, sulla guancia, per poi sfregarsi contro la sua pelle e trattenere una risata scherzosa.

 

"Come sei morbido!"

 

"Invece tu pungi!"

 

Sbottò lieve Pherio, mentre, soprappensiero, si domandava oziosamente perché mai a Pirecrate fosse già da tempo spuntata la barba e a lui no: eppure avevano la stessa età.. ma quanta importanza poteva avere, ora, quando Pirecrate..

 

 Le dita si intrecciarono alle dita. Carezze lente, pulite, senza fretta, che strappavano solo respiri trattenuti e lievi sorrisi. Non aveva creduto, Pherio, che potesse essere così.. che potesse esistere una cosa simile. Era di certo un dono degli dei, oppure uno scherzo del destino, o un tiro del fato che poi si sarebbe.. Pirecrate lo strappò a quei pensieri, un abbraccio focoso, che lo stringeva e lo cullava. Le labbra ardenti contro il suo orecchio, che modularono canzoni gentili, dolci.

 

"Non voglio che hai quella espressione!"

 

"Quale?"

 

"Quella di adesso! - sbottò il Dimano, non allentando la presa. Sarebbe stato in grado di spezzargli le costole e ucciderlo lì, in quel modo, eppure si limitava a stringere, rendendogli difficile respirare, imbrigliando appena la violenza dei suoi muscoli ma Pherio sapeva che si sarebbe ammazzato con le sue proprie mani prima di fargli del male. - Non pensare a nulla, se non riesci a non pensare a cose brutte, ti prego. Vorrei riuscire a.. a renderti un po' sereno, se non posso far altro. Se.."

 

Pherio sorrise, lasciando che Pirecrate allentasse l'abbraccio, sfiorandogli i capelli. Poi ne prese, fra le dita scure, una ciocca dorata e a lungo la fissò, baciandola delicatamente come se fossero belli, come se fossero reliquie divine e non capelli. Si allontanò d'un palmo per guardarlo di nuovo in viso e, improvvisamente arrossì.

 

Sollevò le mani, e tremavano un poco anche nell'aria scura che li circondava, prendendo i lembi della stoffa chiara, e gliela chiuse sul petto, inesperto e titubante.

 

"Scusa per prima. Non volevo darti l'impressione che io.."

 

Gli mancò il fiato.

 

Pherio gli coprì le mani con le sue.

 

"Sono stato crudele con te. Mi odi?"

 

"No, Pherio, mai!"

 

Il capo chiaro si chinò delicatamente in avanti.

 

"Qualcuno .. - perse la voce, per un attimo, come se un nodo gli stringesse la gola, ma non era dolore quello che gli sfumava la voce, rendendola dolce e pastosa - .. una persona, un po' di tempo fa mi fece notare che io e te siamo sempre stati *noi*, da sempre. Dagli allenamenti a

Sparta. I combattimenti giù alla Pista, l'addestramento, le campagne: tutto insieme. Avversari ma non nemici. E quando davvero insieme abbiamo combattuto.."

 

"Chi t'ha detto una cosa simile?!"

 

"Tu! - rise - Non ti ricordi? Quando m'hai baciato.. quando m'hai baciato per la prima volta."

 

Pirecrate si rabbuiò per un attimo.

 

"Non .. non era un vero primo bacio, quello."

 

"Non ho un'ampia possibilità di scelta, Pirecrate."

 

"E allora, da ora, Pherio, voglio che tu abbia una infinità di prime volte da ricordare."

 

Pherio sorrise, di nuovo. Era strano ma bello. Tutto era bellissimo e struggente, in un certo qual modo, fra loro. Eppure era tutto perfetto. Anzi, no: era diverso, perché gli incanti di ciò che non sembra scalfito in nessuna parte erano inganni, mentre adesso… Era tutto .. giusto. Quant'era diverso quel che provava, quel che *viveva* da tutto il suo passato, quando, se c'erano mani addosso erano solo per.. Pirecrate no. Pirecrate non gli trasmetteva quella sensazione d'esser

capitato fra gli artigli di un predatore che avrebbe strappato da lui ciò che voleva per saziarsi per poi .. abbandonarlo. Era già successo, Pirecrate l'aveva già fatto e col suo , eppure ora non riusciva a convincersi che avrebbe dovuto proteggersi perché avrebbe potuto capitar di nuovo.

 

No, non sarebbe più capitato: lo sentiva, lo sapeva, e non voleva pensare, o credere, ad altro.

 

"Non vuoi baciarmi?"

 

Chiese, a bassa voce, forse più a se stesso che a lui. Pirecrate parve arrossire abbracciandolo di nuovo.

 

"Temevo non me l'avresti mai più permesso.."

 

"Io credo.. io.."

 

Pirecrate sorrise.

 

"Lo so. - gli sussurrò vicinissimo, a tratti il respiro caldo di quelle gola gli carezzò la bocca - L'ho.. l'ho sentito e ho capito. Anche io."

 

Le labbra s'incontrarono morbide, immobili quasi, come a non voler infrangere un sogno di cristallo sotto una pressione troppo forte, come a non destarsi da un sogno, se quello non era altro che una crudele immaginazione: ma nulla del genere si rivelò essere, solo carne contro carne e respiri mischiati e calore e passione, desiderio intenso, ma stemperato in un'abitudine che mancava, e nel timore folle, sacro, di non fare nessun male, di non imporre nulla che non fosse desiderato, voluto agognato anche dall'altro, con la stessa intensità.

 

Fu un bacio lungo e goffo, ma dolce, che trasmise più di mille parole, e non fu un perdersi ma un ritrovarsi, non fu tanto un prendere ma un dare, e il proprio piacere era pallido fantasma in confronto al valore che aveva il donare. Eppure esso c'era ed era forte, e la sua fiamma non sconvolgeva, non squarciava, ma sembrava danzare e cantare e fondere due anime che s'erano finalmente ritrovate, e che erano nate per essere una sola.

 

E fu bello e gentile, e insieme sconvolgente e profondo: un'intimità simile condivisa solo con un bacio, due universi interi che si mischiavano fecondandosi l'un con l'altro, proteggendosi proteggendo.. Pherio rimase senza fiato e respirò con i polmoni di Pirecrate. Il cuore di Pirecrate si fermò e il suo sangue continuò a circolare grazie al cuore di Pherio.

 

Poi.. "Sei il mio compagno.", detto così, ad occhi chiusi.

 

Pherio spalancò le palpebre, svelò le iridi azzurrissime e trasparenti come pezzi di ghiaccio fuso e le ficcò, sbigottito, negli occhi a Pirecrate.

 

"Sei pazzo!"

 

Non riuscì a dire altro. Compagni.. molti erano gli uomini che intessevano legami con altri uomini, la fedeltà era merce rara ma non impossibile, eppure esser compagni era altro, era oltre: era amore, un legame speciale che veniva consacrato nell'intimità dai due amanti e che brillava su di loro, di fronte a tutta la città. Non solo amanti e oltre che amanti: compagni dividevano l'uno la vita dell'altro seppur le famiglie non venivano dimenticate mai. Compagni erano stati il Pelide Achille e il suo amato Patroclo: la storia era piena degli echi dell’ira del divo furioso quando gli era stato strappato colui al quale aveva consacrato la vita, con il quale, solo, condivideva ogni felicità  . Compagni erano stati suo zio Kakeo e il padre di Pirecrate: tutta Sparta aveva patito il contraccolpo di tale separazione, molti pieni d’orgoglio e boria avevano chinato la fronte per giorni interi sotto il peso di un’ombra invisibile e oscura, timorosi che i tuoni avrebbero spaccato il cuore dei Taigeto.

 

Era un legame che non si doveva infrangere, era essere sempre al fianco l'uno dell'altro a coprirsi anche con lo scudo dei propri corpi, in qualunque avversità, per qualunque motivo e oltre ogni sentimento, sì, quel sentire che riesce ad ingannare il cuore e a sviare l’uomo dalla strada giusta e profonda; era condividerne la sorte, vendicare l'onore reciproco, e insieme affrontare tutto. Ogni cosa.

 

Ma bisognava essere fra pari per essere compagni..

 

"No, non lo sono."

 

"Io sono uno schiavo!"

 

Sulla soglia delle lacrime Pherio tremò fin nell'animo, distogliendo gli occhi. Forse era quello che da una vita attendeva, quello! Eppure ora che gli veniva porto non poteva accettare, non poteva! Ma Pirecrate l'abbracciò di nuovo, e sì sentì impotente come se il cielo i fosse inchinato su di lui, eppure dentro di sé sapeva che era giusto, che non doveva essere altro e se fin’ora era stato..

 

"C'è un errore, si sono sbagliati. Qualunque cosa dicano, o diranno a Sparta, io lo so che non è vero. Sei più degno di metà degli Spartiati di Sparta messi insieme, tu solo, Pherio! Io sono degno e io ti trovo degno. Tu sei il mio compagno, da ora. E io sono il tuo. Ti appartengo tanto quanto tu appartieni a me e non c'è nulla che qualcuno possa dire o fare per mutare questo. - sorrise pallido, sfiorandogli i capelli, il viso, sollevandogli il mento per guardarlo e consolarlo, o cercare di farlo, con carezze dolce sulla pelle chiara e morbida - E non c'è nulla che io o te possiamo dire o fare, Pherio, per mutare lo stato delle cose. Lo sai anche tu, lo senti anche tu, vero?, - gli posò una mano sul petto, con tanta energia che al cuore parve sentirsi accarezzato sulle pareti nude e lisce - che c'è qualcosa che ci unisce."

 

Pherio sospirò.

 

"Sono.. non si può, la conosci la legge.."

 

"La Legge non ha potere su questo!"

 

"Per la Legge uno Spartiato non può scegliersi un Ilota come compagno!"

 

"Scelto! - rise, Pirecrate, felice, di vedere in quegli occhi così poca convinzione nel rifiutarlo che doveva, anche lui, provare le stesse cose che il Dimano aveva nel cuore. E quello non era un rifiuto, era solo paura. E la paura era giusta, era sacra di fronte a quello e pure Pirecrate la provava ma non potevano tirarsi indietro. Nessuno dei due lo voleva davvero. - Mi sei stato assegnato dagli dei. Non lo senti, dentro? Non lo *sai* anche tu come lo so io?"

 

Pherio annuì delicatamente, in silenzio. Gli passò le braccia sulle spalle, appoggiandosi contro di lui. Pareva disperato davvero, il suo dolore era di Pirecrate, pure, che lo sentiva dentro come una spina che stillava sangue.

 

"Non voglio rovinarti, Pirecrate. Lasciami perdere. Ritorna da.. da Polinice, oppure in Persia .. io .. questo non si può fare.."

 

"Non posso vivere che con te. Anche se volessi allontanarmi, poi, il destino mi riporterebbe sempre a te, se questo il destino ha deciso. E io non scappo, io starò qui, e starò al tuo fianco, e combatterò con te, e dividerò la tua vita e non importa nulla del resto. E Polinice non nominarlo neppure!

- ringhiò, furioso - Polinice non ti metterà mai più neppure più gli occhi addosso, ti giuro che.."

 

Pherio gli posò una mano sul petto, trattenendo, semplicemente, in quel modo, i sentimenti dell'altro, che stavano per esplodere.

 

"Polinice è mio."

 

Pirecrate sbatté le palpebre, incredulo, convinto di aver compreso male. La voce di Pherio era ritornata freddissima, acre, tagliente come rasoi. E i suoi occhi, in quel momento, avrebbero potuto uccidere.

 

"Cosa?"

 

"Quello che ho detto. Polinice è mio. Qualunque cosa accada non interferire: quando potrò avrò soddisfazione di lui, e la mia vendetta è anni che attende di essere completata. Ora, quello che è successo su questa nave.. - trattenne il fiato, il suo sguardo ritornò di nuovo a fuoco su Pirecrate e l'odio sfumò diventando altro, nello sfiorare la pelle ambrata del Dimano che, qual e là, mostrava ancora i segni dell'uomo - è solo un ulteriore tassello che mi fa infuriare, e ora non importa che io sia un Ilota o meno, solo per quel che ti ha fatto lo farò a pezzi!"

 

Si tese, Pherio, prima di chiudere gli occhi, corrugando la fronte, stringendo con forza i pugni. Pirecrate gli baciò la fronte, e lo sentì rilassarsi un poco.

 

"Sei davvero terribile, Pherio. - e c'era stupore e orgoglio nella sua voce - E sei bellissimo."

 

"Non lasciarmi, Pirecrate. - sussurrò appena - Non lasciarmi."

 

Scivolò in silenzio, poi in quell'abbraccio ardente, chiudendo gli occhi, permettendo alle mani di Pirecrate di passargli mille e mille volte lungo la schiena, placandolo, cullandolo, amandolo solo standogli accanto. Pherio fu grato, infinitamente, profondamente grato d'avere quel cuore grande che batteva accanto al suo: avrebbe voluto piangere e ridere e gemere per la sorte che gli era toccata, ma ..aveva ragione Pirecrate. Non potevano star divisi ora che s'erano uniti, anche solo per un attimo. Ed ora era diverso da prima, da quando solo i loro corpi s'accarezzavano e prendevano calore l'uno dall'altro.

 

Era diverso, più profondo, più .. erano compagni?

 

"No, non ti lascerò."

 

Sì. Erano compagni.

 ___

 

La bella Afrodite sedeva su un seggio longilineo di bronzo, lei scolpita nell’avorio e nell’argento e nell’oro. Le mani in grembo, lo scollo della veste sottile al di sotto delle scapole, gli occhi fulgenti, di zaffiro, che fissavano la spiaggia non molto lontana. Polinice, per assoluto caso, gettò su di essa quegli occhi che in realtà erano tutti intenti a cercare una forma maschile, un’ombra che s’era dileguata nell’oscurità.

 

I passi dello Spartiate erano fermi e decisi, sia perché sapeva la strada sia perché era avvezzo a procedere per sentieri ben più oscuri di quello, inondato dai raggi di una mezza Artemide.

 

In lontananza pareva di poter udire gli echi delle risa, i divertimenti di quelli che erano rimasti alla locanda a godere dei cibi prelibati fino a tarda notte e d’un giaciglio che non fosse una scomoda cuccia.  E lui che ci faceva lì in giro?

 

Bhè: gli altri avrebbero avanzato a gran voce le loro supposizioni sul fatto che il giovane Dimano si fosse allontanato per invitare a un luogo appartato il suo amante. Che fosse così, Polinice non v’aveva creduto, e adesso che non riusciva più a trovare Pirecrate ne aveva la lampante conferma. A grandi falcate procedette verso la nave, a ripescarlo per riportarlo laddove era il suo posto, laddove era *saggio* che dovesse stare: assieme ad altri Spartiati, non ad un Ilota!

 

Piccolo ragazzino testardo! Rovinarsi una splendida nottata , (e farla rovinare agli altri) come era quella per levarsi degli sfizi animali che avrebbe potuto soddisfare con una semplice piccola richiesta ..

 

Il molo non era grande, perché lì erano solite sbarcare navi veloci di regnanti o di ricchissimi mercanti. La sosta all’isola appena precedente era saltata per via della marea, e per questo erano sbarcati in quei luoghi gelosamente custoditi e, incredibilmente, erano stati accolti con un certo calore dagli abitanti. Fino al punto che avevano messo in palio fortune su fortuna sfidando quegli che era più giovane del gruppo… Pirecrate. E lo scemo se n’era andato via di tutta fretta con un premio, quando avrebbe potuto fare la loro fortuna a vincere altre gare!!!

 

Quel ragazzo avrebbe proprio dovuto prenderselo sotto la propria custodia. Se solo fosse stato meno irruento e ribelle..  Oh!, ma a Sparta le cose sarebbero presto state diverse..

 

La loro nave era l’unica e nessuna sagoma umana camminava sul ponte; solo una debole luce dalle cabinette dei marinai e un vociare soffuso testimoniavano la presenza di esseri umani. Salì la scala di corda sulla prua e il lungo mantello lacero, ma ancora vivamente rosso, pendette dalle spalle come le foglie della palma sopra ai cocchi.

 

I sandali fecero cigolare le travi mentre l’uomo scendeva sottocoperta alla ricerca del cucciolo smarrito, per riprenderlo per quei capelli ricci e selvaggi e magari tagliare una ciocca per ricordargli che non era niente, non poteva niente, se lui lo decideva. Ma, come sospettato, non lo trovò rannicchiato e tranquillo tra le proprie lenzuola. E allora, nel silenzio attutito dalle ondate carezzevoli e in silenzio, mise uno dietro l’altro i piedi su quella piccola rampa di scala che riconduceva a poppa, con le orecchie ben tese a catturare ogni singolo suono.

 

Udì, soffocato un sorriso e poi un gorgoglio, tanto simili che non seppe dire se erano della stessa voce o il risultato, assurdo, della perfetta unione di due voci. Un odore piacevolissimo di rose inondava l’aria, soffuso tanto era penetrante, e i legni sfrigolavano sotto movimenti giovani e flessuosi. In quei momenti in cui il vento greco si faceva più intenso e dalle rive i rami degli arbusti echeggiavano le voci delle ninfe, i sospiri salirono alla Luna.

 

Polinice arricciò la fronte, osando fare un altro passo: come uno squalo uscendo dal pelo dell’acqua egli superò la barriera dei gradini, prima tenuta al di sopra del capo per timore d’essere udito.

 

Ginocchia parvero battere sul ponte e vide una forma proiettata e un’altra subito sopra di essa mentre venivano celate al suo sguardo attonito da quella parte di drappo che arrivava in terra e in terra s’accasciava, concentrandosi in un pozza di rubini in polvere destinati a raccogliere i torrenti di luce soffusi da Artemide.

 

Sussurri scambiati nell’oscurità. Vide il profilo di uno, mani sollevarsi alle spalle dove le dita ne incontravano altre, il capo a chinarsi… e capelli, corti, oscillare nell’aria liberi come sorrisi divini, e poi il profilo mettersi orizzontale, la nuca esposta e il mento sul petto mentre polpastrelli lenti scivolavano come petali su un fiume lungo quella pelle…

 

Lo Spartiate attese con la pazienza d’un leone magro che ha appena avvistato un pasto lauto, *il* pasto della sua vita, studiando la maniera migliore per appropriarsene e bocciando un’iniziativa dopo l’altra: quanto avrebbe voluto accostarsi a loro e da loro esser guardato e forse, all’inizio, non considerato affatto, se non come muto spettatore, per dissetarsi dell’immagini delle carezze innumerevoli che si scambiavano, cuccioli non innocenti, ma puri, che si scioglievano in gesti e sussurri che nascevano nei loro cuori e che non manipolavano, non cangiavano in altro ma che spiravano al mondo nell’assoluta  leggerezza dei loro pensieri! Le loro movenze, la pelle che sfiorava la pelle, il bronzo fuso all’argento e i loro corpi giovani che si rotolavano e accendevano più di quanto loro stessi capissero, per poi finalmente allungare una mano, e l’altra, e toccarli, sfiorarli, affondare le dita in qui capelli morbidi e lunghi, onde d’ebano che pareva un mare di notte, infinito, assaporare quella pelle chiara come le nubi leggere di primavera, e le labbra d’entrambi sulle sue, e obbligarli giù, e spingerli e stringerli, e la frizione del suo corpo contro i loro e i loro sussurri farsi spezzati, e vedere di nuovo quegli occhi riempirsi di lacrime lucenti e sorrisi e nuove carezze, ancora e ancora, fino a cadere sfinito. E loro, giovani e affamati, a succhiare e esplorare di nuovo il suo corpo e il suo piacere, ad esporre le membra per il suo godimento ed, ebbri di piacere, piegarsi entrambi e domandare tacendo, affogando con semplici carezze e, dolci creature incapaci di comprendere cosa suscitavano con la loro semplice esistenza, esser rapiti dai sensi, e nei sensi rimanere incatenati per lunghe ore infinite.

 

Eppure Polinice seppe di non poter seguire queste sue torride fantasie che gli bruciavan l’aria nei polmoni: i fanciullini erano come avvolti da una nube che causava un gran timore del cuore, come se fosse stata intessuta da Pallade in persona e avvolta intorno alle loro membra. E Pirecrate abbracciava con braccia e unguenti le spalle di Pherio in una maniera blasfema, che, a Sparta,  avrebbe potuto causare la sua immediata condanna capitale. Polinice storse la bocca, decidendosi a intervenire, impossibilitato a far altro, a fare ciò che desiderava davvero: avanzò senza un singolo scricchiolio e tirò su il preziosissimo manto rosso.

 

Due paia di occhi si sollevarono su di lui, ed erano focolai di brumosa brace, tizzoni, e gelidi laghi ghiacciati. Le mani di Pirecrate, foglie su un manto di neve, prima di impietrirsi si raggiunsero sul petto dell’Ilota, come a volerlo sigillare, e quelle di Pherio trascinarono fino al proprio collo una coperta, per nascondere la pelle: un’immagine che gli sarebbe rimasta impressa a fuoco vivo nelle palpebre, ché quell’espressioni sole potevano incendiare di lussuria e desiderio ardente persino un tizzone affogato nell’acqua.

 

Cosa vuoi, Polinice?”

 

Chiese il Dimano, la voce asciutta e roca ma minacciosa, scostandosi leggermente da Pherio per permettergli di celare bene la nudità.

 

Polinice s’aprì in un ampio sorriso.

 

“Sai Pirecrate, a vedervi non comprendo più bene chi dei due è l’Ilota!”

 

Pherio stava zitto, ché ritorcere le parole nella gola non poteva, e teneva basso lo sguardo, che adesso come adesso non sarebbe riuscito a trattenersi: i sentimenti gli inondavano il corpo, gli rendevano caldo il cuore, finalmente liberi di fluire, e la mente troppo era stata bene per tornare così d’improvviso a. . Dei, aveva un mal di testa terribile. La sola vista di Polinice gl’aveva sconvolto non solo il cuore ma pure le membra: sapeva la sua crudeltà, la sua sottile abilità, la conosceva e la rispettava ché il talento non va mai disprezzato, ma ora sentiva un fremito nuovo nell’aria ad avvolgere lo spartano più anziano, e un nuovo timore gli nacque nel cuore. Avesse potuto avrebbe sfilato una lama e gliel’avrebbe affondata nel costato, che un pericolo simile va annientato appena se ne presenta l’occasione, ma non poteva, e non solo perché era un Ilota, ma proprio perché le condizioni erano le peggiori, e se non lui di certo Pirecrate sarebbe stato accusato e forse messo a morte per quel gesto, e tutto sarebbe scomparso, affondando in un nulla che Pherio, ora, non voleva far rischiare a se stesso e tantomeno al Dimano.

 

E per trattenerlo gli sfiorò una caviglia, a lui che s’era alzato in piedi per fronteggiare la boria e l’arroganza di Polinice in una statura non pari a quella dell’uomo. Il suo.. compagno l’ascoltò, prendendo un respiro profondo e allacciandosi la cinta in vita portò via Polinice. Pherio si strinse le coperte intorno alle spalle, tendendo quel drappo che aveva fatto passare intorno al collo e che adesso era teso tra il petto e l’omero.

 

_________

 

 

“Nemico?”

 

“Pirecrate ascoltami: Pherio *non* è quello che sembra.

 

Pirecrate strinse i denti, dandogli le spalle, calciando l’acqua della marea che avanzava.

 

“Polinice, ascoltami tu. Fa un favore ad entrambi: lascimi stare. Pherio è il mio… Ilota, e so io cosa devo farci con lui.

 

Forse se lo sottolineava abbastanza, Polinice li avrebbe lasciati in pace: egli se ne sarebbe tornato alla locanda e lui sarebbe tornato da Pherio. Conclusione perfetta.

 

“Ti condurrà alla rovina quella puttana!”

 

Pirecrate sentì i capelli rizzarglisi dietro al collo e sputò per terra, mettedo il muso sotto quello di Polinice, i denti digrignati. L’uomo non si scompose e lo richiamò quando fece per allontanarsi da lui. Il Dimano non si fermò, continuò a procedere a lunghi passi che sollevavano sbuffi di sabbia, incurante di quella che gli entrava nei sandali e lo feriva. Sulle mani aveva l’odore delle rose, e l’unica cosa che voleva era tornare sul ponte, da Pherio.

 

Lo Spartiate più grande non mollò la presa.

 

“Ti basti un nome: Leandro!”

 

Il giovane rallentò d’istinto la propria corsa, catturato al suono di quelle lettere, dal ricordo dell’unico uomo che gli era stato accanto quando aveva dovuto affrontare Kakeo per difendere la spada dei Dimani.

 

Cosa c’entra ora Leandro?”

 

Lo sguardo di polinice fu veleno.

 

“Morì poco dopo averti aiutato, si sa che fu ucciso da un mercenario di Kakeo!”

 

E tu cosa vorresti saperne, più di questo?”

 

Nella voce c’era tensione, e disprezzo.

 

“Indovina un po’, mio caro e ingenuo Dimano? Chi poteva entrare nella dimora d’un Ileo così influente e avvelenare la sua acqua? Chi era abbastanza agile e astuto da farlo?”

 

I piedi si fermarono, e lo Spartiate gli si mise innanzi, prendendolo per le spalle con le mani ruvide, cercando di spaccargli lo scudo di forza e purezza che teneva sotto le palpebre con quei suoi occhi brucianti.

 

“Chi, Polinice?”

 

“Non ci arrivi davvero o vuoi semplicemente negarlo? Stiamo parlando di Pherio! Era l’assassino di Kakeo, è stato cresciuto per esserlo e al mese doveva morire, ammazzato prima di divenire una spina nel fianco! – nel fervore delle parole, Polinice disse anche quel che doveva essere segreto: quel che proprio a lui era stato ordinato. Levare la vita a chi, oramai, sapeva più di tutti gli altri ed era cresciuto troppo intelligente al fianco di chi reggav i giochi della loro polis. – Ha ucciso chi ti ha salvato. Non è abbastanza per condannarlo?”

 

Pirecrate lo fissò, con occhi lucidi, pieni di sentimenti che l’uomo non avrebbe mai potuto provare, neppure nell’intero arco della sua vita, lucenti di nobiltà. E affetto.

 

E sicurezza.

 

Una certezza così salda e incrollabile che non poteva dirsi. Che gli era dentro, e che ora gli faceva da scudo al cuore, all’anima, e con esso si sentiva più forte, invincibile.

 

Polinice era solo.. ridicolo.

 

Pirecrate scoppiò a ridere, prima pacatamente, poi senza più riuscire a trattenersi. Condannare? Chi poteva essere così esente da colpe da voler punire la colpa di Pherio? Se mai di colpe s’era macchiato, il Panfilo era .. non trovò parole adatte nel riso che tagliava il fiato. Che ne poteva sapere Polinice?!

 

Si tolse le mani dell’uomo dalle spalle e diede loro una pacca, riprendendo a camminare verso la nave, la splendida povera reggia che emanava un bagliore invisibile a qualunque sguardo che non fosse il suo: perché su quelle assi c’era il suo compagno ad aspettarlo.

 

Polinice placò il suo stupore, socchiudendo gli occhi, poi di nuovo urlò.

 

“Un’ultima cosa: chiedigli se ciò che ti dissi è verità o menzogna! Chiediglielo guardandolo negli occhi sotto la luce del giorno e vedrai tu tesso se non ho ragione ad accusarlo! Se ti dice che io ti inganno, allora guardalo bene, perché avrai di fronte l’immagine della menzogna!”

 

Pirecrate si fermò, piantandosi con forza sulle gambe, poi lentamente si voltò. Polinice sorrise di vittoria.

 

“La prossima volta che urlerai di nuovo menzogne simili, Polinice..”

 

Ma Polinice non ascoltò, chinò un poco il capo, avvicinandoglisi.

 

“Non sai per cosa è stato condannato Kakeo, vero? - sorrise, sussurrando - E forse non lo sa neppure il tuo giovane, allettante Ilota.”

 

“Tradimento! - ringhiò Pirecrate - Lo dicono tutti, non fare il misterioso con me che ho orecchie per udire i discorsi degli altri compagni!”

 

“Tradimento. - rise di nuovo, sottile, sinistro. - Tutti ne parlano, vero, ma temo che tu non abbia compreso. Tradimento ma non solo contro la città. Contro gli *dei*, Pirecrate..

 

L’aria si ghiacciò per un istante. Pirecrate corrugò la fronte, stupito e incredulo, non capendo a cosa si stesse riferendo Polinice, attento alla menzogna, non certo che egli potesse dire il vero, ma insieme curioso e lievemente terrorizzato.

 

“Se devi dirmi qualcosa dimmelo e non giocare con le parole!”

 

Polinice sorrise, allontanandosi, ora, d’un passo, come a lasciare Pirecrate libero di ritornare alla sua meta, sulla nave, e compiere ciò che doveva.. senza neppure sapere che stava obbedendo a un ordine sottile.

 

“Incesto.” Disse sibilando. Poi voltò le spalle a Pirecrate, e s’allontanò rapido nella notte.

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