NOTE: i pg sono nostri e li amiamo tantissimo!

Di odio e di Amore

parte XXIV

di Dhely e Kalahari




"Oh ma guarda un po'!"

Esclamò la fanciulla spalancando coi piedi e i fianchi le tende dell'ambiente in cui erano ospitati, tenendo le più svariate cianfrusaglie tra le
braccia e un sottile pennello tra le labbra perché in mezzo alle altre cose,
no, non era proprio voluto entrare. Cercando di non farlo cadere aveva
parlato, ed ora osservava i due fulgenti Spartani tutti inondati dalle
fresche acque che le giare di coccio avevano raccolto.

Fino a che fu giunta loro innanzi camminò, e tra i tappeti morbidi e una
sabbia ancora più soffice pose i piedi privi di calzari. Pherio li osservò
dall'alto in basso. Lei sorrise di un qualcosa che pareva evidente a lei
unicamente e poggiò in terra il cesto intrecciato di vimini che profumava
come un cespuglio in fiore.

"Mi chiamo Deodora e non sono serva di nessuno. Son qui tuttavia per
servirvi e darvi una.. ripulita. E, ora che posso vedervi bene coi miei
occhi, posso ben comprendere come siate potuti sopravvivere tanto!" disse,
ponendo una mano innanzi alle labbra rosate in un gesto di malizioso
imbarazzo.

Pirecrate preferì soprassedere, impegnandosi nell'osservare gli strani e
deliziosi oggetti che conteneva la cesta.

"Sono pietre?"

"No Pirecrate: sono saponette."

"Mai vista una, Panfilo-che-non-deve-usare-quel-tono. Si mangiano?"

Deodora esplose in una risata fragorosa e sogghignante, femminile, e lo
stesso Pherio, nella tonalità austera della gola, non riuscì a trattenere
in cuore dei singulti gentili: il brio nel petto frizzava e sembrava stargli
spaccando l'animo con la sua dolcezza. Pirecrate. 

"Servono per lavarsi, e profumare, Pirecrate."

"E' più che sufficiente l'acqua per lavarsi, e l'olio!"

"Hai qualcosa da ridire contro le mie saponette?! Io sono la vostra
improfumatrice! Dionide ha domandato di una volontaria al sacrificio e bhè
mi sono proposta!! Quali sono i vostri nomi?"

Domandò come se veramente *non* li sapesse i loro nomi, quando essi erano
volati con un'indiscrezione fulminea tra le labbra di tutte le ragazze in
Firuzeh.

'Ma li hai visti tu?'

'No, no!, mi sono sfuggiti!'

'Come erano belli...!!'

'Più belli di Dionide?'

'Bellissimi!'

'Più bello del nostro gran signore Dionide non c'è nessuno, Meieh!'

'Ti assicuro che se li vedi non potrai non convenire'


"Ma non fa male alla pelle questa roba?"

Deodora scosse il capo e la pesante treccia che era tenuta in alto alla nuca
seguì i suoi movimenti.

"No moretto, fa benissimo, e si dà il caso che le abbia preparata io stessa
con le essenze dei fiori della nostra oasi. Sono la specialista dell'erbario
profumato qui! Modestamente discendo da una famiglia di specialiste eccetera
eccetera. Ma non mi pare il caso di annoiarvi. I vostri nomi, allora?"

"Pirecrate" 

Pherio sospirò fra i denti.

"Pherio dei Panfili."

Lei assottigliò gli occhi, ponendosi un dito sulla guancia e poi prendendo a
indicarlo con un tono da sorella maggiore molto arrabbiata.

"Che vuoi che gliene freghi alla gente di che famiglia sei: qui perlomeno
non hai importanza. E poi il tuo nome è così bello e sta bene da solo! Ti si
addice anche: mai vista una persona così chiara. Pari l'immagine di un
semidìo"

"Deodora non è bello appellare semidìo un uomo, ne' chiamarlo col suo nome
se lo fosse veramente: i semidei hanno la sfortuna d'aver una vita lunga e
martoriata oppure breve, troncata dall'atroce morte -rimproverò un'altra
ragazza che fece ingresso con delle spugne alla vista morbide e spumose- Se
mia sorella è stata inopportuna, graditi ospiti, perdonatela. Il mio nome è
Partenopea."

"Nessun disturbo, né offesa. - rispose Pherio, a queste parole aggiungendo
un gesto pacato della mano. Pirecrate gli lanciò uno sguardo come volendogli
sospirare nella mente una domanda che assolutamente non riusciva a
trattenere ma che forse aveva pudore a formulare. Il Panfilo si aggrottò per
un attimo, e non appena comprese sorrise- Né vogliamo impedirvi ciò per cui
siete venute qui. Ma il mio amico è in imbarazzo perché non ha mai visto una
donna se non di lontano."

Pirecrate sussultò con una luce irata negli occhi, ma l'imbarazzo fu più
forte e gli fece spostare lo sguardo, fissandolo in un punto dove pendevano
lacci variopinti dagli assi portanti.

Partenopea inclinò appena il capo, e i grandi orecchini a forma di disco
dorato, assicurati ai lobi delle orecchie, lo seguirono. Dagli occhi
raggianti come il sole dell'alba venne una semplice comprensione, scevra di
qualunque ombra di giudizio.

"Non haaaaaai mai visto una donna?? Tesoro rimedio io!"

"Deodora!!"

"Ma, sorella, io scherzavo solamente: lo sai che son profondamente devota al
nostro grande capo. Ahhh Dionide!"

Partenopea osservò la sorella volare col cervello in chissà che fantasia, e
sospirò, levando gli occhi al cielo. Pirecrate aveva un delizioso rossore
tutto sparso sulle guance alte e magre, mentre Pherio ridacchiava, presosi
la sua innocente vendetta. Vendetta di cosa poi?

Di quel calore. Ma ne era troppo grato perché la stizza che gli animava un
sottile furore potesse andare oltre al gioco. Simile a un fanciullo era
dunque diventato? Ritornato? No, ritornato no. O forse lo era stato, chissà
quando, e non lo voleva ricordare, e non lo poteva ricordare. Sapeva solo
ora, che Pirecrate era come un fusto splendente di giovane quercia ventenne;
che arrossiva per quella che a lui pareva una sciocchezza: di fanciulle, e
pure nude, ne aveva viste. 

Era cresciuto in un tempio di donne e da un bimbo le novizie facevano a gara
per chi lo coccolasse di più, tutte a circondarlo tenendogli le guance
rotonde e bianche mentre lui rimaneva fermo ad osservarle, e passavano ore a
lavarlo e profumarlo e a pettinargli i capelli. In questo modo lui, quante
volte!, s'era ritrovato con le chiome intrecciate simili a quelle d'un
cavallino accudito da bambine sorridenti ed allegre. Anche cresciuto avevano
continuato, tanto abituate erano ad avere quella creatura d'oro e azzurro
fra i piedi, che somigliava poi così poco a uno di quegli uomini che
vivevano e combattevano, rudi, scuri, mori, sudati, rossi di sangue e stoffe
e polvere, giù in città. 

Così bello, dicevano, era vederlo danzare e cantare durante le celebrazioni
sempre gradite agli dei. Perché le faceva lui, affermavano sorridendogli
come tante sorelle.

A Delphi, poi, seppur rare, di donne ne aveva viste. Pizia a parte: né donna
né divina luce era ella. Una prigioniera.

Scansò l'immagine, assai infastiditone, negli occhi quelli innominabili di. 


"La madre nostra, sorella, sarebbe molto contrariata di questo tuo
atteggiamento. Avanti: dobbiamo far belli questi spartani."

"Anche se più belli di così. . -prese una saponetta tra le mani e fissò
Pirecrate come in una minaccia; ogni passo che fece la fanciulla uno del
Dimano lo seguiva- Vieni qui!"

Presero a rincorrersi in tondo scavalcando i cuscini e i tappeti, mentre
Partenopea, prendendo tra dita sottili il copricapo violetto, appena
poggiato sui capelli, lo sfilò, lasciandolo ricadere su una sedia. Sollevò
tra le mani un'urnetta che conteneva uno scintillante olio ramato e ne
lasciò cadere qualche goccia in uno dei vasi rimasti pieni. In quell'acqua
aromatizzata immerse una spugna, senza lasciare lo sguardo di Pherio per un
attimo. Lo Spartano si scoprì incantato da quelle movenze che sapevano di
vergine vestale, i tratti forti eppur determinati, le spalle larghe ma
aggraziate, la vita stretta, le mani precise e veloci.

"Voltatevi." sussurrò e sorrise.


______



Pirecrate si rimirò di nuovo nello specchio e di nuovo rise muovendo il capo
prima piegandolo verso destra, poi sinistra. Pherio si limitò a fissarlo un
po' stupito da sopra una spalla: che strano suono proveniva dal Dimano! Non
aveva mai riso così, come se qualcosa di bello gli stesse sgorgando
direttamente dal cuore, come se i gravami che avessero tenuti in ceppi la
sua anima si fossero improvvisamente sciolti! Era un bel suono, però.
Piacevole, caldo, avvolgente, pareva riuscire a toccare i corpi, fisicamente
che gli stavano vicino e Pherio si ritrovò a sorridere a sua volta, quasi
obbligato a farlo.

"Uno spartano che si trucca gli occhi come una meretrice ateniese, questa sì
che è nuova e insolita!"

Sussurrò appena, ma il suo tono non era aspro di rimprovero, incredibilmente
era dolce: sembrava scherzare pure lui.

"Andiamo Panfilo! Rilassati! Non sta succedendo nulla di grave! -allargò
le braccia, ridendo di nuovo- Ma guarda che effetto strano fa agli occhi
questo. . come si chiama?"

"Kajal."

"Ecco, sì. Guarda! Sembra che abbia gli occhi più grandi!"

Pherio si voltò a guardarlo, seduto su una fitta torre di grossi cuscini,
con indosso un'espressione leggera dipinta su un volto non più teso,
rilassato quasi, più luminoso ancora di quello che era normalmente, anche se
dentro di sé, una parte che ricordava molto la voce di suo zio Kakeo lo
ammoniva a non abbandonarsi a certe frivolezze: erano altre le cose su cui
avrebbe dovuto posar la mente, che. .

"E' il suo compito, Pirecrate."

Il Dimano tacque fissando intensamente il volto di Pherio, quasi volesse
scolpirlo, ne studiò la forma, gli angoli, la pelle e i colori che su di lui
riverberavano; decidendosi che non andava bene posò due dita sotto il mento,
facendolo sollevare, lasciando che il collo si piegasse e poi scosse un poco
il capo.

"Hai fatto bene a non lasciartelo mettere, Pherio: i tuoi occhi son troppo
chiari e dannazione se li avessi sottolineati più di quel che già sono tutta
Firuzeh sarebbe caduta ai tuoi piedi nel giro d'un sospiro!"

Un sorriso che divenne di nuovo riso di fronte al rossore che violento gli
colorò le guance, e Pherio si lasciò mirare solo per un attimo, voltandosi
di scatto ed allontanandosi da lui levandosi in piedi. Ma Pirecrate non era
intenzionato a lasciarselo più sfuggire: aveva braccia quel Dimano che
avrebbero avvolto la ninfa più reticente al suo forte petto.

"Sciocco!"

"Ti piace insultarmi, eh, Panfilo! Ma non prenderci troppo gusto - stretto
lo tenne come se fosse stato una statua che non si muoveva, sebbene sentiva
il cuore battergli nel costato come impazzito e il respiro veloce passare le
narici- Lo sai che ho poca pazienza."

Non ebbe nulla in risposta, se non uno sbuffare asciutto e di nuovo un
movimento secco del capo biondo, ma stavolta non diretto a lui: stoffe
sgargianti simili a veli, leggeri come ali di farfalla ed altrettanto
delicati e belli, erano ammucchiati sui loro letti, e Pherio, scioltosi dall'abbraccio morbido, sollevò un drappo con due dita.

"Se Astre crede che questi siano abiti che io possa indossare. ."

"Perché non mi presti attenzione quando ti parlo, Pherio?"

"Perché dici solo cose non degne di essere prese in considerazione,
Pirecrate."

Un sospiro seccato, come un adulto troppo serio che si rivolgesse a un
fanciullo importuno.

Pirecrate guardò il mucchio di stoffe, ne svolse alcune, lasciandone cadere
molte, ignorandone altre, mischiandole e stropicciandole tutte finché non
ebbe trovato ciò che cercava.

"Questa! - disse, e ne pose una falda sulla spalla nuda di Pherio. La stoffa
era blu, ma pareva il blu screziato della notte che ha appena assistito al
suicidio del sole sul mare, un colore non cupo, no, ma brillante, e venato d
oro rosso, di carminio e violetto e indaco e allo stesso tempo un colore non
trasparente, ma denso, che trasmetteva calma, e pace, e una bellezza
aristocratica da ammirare e contemplare fino a che gli occhi non fossero
stati troppo stanchi per sorreggere ancora le palpebre- Questa è perfetta
per te! S'intona ai tuoi occhi."

Pherio ringhiò di rabbia, scostandosi di colpo da quel contatto che
stranamente ardeva, ardeva senza esserci calore: come ghiaccio era, cocente,
e fumi densi che potevano ottenebrargli la mente se lui avesse ceduto solo d
un palmo.

"Si può sapere che t'è capitato, Dimano? Sotto che stupido incantesimo sei
caduto per comportarti in questo modo assurdo?! Non indosserò mai una di
queste cose, mai!"

"E perché?"

"Perché sono Spartiato, e ho la mia tunica che indica la mia appartenenza
alla città, e ho il mio onore! E non indosserò *mai*. ."

"Sì, sì, -Pirecrate rise- il tuo onore è davvero molto sensibile se può
venir infastidito dagli abiti che il tuo corpo indossa!"

Poi ritornò serio, facendo ondeggiare la mano a piegar sinuosa la veste in
onde sovrapposte. Abbassò un po' il capo non per timidezza ma per non,
parlandogli con gli occhi puntati negli occhi, permettere che Pherio lo
considerasse pronto ad attaccare. Perché in Pirecrate non c'era nessun
desiderio d'aggredire, no: una strana solerzia, preoccupazione che non
avrebbe dovuto avere, idee che non sapeva neppure si potessero possedere. .
e Pherio che profumava ancora, nonostante il bagno e gli oli e i massaggi,
di quella strana pianta sotto cui aveva riposato ore accanto all'acqua dolce
di Firuzeh.

"E poi la tua schiena piagata stasera non sopporterebbe il peso della nostra
tunica ruvida. E sarebbe assurdo che tu ti caricassi d'un dolore lancinante
quando puoi alleviarlo indossando qualcosa di più leggero. Questa stoffa è
liscia, non dovrebbe graffiarti, senti?"

Tese l'involto di stoffa, ripresola, e osservò la mano stranamente esitante
di Pherio carezzarne la superficie, stupito, quasi. No, non era stupore,
Pirecrate si riprese, ché Pherio, vista la sua educazione, doveva aver già
veduto e toccato stoffe simili che probabilmente mai erano entrate in Sparta
La sua era più una sorta di incredulità, ma più profonda, frutto di corde
nascoste che venivano sfiorate in modi inusuali.

Pirecrate sorrise allungando lentamente l'altra mano e, preso Pherio per un
polso, lo obbligò ad affondare il palmo nella stoffa, a sentire
concretamente la consistenza di quella seta preziosa tra le dita. La carezza
che quell'oggetto dava erano mille e impalpabili fremiti che correvano giù
lungo la schiena, languidi e inimmaginabili. Chissà cosa si provava ad
averne le spalle coperte? E il petto? L'attaccatura morbida del collo? E
sentirla solleticare i fianchi e l'addome? Scivolare sulle anche? Che
carezza d'amante poteva paragonarsi a quella?

Una volta, una soltanto, Pherio strattonò e poiché non riuscì a liberarsi da
quella stretta, se ne stette allora quieto in una maniera incredibile, cogli
occhi fissati sulla mano propria e quella di Pirecrate, sagomate dai veli
sottili: una delle due rinunciò alla presa gentile sul polso e prese a
muoversi piano. Accarezzando pelle ancora più soffice ed elettrizzante della
seta, più chiara di qualsiasi marmo, seguendo le linee di tendini tesi in un
intreccio di movimenti carezzevoli, languidi, simili alla luce del sole che
sta per esplodere all'orizzonte. Un sole cui nessuno può dare ordini, che
nessuno può tener rinchiuso nei reami argentati. 

Le loro dita si incontrarono e incrociarono, dopo essersi a lungo cercate e
pellegrinato sui palmi irruviditi dal fendere spada e giavellotto.

Era solo un gioco. Pherio sentì un brivido gelido trapassargli le viscere ma
da lì non riusciva a fuggire, anche se ogni parte ragionevole di lui gli
stava ordinando di farlo.

"Porterai i capelli sciolti, stasera?"

Un sussurro dalle labbra di Pirecrate, Pherio annuì stancamente, conscio
ormai di star per perdere la battaglia. Il fatto di non saper contro chi
combatteva, o perché, era forse la cosa che più lo spaventava. Le mani del
Dimano lasciarono cadere la stoffa sul pavimento e, dopo aver con deliziosa
lentezza sfiorato il collo chiaro, tirarono indietro tra i capelli sciolti e
lucidi quelli che riposavano sulle spalle.

"Sì - il tono era lontano, efficiente, come se stesse rispondendo a uno dei
suoi maestri sul modo di schierare le truppe in battaglia, o sul modo
migliore di dividere i rifornimenti - La treccia è troppo pesante sulle
spalle, mi infastidisce."

Pherio sentì Pirecrate sorridere.

"Ne sono felice. - gli sussurrò ad un orecchio, il fiato caldo lo fece
tremare, però da lui non si scostò, limitandosi appena a volgere il capo
altrove. Le dita forti di Pirecrate percorsero un paio di volte la massa
pesante di quei capelli d'oro e sorrise di nuovo- Per gli dei!, sono
bellissimi. . Non immaginavo neppure dei capelli potessero essere tanto
morbidi. Mi piace vederli sciolti, sai?"

Pherio chiuse con forza le palpebre trattenendo in un respiro una rigidità
pesante nelle membra.

"Pirecrate."

Lo sentì ridere sottovoce, di nuovo e di nuovo la sua mano muoversi lenta
fra i capelli, una carezza estenuante, dolcissima, in grado di strappargli
il cuore dal petto. Pherio avrebbe voluto piangere senza ritegno, ora,
dilaniato com'era da due forze senza nome che lo stavano facendo a pezzi. Il
dolore era forte, insopportabile, come una bestia che affondasse le zanne
nelle carni ancora vive e il gelo, le lame sottili e ghiacciate che gli
trapassavano la mente, gli occhi. . neppure riusciva a respirare.

Pirecrate si avvolse i capelli della nuca fra le dita, tirando a sé il corpo
chiaro, il caldo respiro ora solleticandogli le labbra immobili e, con una
mano, gli sfiorò lieve la pelle tenera del braccio, abbandonato, come l
altro, immoto e sorrise nel sentirlo gemere, tremando appena simile a una
foglia sferzata.

"Baciami, Pherio."

"No. . non. ."

La voce s'incastrò: Pherio non riuscì a cavare dalla gola che quel sussurro
strozzato che, se diceva 'no', urlava un 'sì' così chiaro che nessuno
avrebbe potuto non intenderlo. E tremava. Il suo corpo come preda di lievi
convulsioni tremava senza posa tra le braccia di Pirecrate.

"Non vuoi che ti baci, Pherio?"

"Non. . non posso. ."

Pirecrate strinse appena la presa sui capelli del Panfilo, sapeva che presto
sarebbe fuggito, c'era troppa tensione accumulata in quelle membra, troppo
desiderio, troppo. . troppo dolore. E presto, troppo presto si sarebbe
scollato e avrebbe fatto di tutto per liberarsi dall'abbraccio. Ma Pirecrate
non voleva, lo voleva lì, voleva accarezzare quei capelli, saggiare quella
pelle, lambire quei muscoli coi palmi aperti, e piegarlo, delicatamente
tenderlo, aprendogli le cosce, pazzo dall'eccitazione e dall'aspettativa di
conoscere quanto quella pelle morbida avrebbe potuto essere liscia e setosa
in quel luogo ove essa era pura, mai toccata da altri.

"Non puoi, ma vuoi?"

Pherio di colpo spalancò gli occhi, gemendo dal dolore, un dolore non fisico
ma qualcosa che aveva dentro. Un dolore.. no, un bisogno. Un bisogno
estremo, assoluto, vitale.

'Toccami! Toccami!' urlava senza voce ogni minima parte del suo corpo, e la
sua anima insieme. 'No! No!' gemeva in un angolo la sua mente sconvolta.

E il suo corpo freddo come una statua ora si scioglieva come ghiaccio al
sole, ora ardeva come se fosse stato esposto al cuore di una fornace, e
quelle carezze quel tocco che mai era venuto ora era un bisogno, un
disperato bisogno, una necessità assoluta. E il suo cuore stillava gocce di
sangue, e si torceva e tremava disperato in petto, urlando, battendo contro
il costato, impazzito, come se volesse schizzargli fuori dal torace: un
animale, un animale che aveva mendicato per anni carezze, affetto, calore e
per anni aveva cancellato il bisogno, il desiderio, per anni aveva non udito
il richiamo di ciò che aveva dentro per divenire ciò che gli altri avevano
deciso dovesse. Le catene del dovere ora s'infransero al suolo, strappate da
un calore assurdo, in un clangore estremo, e Pherio piangeva e nessuno se ne
accorse perché i suoi singhiozzi dal rumore dei ceppi che s'infrangono
furono coperti, e nascosti di nuovo al mondo.

Ma non importava.

Pirecrate, ardente, si chinò delicato su di lui a baciargli via le lacrime,
una piccola scia di lievi tocchi sulle guance, sugli occhi, poi una mano, di
nuovo sollevata a sfiorargli il viso, il contorno del mento, e tornò un
sorriso.

"Dimmi, Pherio, vuoi?"

La carezza, quel lieve toccare la pelle con la pelle, un movimento lento,
gentile, così simili agli schiaffi, ma così diverso in ciò che suscitava!
Così. . un singhiozzo rotolò fuori dalla sue labbra poi un sussurro.

"Voglio."

Il bacio tornò ospite sulle sue labbra, un pellegrino che per troppo aveva
errato, questa volta affamato e affannoso, tremante, inesperto come le sue
mani che correvano sulla schiena ampia di Pirecrate, nuda, tornita. La
lingua penetrò a giocare con la lingua e un gemito gli sfuggì a sentire i
denti bianchi dell'altro succhiare, e le mani, evitando delicatamente la
schiena sofferente, calargli rapaci sui glutei, per stringerlo con forza a
sé, artigliandoglieli e saggiandoglieli, obbligandolo a cingergli la vita
con una gamba mentre si premeva pesantemente a lui, strusciando contro quel
corpo che non solo alla vista, ma pure al tatto non pareva mostrare una pur
minima imperfezione, o macchia.

Pherio gemette di nuovo, quando assecondò il movimento di Pirecrate che lo
spinse lievemente indietro, sciogliendosi dall'abbraccio, ma rimase senza
parole quando percepì l'altro di nuovo avventarsi su di lui, il suo collo
quella volta, e poi le spalle, il petto, piccoli morsi leggeri, la lingua
che balenava fuori dai denti, leccando piano il gusto dello spartano,
assaporandone il profumo della pelle, e la sua consistenza morbida.

Quello era un guerriero, dovette ricordarsi Pirecrate: ma faceva fatica a
farlo, perché la sua pelle era morbida e tesa, e anche se sotto di essa i
muscoli tonici e gonfi erano ben modellati, la sua consistenza rimaneva
quella delicata di un danzatore. Che sfumatura avrebbe mai assunto la sua
pelle se, al posto degli allenamenti quotidiani sotto il sole di Sparta,
fosse stato davvero fin da fanciullo destinato al tempio? O a una casa di
piacere?! Perché ora che lo sentiva gemere quasi vergognoso, ma morbido e
abbandonato fra le braccia, Pirecrate non riusciva a non immaginarselo
agghindato come una cortigiana? E sarebbe stato di certo il più bello di
tutto il serraglio. . Intelligente e meraviglioso, acuto. E irresistibile.
Oh quanto facilmente gli uomini sarebbero impazziti per lui e si sarebbero
conteti una notte, e lui che poi alla fine avrebbe scelto il proprio amante
per quella notte. .

Per questo il Re di Persia lo bramava? Ma se egli fosse stato re, non
avrebbe forse desiderato per sé una simile meraviglia, incastonato nella
propria corona?

Egli però non era re, eppure s'era scoperto a bramarlo comunque, e comunque
quel gioiello sarebbe stato suo, sarebbe stato legato a lui, anche se
Pirecrate non aveva corone su cui incastonarlo, o serragli in cui
rinchiuderlo per mostrarlo al mondo.

La pelle di Pherio, ora, era tiepida, e, per quanto bianca e simile al marmo
era carne sotto le dita, e Pirecrate sorrise nel sentirlo di nuovo gemere,
ondeggiando sotto il suoi assalti. Strinse i denti intorno a un capezzolo
duro e succhiò fino a che non sentì l'altro così sconvolto da aver le
ginocchia che tremavano e il fiato corto, obbligato ad appoggiare il proprio
peso al corpo flesso di Pirecrate, le spalle curve, le mani che si
rincorrevano sull'addome, accarezzando e pizzicando piano.

Pherio affondò le dita con violenza nei capelli scuri di Pirecrate,
strappandoselo dal petto e portandoselo alla bocca: un nuovo bacio, così
affamato che al Dimano parve quasi di stare per essere divorato. Ma a
Pirecrate il fuoco piaceva, ed era con il fuoco che avrebbe voluto che
Pherio si sciogliesse finalmente degli impedimenti che chissà perché si era
imposto. E anche scottasse, perchè no? Un corpo così bello non poteva essere
intoccabile! Un desiderio così forte non poteva rimanere non esaudito!

Gli sciolse di fretta la tunica che aveva allacciata in vita, gettandola di
lato, e fece lo stesso con la propria. Gli passò le mani sui fianchi, una
carezza lenta che lo fece contorcersi appena, e tremare ancora, poi gli
scivolò di nuovo con la lingua e le labbra sul petto, per calare sull'addome
l'ombelico, i muscoli duri e tesi, mentre il fiato di Pherio diventava
sempre più rapido. Seguì lentamente la curva dell'anca, scrollandosi dai
capelli la mano di Pherio che stava per spingerlo via, l'obbligò a
dischiudere appena le gambe, avvolgendogli le braccia intorno alla vita,
tormentandolo con baci e tocchi sempre lievi ma insistenti, sfiorando la sua
pelle con la pelle della guancia, anche, torturandolo in tutti i modi che
sapeva, e anche in modi che aveva inventato per l'occasione.

Voleva che impazzisse, voleva che gemesse, voleva chiamasse il suo nome,
voleva. . voleva che fosse suo. Come se da una vita non avesse fatto altro
che combattere per possederlo in quel modo, ora Pirecrate si domandò se
poteva esserci qualcos'altro per loro due. Se il destino davvero avesse
potuto pensare a un mondo in cui loro due, così, non si fossero mai dovuti
conoscere.

E come due belve fameliche pronte a sbranarsi a vicenda, così Pirecrate
sorrise a Pherio che sorrideva timido, incrociando lo sguardo, e lo accolse
fra le braccia mentre si chinava su di lui, scivolando anch'egli sulle 
ginocchia.

"Pirecrate. . - sussurrò appena - io non. ."

"Sht."

Rispose il Dimano, non riuscendo a togliergli le mani di dosso, non potendo
staccarsi da lui. Affondò di nuovo le dita nei capelli d'oro mordendogli la
gola a fondo, finché non lo sentì gorgogliare qualcosa di indistinto,
sorrise obbligandolo a mettersi a cavalcioni su di lui, sistemandolo
paziente, quasi fosse stato una bambola, affogandolo di carezze e baci, le
sue mani ardenti che correvano veloci su quel corpo bianco dai lineamenti
stravolti da un piacere che l'aveva già sommerso e nel quale non riusciva
più a orizzontarsi. Com'era bello così abbandonato Pherio! Com'era bello e
impossibile e unico e. .


Urlò dal dolore, tra i denti, tirando indietro il capo, gli occhi azzurri
spalancati e il corpo teso, un arco argentato, sul volto un velo sofferente,
l'abbozzo di un rifiuto. Pirecrate imprigionò le labbra fra le sue in un
bacio dolce e lento mentre le sue mani si muovevano ancora su di lui,
rilassandolo, e dentro di lui, preparandolo piano a ciò che sarebbe venuto.

"Mi vuoi, Pherio?"

Lo vide stringere gli occhi prima di passargli un braccio a cingergli le
spalle con forza.

"Pirecrate. - un singhiozzo netto, unico, impossibile da confondere con
qualcos'altro. Poi come un sussurro, una preghiera spezzata. - Toccami. ."

I due corpi si sfiorarono per intero quando Pirecrate stendendosi sulla
schiena prese l'altro per i fianchi, obbligandolo a fare lo stesso,
strusciandosi lievi e ansanti come due gatti in calore. Lo sentì eccitato e
pronto, sudato e affannato, e il rossore che gli lucidava il viso era dolce
aspettativa e desiderio. Era stravolto e delizioso, desiderabile più di
quanto fosse mai stato. Gli fece sollevare le anche, obbligandolo puntarsi
sulle ginocchia, poi gli sfiorò di nuovo i capelli.

"Fidati, non voglio farti male."

Pherio non osò guardarlo negli occhi.

"Cosa. . che devo fare? Io. ."

Pirecrate sorrise baciandogli il viso.

"Rilassati. - lo sentì tendersi quando lo guidò, le mani sulle anche, bene
sopra di lui - E appoggiati bene sulle braccia."

I capelli di Pherio erano una cortina che li escludeva dal mondo. Aveva lui
gli occhi chiusi, con forza, e non poteva vedere che angolo di meraviglioso
paradiso aveva creato per Pirecrate con il suo stesso corpo: il cielo di
candida madreperla venata d'un rossore che sapeva di tramonto, una cascata d
oro che s'infrangeva su un pavimento scuro, una terra che non era il cielo,
aliena, appartenente a un altro essere, ma al cielo così affine che non
potevano che essere nati per unirsi.

Pirecrate lo spinse piano, penetrandolo lentamente, attento a ogni
singhiozzo, godendo di ogni spasmo, gioiendo di quella frizione che pareva
quella che poteva essere data da un guanto di velluto. Pherio singhiozzò
piano, sottovoce con il corpo squassato dal piacere mescolato al dolore in
una miscela intossicante e insieme inesplicabile. Attese di abituarsi a
quella strana intrusione e non si oppose, di nuovo, quando Pirecrate,
gemendo un orgasmo imminente, lo spinse a muoversi.

Il dolore divenne fuoco. Fu come se uno squarcio venisse colmato da lava
ardente, la bramosia divenne liquida e scintille davanti agli occhi gli
suonarono come campanelli d'argento nelle orecchie. La pelle sua bruciava, l
anima era in fiamme ma la pena in essa affogava e, affogando, il dolore
cangiò lentamente, non più lava che brucia e squarcia e morde, ma tepore, un
piacere ampio come onde dense di un mare profondo ed oscuro che montasse
dentro di lui, il balenio argenteo d'un gabbiano sull'orizzonte e la brezza
gentile e fresca sulle membra accaldate e sconvolte.

Pherio gemette, di nuovo, ma questa volta la sua voce aveva un timbro nuovo,
un tono che riecheggiava quello di Pirecrate sotto di lui, dentro di lui.
Dagli occhi chiusi sentiva scendere lacrime a sfiorargli le guance, proprio
come le mani che lo stavano, gentili, accarezzando.

E il piacere che era stato dolore, divenne insopportabile tanto quanto
insopportabile era stato il dolore prima. Pherio si mosse, di nuovo e di
nuovo, scuotendo il capo, ma non per domandare 'basta' ma per chiederne
ancora e ancora. Un piacere cangiante, denso e morbido, tiepido e dolce,
incredibile in cui affogare e dimenticare.

Piacere.

Credette di urlare ma non lo seppe di preciso, fu certo solamente di venir
travolto e riempito da un calore che mai aveva provato e l'eccitazione che
gli squassava le membra e gli bruciava il corpo gli esplose nello stomaco.
Udì però distintamente l'ansimare roco di Pirecrate greve di piacere.

E fra le sue braccia crollò.

_____


Astre si muoveva con eleganza sottile sui tappeti morbidi che cedevano al
suo passaggio come ninfee al posar del piede d'una ninfa sfuggente. E se il
suo atteggiamento era quello morbido e rilassato di un re nel luogo più
sicuro e protetto del suo regno, se i suoi abiti erano teli fluttuanti e
colorati che danzavano appena nell'aria fresca d'ombra densa, e i
campanellini, gioielli d'incredibile fattura, gli danzavano attorno alle
caviglie e ai polsi sottili braccialetti catturavano scintille di luce, il
suo sguardo però era teso, lievemente corrucciato.

"Non t'avrei mai importunato, mio re, per una cosa di poco conto! Ti prego
perchè io non posseggo la conoscenza per rimediare a questo."

"Non temere Dionide. Ti conosco meglio di quanto tu credi, e so, in tutta
sincerità, che non m'avresti mai parlato d'uno schiavo se esso non fosse
stato importante per te - un dolce, caldo sorriso e uno sguardo malizioso a
sfuggirgli dalle dense ciglia - E conosco anche bene la tua assoluta
mancanza di remore nei confronti di qualcuno che non sia del tuo livello
sociale. Hai il cuore tenero, amico mio!"

Dionide sorrise, anche se il suo sguardo era reso cupo e pesante da un
dolore preoccupato che raramente Astre aveva intuito in quell'uomo forte e
positivo.

"Ma mai ho amato qualcuno che non fosse degno d'amore, Astre - sussurrò
affranto - E lui, mio re, s'è preso una parte speciale del mio cuore."

Astre si fermò, attendendo che Dionide tirasse indietro le tende pesanti,
porte sul fondo di quel corridoio, porte che custodivano il cuore dell'accampamento: il luogo più nascosto delle stanze private del signore di
Firuzeh. Pochi erano quelli a conoscenza di un tempio simile, fatto di
stoffe e pali sotto il cielo aperto del deserto, e ancora meno erano coloro
che vi avevano posato gli occhi sopra. Ma Astre in quel luogo era stato
consacrato agli studi arcani i cui segreti doveva padroneggiare in quanto
erede al trono di Persia; in quel luogo il padre di Dionide gli aveva
imposto le mani sul capo e poi l'aveva preso per mano, portandolo fuori, all'aperto, nell'ampia e tersa notte del deserto, mostrandogli le stelle e
spiegandogli i misteri del loro vagare nella volta celeste; in quel luogo
innumerevoli volte lui e Dionide avevano trovato riparo da impegni troppo
pressanti e noiosi per la loro giovane età e vi avevano consumato il 
concretizzarsi delle prime passioni che aveva sconvolto le membra di
entrambi.

Tra le braccia l'uno dell'altro in quell'angolo profumato e ovattato di
mondo avevano giaciuto, tra sospiri e ansimi, tra risate roche e gemiti di
piacere, come se ogni istante potesse essere l'ultimo, come se ogni gesto, o
sensazione fosse nuova, inesplorate e irripetibile. Astre ricordava bene, e
ricordava tutto, e sapeva che pure Dionide ricordava. Era il primo legame
che s'era creato, per poi mutare innumerevoli volte, per divenire sempre
diverso ma sempre più saldo, fino a mutarsi in ciò che era ora: qualcosa di
così saldo che neppure il più atroce dei tradimenti avrebbe potuto spezzare,
così flessibile che non poteva dirsi 'legame' ma forza, vicinanza, sintonia.

Astre sfiorò appena il braccio scuro di Dionide con un sorriso dolce, dopo
aver osservato per un attimo la figura china in un angolo, seduta e
raggomitolata come fosse un mucchietto di stracci.

"Are'heia, tuo fratello, è cresciuto molto!"

"E' da molto che non vi incontrate più, - disse Dionide, orgoglioso - E' un
nobile esponente della nostra famiglia, somiglia molto a nostro padre, forse
più di quanto gli somigli io stesso. Gli avevo detto di vegliarlo finché non
fossi tornato, avrei dovuto sapere che si sarebbe lasciato stremare dalla
fatica pur di concedersi una parte di meritato riposo."

"Testardo lo è di certo, come suo fratello maggiore, pare. Ma adesso
lasciamolo riposare, almeno lui. Fammi vedere questa persona che ti sta
tanto a cuore."

"Astre, - Dionide abbassò di nuovo il tono, così grave era ora la sua voce
che pareva il sussurrare sospirato del cuore della notte - Conosci le mie
abilità come guaritore, sai i miei poteri. Per lui ho fatto tutto, tutto ciò
che potevo, e anche alcune cose che mi erano proibite, ma non son riuscito
neppure a destarlo da questo sonno che non è un sonno!"

Astre gli posò due dita sulle labbra.

"Non farti prendere, ora, dallo sconforto. In due di sicuro riusciremo a
fare di più di quanto hai fatto tu solo."

Dionide chinò lievemente il capo a mostrare una figura immota che giaceva a
poca distanza da un braciere di rame schermato. La luce che vi si diffondeva
era chiara e perlacea, il volto del ragazzo pieno di ombre e teso, ma non
contratto. Non stava soffrendo, almeno.

Ma. . Astre aguzzò lo sguardo inginocchiandosi accanto a lui e il cuore gli
balzò in gola.

"Idrio! Per gli dei. . è Idrio! Cosa fa qui?"

Dionide aggrottò la fronte.

"Lo conosci Astre? Come fai? E' ateniese!"

Astre scosse di nuovo il capo, sfiorandogli delicatamente la fronte per poi
slacciare delicatamente la sciarpa che aveva annodata al collo.

"E' questo."

Dionide sospirò inginocchiandoglisi al fianco.

"Non so che tipo di. . arma possa aver fatto questo. E' una ferita che s'è
richiusa in tre giorni appena, senza che io facessi nulla a riguardo -
accettò lo sguardo stupito di Astre come dovuto - ma la cicatrice non
sparirà, e non riesco a svegliarlo. Non è il tocco di una creatura umana."

Astre dischiuse appena le labbra.

"E' il tocco sicuramente di una creatura potente. - sospirò mentre un'idea
gli attraversava la mente facendolo stranamente sorridere - Dionide,
raccontami tutto. Ogni cosa è successa, tutto ciò che hai fatto e anche
quello che non hai potuto. Poi vedrò cosa si può fare."

E continuava, Astre, a non riuscire a non pensare che dovesse proprio essere
un segno del destino, la presenza di Idrio lì. Idrio legato a Dionide, come
era stato legato a Pirecrate? Uno ulteriore era dunque il filo che legava
lui stesso allo spartano, un ulteriore freccia al suo arco, un ulteriore
segno che la strada percorsa era quella esatta: il suo destino stava per
compiersi.

Anche grazie all'intervento di Idrio.

_____


Pirecrate mosse il capo, e socchiudendo le palpebre fu colpito da un raggio
di sole bianco e puro. Eppure il disco da tempo s'era arrossato sopra l
orizzonte e silenziosamente, come immergendovisi, era stato accolto dalle
dune infuocate e iridescenti dell'orizzonte. Il vento era gentile, una
carezza pacata, e leggermente freddo. O forse la sua pelle era rimasta a tal
punto toccata dall'azzurrino fuoco che le membra di Pherio emanavano che
adesso tutto ciò che lo sfiorava era gelido e vuoto.

Sospirò, aprendo del tutto lo sguardo alla dolcezza che suscitava la visione
di Pherio addormentato così, avvolto da sottili stati di lino che come una
spirale l'avvolgevano, e i capelli tutti intorno al volto che, simili al
deserto in lontananza, s'erano accesi d'una luce ultraterrena.

Le labbra poi sembravano boccioli troppo fulgidi per non essere notati, e
colti. Sembrava un fiore, sì, ma non uno di quegli splendidi e semplici
fiori campestri che tanto spesso aveva visto, tra cui tanto spesso aveva
dormito, nei campi intorno alla sua terrosa città. Sì, terrosa era Sparta,
come se il sangue a furia di cadere fosse stato un sale esiziale per quella
terra. L'aveva soffocata. Dove invece meno calcavano i prati i sandali degli
Spartani, dove non vivevano i Meteci, ché lì tanto se ne spargeva ogni anno
per sedare con la violenza la violenza di rivolta, lì aveva visto margherite
incontabili sbocciare e riempire tutto il verde assieme alle primule, e c
erano campi sterminati dove crescevano i papaveri.

Ma le margherite nei suoi ricordi s'ingrigivano messe accanto a quella pelle
i papaveri impallidivano toccati da quelle labbra, e la distesa dei campi
gravidi di messi ondulanti perdeva di colpo ogni luce messa in confronto con
quei capelli. Di nuovo vi affondò le mani, ma con sua somma sorpresa Pherio
nel sonno si scansò a quella carezza, avvolgendosi più strettamente tra le
coperte, tirandole all'inverosimile intorno alle spalle, rannicchiando le
gambe.

"Pherio..?"

Gli si accostò, la pelle aderì alla pelle, i muscoli toccarono i muscoli, e
la sua bocca la portò accanto a quelle orecchie così profumate che, come le
conchiglie, nascondevano i segreti remoti dell'oceano. I tocchi delle sue
mani sembrarono far rabbrividire il ragazzo e, quando poggiò le labbra sul
morbido lobo, un singhiozzo uscì dalla gola.

"Pherio!"

La lingua modellò parole così flebili che si perdettero nell'aria innanzi
alle labbra. Ma un nome, un'invocazione la colse. E quella bastò a fargli
montare la furia. Ringhiò feroce, e il Panfilo si destò, guardandolo con
grandi occhi terrorizzati che quasi si sciolsero non appena lo riconobbero.

"Pi. . Pirecrate. ."

"Quando torniamo a Sparta, Panfilo, non ci saranno dei che mi distoglieranno
dall'ammazzare quel bastardo di tuo zio! Ha osato toccarti! Che ti ha
fatto??!"

Pherio si sollevò, lunghe scie dorate gli attraversavano la fronte ricadendo
tra le sopracciglia. Con un gesto del capo, piegato il collo, scivolarono
via.

"Mio zio. . non mi ha mai. . - e ciglia s'abbassarono, velando la cortina 
azzurra di quegli occhi profondi e attraversati da fiumi di dubbi e spine,
come se quello non fosse più stato Pherio, quel Pherio dei Panfili che a
Sparta, insensibile e rigido non chinava mai lo sguardo,non rifiutava mai
una sfida silente, non accettava mai che il rispetto assoluto che era
convinto di meritare. Pirecrate gli prese le spalle tra le mani, stringendo
e obbligandolo fissarlo negli occhi - Mi fai male, fai male Pirecrate!"
gridò con voce alta il Panfilo, scansandosi da quel tocco ardente e
sfiorandosi le spalle.

Faceva male, faceva troppo male. Ed era un grumo di dolore appeso al centro
del suo cuore, che pesava, pesava e risvegliava troppe cose, troppe
sensazioni che vivevano da sempre dentro di lui. Era come se fosse spezzato,
dentro, come se qualcosa si fosse infranto, e ci fossero ora mille e mille
frammenti del suo animo sparsi così lontani che lui non sarebbe mai più
riuscito a rimetterli insieme.

Aveva tradito.

"Pherio."

"Tu non puoi. . comprendere.. - parlare era pesante, pensare era pesante. 
Mettere in fila parole dietro a parole era quasi impossibile, ed esse
uscivano tentennanti e impacciate dalla gola secca e dolorante. Pirecrate. -
Erano gli sguardi, quegli sguardi: punte di freccia avvelenate erano. . 
Veleno! Erano veleno! E io non li volevo e io. . Avrei dato tutto, *tutto*,
per non doverli più avere sulla pelle! Sembravano. . entrarmi dentro. E poi.
. poi. . "

Il filo dei ricordi si spezzò, ed esplose allora nel pianto, spiazzando se 
stesso e l'altro nascondendosi il viso tra le mani, i capelli che coprivano
le dita come un sipario a chiudere via dallo sguardo uno spettacolo
vergognoso.

Da dietro sentì un respiro. Pirecrate s'era alzato in piedi e gli era andato
davanti. Gli prese i capelli e glieli tirò indietro, tentando di tenerli
dietro a un orecchio.

"Pherio, guardarmi."

Pherio allentò la presa dei palmi sul volto, sollevando appena lo sguardo su
quello di Pirecrate, in silente, impossibile obbedienza.

"Sento come se. . se stessi per impazzire."

Come sua madre, come quella donna che un tempo fu avvenente e bella e che
invece finì in un tempio, segregata, a cagione della violenza d'un barbaro.
Anche lui ora era avvenente e bello, o perlomeno era quello che gli diceva
Pirecrate. E un giorno sarebbe finito anche lui nella gelida ombra d'un
tabernacolo? Fuggente dalla luce del sole, lontano dalla vita, affogato in
una dimensione sospesa?

Si sentiva in trappola ora, quando minuti prima era stato trascinato da
Pirecrate in altezze che aveva sempre ignorato, che aveva disprezzato pur
non sapendone niente. Come poteva essersi tutto complicato a quella maniera?
Quando il filo della sua vita gli era improvvisamente scivolato via dalle
dita?

"Credi che ti permetterei di impazzire? - Pirecrate gli passò due dita
appena sulla fronte, una carezza lieve, vi scostò un paio di fili d'oro che
rischiavano di finirgli negli occhi, con una premura vibrante, e poi scese a
sfiorargli una guancia umida. Il suo tono s'abbassò, i suoi occhi si
velarono appena. - Di far la fine di tua. . madre? Non ho diritto di parlare
in questo modo di lei, lo so, perché di lei non conosco nulla a parte quel
che sospirava il vento funesto delle chiacchiere. Però so che è stata
rinchiusa in un Naos e lì lasciata. ."

"Morire."

Pherio chiuse gli occhi, amarissima la sua espressione. Pirecrate scosse il
capo con furia stringendo i pugni.

"Tu sei forte, tu sei un uomo, è differente! Anzi, almeno hai avuto la
fortuna di conoscerla!"

"Ahn! Già era morta, Pirecrate, quando ero abbastanza grande per avere
ricordi."

Pirecrate sospirò, guardandosi intorno pur attentissimo ai movimenti del
corpo e dell'animo di Pherio. Ne fuggiva lo sguardo perché. . perché era
difficile per lui ora dire quello che voleva dire: sentimenti che solo in 
quell'istante s'erano fatti pensieri e pensieri che tentavano di tradursi in
parole. Sospirò, a cercare un modo per far calare una pausa sui sentimenti
che si stavano gonfiando troppo dentro di entrambi, e dentro di lui,
soprattutto.

Spalancò appena gli occhi allungandosi verso uno dei barattoli d'olio
trasparenti, che le due donne avevano lasciato per curare Pherio, e vi
affondò le dita come nel miele, scostando il crine profumato del Panfilo per
passargli l'unguento sulla schiena.

"Fammi mettere questa roba sulla tua schiena, Panfilo: ti stai arrossando."

Pherio girò il corpo, lasciando nuda e bene in vista la schiena lunga e
tornita allo sguardo di Pirecrate, gli occhi semichiusi, in una posizione
esposta e. . vulnerabile. Un sospiro gli sfuggì leggero dalle labbra,
sperando che l'altro non se ne fosse accorto.

Cosa mai s'era aspettato di diverso? Cosa poteva *esserci* di diverso per
lui?

"Perdonami se con i miei discorsi ti ho annoiato."

I palmi del Dimano s'appoggiarono pesanti ed aperti sulla pelle e l
improvviso acuto dolore lo fece sussultare violentemente. Poteva sopportare
centinaia di frustate, ma preso alla sprovvista era sensibile tanto quanto
un qualsiasi altro uomo.

"Non dire stupidaggini! Forse pensi che non possa capirti, invece ti
comprendo."

"Di tua madre si diceva a Sparta che fosse giovane, e vigorosa. ."

"Non mi riferivo alle nostre madri."

Pherio aggrottò l'espressione del volto, d'improvviso colpito da un qualcosa
che non si era aspettato. Troppo preso a inseguire le sue angosce che aveva
faticato a lasciare senza nome e senza voci, non aveva ben prestato
attenzione alla direzione che il discorso dell'altro stava prendendo. E ora
si trovava impreparato e spaesato.

Intanto le dita forti di Pirecrate scioglievano le piaghe, le coprivano, le
lenivano in un tocco ben più fresco dell'acqua, e più gentile. La voce del
Dimano continuò, pacata e appena tremolante, senza lasciargli tempo di
pensare ad altro che non fosse quel contatto lieve e insieme deciso che
pareva potergli manipolare pure il cuore.

"L'ultima notte del mese di prova fui adescato in un boschetto e lì
violentato.. - buttò fuori in un unico fiato e sperando che mai nella sua
vita avrebbe dovuto ripeterlo - C'era un bel cielo
quella notte però. Ti ricordi, poi ci siamo incontrati. Io credevo fosse lui
che era tornato. ."

". . Pleto."

"Già. E, sai, dopo il Persiano mi aiutò."

"Astre? In che senso?"

Ingenuamente s'espresse e Pirecrate rise, abbracciandolo da dietro,
impiastricciandosi il petto con il profumato aroma che aveva sparso sulla
schiena chiara screziata di rosei rossori. Era bello ridere, ere bello
ridere anche delle cose orribili che erano capitate in passato, e si accorse
di poterlo fare proprio perché esse erano finite, morte. Dei cadaveri non
dovevano avere più il potere di tormentarlo.

"Panfilo! - un bacio su un orecchio, sensuale, morbido, e lui che tentò di
incontrare lo sguardo celeste dell'altro voltando il capo da una parte e
dall'altra- Basta rimuginare sul passato: se non sbaglio abbiamo un buon
banchetto innanzi a noi e, non so tu, io sono veramente affamato!"

Un sorriso elegante fiorì allora, muto, sulle labbra di Pherio.

"Bene allora perché non ti dai una mossa a finirmi la schiena?"

"Credi d'aver trovato il tuo servitore personale?" scherzò il Dimano, dando
un'ultima passata all'unguento.

"Non si sa mai. ."

Scivolò un piacevole silenzio. Pherio, d'improvviso colto da un altro
giramento di testa, ciondolò leggermente in avanti col busto e sentì
Pirecrate che, credendo fosse perché aveva troppo premuto, alleggeriva il
massaggio. Batté le palpebre; chiese al Dimano di passargli un po' d'acqua e
di sfuggita, colse lo sguardo profondo e felice delle iridi celesti
attorniate di nero kajal. Il trucco non s'era minimamente scomposto e
sembrava, se possibile era, ancora più lucente e bello.
______


Al di là dei rossi drappi ardevano fiaccole intense di luce armoniosa e lui
s'adagiò meglio il mantello di pura seta carminia sulle spalle, con lo
stesso gesto toccando la collana sottile di pietre preziose che, forate ed 
irregolari, erano state intrecciate abilmente da mani e occhi sottili.
Sorrise a Dionide, vedendolo bello più di sempre e con una luce contenta 
negli occhi. Erano entrambi stanchi, ma per Dionide era fonte di indicibile
sollievo l'apprestarsi veloce del risveglio dell'Ateniese, mentre per lui,
bhè. .

Un sorriso ancora più largo, e più sottilmente oscuro, gli si dipinse sulle
labbra.

"Ancora pochi mesi e sarai sul trono, Astre." affermò Dionide, a sua volta
mirando il proprio volto riflesso in uno specchio d'argento.

"Insieme a te, mio fidato amico e servitore fedele, la considero cosa già
fatta."

"Saran molte le insidie, lo sai."

"Mi han mai fermato le ragnatele?"

Risero entrambi, Astre porgendo il braccio a Dionide che, accostatoglisi, l
accolse sul proprio, simili a due generali che incrociano le spade prima
dello scoppio d'una battaglia.

"Possa sempre avere forti gambe per cavalcare ai vostri cenni, possa avere
io voce abbastanza alta da zittire i menzogneri, e una spada per tagliare le
lingue loro e degli insidiatori, possa io avere occhi abbastanza acuti da
vegliarvi sempre e un cuore abbastanza grande per irraggiare l'amore che
provo nei vostri confronti. Io qui, innanzi al mio petto e al vostro sguardo
rinnovo il mio giuramento d'eterna fedeltà. Possa conoscere abbastanza
fioriture dei biancospini per vedere la nascita del vostro erede al trono, e
abbastanza giorni per sostenervi fino al giorno in cui, chiusi gli occhi
alla luce del sole, partiate per un viaggio senza ritorno e miriate dall
alto della vostra felice isola, dove mille altri saggi e giusti sovrani sono
il destino di chi ancora vive."

Si piegò su un ginocchio, chinando il volto, portando alle labbra la mano
sinistra del Persiano con la sinistra a sua volta tenendola, mani del cuore.
Astre gli impose la destra sul capo.

"Possa fiorire in eterno, per questo tuo servizio, la tua terra, o custode
di Firuzeh. Possano i miei interessi e quelli della Persia tutta coincidere
con i tuoi e, quando non lo saranno, possa io volere e potere la tua
protezione e quella della tua gente. Se a te verranno concessi giorni a 
sufficienza per assistere alla maggiore età del mio erede al trono, possa tu
inginocchiarti innanzi a lui come ora ti sei chinato innanzi a me. E' un
onore godere della tua fedeltà come protettore, ma - gli carezzò una tempia,
dove stavano fiorendo delle lacrime - sono ancora più felice d'averti come
amico, Dionide. E amante."

"Vi ringrazio per tutto quel che avete fatto oggi pomeriggio."

Astre si sentì quasi colpito, ma il rimorso era qualcosa che conosceva solo
per sentito dire, ne' in fondo si sentiva d'aver tradito, anche se tradito
qualcosa per altro aveva nelle intenzioni. Sorrise di quel sorriso che
sgorga dalle labbra degli immortali simulacri egizi.

"Non ringraziarmi."

No, non avrebbe mai fatto del male a Dionide. L'Ateniese gli serviva, ma una
volta raggiunto il suo ben preciso scopo l'avrebbe lasciato tornare dal
signore indiscusso di Firuzeh. Idrio, in fondo, non poteva esser altro che
per l'uomo del deserto un capriccio che, forse, sarebbe durato qualche altro
mese o forse una vita intera. A lui non importava. Idrio era prezioso, anche

in quelle condizioni: era come un diamante che si tiene nascosto in attesa
di poterlo scambiare per qualcosa di eccezionalmente più raro. Per uno
scettro di freddo oro, simile al mercurio: platino, e uno di rubino, un
rubino così intenso che solo mettendolo controsole si riusciva a infuocare 
la terra.

Dionide si alzò e di nuovo saldamente le braccia si unirono, avvolte da un
intenso intreccio saldo di drappi. Il Re rise, sciogliendo del tutto la
tensione positiva che li aveva abbracciati, osservando attentamente l
espressione di Dionide.

"Tu vuoi chiedermi qualcosa. ."

"Non ora. Ma ci sono domande cui vorrei che mi rispondessi."

"Cattivo da parte tua incuriosirmi, Dionide. ." finse il broncio di un
bambino ed entrambi sorrisero mentre Dionide sollevava i fitti drappi
aprendo ai loro sguardi il cielo blu.
_____


"Che gli dei possano sempre beneficiarci, e benedirci con benevolo sguardo -
gridò forte la ragazza, e la voce femminile si sparse per le dune e per le
pareti di roccia lontane, le braccia levate alle stelle, lo sguardo fisso
sui due signori innanzi a lei- E se anche gli dei un giorno, mutato il corso
degli astri, gli occhi ci biechino invidiandoci, possano petti forti e 
valorosi proteggerci sempre! Danziamo per la vostra maestà - accennò un
inchino, danzatrice, per poi voltarsi afferrando dal basso tavolino un
calice di forte vino- e per la bellezza della notte propizia!"

Bevve tutto d'un sorso e diede il via alle danze cerimoniali, che di certo
risentivano del suo carattere dirompente. Sulla terra annerita dal fuoco che
ardeva a due metri di distanza passavano le impronte graziose e Astre s
accostò ad un orecchio di Dionide sussurrando: "Tua sorella non me la
ricordavo così bella."

"Io non la sapevo così sfacciata."

"Andiamo, sai che le formalità non mi piacciono quando si è in intimità.
Apprezzo molto questo. . tocco personale."

"Sulle danze sacre?"

"L'unica offesa che potrebbe recarsi ai 'sacri antenati' è quella di non
aver loro bocche per baciare le guance arrossate di un fiore così bello e
così pieno di talento. - il Persiano prese l'ennesimo sorso dell'ottimo vino
tenendo il calice basso tra le mani e divertendosi per l'espressione gelosa
sul volto di Dionide- Fraternamente."

Il signore di Firuzeh si rilassò sui cuscini di lino prezioso e semplice,
controllando con gli occhi tutto quello che accadeva, saggiando le parole
che uscivano dalle labbra semplicemente vedendole muoversi. Astre a sua
volta, mordendo una mela verde, lasciava vagare gli occhi come se con
distacco stesse osservando, ma in realtà teneva ben fisso lo sguardo sulle
figure di Pirecrate e Pherio, poche persone più in là, seduti tutti in un
ovale attorno ad una tavolata allegra e rumorosa, dove tutte le persone dell
oasi, dai bambini agli anziani alle donne avevano accesso. Il Panfilo era
freddo e distante come al suo solito, mentre Pirecrate, che forse aveva 
preso un sorso appena di troppo di quel vino addensato dal sole caldo di
Mesopotamia, tentava di parlargli e di fare uscire una parole da quelle
labbra belle. Astre lasciò cedere il capo un poco lateralmente verso la
spalla del gomito che teneva poggiato su un cuscino che appositamente s'era 
appostato alto per stare comodo.

Pherio indossava un abito che meravigliosamente ed ineccepibilmente ne
sottolineava i muscoli ma allo stesso tempo lo sfinava. E poi stava
benissimo col suo colore degli occhi che, nonostante il cielo fosse pieno di
stelle vigorose e la Luna assente, brillavano di una luce meravigliosa. 
C'era qualcosa di diverso nello sguardo del Panfilo; forse anche in quello
di Pirecrate, ma quale sorpresa poteva destare un Pirecrate leggermente più
gaio del solito? Certo, sì, un po' troppo per quanto concerneva uno Spartano
. In Pherio era molto più evidente. Non parlava, sembrava come assente, ma
quando sembrava come destarsi era meravigliosa la vita che sbocciava sulla
fronte illuminandola, si rifletteva negli occhi e pareva scendere fino al
petto sereno.

Avrebbe chiesto a Pirecrate stesso, magari più tardi, quando la notte
sarebbe stata troppo inoltrata e i bicchieri di vino si fossero fatti di più
E anche se il Dimano aveva posato da tempo lontano dal proprio piatto pieno
di ossicini il calice, non ci sarebbe e voluto poi molto a poggiargli la
coppa sulle labbra, dischiudendole, aprendo la strada ad altro nettare rosso


Quasi fosse un ulteriore 'sì' del destino ai suoi piani Dionide, vedendo che
tutti si erano sfamati, fece un cenno con il braccio e tutti, dai bambini
fino a chi poteva, si alzarono scostando via i tavolini o ponendo da parte i
bicchieri e le posate. Non esistevano servi a Firuzeh, ma solo servitori.

Il fuoco ardeva al centro dello spiazzo creatosi, indiscusso signore ed
indiscusso protagonista. I flauti presero a riempire l'aria di mille note
melodiose, sembravano indiane alle sue orecchie che molto conoscevano, o
forse un indiano misto ai suoni di quelle terre desertiche.

Una bambina si pose al centro della pista, un braccio verso l'alto l'altro
innanzi, come ad indicare cielo e terra, e iniziò a ballare, presto seguita
dalle altre persone. Astre sciolse dai capelli il drappo che li teneva
legati, slacciò i bracciali e le collane, tirò via il manto che gli copriva
le spalle e andò a danzare.

La bambina gli insegnò pazientemente i passi più belli, contenta di tale
ruolo, e lui immediatamente imparava, ben presto autonomo in quella danza
dalle movenze semplici e ripetitive, ma così sentite ed espressive che era
un piacere rinnovarle ogni volta, ed altrettanto bello era scoprire un nuovo
sentimento nascere nel petto. Un tutt'uno con la terra, un tutt'uno col
fuoco e col cielo e con l'acqua che brillava più giù.

Senza che se ne accorgesse, due mani forti gli presero i fianchi e lo fecero
voltare.

"Ciao Pirecrate."

"Te l'ha detto mai nessuno che sei incredibilmente provocante?"

"Dici?"

"Sì Persiano."

"Tu piuttosto: un uccellino - sfiorò, sollevando ritmicamente le braccia, le
spalle scoperte dello Spartano, mordendosi un labbro - mi ha detto che sei
stato cattivo."

"Mmmh, può darsi."

"E io mi sento - un passo avanti e il petto sottile s'adagiò contro quello
forte e vigoroso del Dimano- trascurato da te, ultimamente."

"Mi provochi?"

"Il mio alloggiamento è così - fece accostare le proprie labbra a quelle di
Pirecrate, per sussurrare lì nuove parole - solitario."

"Vorresti dire che quel Dionide non ti tiene compagnia?"

Astre sorrise e girò su se stesso, fermandosi quando sentì le natiche
aderire alle anche dell'altro, dando piccoli colpi col bacino che, appena
percettibili, davano scosse elettriche.

"Siete simili - voltò il capo, seguendo con la coda dell'occhio lo sguardo
di Pirecrate - voi due, e non è semplice decidere chi mi dia maggiori. .
soddisfazioni"

Un altro sfregamento inequivocabile dei muscoli solidi alla base della
schiena contro l'erezione nascente del Dimano, e poi completò la giravolta,
sempre seguendo il ritmo allontanandosi. Il sorriso del Persiano era quello
d'una sirena che alletta con promesse fallaci, ma lo fa così persuasivamente
da non lasciare alcuna possibilità di scampo. Fallaci. . forse pericolose. A

Pirecrate il pericolo era indifferente: non ne aveva alcun timore.

Non appena tuttavia allungò quelle braccia per afferrare i polsi sottili e
condurli seco, essi si ritrassero uno sul fianco l'altro accanto al volto e
il sorriso sulle labbra astute scomparve e quella falena regina fuggì di
proposito al suo falcone dopo avergli sventolato innanzi il polline dolce
dell'Eros.

Il Dimano quasi si fosse appena destato da una malia improvvisamente cercò
Pherio con gli occhi, e non lo vide da nessuna parte. Come preoccupato da un
presagio strano con passi lunghi tornò da Astre che già contento si
pregustava il sapore della vittoria: l'averlo piegato. Non fu, però, per
prenderlo e trascinarlo dietro un drappo di lino che l'aveva seguito sul
terreno pieno di orme indistinte, ma per domandargli dove fosse finito
Pherio.

Astre, continuando a fluttuare elegante nei passi di danza, lunga l'ombra
dei suoi arti che fulgeva distinta da quelle delle altre persone che eppure
lì danzavano, scosse il capo, scherzando:

"Un uomo molto affascinante l'ha condotto via dalla festa. Chissà, magari lo
trovi in tenda a divertirsi. ."

Gli occhi di Pirecrate si indurirono e ora, sottolineati dal kajal
impeccabilmente manovrato, sembrarono quelli di un dio irato. Lo Spartano si
voltò verso l'intricato labirinto di tendaggi e il Persiano non seppe perché
dovette farlo, ma ugualmente smentì quello scherzo:

"Eddai ti pare Pherio persona?"

Un sospiro uscì dalle labbra di Pirecrate.

"Non dovevo permettergli di mettersi quel vestito."

Un sopracciglio scuro si sollevò, sulla fronte del Persiano, che ora era
veramente curioso di sapere cosa si nascondeva dietro allo strano
atteggiamento dei Peloponnesiaci.

_____


Pherio s'era ritratto appena in disparte da quella festa che gli sembrava
più che mai troppo calda e rumorosa, troppo piena di gente ed affollata.
Egli forse ne era più avvezzo che non Pirecrate steso perché a volte era
stato ospite preso potentati stranieri a nome di suo zio, in passato, ma
mentre il Dimano pareva riuscire a divertirsi, cancellando quasi ogni 
ricordo dalla sua mente, egli non poteva. Non vi riusciva mai.

E i suoni ritmici e ossessivi che si mischiavano con le risa e gli odori
profumati gli facevan ondeggiare il cuore in petto e il sangue nelle vene,
trascinando entrambi in una danza che non era certo di riuscire a dominare e
che quindi rifuggiva con ogni sua singola fibra di volontà.

Donne gli avevano regalato smaglianti sorrisi, e ammiccanti inviti, e pure
alcuni uomini, ma ad essi Pherio aveva risposto con una freddissima
indifferenza, e con uno stentato sorriso di circostanza che, quella notte,
gli costava più fatica del solito modulare sulle labbra.

Pirecrate ed Astre danzavano allacciati al centro della tenda, il fuoco e il
vento che si torcevano lambendosi l'uno con l'atro, ridendo e sussurrando
una spensierata leggerezza.. Pherio dovette distogliere gli occhi.

Un qualcosa di freddo fra le dita l'obbligò a riportare la sua attenzione al
presente, e a se stesso, inginocchiato immobile in un angolo in ombra, come
se quell'ombra fosse un velo sufficiente per nasconderlo agli occhi del
mondo, mentre intorno a sé l'universo danzava e intesseva la sua danza
perpetua.

"Nobile Panfilo di Sparta, non sembri stare divertendoti alla mia umile
festa."

Chinò appena gli occhi lucenti sulla coppa dorata, decorata d'intarsi e
smalti e pietre, che Dionide gli aveva posata fra le mani, ricolma d'un
liquido rosso e denso. Quasi come sangue esso brillava ma il suo aroma era
dolce, speziato e invitante, come avrebbe dovuto essere il Lete, nella sua
fantasia.

Senza pensarci, come la sua educazione gli aveva insegnato a fare, poggiò
delicatamente la coppa, unendo poi le mani nel gesto silente di
ringraziamento in uso presso quei popoli con una grazia che una danzatrice
avrebbe potuto invidiare, se non fosse stato per il suo viso, spento quasi, 
e remoto.

"Nobile Dionide, non esistono parole per ringraziarti dell'aiuto che ci hai
portato. Saremmo di certo periti soli nel deserto se la comparsa tua e dei
tuoi compagni non ci avesse tratto in salvo. E di questo ne sarò sempre
consapevole - si sforzò di sorridere, ma lui stesso sapeva che era un ghigno
amaro quello che gli era fiorito sulle labbra, ché troppo grave era il suo 
cuore - Dimmi, Dionide, c'è qualcosa, anche piccola, che posso fare per
dimostrarti, in maniera indegna, la mia riconoscenza?"

Dionide lo fissò acutamente, e bastò un attimo a quello sguardo profondo per
accorgersi che se il corpo di Pherio era lì, composto di fronte a lui, la
sua anima e la sua mente vagavano ben lontano. In un qual ceto modo
somigliava a Idrio.. troncò il pensiero sul nascere.

"Qualcosa ci sarebbe.. - sussurrò, sorridendo smagliante, con le fiamme
calde del suo nobile e grande cuore che si riverberavano in quelle iridi
scure e fonde, dal colore morbido come velluto e prezioso come ebano lucido
- Divertendoti, per esempio. Questa festa è un omaggio per voi, prima che
per me, una cosa che la mia gente ti dona col cuore ,e tu, - socchiuse
appena lo sguardo- tu non assaggi neppure il vino che è stato portato qui
direttamente da Babilonia con fatica, per strade infide attraverso il
deserto, apposta per essere mesciuto dinanzi a ospiti di riguardo? Il tuo
comportamento non ti fa onore, Spartano."

Pherio arrossì appena e Dionide si accorse di non aver mai avuto di fronte
agli occhi una pelle di un colorito simile, quando il rossore diventa
intonato al rosarsi delle perle più rare pescate dagli uomini abili che
vivevano sulle coste rocciose del mare corallino a sud. Dionide, è vero, era
un uomo di natura fedele, ma egli amava, più di tutto, la bellezza, da essa
era rapito, incantato, e la singolarità unica incarnata in un singolo uomo
era una vista che lo estasiava, in qualunque espressione essa si
manifestasse, fosse l'abilità di un musico, il timbro di una voce, l'agilità
di un movimento, la virtù guerriera. . e quel Pherio possedeva davvero, come

dicevano le voci che fin lì, nel cuore del deserto erano giunte, la bellezza
fulgida d'un Adone! Sorrise a quel pensiero, e sorrise ancor di più a vedere
quello sguardo trasparente così ben accordato al colore che aveva indosso,
chinarsi appena a sfiorare la coppa di vino.

Egli sapeva che Pherio non s'era neppure bagnato le labbra durante la sera e
ne sospettava il motivo.

"Mio signore, questo è un rimprovero che non merito - il tono di voce era
basso ma fermo. Non tremava, non stava chiedendo perdono, non stava
mostrando pudore. E se pure in lui erano chiarissimi i segni di una
stanchezza profonda, e di una punta di dolore così a fondo infissa nel suo
animo, il suo controllo era ferreo, e scintillante. - Dovrei forse mostrarmi
più indegno della tua presenza bevendo, o rischiare di porgerti un affronto
rimanendo sobrio?"

"Nessuno delle due, Pherio! - la voce di Dionide rideva mentre le sue dita
si chiusero su quelle di Pherio, attorno alla coppa - Solo un sorso: tu non
rischierai nulla e io sarò soddisfatto!"

Ciò che aveva tentato di suscitare Dionide vide, e ne fu contento: il
guerriero dietro gli strati di seta che gli cingevano le membra, eccolo! Il
fondo di quello sguardo freddo brillava di forza e rigore, una freddezza
tale che scottava, un chiarore così vivido che accecava. La sua pelle stessa
bianca come l'avorio pareva esserne illuminata dall'interno, e tale vista
gli mozzò il fiato nei polmoni.

La coppa si alzò delicatamente nell'aria, e accostatasi alle labbra
lievemente ad esse si chinò. Una perla rossa color del sangue colorò per un
attimo quell'incarnato puro, prima di venir leccata via, delicatamente,
dalla punta della lingua. Quel braccio forte, ma insieme sottile si porse
verso di lui, restituendogli ciò che Dionide gli aveva offerto.

"Ecco, signore di Firuzeh. Siete soddisfatto, ora."

Fu Dionide ora a sentire come un senso di smarrimento, lui che fino ad ora
aveva condotto il gioco lì fin dove voleva. Ma quella mossa inaspettata,
quel rifiuto così secco dopo la concessione a suo volere che era stata fatta
no, questo l'aveva colto a tradimento.

Lo guardò in silenzio alzarsi, un corpo così elegante che raramente ne aveva
visto uguale, avvolto in veli e stoffe profumate, i capelli d'oro sparsi
sulle spalle ampie e dritte: così poco somigliava a una fanciulla, così a
fondo poi colpivano l'immaginazione certe movenze che dovevano venirgli
spontanee. Egli era troppo bello per essere un uomo, e per essere guerriero.
Eppure nulla in lui cedeva alla pur minima debolezza: ciò che vedeva di
dolce e femmineo in lui era una tralucenza diversa, come se provenisse da un
riflesso di qualcosa nascosto a fondo dentro di lui.

E Dionide ne era ammaliato.

"Dovrei essere soddisfatto che tu ora lasci il banchetto?"

Pherio sorrise scostando appena una ciocca bionda che era caduta appena a
velargli un occhi.

"E' ora tarda, è ora che mi corichi."

"Di già? E' notte di banchetto, questo, non ci si corica prima del calar
della luna, e fuori dalle tende la luna è ancora ben alta in cielo! - si
alzò in piedi, forte e fiero come un leone dalla folta criniera, e rise, il
sorriso luminoso come a sottolineare il passo saldo mosso verso l'altro -
Vieni! Danziamo, Pherio! Fammi vedere come ti muovi!"

Pherio scosse il capo, ritraendosi quasi disgustato.

"Io non danzo, sono uno spartano!"

"Ma Pirecrate danza."

Una mano forte mossa nell'aria a segnare chi intendeva, ma Pherio si rifiutò
di spostare lo sguardo e continuò, duro, a tenerlo puntato in quello di
Dionide.

"Per quanto può parer strano- sussurrò appena - io e lui siamo figli di
educazioni diverse."

"Lo credo - uno sguardo profondo, di nuovo, e un avvicinarsi di nuovo,
questa volta più lento, più misurato. Una mano di nuovo mossa, discreta, a
sollevare appena il lembo della stoffa che stava chiudendo una delle uscite
- Lo vedo e lo credo, Pherio dei Panfili. Vieni, usciamo di qui. Mi pare che
tu non sia fatto per l'aria greve."

"Ti pare bene. - gli occhi chiari di Pherio brillarono, pericolosi, fermando
in silenzio il seguire di Dionide- Ma dovrebbe parerti pure che sono uomo in
grado di trovare la strada da solo."

"E se ti smarrissi? Non è un terreno familiare, questo."

Tentò Dionide di nuovo.

"Non è su questa terra un luogo in cui possa smarrirmi."

Dionide osservò, riflettendo, l'ultimo lembo di stoffa sgargiante finire
inghiottita in un anfratto della buia notte che gli soffiava ora sul volto
il suo fiato gelido. Fosse bastato quello a destarlo dai cupi pensieri di
desiderio in cui era crollato.. si scosse.

Il braccio bianco e tornito, forte, sfiorato dalla seta più preziosa di
Firuzeh, quel collo candido strettamente nascosto da stretti strati, le
cosce scoperte a tratti per colpa di un passo troppo saldo e troppo sicuro:
in quell'incedere c'erano movenze che parlavano, e dicevano chi fosse l'uomo
a cui appartenevano. E in questo gioco, Dionide sorrise, egli era maestro.

_____


Nel frattempo Astre indossò di nuovo la maschera seduttrice e riuscì a
condurre Pirecrate nuovamente sui cuscini, ora accatastati da un lato e
lontani dall'esser mirati dallo sguardo delle persone, intente alle danze.
Nonostante l'altro sembrasse distratto, riuscì ben presto a riportarlo sulla
strada che desiderava percorresse, a furia di sfioramenti ben mirati e della

loro vicinanza.

Prese una piccola brocca ancora piena di vino e ne versò un poco in un
calice, immergendovi un polpastrello.

"Gradisci l'ospitalità?" chiese allo Spartano, poggiandogli sulla bocca la
pelle morbida dell'indice, da dove pendevano gocce dense.

"Non credevo potessero esistere tali agi."

"Oh, e questo non è niente! - diede un bacio fugace a quelle labbra, lungo
abbastanza da prospettare un intenso piacere ma troppo breve per dissetare -
Vedrai molto di più, mio amato Pirecrate."

Il fuoco spargeva sul volto del Dimano uno splendido rossore e quegli occhi
brillavano come stelle. La pelle sembrava davvero bronzo, che ancora
rifletteva le lingue di fiamma con cui era stato forgiato. Astre si
sottrasse con dolcezza all'avanzare insistente delle labbra del Dimano, 
preda di un incantesimo di incredibile saldezza, e continuò.

"Ho una sete, Pirecrate. ." sussurrò, roco, poggiando sulla bocca l'orlo del
calice, lasciando scorrere il vino sulle labbra ma senza mandarlo giù; poi l
accostò a quella del Dimano e la baciò nuovamente stillando il nettare delle
viti scure. Ancora. E ancora. Fino a quando non furono tre i calici che
aveva riempito e poi svuotato nel corpo di Pirecrate. Lo Spartano aveva uno
sguardo leggermente appannato, e i capelli sembravano dargli fastidio con
tutto quel caldo che doveva star sentendo, sebbene una piacevole brezza
rinfrescasse la notte.

"Credo che. . sia meglio per me tornare. . Da PherNo!. . In tenda. ."

"Ma dai, e mi lasci tutto solo?"

Pirecrate lo fissò, prendendo seriamente il suo lamento di solitudine.

"Non ti lascio solo Astre! - le s sibilavano un bel po'- Se vuoi vieni con me
e dormiamo tutti e tre insieme. ."

Astre sciolse la risata in un sorriso sincero, poggiando la fronte sul collo
pulsante del Dimano.

"A Sparta non si beveva spesso, vero? Per dire una cosa del genere devi
essere solo che bello che andato, amico mio!"

"No, no, ero serio, serissimo!"

L'espressione era quella di un bambino innocente che venisse accusato d'aver
rubato le caramelle. Ora, così, tutti i suoi propositi d'estorsione di
informazioni andavano in fumo. . e poi aveva sopravvalutato le proprie
energie: si sentiva così stanco da non riuscire a tenere gli occhi aperti,
quasi. Ed era bello stare così, accanto a Pirecrate, anche senza fare sesso,
anche se ora lo Spartano stava con la testa per aria a rincorrere pensieri
che solo lui poteva nominare tanto erano remoti e distanti e velati.

Astre s'assopì e, quando sentì braccia forti prenderlo, dopo un po', e
portarlo su cuscini di seta, socchiudendo gli occhi incontrò quelli di
Dionide. Un bacio sulla tempia suggellò il suo dolce riposo.
___


Continua...







Fictions Vai all'Archivio Fan Fictions Vai all'Archivio Original Fictions Original Fictions