Cremisi

 

parte V 

 

di Dicembre

 


 

Nyven era già stato in posti affollati.

Il mercato di Droà si diceva essere il più grande del Regno. Quando ancora abitava lì, cercava di scapparci ogni qual volta che il suo padrone non aveva bisogno di lui, per mangiare di datteri ricoperti di cacao e yogurt per cui lui andava matto: i dacaio.

Il mercato di Droà era stracolmo di gente, di chiasso. Gente che vendeva alimenti, altri vendevano tessuti, altri vesti, altri ancora souvenir. Spesso si faceva fatica a camminare, tante erano le persone.

 

Il mercato davanti a sé, quindi, non lo stupì per la sua grandezza, né per la folla. Nyven ne rimase semplicemente accecato. Il sfavillio della maggior parte delle bancarelle, delle vesti e delle tuniche femminili, dell’acqua del lago che riverberava il sole, crearono per un attimo l’illusione che tutto brillasse di luce propria.

“Tagorln è famosa per i suoi gioielli e per la sua seta luminosa”

“Luccica tutto…”

Zir rise, arricciando il naso: “Ogni plenilunio arrivano dalle contee vicine, dai laghi, e da tutte le terre circostanti,mercanti d’oro, di seta e di gioielli e rimangono qui fino alla notte di luna nuova”.

“Dobbiamo comprare gioielli? O forse venderli?”

Zir rise di nuovo

“Certo che no. Dobbiamo comprare dei vestiti per te, dobbiamo comprare questi” disse agitando un foglietto fra le zampe “per Irìyas e prendere un libro”

“Prendere?”

Nyven fu interrotto dal grido di una donna. In mezzo alla folla, non distinse chi aveva gridato.

“Si è fatta trovare prima del previsto”

“Cos..”

Ma Zir era già sparito, lasciando Nyven solo sul carro che era accostato e legato ad una staccionata.

“Zir, dove sei?”

Il coniglio sembrava scomparso, mentre la folla davanti a lui era troppo indaffarata a correre verso la propria bancarella, o verso il proprio carro, per badare un un ragazzo che cercava un Eclage.

C’è n’erano altri, molti altri. C’erano conigli, c’erano uomini, c’erano ballerine..C’erano troppe persone.

Che cosa fare? Dove andare?

Di nuovo sentì, sopra le grida del mercato, il grido di una donna.

D’istinto Nyven indietreggiò.

Aveva paura, in quel mercato stracolmo di gente, si sentiva solo.

Una vecchia macilenta gli si avvicinò. Era piccola e gracile, le sue gambette ricurve spuntavano grinze da sotto una gonna che non gliele copriva tutte. Portava sulle spalle un cesto pieno d’erba. E aveva i capelli bianchi e arruffati a raggiera, intorno a qual viso grigio di vecchiaia.

Lo indicò: “Perché sei qui?” gli chiese “Tu porti sventura!”

Nyven corrugò la fronte “Io…”

“Tu porti sventura!” questa volta la vecchia gridò, con la stessa voce che Nyven aveva sentito poco prima.

“E’ lei signora che ha gridato…”

“Perché sei qui?”

“E’ lo schiavo di Irìyas” Nyven fu contento di vedere che il coniglio era ricomparso

La vecchia si girò di colpo, stringendo i pugni “Non sa cosa si sta portando in casa!”

“Lo sa meglio di te”

La vecchia gridò, senza dire niente. Poi riprese fiato “C’è il fuoco…E’ cremisi, il colore del fuoco che non può essere spento”

“Vecchia hai portato quel che dovevi portare?”

“Portami da Irìyas”

La vecchia non lo chiese, e Zir arricciò il naso, senza rispondere.

Nyven si chiese come mai il coniglio stesse esitando e chi fosse quella vecchia. Cercò di intervenire

“Non poterò sventura” era una frase sciocca. Era una frase davvero sciocca, ma gli venne naturale. Perché avrebbe dovuto portare sventura? Forse semplicemente perché i suoi capelli avevano proprietà particolari?

Semmai avrebbe dovuto aiutare il padrone. Lui di certo non …

“Che ne vuoi sapere?” le gambette della vecchia tremarono “Che ne vuoi sapere tu, marmocchio!”

“Basta. Irìyas sa quello che fa”

“Irìyas è arrabbiato. Portami da lui”.

Inaspettatamente Zir non replicò, si sistemò gli occhi sul naso e indicò il carro.

La vecchia, però, invece di salire come Nyven si sarebbe aspettato facesse, si mise a gridare, farfugliando qualcosa, lo afferrò per un polso e lo trascinò con sé, nella folla.

Camminava molto veloce per la sua età e il ragazzo, confuso, non potè fare altro che seguirla.

Arrivò ad una piccola tenda, sul lato di uno dei mille corridoi del mercato e vi entrò, trascinando con sé anche Nyven.

“Questo è il libro…” disse prendendo un tomo impolverato sopra una pila di coperte.”Questo libro può avere qualche risposta…Prendilo”

Nyven allungò il braccio, ma appena toccato la copertina, Nyven ritrasse la mano.

La vecchia sorrise.

“Il colore del fuoco…”

Ma Nyven s’intestardì, afferrando il libro dalle mani della donna. La sua mano bruciò leggermente, ma nulla di più.

Nessun dolore, nessun fuoco

“Io non porto nessuna sventura!” la voce del ragazzo sembrò una rassicurazione per se stesso.

Lui non portava nessuna sventura. Lui era un semplice schiavo che voleva compiacere il suo padrone. Non avrebbe mai fatto niente contro quel padrone che gli parlava nel sonno, che lo vestiva e lo nutriva come un ospite.

Non avrebbe mai voluto portare sventura.

Alzò gli occhi dal libro, per guardare la donna. Lei non c’era più. Nyven si guardò intorno. La tenda era vuota, il vento faceva tremare le pareti, ma a parte lui, con Nyven non c’era nessuno.

Si sentì debole e, d’imporvviso, scoraggiato.

Si sentì molto solo.

Pensò di essere sciocco: la donna aveva evidentemente detto una stupidaggine, era lei ad essere pazza, non lui ad avere sbagliato.

E anche se si sentiva terribilmente in colpa in quell’istante avrebbe solo dovuto accantonare quella sensazione evidentemente sbagliata.

Non c’era alcun motivo per sentirsi in colpa.

Si sedette per terra, con il libro fra le mani. La sua copertina era ammuffita ai bordi, le pagine all’interno non sembravano perfettamente rilegate, le une alle altre.

Nyven ripulì la copertina con le mani, per togliere lo strato di polvere che la ricopriva.

C’era un rubino incastonato al centro della copertina: nessun titolo né autore. Solo una pietra.

Nyven aprì il libro, ma anche sulle pagine interne non c’era scritto niente.

Era un libro completamente bianco.

 

 

A tramonto il castello riverberava di arancio.

Nyven aveva tenuto il libro stretto per tutto il tempo del viaggio e Zir non gliel’aveva chiesto, né gli aveva rivolto più la parola.

Il ragazzo aveva provato a chiedergli chi fosse quella donna anziana, ma Zir era parso non ascoltarlo.

Anche in quel momento, Zir sembrava sovrappensiero

“Devo portare il libro al padrone?”

“Tu che cosa ci fai qui?”

Nyven non si era accorto del’arrivo di Mamir, ma si ritrovò il Lapdinare davanti, coi denti digrignati.

“Cosa?”

“Smettila Mamir, il ragazzo ha avuto una giornata difficile oggi…” disse Zir come se anche lui fosse stato scosso dal torpore nel quale era caduto

Ma Mamir sembrava irritatissimo: “Sei andato al mercato, hai incontrato la Bianca e sei ancora qui?” afferrò Nyven per la spalla e lo scosse, ferendogli la pelle con gli artigli “Sei davvero uno così privo di nervo da tornare qui? In catene?”

“Adesso basta…”

Mamir spinse Nyven che perse l’equilibrio e si ritrovò il Lapdinare addosso, con le zampe che gli schiacciavano il petto

“Che cosa..?” Che cosa aveva fatto?”

“Non provi imbarazzo e ribrezzo per te stesso?”

Nyven si sentì soffocare, portò le mani sulle zampe del Lapdinare per cercare di liberarsene, ma fu tutto inutile.

“Cosa..?”Cercò di dire, ma Mamir lo lasciò andare

Gli occhi rossi gli brillavano, i canini erano esposti: trasudava rabbia e disprezzo. E apparentemente tutto quell’odio era rivolto contro di lui

“Basta Mamir, che cosa t’aspettavi?” Nyven s’era dimenticato della presenza di Zir

“Che scappasse. Nulla di più e nulla di meno. C’era il mercato, c’era la strega. C’erano tutte le condizioni perché tentasse di scappare… Eppure eccolo qua, docile e stupido, col suo libro in mano”

“Perché sarei dovuto scappare?” Mamir, di nuovo, gli si avvicinò pericolosamente

Nyven indietreggiò

“Sei un codardo. E sei uno schiavo. E per questo i disprezzo” Si girò di colpo. Il giardino fu attraversato da un soffio di vento e apparve Irìyas.

“Zir ha ragione, la giornata è stata difficile per il ragazzo”

Mamir sbuffò, ma continuò a guardare Nyven “Se non avessi padroni così potenti, ti avrei ucciso. Non meriti niente di ciò che ti viene dato”

Irìyas gli fece un cenno e il lupo, finalmente, sembrò abbandonare la sua rabbia immotivata, per avvicinarsi al mago. Gli disse qualcosa in una lingua che Nyven non conosceva e Mamir annuì, andandosene.

“Non prestargli troppa attenzione, è un Lapdinare, è naturale che si comporti così”

Nyven annuì e il coniglio lo guardò con uno sguardo compassionevole “Devi solo abituatici”

Nyven annuì di nuovo.

Abbassò lo sguardo e notò fra le sue mani, il libro che gli aveva dato la vecchia del mercato.

Lo porse con mani tremanti al padrone.

“Questo è per voi, la vecchia…” gli si spezzò la voce senza che potesse farci niente.

“So tutto” Irìyas prese il libro dalle mani del ragazzo “L’hai lasciato con la Bianca?”

Zir si sistemò gli occhiali “Se l’è preso lei, a dire il vero. Sembrava piuttosto sconvolta”.

Il coniglio raccontò quello che era successo al mercato.

Irìyas sorrise, con quel sorriso di chi sta ascoltando una storia di cui sa già la fine

“Arrabbiato, dunque? Io sono molto arrabbiato. E se è vero che Nyven portarà sventura, che la porti. Ciò che conta, ora, è catturare Gyonnareth.”

“Col libro abbiamo fatto un grosso passo avanti”.

Il mago lo aprì e scorse le prime pagine come se stesse leggendo qualcosa. “E’ perfetto”

“La Bianca vorrà la sua ricompensa”

“L’avrà, ma a suo tempo. Non credo abbia dimenticato ciò che lei deve a me”

Il coniglio sorrise “Dubito potrebbe mai dimenticarsene. Credo che con la fine del mercato, torni sui laghi. Sarà semplice andare da lei”

Irìyas annuì e s’incamminò verso il suo palazzo, e Zir con lui.

Nyven rimase lì, immobile, completamente dimenticato da tutt’e due.

Prima che se ne rendesse conto, Nyven si ritrovò col viso inondato di lacrime e in singhiozzi.

Non capiva assolutamente nulla di tutto quello che gli era capitato.

Il mercato, tutte le sue luci…La vecchia e il suo gridare. Mamir che lo aveva aggredito, con così tanto odio.

C’era stata una piccola speranza in lui: che una volta tornato a casa, Irìyas gli avrebbe spiegato qualcosa, o che per lo meno Zir avesse speso qualche parola per rassicurarlo o, se non altro, per fargli capire cos’era successo quel giorno.

Ed invece non c’era stata neanche una parola. Il senso d colpa che l’aveva sfiorato al mercato quand’era stato accusato di portare sventura, la paura per Mamir, lo sconcerto nel vedere la vecchia …

Possibile che nessuno gli volesse parlare?

Sentiva troppi dialoghi che non capiva, succedevano troppe cose che doveva fingere di non vedere.

“Irìyas” si ritrovò ad implorare in un giardino vuoto. Il sole era calato e il padrone era lontano. Avrebbe potuto scappare, ma non voleva farlo. Voleva correre, voleva gridare, ma soprattutto voleva che il suo padrone lo prendesse per mano e lo rassicurasse. Poteva ben tollerare le ferite fisiche e non badare a quelle emotive: nessun padrone aveva mai scalfito quel lato del suo carattere perché mai era stato coinvolto.

E nemmeno in questo caso lo era, se non che quella confusione e quel senso di colpa assolutamente ingiustificato sembravano testimoni del contrario.

Se anche solo il padrone l’avesse guardato un istante, prima di prendere il libro ed andarsene, forse ora Nyven non avrebbe pianto.

Maledisse i suoi capelli che l’avevano portato lì e continuò a piangere da solo.