Questo racconto va innanzitutto dedicato ad una persona: mia madre.
Non lo leggerà mai, ma è grazie a lei se ho conosciuto questo sport. E' lei che mi ha insegnato ad amarlo sin da quand'ero piccola.
Vorrei anche ringraziare Dhely, della ML, senza il cui aiuto tecnico e supporto morale è probabile non sarei riuscita a concluderlo.
In ultimo, un consiglio: se ne avete la possibilità ascoltate i brani che nomino.


Chris

di Alessia


          La neve cadeva silenziosa, rendendo la città un luogo ovattato, magico, quasi irreale.

Tutti si sbrigavano nel raggiungere le loro mete, per ripararsi dal freddo gelido e scaldarsi al fuoco di un camino.

         Tranne lui.

Lui voleva godersi quel freddo, quello era il suo elemento.

         Si fermava spesso lungo la strada, scrutando con attenzione le vetrine dei negozi.

Tra poco sarebbe stato il suo compleanno e non gli aveva ancora comprato un regalo.

Sospirò e scosse la testa. Ma in fondo, cosa avrebbe potuto regalare al suo allenatore?

Una persona che faceva quel lavoro solo per non rimanere a casa in panciolle, vivendo di rendita.

Patrick aveva tutto ciò che si potesse desiderare, cosa mai avrebbe potuto regalargli lui?

Stringendosi ancor di più nel suo cappotto, sprofondò le mani nelle tasche e si avviò con l’aria di un condannato a morte verso il Palazzetto del Ghiaccio.

 “Finalmente signor Calvert! Lei ci onora con la sua presenza…” un tono apertamente sarcastico, uno sguardo che avrebbe incenerito chiunque, e lui non gli dava retta!

“Piantala, Patrick! Sono in orario, e lo sai”

“Non sei in orario, Chris. Devi essere qui alle due ad allenarti, se vuoi avere qualche possibilità di vincere…”

Chris alzò gli occhi al cielo e sbuffando rispose: “Conosco la solfa, Patrick”

L’altro lo guardò minaccioso, poi gli ordinò: “Vatti a cambiare. Ti voglio sulla pista fra dieci minuti”

Imitando un perfetto saluto militare Chris si diresse verso gli spogliatoi.

 

         Aveva un talento straordinario.

Un talento che né lui, né tanti altri pattinatori avrebbero mai avuto, neanche se si fossero allenati cent’anni senza sosta.

         Non riusciva a capirlo.

Quando Chris entrava in pista attirava immediatamente l’attenzione di tutti i presenti.

Sembrava che le lame dei suoi pattini non toccassero il ghiaccio, e quando eseguiva un salto sembrava volasse.

         E lui non se ne rendeva conto.

         Si allenava solo qualche ora al giorno, quasi per lui fosse una scocciatura da sbrigare al più presto.

         Patrick invece sarebbe stato capace di vederlo pattinare per ore, senza mai stancarsi.

         Joseph Calvert, il padre di Chris, lo aveva assunto per trasformare suo figlio in un pattinatore olimpionico, pagandolo una fortuna, ma lui lo avrebbe fatto anche gratis.

         Dopo averlo visto.

         E dopo averlo visto pattinare.

         “Ehi, Patrick! Io ho finito, me ne torno a casa”

Muovendosi velocemente, l’allenatore bloccò l’uscita.

         “Neanche per sogno, Chris. Sei arrivato con due ore di ritardo, che ora devi recuperare. Continua ad allenarti sul triplo Axel, quando atterri sei sempre troppo sbilanciato a sinistra”

         “Ho un appuntamento. Devo andare!” con fare risoluto tentò di uscire, ma Patrick lo bloccò con una mano.

         “Peggio per te. Potevi arrivare in orario. Ora torna in pista e fammi vedere un triplo Axel degno di questo nome”

         Chris lo guardò infuriato, ma fece come gli era stato ordinato.

         

         La sera tornò a casa stanco morto.

Quello schiavista l’aveva trattenuto ben oltre le due ore di ritardo.

Così la prossima volta, forse, arriverai puntuale, gli aveva detto.

         Gettò la sacca sul pavimento e si sdraiò sul letto, piegando un braccio sugli occhi.

Sam mi ucciderà… pensò. Avrebbe dovuto inventarsi una buona scusa per farsi perdonare.

         “Chris, tesoro, sei tu?”

E chi altri sarebbe potuto essere?

         “Si, papà. Sono in camera” disse a voce alta.

         Suo padre, Joseph Calvert, proprietario di una catena di famosi ristoranti sparsi per tutta l’Europa, entrò nella sua stanza sedendosi alla sedia della scrivania.

         “Come sono andati oggi gli allenamenti?”

Chris lo fissò per un momento, poi chiuse gli occhi.

         “Bene” rispose laconico.

         “Mmh… il signor O’Hare mi ha telefonato dicendo che sei arrivato con un ritardo di ben due ore. Io non capisco…”

 Ecco, ci siamo di nuovo…

         “Tu adori il pattinaggio…”

Chris lo interruppe, alzandosi in piedi: “Io non adoro il pattinaggio, papà. Sei tu quello che adora questo sport”

Il padre riprese tranquillamente, quasi Chris non avesse parlato “So che è faticoso doversi allenare tutti i giorni, ma questo fa parte della vita di uno sportivo. E un pattinatore, che voglia farsi chiamare così, deve sopportare tutte le fatiche che gli si presentano”

         Inutile! Suo padre non lo capiva.

Peggio! Non lo ascoltava proprio.

A Chris sembrava di affrontare un muro di gomma.

         Non degnando il padre di una risposta uscì dalla sua camera, travolgendo una delle cameriere, e uscendo di casa sbatté la porta.

 

         Passo la serata seduto a Trafalgar Square.

Osservando la vita, quella vera, scorrergli davanti gli occhi.

Comitive di amici che giocavano, scherzavano, si davano appuntamenti per nuove uscite di gruppo.

Coppie che si tenevano per mano passeggiando.

         Perché lui non poteva avere tutto questo?

Voleva una vita normale.

Andare in una scuola e non avere insegnanti privati.

Voleva degli amici e non schiere di domestici pronti a riverirlo.

E, soprattutto, non voleva pattinare.

         Era stanco di sentirsi ripetere che aveva talento, che aveva ricevuto un dono.

         Sorrise sarcastico.

Anche loro avrebbero avuto quel dono se avessero imparato a camminare con un paio di pattini ai piedi.

         Il freddo lo costrinse a muoversi, e ricordandosi di non aver cenato andò in un piccolo ristorante italiano lì vicino.

Mangiò lentamente, voleva ritardare il più possibile il momento in cui sarebbe tornato a casa.

         Perché doveva tornare.

Era minorenne, e se la polizia lo avesse trovato a vagare di notte, da solo, avrebbe passato dei guai.

         E non voleva ripetere l’esperienza.

Uscendo dal ristorante si guardò intorno alla ricerca di un taxi.

Quando finalmente ne trovò uno chiese all’autista di fare il giro più lungo possibile prima di arrivare a destinazione.

 

         Appena entrò in casa fu travolto da un fiume di domande.

         “Dove sei stato? Con chi? Ti sembra questo il modo di comportarsi? E l’ora… sai che ore sono? Sono morta di paura e tu te ne stai lì imbambolato senza dire nulla. Vuoi rispondermi?!”

         Christian sorrise a Karen Prescott, la loro governante, ma non solo.

Lei era la donna che l’aveva allevato, quasi fosse stato suo figlio.

         “Scusami Karen. Ma sai com’è dopo che parlo con mio padre…”

La donna, dall’aspetto di una fragile nonnina, ma con un carattere d’acciaio, gli si avvicinò e gli prese il visto tra le mani.

“Tesoro… tu lo sia, io adoro vederti pattinare, ma se farlo ti fa stare così male devi parlarne con tuo padre”

         “Io ci provo, ma lui mi ignora. Non so più che fare, Karen…”

La donna lo abbracciò, cullandolo e cercando di consolarlo.

Pensò che se non fosse accaduto un miracolo al più presto, il pattinaggio artistico avrebbe distrutto ciò che rimaneva della famiglia Calvert.

 

         Il mattino seguente aveva lezione di Letteratura Inglese e di Francese.

Odiava Shakespeare, lo trovava così drammaticamente melenso.

E ancora di più odiava il francese, con tutti quegli inutili tempi e lettere doppie.

Ma in qualche modo riuscì a passare le quattro ore di lezione.

         A pranzo si trovò a tavolo solo con Karen.

         “Dov’è mio padre?” aveva deciso di parlargli, in qualche modo doveva riuscire a fargli capire.

La donna lo guardò dispiaciuta “E’ dovuto partire per Sofia questa mattina molto presto. Temo di non sapere quando farà ritorno a casa”

         Chris si lasciò cadere sulla sedia della sala da pranzo, sconfitto.

 

         Non aveva mai dimostrato particolare entusiasmo durante gli allenamenti, ma oggi era peggio del solito.

Commetteva un errore dietro l’altro.

Errori che neanche un principiante avrebbe commesso.

Ci mancava solo che cadesse da fermo!

         Chiamandolo, Patrick, gli disse di prendersi una pausa.

Gli porse un asciugamano e con sguardo amichevole gli chiese: “Cosa c’è che non va? Problemi con tuo padre?”

Cosa c’è che non va?! Avrebbe fatto prima chiedendogli se c’era qualcosa che andasse bene.

         “Nulla. Non sono affari che ti riguardino, tu limitati a fare il tuo lavoro e vedrai che andrà tutto benissimo” rispose malamente, buttò l’asciugamano addosso a Patrick e tornò in pista.

 

         “Cosa devo fare secondo te, Sam?”

La persona cui Chris si rivolgeva sempre nei momenti di crisi si sedette accanto a lui sul letto.

Erano quasi tre ore che si trovava lì e quelle erano le prime parole che proferiva.

         Gli prese la mano, intrecciando le loro dita.

         “Da fan scatenata, quale sono, del grande Christian Calvert, ti dico: continua” il ragazzo la fissò con sguardo accusatorio, ma lei non fece una piega “Da zia del diciassettenne Chris, dico: smetti. Ma il punto non è quello che dico io, tuo padre, Karen o Patrick. Il punto è: cosa vuoi tu?

         “Voglio smettere!” ripose perentoriamente.

Sam lo guardò sorridendogli.

         “E allora fallo. Nessuno ti obbliga con la forza. Smetti di pattinare!”

         “Ma mio padre…”

         “Tuo padre, cosa? Ti costringerebbe con la forza? Sai che non farebbe mai, non ne sarebbe capace. Ci rimarrebbe molto male, questo è vero, ma sono convinta che alla fine se ne farebbe una ragione”

Il ragazzo lo guardò sperduto.

         “E Patrick..?”

         “Patrick? Il tuo allenatore? Beh, lui cosa potrebbe fare secondo te? E’ solo un dipendente di tuo padre, no?”

         “Si… solo un dipendente…” mormorò. Poi guardò di nuovo Sam negli occhi “Parlami ancora di lei…” chiese, accocolandosi nel suo abbraccio e posando la testa sul suo seno.

La donna fissò dolcemente quel ragazzo, che era il suo unico nipote, e carezzandogli i capelli iniziò a parlare: “Tua madre Christine…”

 

         “Non ne ho il tempo, Michelle!”

         “Patrick, ti prego! Non voglio mandare Kyle da solo fino a Londra, è troppo pericoloso” 

         “Per l’amore di Dio, Michelle! Tuo figlio ha quasi vent’anni, non è un bambino sprovveduto”

         “Non mi interessa! Può anche averne quaranta, ma io a Londra, da solo, non lo mando!”

Povero Kyle… sua sorella Michelle era un’ottima madre, ma purtroppo per suo figlio, anche iper-protettiva.

Se non lo fosse andato a prendere lui stesso a Dublino, suo nipote lo avrebbe odiato vita natural durante

         “Ok, Michelle. Vengo a prenderlo lunedì e mi fermerò qualche giorno lì da te”

         “Graziegraziegrazie! Sapevo di poter contare su di te, fratellino. Ora devo andare, ciao” e riagganciò.

         “Non chiamarmi fratellino” borbottò Patrick al telefono muto.

 

         La mattina seguente, sabato, Chris non aveva lezione e decise di uscire con Sam per fare acquisti.

Harrod’s era favoloso, e i negozi all’interno avevano tutto ciò che una persona potesse desiderare, e anche di più.

Avevano visitato ogni singolo reparto e Chris non aveva ancora trovato nulla per Patrick.

In compenso, però, sua zia aveva saccheggiato ogni negozio ed ora il ragazzo era carico di pacchi e pacchettini.

         “Tesoro, vieni” lo chiamò Sam. Si trovavano al reparto gioielleria e c’era di che lustrarsi gli occhi. “Guarda quel fermacravatta, non sarebbe adatto per Patrick?”

Non appena lo vide, Chris capì che quello era il regalo perfetto.

Un fermacravatta d’oro bianco, con, incisi, un paio di pattini. Sembrava esser stato creato apposta per lui.

         Notando l’espressione estasiata del nipote, Sam chiamò una commessa. 

         “Per oggi abbiamo finito, Chris. Vatti a cambiare”

Quando uscì dagli spogliatoi trovò Patrick ad aspettarlo.

         “Ti accompagno a casa, devo parlare con tuo padre”

Chris lo guardò chiedendosi di cosa avrebbero dovuto parlare, comunque gli disse che suo padre si trovava all’estero.

Patrick si strinse nelle spalle “Vorrà dire che parlerò con Karen”.

                   

         I due furono accolti dall’anziana donna che fece accomodare Patrick in salotto mentre avvertiva Chris di andare a mangiare senza aspettarla.

         “Di cosa voleva parlarmi, signor O’Hare?”

         “Dovrei assentarmi per circa dieci giorni a partire da lunedì e volevo avvertire il signor Calvert. Ho già provveduto a trovare un sostituto che alleni Chris in mia assenza. Ecco…” disse porgendo un foglio “… si chiama Caitlin Taylor. Lì ci sono numeri di telefono e indirizzo. Penso che farà bene a Chris allenarsi con una donna per un po’. Una pattinatrice vede piccoli particolare che ad un pattinatore possono sfuggire. Inoltre, pensavo, se il signor Calvert sarà d’accordo, che Caitlin potrebbe affiancarmi nell’allenare Christian”

Karen annuì.

         “Per questi dieci giorni non ci sono problemi, lei ha già pensato a tutto” disse sorridendo “Per quando riguarda la possibilità d’essere affiancato dovrò parlarne col signore Calvert, ma dubito che si rifiuterà."

Patrick si alzò “Bene, ora vado. Devo ancora preparare i bagagli”

         “Certo, signor O’Hare, le auguro buon viaggio”

 

         Si rigirava nel letto, incapace di prender sonno.

         Accidenti a Patrick!

Avrebbe potuto avere una settimana di pace e invece Mister Perfezione gli aveva trovato un sostituto in sua assenza.

         Si mise supino, fissando il soffitto.

Caitlin Taylor…

Non sapeva il perché, ma gli suonava familiare.

         Accidenti! Lui voleva smettere!

Però… Patrick aveva detto che quella donna avrebbe potuto aiutarlo a migliorare… e lui lo voleva.

         Quel pensiero lo fulminò, immobilizzandolo.

Lui voleva migliorare!

Voleva diventare un pattinatore professionista!

         Ma perché?

Lui odiava quello sport.

Giusto?

         Si alzò ed accese la piccola abat-jour che teneva vicino il letto.

Si avvicinò alla vetrina, aprendola.

Traboccava di coppe e di medaglie.

Quasi tutte vinte da sua madre.

Le sfiorò una ad una.

         Christine Flaherty.

Era stata una delle più brave pattinatrici del mondo.

Ed era morta dandolo alla luce.

         Aveva capito da tempo perché suo padre lo volesse far diventare un pattinatore.

Voleva, attraverso suo figlio, riavere sua moglie.

Non passava giorno senza che gli dicesse quanto assomigliasse a sua madre.

         Gli stessi capelli biondo cenere, gli occhi verdi, i lineamenti delicati, il carattere forte e deciso.

Persino lo stesso nome.

         Perché voleva diventare un pattinatore?

Sam aveva ragione, avrebbe potuto smettere quando voleva, e nessuno sarebbe riuscito a costringerlo a continuare.

Aprì la teca di vetro e prese la medaglia in mano.

Mosca 1980

Christine Flaherty aveva vinto la medaglia d’oro.

Osservò quella medaglia alla luce della Luna che entrava dalla finestra.

         Quello stesso anno aveva conosciuto Joseph Calvert e se ne era innamorata.

Per lui aveva abbandonato il pattinaggio, nonostante il marito l’avesse pregata di non farlo, e quattro anni più tardi nacque il loro primo e unico figlio.

         C’erano state delle complicanze durante il parto e lei era morta.

         Mamma… sussurrò a fior di labbra.

Voleva diventare un pattinatore professionista.

Lo voleva per se stesso e per sua madre.

Sorrise alla Luna, finalmente il suo cuore era in pace.

         D’ora in avanti si sarebbe buttato anima e corpo nel pattinaggio.

Christine Flaherty Calvert sarebbe stata orgogliosa di suo figlio.

 

         Patrick le aveva detto che il ragazzo era bravo, ma non le aveva detto che era così bravo.

Sorrise pensando che Chris era pur sempre il figlio di Christine.

         Lo vide avvicinarsi e si diresse verso di lui.

Porgendo la mano si presentò.

         “Ciao. Io sono Caitlin Taylor. Chris, giusto?”

Il ragazzo annuì “Lieto di conoscerla signorina Taylor”

         “Chiamami Caitlin, ti prego. Allora, cominciamo subito” lo squadrò un minuto poi chiese: “Il mese scorso hai vinto le qualificazioni per il Campionato Nazionale, vero?”

Chris annuì di nuovo. Ancora quella sensazione… era sicuro di averla già vista, ma dove?

         “Bene, fammi vedere l’esercizio che hai eseguito”

Si voltò e si portò al centro della pista.

Chiuse gli occhi e si rilassò.

Riascoltò con la mente la musica che lo aveva accompagnato: Bolero di Ravel.

         E iniziò.

 

         Fantastico!

         Chris aveva davvero un dono.

Non eseguiva l’esercizio meccanicamente, ma seguiva la musica.

Sembrava quasi che fosse questa a suggerire i movimenti al suo corpo.

         Caitlin lo aveva visto a quella gare, ed era stato bravissimo.

Ma ora… ora sembrava esserci una luce irradiare da lui.

         Quando Chris si fermò tornò da lei, Caitlin sembrò risvegliarsi da un incantesimo.

         “Bravo,” gli disse sorridendo “qualche lieve imperfezione, ma nulla di grave”

Lui la fissò stranamente “Guarda che ho vinto con questo esercizio”

La donna lo fulminò con lo sguardo.

         “E allora? Vincere non significa essere perfetti, perché la perfezione non esiste. Vincere vuol dire dare il meglio di se stessi, esprimersi anche con l’anima, e se si sbaglia… essere tanto bravi da non far accorgere la giuria del proprio errore” concluse sorridendo.

Il ragazzo rifletté su quelle parole. Gli era stato insegnato ad essere sempre perfetto, a non sbagliare mai.

“Chris…” Caitlin lo chiamò, per ottenere la sua attenzione “Tu hai una grazie innata, ma sembra che tu la voglia nascondere quando pattini, perché?” ricordò che uno dei motivi per cui sua madre era così famosa, era per la grazia che la contraddistingueva.

“Patrick… il signore O’Hare mi ha sempre detto di concentrarmi sulla velocità”

La donna annuì pensierosa.

“D’accordo.  Ora vai ad allenarti. Fa ciò che di solito fai con Patrick. Io torno subito”

 

Per una volta nella vita non desiderò morire quando finì gli allenamenti.

Caitlin era stata via per quasi tutto il tempo e non lo aveva seguito quasi per niente.

         Ma che razza di allenatrice è?

         “Chris, sei pronto?”

Il ragazzo la fissò sospettoso, aveva un’espressione che non gli piaceva per niente.

         “Questa sera usciamo insieme” disse prendendolo sotto braccio “Ho già avvertito la tua governante, non preoccuparti” sorrideva raggiante.

         “Immagino che un mio rifiuto non sia contemplato, esatto?”

         “Oh! Cervello e fascino… combinazione letale” rispose Caitlin scoppiando a ridere.

 

         “Non posso Caitlin! Non è nelle mie possibilità. Non ne sono all’altezza”

         “Si che puoi, Chris. Ne sei capace, ti manca solo la fiducia in te stesso”

Chris abbassò lo sguardo, concentrandosi sul suo salmone affumicato.

Caitlin lo aveva portato a teatro, a vedere un balletto.

Il lago dei cigni.

Ed ora pretendeva che lui riuscisse a pattinare con la stessa grazia e leggiadra di quei ballerini.

Assurdo!

         Non aveva mai visto un balletto in vita sua, ma non appena il sipario di era alzato lui si era sentito trasportare in un altro mondo.

Il mondo della principessa Odette.

Aveva vissuto insieme a lei la sua vita, il suo amore e la sua morte.

La morte del cigno era il momento culminante dell’opera di Ciajkovskij, ma anche senza musica lui si sarebbe commosso ugualmente.

         Era impossibile! Neanche in un milione di anni sarebbe stato capace di esprimere le stesse sensazioni di quella ballerina.

         “Chris?” lo voce di Caitlin lo riportò al presente “Hai mai visto l’esercizio con cui tua madre vinse le Olimpiadi?!

La domanda lo sbigottì.

         “Tu conoscevi mia madre?”

Caitlin annuì, sorridendo dolcemente “Certamente. Facevamo entrambe parte della squadra che partì per Mosca”

Quell’informazione aprì uno squarcio nei ricordi di Chris.

         “Ora ricordo dove ti ho visto! C’è una tua foto nell’album di mia madre”

         “Mi fa piacere saperlo,” disse lei “ma non hai risposto alla mia domanda”

Chris ci pensò un minuto, rendendosi conto che in realtà non aveva mai visto sua madre pattinare.

         Fece cenno di no.

 

         Era almeno la centesima volta che riguardava quell’esibizione.

Chris era seduto per terra, a meno di un metro dalla televisione, memorizzando ogni particolare di ciò che vedeva.

         “Hai detto che la perfezione non esiste” aveva sussurrato dopo averlo visto la prima volta.

         Com’era bella sua madre.

Ed era bravissima.

Aveva pattinato sulla musica della morte del cigno, e a Chris sembrò che al suo confronto la ballerina che aveva visto quella sera fosse stata assolutamente incapace di trasmettere vere emozioni.

         La ballerina si era limitata a rappresentare la morte e la disperazione per l’amore che non avrebbe vissuto.

Sua madre riusciva a trasmettere la speranza, la fiducia nell’amore che la principessa provava.

         “Ci puoi riuscire…” gli mormorò Caitlin alle sue spalle.

 

         “Cosa diamine gli hai fatto, Caitlin?!”

         Ciao Caitlin, come stai? Io bene, Patrick, e tu? Com’è stato il viaggio? Che fine hanno fatto le tue buone maniere?” lo motteggiò lei.

         “Smettila, Cat! Rispondi alla mia domanda. Io ti ho affidato un ragazzino che giocava a pattinare, e tu… l’hai trasformato in un vero pattinatore” nella sua voce c’era una traccia di rammarico.

La donna scosse la testa.

         “Io non ho fatto nulla. Ha fatto tutto da sé. Ha deciso che non vuole più giocare, e questo…” disse mostrando il ragazzo che volteggiava “…è il risultato”

 

         Quando si fermò un minuto notò Patrick.

         Era tornato!

Si precipitò da lui.

         “Ciao Patrick! Quando sei tornato?”

         “Buongiorno Chris. Sono arrivato solo pochi minuti fa. Da quando ti alleni anche la mattina?” lui faceva persino fatica a convincerlo ad allenarsi un paio d’ore in più al giorno!

Il ragazzo divenne rosso e abbassò lo sguardo.

         “Ho pensato che per poter vincere gli Europei dovessi allenarmi di più” rispose sommessamente.

Patrick sorrise raggiante “Gli Europei, eh? E i Nazionali?”

Chris alzò lo sguardo, una luce divertita negli occhi “Quelli saranno solo una pura formalità” e così dicendo tornò in pista.

         “Cosa gli hai fatto, Cat…” mormorò.

La donna lo studiò interrogativamente, poi rispose: “Gli ho fatto conoscere sua madre”

 

         Quella sera sarebbero venuti a cena Caitlin, Kyle e Patrick per festeggiare il compleanno di quest’ultimo.

         Chris aveva avuto la possibilità di conoscere Kyle durante la sua permanenza a Londra.

Era un ragazzo simpatico, anche se forse troppo esuberante per i suoi gusti.

         Karen aveva fatto preparare i piatti preferiti di Patrick, grazie all’aiuto di Kyle.

Sua zia Sam stava finendo di preparare la tavola, mentre lui non faceva altro che scrutare il viale d’accesso alla villa alla ricerca della Land Rover di Patrick.

Suo padre era tornato pochi giorni prima, ma era dovuto partire di nuovo, per Orléans questa volta.

         Sperava che il regalo gli sarebbe piaciuto.

L’aveva cercato a lungo.

         Ad un certo punto vide dei fari svoltare sul viale d’accesso.

         “Sono arrivati!” esclamò, precipitandosi alla porta d’ingresso, che aprì quando i passeggeri cominciarono a scendere dall’auto.

         “Ciao” li salutò.

Patrick indossava dei pantaloni neri e una camicia di seta bianca che esaltavano i suoi capelli neri e gli occhi verdi.

         Chris gli sorrise felice.

L’ammirazione e l’affetto che il ragazzo provava per il suo allenatore erano sconfinati.

 

         “Stufato all’irlandese! Karen come hai fatto?”

Erano a tavola, e tra piacevoli chiacchiere e auguri erano arrivati al secondo.

         “Una donna non rivela mai i suoi segreti” rispose sorridendo, scambiandosi un cenno d’intesa con Kyle.

         Era il più bel compleanno di Patrick da almeno cinque anni.

Di solito passava questa serata ad ubriacarsi, cosa che odiava, ma era l’unico modo per non pensare.

         Ma non quell’anno.

Questa volta Chris lo aveva convinto a festeggiare il suo compleanno con una piccolo festa in casa sua.

Ma, forse, voleva farsi convincere.

         Sorrise dolcemente al ragazzo che stava scherzando con suo nipote.

Il suo Chris.

 

         Si erano trasferiti in salotto per gustare il dolce e, nel caso di Patrick, scartare i regali.

Aveva ricevuto doni bellissimi: un maglione di cashmere, dei CD sui “The Queen”, ma il regalo più bello fu quello di Chris.

Un fermacravatta d’oro bianco, su cui aveva fatto incidere le sue iniziali.

 

         Era oramai tardi e stavano per andarsene, quando Chris propose loro di rimanere per la notte.

I tre accettarono volentieri.

         “Kyle, posso chiederti una cosa?”

I due ragazzi avevano deciso di dormire insieme nella stanza di Chris.

         “Spara…”

         “Io vorrei… ecco… perché Patrick non gareggia più? Voglio dire… so che si è fatto male, ma non ho trovato nessuna informazione più precisa…”

Kyle ci pensò un po’ prima di rispondere.

Suo zio odiava parlare di quest’argomento, ed era convinto che meno gente sapesse, meglio sarebbe stato.

Però… se non glielo avesse detto lui, Chris lo avrebbe scoperto da se prima o poi, e pensò che era meglio che lo sapesse da qualcuno che conosceva l’intera verità.

         “Nel 1993 mio zio fu chiamato per partecipare alle Olimpiadi di Atlanta” iniziò sottovoce, quasi temesse che qualcun altro potesse sentirlo “Si allenò come un pazzo in quei tre anni. Il suo unico obiettivo era vincere la medaglia d’oro. Poi… ebbe un incidente, il giorno del suo compleanno. I giornali dessero che si era infortunato durante un allenamento, ma non era vero” si fermò un momento per raccogliere le idee “I miei genitori hanno un allevamento di cavalli a circa due ore da Dublino. Per una volta mio zio si prese una pausa e venne a trovarci… in realtà mia madre l’aveva praticamente implorato” si voltò e scorse nella semi oscurità il viso di Chris che lo fissava impaziente “Quando arrivò, non dimenticherò mai quel giorno, cominciò ad aiutare coi cavalli, a strigliarli, dargli da mangiare, cose di questo tipo. Il pomeriggio decise di uscire a fare una passeggiata a cavallo e andò nel bosco vicino. Non so bene cosa successe, ma sembra che il cavallo s’imbizzarrì e lo disarcionò. Quando lo trovammo era poggiato al tronco di un albero in stato di semi incoscienza. Cadendo si era rotto un tendine, mettendo la parola fine alla sua carriera agonistica”

         Chris non proferì parola.

Lui aveva sempre desiderato una cosa del genere, era quasi arrivato a procurarsi una ferita così da poter smettere, ma ora pregava ogni giorno che non gli succedesse nulla.

Il pattinaggio era diventato tutta la sua vita e si chiese come avesse fatto Patrick ad accettare l’idea di non poter più pattinare.

         Non fece più domande e si mise a dormire.

Ma in realtà passò la notte in bianco.

 

         I Campionati Nazionali erano stati davvero una pura formalità per Chris, che aveva vinto senza nessuno sforzo particolare.

Naturalmente Patrick e Caitlin gli avevano proibito di adagiarsi sugli allori.

Tra poco si sarebbero svolto il Campionato Europeo e Chris non poteva permettersi distrazioni.

         Comunque, i due aguzzini, come ogni tanto si divertiva a chiamarli, gli avevano concesso una settimana di vacanza.

Settimana che lui e Kyle dedicarono al divertimento.

 

         Non mancarono di visitare il famoso Millennium Dome, ma anche la ruota panoramica più grande del mondo, che impiegava mezz’ora nel completare un giro.

Ora si trovavano a Covent Garden per pranzare e riposarsi un po’ dopo tutto il loro girovagare.

“Allora?”

Chris sorrise guardandosi intorno “Ci credi se ti dico che è la prima volta che vengo qui? Io, praticamente, non conosco Londra. Sono sempre stato troppo impegnato col pattinaggio o gli studi”

         Non ci aveva mai fatto caso, ma era veramente così.

E forse, il fatto che non lo avesse mai notato prima, stava a significare che non aveva mai odiato il pattinaggio come voleva credere.

         “Domani parto, torno a Dublino” gli disse Kyle, strappandolo ai suoi pensieri.

Chris lo fissò dispiaciuto, Kyle era il primo ed unico amico che avesse mai avuto, gli sarebbe mancato molto.

         “Mi dispiace, Kyle. Ma sono sicuro che potrai tornare, no? Quanto meno per far vista a Patrick” disse sorridendo.

L’altro annuì “O a te” aggiunse.

         “Certo, o a me…”

Chris fissò un attimo Kyle studiandolo.

Gli occhi… i suoi occhi non esprimevano amicizia, non solo.

E come per illuminazione divina capì ciò di cui stava realmente parlando Kyle.

“Oh…” mormorò “Voglio dire… ecco, puoi venire a trovarmi quando vuoi, mi farebbe molto piacere, però… ecco… io, tu…” balbettava e gesticolava imbarazzato nel dover disilludere l’amico.

Cavoli! Un uomo… lui stava rifiutando le avances di un uomo!

         “Capisco” gli disse Kyle bevendo dal suo bicchiere “Vedrò di farmene una ragione. Anche se mi piacerebbe che continuassi a cercare di dirmi che non ci potrà mai essere nulla tra noi, per il semplice gusto di vedere se riesci a diventare ancora più rosso” concluse ridendo sommessamente.

         Chris lo fissò con occhi sbarrati.

In quel momento gli avrebbe volentieri spaccato la testa.

Kyle era stato sincero nella sua dichiarazione, ma non si poteva certo dire che quel rifiuto avesse inferto un duro colpo al suo orgoglio.

 

         Il giorno seguente, all’aeroporto di Heathrow, i due ragazzi si salutarono come due buoni amici, promettendosi di rivedersi al più presto.

 

         “Allora, hai scelto la musica?”

L’unica richiesta di Chris, sin dalla sua prima gara, era stata quella di scegliere personalmente le musiche su cui si sarebbe esibito.

         Forse era sciocco, ma era convinto che se si fosse esibito su una musica che gli piaceva la sua stessa prestazione ne avrebbe tratto vantaggio.

         “Non ancora, Cat. Sono indeciso fra tre brani”

         “Mmh… e si può saper quali sono?”

         La danza Ungherese n.5 di Brahams, Lo schiaccianoci di Ciajkovskij e La danza Araba di Grieg”

Caitlin ci pensò un po’, poi sorrise “Sono tutti brani allegri, siamo forse in un periodo felice?”

Il ragazzo non le rispose e sorridendo tornò ad allenarsi.

 

         Era felice, si, ma doveva chiarire delle cose con Patrick.

Era stufo che lui e suo padre discutessero delle sue gare, dei suoi allenamenti, della sua vita come se Chris non esistesse.

Oramai era deciso nel diventare un pattinatore professionista e voleva aveva voce nelle decisioni che lo riguardavano.

 

         Quella sera andò a casa di Patrick.

Ancora non sapeva cosa dirgli esattamente.

Quando si trattava di discussioni serie era sempre in soggezione davanti a lui.

         Lo guardava come se avesse ancora tredici anni e non diciassette.

Era un uomo ormai!

 

Non appena Patrick aprì la porta del suo appartamento si ritrovò davanti Chris che esordì con un: “Sono stufo” entrando in casa come una furia.

Patrick richiuse la porta e andò in soggiorno, al cui centro se ne stava in piedi, rigido, Chris.

         Lui incrociò le braccia sul petto e chiese: “E di cosa, esattamente, saresti stufo?”

         “Che tu e mio padre prendiate decisioni importanti riguardanti la mia vita senza parlarne con me. Sono un uomo oramai ed ho diritto alle mie scelte”

Patrick si sedette sul divano.

         “Tutto qui? D’accordo, ma ricorda che è stato necessario dato che tu ti allenavi solo se ti costringevo”

         “Si, va bene, è stato così. Ma ora non più, quindi pretendo di partecipare alle decisioni che mi riguardano”

         “Va bene” rispose Patrick facendo spallucce “C’è altro? Perché io stavo per andare a dormire”

E solo in quel momento Chris si rese conto che Patrick indossava solo i pantaloni di un pigiama. E all’improvviso arrossì. Non era la prima volta che lo vedeva così, ma adesso…

         “N… no… nient’altro. Solo… solo questo” rispose a fatica.

         “Ok, aspetta qui, ti preparo la camera degli ospiti” disse alzandosi.

         “Cosa? No, aspetta, non ce n’è bisogno. Torno a casa con un taxi”

         “Non ti lascio andare a casa da solo a quest’ora. E non intendo discutere” disse perentoriamente.

         “D’accordo… grazie…”

 

         Chris lo aveva sorpreso.

Non si era di certo aspettato che si precipitasse a casa sua per parlare di un argomento tanto futile.

Argomento che avrebbe potuto affrontare anche con suo padre.

Però quell’uomo non c’era mai, in fondo era quasi normale che fosse venuto da lui. Lo aveva sempre fatto.

         Si rigirò dall’altro lato, sistemandosi il cuscino sotto la testa.

Ed ora era in casa sua, nel suo letto.

         Beh, non proprio nel suo…

La mente di Patrick andò a quasi cinque anni prima, quando ventottenne, dopo neanche un anno dal suo incidente aveva visto Chris per la prima volta.

         Era fermo al bordo della pista, uno sguardo lontano e malinconico negli occhi.

Si era innamorato di lui al primo sguardo.

E quando lo aveva visto pattinare… gli era sembrato di vedere un angelo. Ed ora, a trentadue anni, si ritrovava allenatore del ragazzo diciassettenne che amava.

         E avevano il coraggio di dirgli che la vita non faceva schifo!

Si alzò per andare a prendere un bicchiere d’acqua, ma mentre tornava in camera qualcosa lo spinse ad entrare nella stanza di Chris.

 

La camera era nel buio più completo, ma dopo essersi abituato all’oscurità, Patrick poté indovinare il corpo di Chris sotto le coperte e sentire il suo respiro regolare.

Rimase a fissarlo a lungo, e stava per andarsene quando il ragazzo lo chiamò.

“Cosa c’è Chris?” sussurrava, quasi temesse di poter svegliare qualcuno.

“Io… stavo pensando… perché non gareggi più?” forse era crudele chiederglielo, ma voleva sapere la verità dalla sua voce.

Patrick rimase in silenzio per alcuni minuti, poi rispose: “ Ho avuto un incidente ed ho dovuto smettere” nella stanze cadde il silenzio e Chris pensò che non gli avrebbe più niente, quando l’altro riprese: “Sono caduto da cavallo. Ancora oggi non sono riuscito a capire, ma qualcosa spaventò l’animale che mi disarcionò. Mi ruppi un tendine. Sperai sino all’ultimo, ma alla fine i dottori mi dissero che non avrei mai più potuto pattinare, almeno non per gareggiare” parlando si era avvicinato al letto.

         “E poi..?”

Patrick cercava di scorgere la sua espressione, ma era troppo buio per poterci riuscire.

         “Caddi in una profonda disperazione. Se non potevo pattinare cos’altro mi restava?” fece una pausa, era la prima volta che ne parlava “Accarezzai anche l’idea del suicidio, ma non ebbi mai il coraggio, o la vigliaccheria, di farlo”

         “Cosa ti ha fatto uscire dalla depressione?”

Patrick sorrise nell’oscurità, sedendosi sulla sponda del letto.

         “Non cosa, ma chi” che diamine stava dicendo? Era pericoloso…

Chris deglutì “Chi è stato?” chiese flebilmente.

         “Tu. Sei stato tu Christian. Non appena ti vidi pattinare capii perché non ero riuscito nei miei propositi suicidi. Una parte di me sapeva che c’eri tu da qualche parte a… ad aspettarmi” concluso in un soffio.

Chris era seduto, leggermente poggiato alla testiera del letto.

         “Se non ho abbandonato il pattinaggio in questi anni” rivelò sussurrando “è stato soprattutto per te Patrick. Sapevo che se avessi smesso non ti avrei più potuto rivedere”

L’oscurità, amica degli innamorati e degli amanti, aiuto anche loro due nel confessare cose che neanche pensavano di provare.

         “La prima volta che ti ho visto, ho pensato che fossi un angelo. Un angelo venuto a salvarmi da me stesso”

         “Il primo impulso che ho avuto quando mio padre mi disse che saresti stato il mio allenatore, fu quello di fuggire il più lontano possibile. Sapevo… so… che se ti avessi fatto entrare nella mia vita, non sarei più stato capace di fartene uscire”

         Patrick allungò una mano a carezzare il volto di Chris.

“Non voglio uscirne…”

Questi gli prese la mano e ne baciò il palmo e le dita.

         “Chris…” mormorò cercando di ritrarsi.

Ma lui si avvicinò il più possibile, guardandolo negli occhi.

         “Voglio che resti con me per sempre…”

Patrick lo guardò studiando e memorizzando ogni particolare di quei lineamenti delicati.

         Avvicinò la mano alla sua bocca, sfiorando le labbra coi polpastrelli.

Gli occhi di Chris si dilatarono ancora di più, poi socchiuse le palpebre.

         Patrick avvicinò piano il suo viso a quello di Chris.

Il cervello gli diceva che stava sbagliando, ma il suo cuore lo implorava di non fermarsi.

         Il contatto delle loro labbra lo spaventò quasi, e si allontanò, ma Chris gli cinse il collo con le braccia avvicinandolo a sé.

         Questa volta non si ritrasse.

Patrick lo baciò dolcemente, voleva ricordare per sempre le sensazioni che quel bacio gli stava dando.

Quando, per entrambi, quel semplice contatto non fu più sufficiente schiusero le labbra, e poco dopo Patrick tentò di entrare nella bocca dell’altro con la sua lingua.

Chris continuava a passargli le dita fra i capelli e sulle spalle, mentre Patrick gli circondò la vita con le sue braccia.

         Il bacio stava divenendo sempre più profondo. Chris si sdraiò sul letto portando con se Patrick, senza dividere le loro bocche.

Impacciato, Chris iniziò a carezzare i muscoli della schiena di Patrick, procurandogli mille brividi.

         All’improvviso il rumore di alcune persone sul pianerottolo lo risvegliò.

Si rese conto, coscientemente, di ciò che stava facendo.

Lentamente, con delicatezza, pose fine al loro bacio.

         “Patrick...?” mormorò confuso Chris, gli occhi ancora socchiusi.

         “E’ meglio se torni a dormire, Chris, domani sarà una giornata impegnativa”

         “No, Patrick…” protestò “Non voglio dormire… voglio che resti con me, voglio…” lo implorò

         “Shhh…” Patrick gli pose un dito sulle labbra “Non dirlo. Te ne pentiresti. Ora dormi. Buona notte” si sciolse dall’abbraccio di Chris e si alzò, uscendo dalla stanza.

         L’esperienza più bella della sua vita, era appena stata la cosa più stupida che avesse mai fatto.

         Non doveva accadere mai più!

Per il suo bene e, soprattutto, per quello di Chris.

         Nessuno dei due dormì più per il resto della notte.

 

         Patrick stava in cucina, la mattina successiva, con una tazza di tea in mano continuando a darsi dell’idiota incosciente.

         Cosa diamine gli era preso?

Era sempre riuscito a resistere alla tentazione di fare ciò che aveva fatto.

Cos’aveva di diverso quella notte?

         Non posso farti uscire dalla mia vita… Rimani con me per sempre…

Quando Chris aveva pronunciato quelle parole a Patrick era sembrato che tutti i problemi della sua vita fossero scomparsi.

         Ma non era così.

Si era reso conto del suo sbaglio sin dalla notte precedente, ma ora l’enormità di ciò che aveva fatto gli cadde addosso come un macigno.

         “Buongiorno”

Patrick si voltò di scatto e vide Chris entrare impassibile in cucina, prendere una tazza e servirsi il tea.

         “Ti spiace se uso il tuo telefono per chiamare un taxi? Altrimenti sarò in ritardo coi miei insegnanti”

         “No, fai pure”

L’altro annuì e andò in salotto a telefonare.

         Cos’aveva?

Era così freddo e distante.

Si era aspettato di dover discutere con Chris per ore, perché era andato in camera sua, perché gli aveva detto quelle cose, perché lo aveva baciato, perché lo avesse lasciato.

E invece… niente.

Sembrava solo preoccupato di non far tardi a lezione.

         Dopo pochi minuti Chris tornò in cucina ringraziando del tea e della telefonata.

         “Ci vediamo più tardi agli allenamenti. Ciao” ed uscì di casa, lasciando Patrick in uno stato di totale confusione.

 

         A quell’ora del mattino non c’era quasi nessuno per le strade e il taxi impiegò poco tempo per riportarlo a casa.

         Era stato difficile fingere indifferenza, quando dentro di sé moriva dalla voglia di sapere.

Ma era deciso nel continuare allo stesso modo.

Non poteva permettersi distrazioni a così poca distanza dagli Europei.

Per il momento quel bacio sarebbe stato archiviato.

Poggiando la testa contro il finestrino, guardò fuori vedendo la città risvegliarsi.

         Ci riuscirò..? si chiese sfiorandosi le labbra con le dita. 

 

         Una settimana dopo la situazione non era affatto cambiata.

Chris continuava ad essere freddo e distante come quella mattina.

         Anche Caitlin si accorse che qualcosa non andava.

Non fosse altro perché Chris non pattinava più come prima.

         Era sempre perfetto, ma mancava qualcosa.

Qualcosa che rendeva ogni sua esibizione indimenticabile: la passione.

 

         “Cat ho scelto le musiche”

Era appena uscito dagli spogliatoi e stava per andarsene quando si ricordò che doveva dare a Caitlin le sue scelte.

         “Bene” Cat sperava nella Danza Araba, ma dato l’umore di Chris negli ultimi giorni non ci faceva molto affidamento.

         La Danza Russa da Lo Schiaccianoci di Ciaijkovskij e la Sonata per pianoforte n.14 Al Chiaro di Luna di Beethoven. Ora scusami, ma devo andare. Ci vediamo domani. Ciao!” e corse via senza aspettare nessuna risposta.

Caitlin rimase dov’era, guardando il ragazzo sparire.

         La prima musica andava bene, una danza allegra e veloce.

Ma la seconda… era una musica malinconia, romantica.

Fatta per un amore triste, difficile e tormentato.

Scuotendo la testa pensò che, forse, gli Europei non sarebbero stati facili.

Né per Chris, né per Patrick.

 

         “Non se ne parla, Chris. Non sei pronto” Patrick era stufo di discutere sempre lo stesso argomento.

         “Invece sono pronto, ne sono capace. Mi sono esercitato sino alla nausea nel triplo Axel e voglio eseguirlo”

“Ho detto di no. Ti sarai anche esercitato, ma riesci ad eseguire un perfetto triplo Axel solo due volte su tre. E questo non è sufficiente!”

Chris lo fissava rosso dalla rabbia, i pugni chiusi.

Chi cavolo credeva di essere?

         Senza dire altro tornò in pista ad allenarsi.

Avrebbe eseguito quel maledetto triplo Axel nel suo esercizio.

         A qualsiasi costo.

 

         Appena arrivati in albergo i tre non persero tempo, disfecero le valige e andarono a controllare il luogo della manifestazione.

         L’organizzazione era impeccabile.

         “Cat, sei sicura che sia meglio prima il doppio Axel e poi il triplo puntato?”

         “Si, Chris” rispose questa, scherzosamente esasperata.

Il ragazzo si strinse nelle spalle e tornò ad allenarsi.

         Patrick lo guardò sconsolato, oramai non gli rivolgeva più la parola.

Si sarebbe potuto licenziare, lasciarlo, e a Chris non sarebbe importato di meno.

Ma non lo avrebbe fatto!, si ripromise una volta di più.

Aveva giurato a se stesso che avrebbe portato Chris alle Olimpiadi, e lui manteneva sempre le sue promesse.

         “Patrick..?” Caitlin lo chiamava, esitante.

         “Cosa c’è, Cat?”

         “Posso parlarti? In privato?”

L’uomo girò lo sguardo, fisso su Chris, a lei e annuì.

Si allontanarono di poco dalla pista, per parlare senza essere interrotti.    

         “Si può sapere cosa succede fra te e Chris? E non dirmi niente” lo prevenne “Non vi parlate, tu stai da cani e se Chris continua a pattinare così arriverà ultimo a queste gare, figurarsi le Olimpiadi!” riprese fiato e parlò più dolcemente “Se non vuoi parlarmi dei vostri problemi, va bene. Ma parlatene fra di voi, chiaritevi. O Chris domani farà la peggior esibizione della sua vita”

 

         Caitlin aveva ragione, ma come si fa a discutere con qualcuno che non ti rivolge neanche il buongiorno? Che si allontana quando cerchi di avvicinarlo, che si comporta come un bambino viziato?

L’unica possibilità era quello d’impedirgli d’uscire dalla sua stanza.

         Sospirando alzò un braccio e bussò alla porta.

Chris doveva essere appena uscita dalla doccia, aveva tutti i capelli bagnati.

Il volto dell’altro esprimeva tutto il suo disappunto e stava per chiudergli la porta in faccia, quando Patrick riuscì a fermarlo, entrò nella stanza e sbarrò col suo corpo l’unica via d’uscita.

         “Dobbiamo parlare”

Chris si voltò e uscì sulla terrazza dalla quale si poteva ammirare la Piazza del Cremlino.

         Perché era lì?

Parlare. Lui non aveva alcuna intenzione di parlare.

Lui voleva… voleva soltanto poterlo abbracciare… e baciare… e…

         “Chris?”

Il ragazzo non si voltò, e strinse ancora di più le mani sulla ringhiera sino a farsi sbiancare le nocche.

         Patrick fissava la sua schiena.

Come sarebbe stato facile avvicinarsi, abbracciarlo, baciargli il collo, farlo voltare e risalire con le labbra sino alla sua bocca…

         “Chris, quello che è successo è stato un errore”

No! Non è vero!

         “E’ stata colpa mia, non sarei dovuto entrare nella tua stanza, e dopo…”

         “Perché?”

Patrick non capì “Perché sono entrato nella tua stanza? Beh… volevo controllare che dormissi, che…”

Chris si voltò, gli occhi lucidi.

         “Perché qualcosa che per me è stata la cosa più giusta di tutta la mia vita, per te è stata un errore? Com’è possibile?”

Patrick si disprezzava con tutto il cuore.

Come aveva potuto fargli tutto questo?

Si avvicinò piano, voleva confortarlo, ma non poteva toccarlo.

         “Le persone non hanno sempre la stessa percezione degli avvenimenti”

         “Non lo sto chiedendo alle persone! Lo sto chiedendo a te” parlava con voce flebile “Perché il nostro bacio è stato un errore? Perché sono piccolo, secondo te? O perché mi reputi immaturo? O…” sperava con tutto il cuore che non fosse così “…ti ha schifato l’aver baciato un ragazzo?”

         Patrick lo fissò con occhi sgranati. Allungò un braccio, carezzandogli piano una guancia, sapeva che sbagliava, ma non poteva permettere che credesse una cosa del genere.

         “Baciarti…” iniziò piano “…è stata la cosa più bella, giusta che abbia mai fatto, ma anche la più sbagliata. Tu non sei immaturo, Chris. Viziato,” disse sorridendo “ma non immaturo. E… si, sei piccolo. Io ho quasi il doppio dei tuoi anni, sono il tuo allenatore, ma soprattutto tu adesso devi concentrarti solo ed esclusivamente sul pattinaggio. Atene. E’ questo il tuo obiettivo, no?”

Chris lo fissava, ma riusciva appena a scorgere il suo viso, cogli occhi pieni di lacrime.

A dispetto dei suoi propositi Chris non era mai riuscito a non pensare a Patrick e a ciò che era successo.

Aveva passato notti insonni, cercando di capire, rivivendo ogni istante dei loro rapporti, e di quella notte specialmente.

         Ed era giunto alla conclusione che lo amava.

Non aveva mai pensato ai sentimenti, all’amore o al sesso.

Era troppo impegnato nel credere di odiare il pattinaggio, prima, e concentrarsi sulle gare, poi.

Ma alla fine aveva capito la verità e se non gli aveva più rivolto la parola era perché temeva di buttarsi tra le sue braccia e confessargli il suo amore.

         Aveva paura.

Non aveva la più pallida idea di come ci si comportasse in queste situazioni, e di certo non sapeva come avrebbe reagito lui.

         “Atene…” ripeté.

Le Olimpiadi, sua madre… Patrick.

Chris sorrise dolcemente all’uomo che aveva davanti “Le Olimpiadi sono la cosa più importante per me. Voglio arrivarci e vincerle” Patrick gli sorrise ritraendo la mano, ma Chris l’afferrò intrecciando le loro dita “Ma scompaiono di fronte a te. Io ti voglio. O meglio, voglio una possibilità…” Dio, fa che accetti “Se vincerò gli Europei mi darai la possibilità di dimostrarti che possiamo stare insieme, essere felici insieme

Patrick non poteva accettare “E se perdi?” si sentì chiedere.

Chris strinse la sua mano “Io non perderò”

         Era una pazzia. Non poteva accettare. Non poteva neanche prendere in considerazione la proposta di Chris.

Ma… cosa sarebbe stata la sua vita senza Chris?

Era stato lui a riportarlo alla vita, a farlo sorridere di nuovo, a fargli di nuovo provare l’amore, forse era solo un maledetto egoista, ma…

         “Accetto” disse sottovoce.

Chris sorrise e sigillarono il loro patto con un dolce bacio.

 

         Il programma corto era andato bene.

Chris era stato perfetto e aveva totalizzato un punteggio di 63.

Era secondo, e davanti aveva il russo: Viktor Ivanovic Solomin, con un punteggio di 64.

         Ed ora toccava a Solomin per l’esercizio libero.

         Chris lo stava seguendo in ogni suo più piccolo movimento.

Incredibile pensò.

Non solo era veloce e aggraziato, ma aveva anche un’elevazione incredibile nei salti.

Il russo aveva appena finito di eseguire una sequenza di salti spettacolari, tra cui un doppio Axel e un doppio Rittberger.

Era agli sgoccioli, La danza Ungherese che aveva scelto stava per finire.

L’ultimo salto. Stava per partire da davanti, un Axel.

L’acme della musica coincise col salto.

Un triplo Axel!

Viktor atterrò sul ghiaccio come una piuma e poco dopo l’esibizione terminò.

La sala esplose in un applauso fragoroso, decine di fiori furono lanciati sulla pista.

         Chris si voltò verso Patrick, gli occhi sgranati.

         “Un triplo Axel…” sussurrò.

L’uomo sorrise rassicurante “Stai tranquillo”

 

 

Ing.

Ita.

Fra.

Sve.

Svi.

Ger.

Spa.

Nor

Merito Tecnico

5.3

5.4

5.3

5.4

5.2

5.3

5.5

5.4

Merito Artistico

5.4

5.4

5.5

5.3

5.3

5.2

5.4

5.4

         Togliendo il punteggio più alto e quello più basso il merito tecnico arrivava a 32.1 e quello artistico a 32.3.

E sommati si arrivava a 64.4.

Più i 64 precedenti si aveva un totale di 128.4

 

         “Non ce la farò mai…” mormorava Chris infranto “Non ce la farò mai…” e non avrebbe perso solo la gara, avrebbe perso soprattutto Patrick.

Questi gli prese una mano stringendogliela, gli mise l’indice sotto il mento e gli girò il volto verso di lui.

         “Ce la farai, Chris. Ce la farai, abbiamo fatto un patto, ricordi?”

Il ragazzo annuì.

         Ci sarebbe riuscito.

Non poteva perdere.

Non poteva perdere l’opportunità di essere felice con Patrick.

         “Vai. Tocca a te” era stata Cat a parlare spingendo Chris verso la pista.

 

          Il tragitto sino al centro della pista gli sembrò infinito.

Non avrebbe vinto con l’esercizio programmato, di questo ne era certo, ma non era neanche in grado di crearne uno ex novo in meno di trenta secondi.

         All’improvviso scosse la testa.

Oh, Dio! Gli mancavano solo le allucinazioni.

C’era sua madre al centro della pista che gli sorrideva, una mano tesa.

         “Seguimi…”

Chris non capì, era sicuro di stare sognando, sua madre era morta.

         “Seguimi, Chris. Fai ciò che faccio io…” gli sorrideva dolcemente, poi si voltò di spalle inginocchiandosi e allargando le braccia sul ghiaccio.

Chris continuava a non capire, stava seriamente prendendo in considerazione l’idea di tornare indietro e farsi visitare da un dottore.

         Guardò Patrick che gli sorrideva.

Lo stesso sorriso di sua madre. Carico d’amore e di fiducia.

         E capì.

Sua madre era lì per aiutarlo.

         “Grazie…” le mormorò, imitando la stessa posizione.

         La musica iniziava.

 

         Cosa stava facendo?!

Quello non era l’esercizio che avevano studiato.

Era del tutto diverso, e soprattutto era molto più difficile.

         Ma Chris lo eseguiva come se non avesse fatto altro in vita sua.

         “Mio Dio…” accanto a lui Cat aveva gli occhi sgranati, le mani poggiate sulla bocca e continuava a ripetere sempre le stesse parole: “Mio Dio… non è possibile”

 

         Sua madre lo precedeva di poco.

Ogni tanto si voltava e gli sorrideva incoraggiandolo.

Non aveva la più pallida idea di cosa stesse facendo.

Ma sapeva che poteva fidarsi di sua madre.

 

         “Cat, cos’hai?”

Patrick era preoccupato, la donna era diventata mortalmente pallida.

         “Caitlin!” la chiamò di nuovo scuotendola per un braccio e lei si voltò a guardarlo.

         “Cos’hai? Cosa ti succede?”

         “Non lo vedi?” gli rispose indicando la pista “Quella è Christine. Chris sta eseguendo l’esercizio che è valso la medaglia d’oro a sua madre”

Patrick tornò a guardare Chris.

         “Non è possibile…” mormorò.

 

         La donna si girò indietro sorridendo al figlio.

         Triplo Axel gli disse muovendo le labbra.

Chris scosse piano la testa.

Non poteva farlo.

Lo voleva, ma sapeva che se lo avesse fatto avrebbe rovinato tutto.

         Christine gli si avvicinò.

         “Fidati di me…”

Chris la guardò leggendo nei suoi occhi tutto l’amore che provava per lui, per il suo bambino.

         “Si, mamma…”

 

         “Ora…” sussurrò Caitlin.

Patrick continuava a fissare Chris.

Quello che stava per eseguire era un Axel.

         “Ti prego, no…” implorò. Non un triplo Axel.

Come al rallentatore lo vide alzare la gamba destra per dare la rotazione.

         Uno… due… tre… quattro… e mezzo…

 

         Era atterrato.

Un atterraggio perfetto.

La madre gli sorrise raggiante e tornò di fronte a suo figlio per fargli completare l’esibizione.

 

Quando la musica finì la sala rimase in silenzio per alcuni secondi, poi esplose.

Tutti si alzarono applaudendolo mentre gettavano i fiori.

 

         “Patrick!”

L’allenatore gli sorrise, da una parte avrebbe voluto strozzarlo e dall’altra avrebbe voluto abbracciarlo e baciarlo, lì davanti a tutti… voleva far capire che quell’angelo meraviglioso era solamente suo.

Ma non poteva… prima i risultati.

         Si sedettero tutti e tre sul divanetto davanti il monitor.

Chris in mezzo fra Caitlin e Patrick.

 

 

Rus.

Ita.

Fra.

Sve.

Svi.

Ger.

Spa.

Nor.

Merito Tecnico

5.5

5.5

5.5

5.5

5.5

5.5

5.5

5.5

Merito Artistico

5.5

5.5

5.5

5.5

5.5

5.5

5.5

5.5

 

Totale merito tecnico: 33  

Totale merito artistico: 33

Sommati ai 63 punti precedenti: 129

 

         Aveva vinto!

Chris Calvert aveva vinto gli Europei!

 

         “Te lo avevo promesso” sussurrò Chris a Patrick quella notte nel loro letto “E ho mantenuto la parola data”

         “E’ vero” gli disse Patrick sorridendo, gli occhi chiusi.

Adorava abbracciarlo, tenerlo stretto proteggendolo.

         Sospirò.

Ancora non aveva ben capito il racconto di Chris circa sua madre e l’esibizione.

Diceva che lo aveva aiutato e quando aveva terminato lei se n’era andata dicendogli di ricordarsi che era nel suo cuore la sua grande forza.

         Probabilmente non avrebbe mai capito sino in fondo, ma non gli importava.

Tutto ciò che lo interessava era lì, fra le sue braccia.

         Chris gli si era concesso senza limiti o inibizioni.

         “Patrick..?”

         “Mmh..?”

Chris alzò il viso per poterlo guardare.

         Com’era bello!

Ed era suo per tutta la loro vita.

         “Ti amo”

Patrick spalancò gli occhi.

         “Dici sul serio?”

Chris annuì serissimo. Se il momento non fosse stato tanto importante, Patrick sarebbe stato capace di scoppiare a ridere tanto era buffa la sua espressione.

         “Ti amo. Ti amerò sino a quando avrò la forza per farlo” gli sorrise “Vale a dire per sempre”

Patrick gli sorrise “Anch’io ti amo”

 

 

 

Atene 2004

 

         Era finalmente giunto il momento.

Chris inspirò ed espirò profondamente.

Ora toccava a lui.

         Si voltò verso Patrick.

In quegli anni erano sempre stati insieme. Aveva avuto molti problemi, ma li avevano tutti risolti e superati.

E avrebbero risolto e superato tutti quelli che si fossero presentati loro.

         “Ti amo”

Patrick annuì “Ti amo”

         Sorridendo gli lasciò la mano e si avviò al centro della pista.

Per un momento gli sembrò di vedere sua madre sorridergli, come a Mosca.

Chiuse gli occhi e quando li riaprì lei non c’era più.

         La tua forza risiede nel tuo cuore…

Sapeva che sua madre lo stava guardando, in qualche modo lo sentiva.

Sorrise.

Forse non lo aveva cresciuto, ma gli era stato vicino in mille modi diversi.

         Prese posizione.

         La musica iniziò.

 

 



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