Buio

parte VI

di Ki-chan


 

( Joël )

 

Rientro a casa che sono le nove, il tempo di salutare mio fratello e andare al lavoro. L’unica cosa positiva di essere il proprietario della società in cui lavori è che se arrivi in ritardo nessuno può dire nulla. Ma farei volentieri a meno di questo privilegio se solo servisse.

Quando torno a casa Maximilian è ancora a letto. Raggiungo la sua camera e lo sveglio scuotendolo dolcemente.

Lui si volta verso di me aprendo gli occhi e mostrandomi quelle iridi vuote che mi fanno tremare ogni volta.

Mi siedo sul letto accanto a lui e gli chiedo come si sente. Gli appoggio la mano sulla fronte e al contatto con la sua pelle ormai fresca mi tranquillizzo sebbene l’aspetto sembri quello di un malato.

Mentre osservo le sue labbra dischiudersi stancamente per rispondermi penso al suo sorriso, prima così allegro, di cui ora mi è rimasto solo un nostalgico ricordo.

Ci sono momenti che vorrei essere in grado di scorgere tutto il suo essere, conoscere i suoi patimenti e talvolta mi capita di illudermi di percepire le angosce che lo scuotono.

Un istante in cui sento l’impeto del suo dolore fremere dentro di lui e ho paura.

Paura di non conoscerlo, di essermi illuso per anni di sapere ogni cosa su mio fratello.

Paura di non essere più in grado di aiutarlo come quando eravamo piccoli.

Paura d’essere io stesso la causa della sua sofferenza così chiaramente leggibile su quel volto angelico eppure macchiato dal dolore.

Vorrei stringerlo tra le braccia, allontanare da lui ogni preoccupazione, vorrei avere per lui solo parole gentili come un fratello dovrebbe fare, ma infondo so bene di non esserne capace.

Ora più che mai.

Adesso che il peso delle responsabilità mi sta lentamente sopraffacendo, ora che la perdita di nostro padre brucia viva nel petto, ora che vedo chiaramente quanto io sia incapace e inutile.

Mi alzo e vado a preparagli la colazione ma quando sto per portargliela in camera lo vedo venire in cucina e sedersi al tavolo. Vorrei rimanere qui finché non ha finito ma non posso attardarmi oltre.

Lo saluto di fretta ed esco mentre indosso il cappotto e mi sistemo la cravatta.

 

 

°°° °°°

 

( Maximilian )

 

La porta si chiude alle sue spalle con un rumore sordo che rimbomba nella casa vuota e silenziosa e ancora più violentemente nella mia mente.

Mangio controvoglia solo perché devo farlo … devo? … Infondo perché dovrei nutrire questo corpo violato e macchiato dal sangue?

Perché?

Ma infondo credo che una ragione ci sia, altrimenti le mie membra ora riposerebbero accanto a quelle di mia madre.

Ma ne sarei davvero degno?

A fatica riesco a mandar giù il cibo che mi sembra veleno.

Mi alzo per raggiungere la mia camera. Percorro il lungo corridoio. Appoggio la mano al muro per non urtare nulla. Mi manca qualche passo quando la mano sfiora la porta chiusa di fronte alla mia. Mi fermo, mi volto verso quella barriera di legno. Con i polpastrelli della mano sfioro la sua superficie liscia mentre impaurito cerco di porre tra il mio corpo e la porta la maggior distanza possibile senza tuttavia riuscire ad allontanare la mano.

Potrei allontanarmi, potrei andarmene, ma non lo faccio. Raggiungo la maniglia e la apro. Rimango immobile sulla soglia mentre la camera dei miei genitori, così a lungo deserta, mi si presenta di fronte. La ricordo bene e anche se non posso vederla con gli occhi, posso farlo con quelli del ricordo. Muovo un passo all’interno. L’inconfondibile profumo intenso di mio padre mi avvolge, s’insinua dentro di me doloroso ed insopportabile.

Il mio corpo, ormai freddo, come solo la morte lo può renderlo, trema.

Lentamente comincio a camminare fino a raggiungere la porta che da allo studio di mio padre.

Non so cosa mi spinga a farlo.

Raggiungo la scrivania e con la mano ne seguo la superficie fino a sfiorare la lama fredda di un pugnale.

Mi chiedo perché non sia stato rimesso nella vetrinetta insieme alle altre spade che mio padre conservava così gelosamente.

Lo prendo tra le mani, lo stringo tra le dita sottili, ne sfioro la lama mentre faccio qualche passo fino a raggiungere il grande specchio in cui mio padre era solito specchiarsi dopo … avermi … no!

Con le dita sfioro la lama tagliente e un sorriso amaro mi distorce il viso.

E poi mi rivedo disteso sul quel letto enorme, nudo e tremante.

Avevo sedici anni allora.

Sento ancora la stoffa fremere sotto la mia pelle. Il suo respiro affannato bruciarmi sul collo.

Le sue mani che cingevano il mio corpo.

||| ||| Tremavo e non riuscivo a non piangere quelle lacrime che avrei voluto tanto non mostrare.

Il suo odore mischiato a quello dell’alcool mi facevano quasi mancare il respiro mentre la paura mi spingeva a ritrarmi da lui.

La sua mano raggiunse il mio viso con violenza schiaffeggiandomi. Mi chetai solo un istante, abbastanza per vedere sul suo viso una smorfia di soddisfazione che mai potrei scordare. Lo vidi allontanarsi e stupidamente m’illusi che per quella volta fosse soddisfatto.

Ben presto fu di nuovo su di me. Mi legò i polsi, con la lama del pugnale che stringeva tra le mani mi accarezzò leggero la guancia.

Mi divaricò le gambe. Preso dal panico mi divincolai fino a che non sentii la lama del coltello lacerami la pelle del fianco.

M’immobilizzai per il dolore e gridai quando entrò in me.

Il disgusto mi percorse violento, più insopportabile perfino del dolore. Lo sentivo muoversi in me e desideravo solo che smettesse quella tortura, non m’interessava in che modo, mi bastava che finisse.

E così fu, si accasciò su di me macchiando il mio essere.

Si allontanò da me slegandomi i polsi.

Sentivo il mio corpo bruciare e la ferita al fianco fremere di un dolore intenso.

Mentre il freddo lambiva il mio corpo l’odore del mio sangue mi avvolse fino a che non persi i sensi. ||||||

 

Con la mano sfioro la cicatrice che a distanza di anni mi ricorda, crudele, quello che non sono riuscito ad impedire quella volta e quelle che l’hanno preceduta e seguita.

 

 

Porto la lama all’altezza del cuore e lo sento palpitare.

 Sarebbe così semplice!

Potrei affondare la lama fino a raggiungere il cuore e far cessare il suo battito e le mie pene … potrei farlo.

Lentamente riapro gli occhi come se davvero con quel gesto potessi vedere.

Serro il pugnale tra le dita e il mio respiro si ferma qualche istante.

Lentamente muovo le mani.

La lama si allontana dal mio petto tra le mani tremati. E poi la calma e la rassegnazione di qualche istante si trasformano in rabbia. Getto il coltello lontano con tutta la forza che ho in corpo mentre un grido rabbioso infrange il silenzio.

Il pugnale termina la sua corsa contro lo specchio che si rompe mentre io mi lascio cadere sulle ginocchia e con la testa tra le mani singhiozzo e tremo fino a non aver più forza nemmeno per quello.

 

°°° °°°

( Michele )

 

Mi dirigo verso l’ufficio di Joël, la sua segretaria mi ha detto che in questo momento non ha appuntamenti. Busso alla porta e aspetto. Mi sembra così strano avere come direttore proprio Joël.

Dato che non ottengo nessuna risposta apro la porta ed entro.

È seduto alla scrivania, il capo appoggiato sulle mani che gli coprono gli occhi e buona parte del viso. I gomiti sono appoggiati sull’enorme scrivania. Faccio qualche passo e mi accorgo di alcuni fogli buttati sul pavimento.

Muovo ancora qualche passo fino ad essere di fronte alla scrivania. Lui non si muove, lo fa solo quando lo saluto. Alza il viso un po’ confuso e mi guarda con occhi persi poi con voce stanca mi dice:

 

« Scusa non ti ho sentito entrare! »

 

« Non importa, se sei occupato posso tornare più tardi »

 

« No! Ho solo qualche problema! »

 

Non aggiunge altro e io preferisco non insistere anche se il suo turbamento mi preoccupa.

Mi siedo sulla poltrona di fronte a lui e ricomincio a parlare cercando nella mia mente le parole più adatte

 

« Sono preoccupato per Maximilian! »

 

« … »

 

« Credo che avrebbe bisogno di aiuto per superare quello che è successo! »

 

« E sentiamo, tu cosa proponi? »

 

Mi chiede sarcastico.

 

« Potresti portarlo da uno psicologo »

 

« Cosa?? Stai scherzando? Mio fratello non ha bisogno di nessun strizza cervelli! »

 

« Ha bisogno d’aiuto e né tu né io siamo in grado di darglielo! »

 

« Tu sai sempre tutto vero? »

 

Le sue parole mi stupiscono, o forse è semplicemente il suo tono che mi fa mancare il terreno sotto i piedi per qualche istante, tempo in cui non rispondo e lui utilizza per continuare a parlare:

 

« Sei sempre dannatamente sicuro di quello che fai! Sempre pronto a dirmi cosa devo fare! Ma cosa cavolo ne sai tu di quello che è giusto per me e mio fratello? Solo perché vengo a letto con te non credere di avere il diritto di decidere per me! »

 

Lo guardo allibito, stupito e ferito. Mi aspettavo una reazione ma non pensavo potesse arrivare a questo. Mi chiedo perché lo faccia, sta di fatto che è sconvolto. Si alza e va alla finestra e appoggiando una mano sul vetro fissa un punto all’orizzonte. Mi alzo a mia volta e mi avvicino a lui, mi perdo qualche istante ad osservare la sua figura longilinea, il capo leggermente piegato da un lato, gli occhi lontani come se si rifiutassero di posarsi su di me, attratti da qualcosa di così lontano e indefinito che penso che non esista nemmeno, come se guardasse dentro se stesso. La mano leggermente appoggiata alla superficie liscia e brillante del vetro non sembra nemmeno poter appartenere a lui tanto il suo tocco è delicato e leggero. Cosa darei per sapere cosa si cela  dietro quelle palpebre stancamente dischiuse. Vorrei solo prenderlo tra le braccia e potergli far dimenticare ogni cosa e rimanere legato a lui per sempre, ma non posso e soprattutto lui non me lo permetterebbe. Con la voce e il cuore addolciti dalla sua figura ricomincio a parlare con calma:

 

« So cosa vuol dire trovarsi da solo, non avere nessuno su cui far affidamento ed è per questo che sto cercando di aiutarti … se potessi gravarmi delle tue responsabilità e dei tuoi problemi lo farei … se sapessi come alleviare le sofferenze che assillano te e Maximilian lo farei pur di non dover assistere impotente a voi due che vi autodistruggete! Ma non posso! »

 

Si volta verso di me per un attimo stupito e con lo sguardo dolce poi, riassumendo il suo solito tono, mi dice:

 

« Belle parole! Peccato che non servano proprio a niente! E se pensavi che potessi cambiare idea riguardo a Maximilian ti sbagliavi! »

 

« Sei uno stupido! Non è rifiutando la realtà che puoi risolvere i problemi! »

 

Ho alzato la voce. Raramente lo faccio, solo quando sono molto arrabbiato. Con Joël non mi era mai capitato. Litighiamo quasi ogni giorno ma non era mai riuscito a farmi perdere il controllo in questo modo, non posso accettare che l’orgoglio lo renda fino a tal punto cieco.

Lui spalanca gli occhi e mi guarda stupito senza trovare le parole per ribattere. Porto la mano al volto e mi copro gli occhi per un istante cercando in quel gesto di riacquistare la calma. Mentre lentamente mi massaggio la fronte parlo, più a me stesso che a Joël che tuttavia mi risponde in malo modo:

 

« A volte non ti capisco proprio! »

 

« Cosa vorresti dire? »

 

« Ci sono volte che sei un ragazzo così dolce ed altre invece che ti rifiuti di ascoltare! Non riesco proprio a capire come sei veramente! »

 

« Ah si? Tu come preferiresti che fossi? Il ragazzo dolce ed accondiscendente scommetto! »

 

« Si, lo vorrei! »

 

« Beh se credi davvero che io possa abbassarmi a tanto ti sbagli! Ti farebbe piacere vedermi debole ed indifeso per potermi giudicare e sottomettere, vero? Non accadrà mai! »

 

« Io non voglio giudicarti! Non mi interessa se sei un ragazzo forte oppure debole, vorrei solo che fossi te stesso! »

 

« Quando la gente mi vede, quando tu mi vedi, dovete vedere solo un uomo forte! »

 

« In te vedo solo orgoglio e paura … e in questo non può esserci forza! »

 

« Non capisci, vero? Io non voglio la pietà di nessuno, non dei miei parenti, non dei dipendenti della mia società e soprattutto non la tua! »

 

« Non è un disonore accettare l’aiuto di altre persone! »

 

« Tu sai cosa vuol dire essere guardati con compassione perché tua madre è morta che eri piccolo, ricevere la pietà di tutti perché tuo padre è morto? Tutti si sentono in dovere di aiutarti e ti trattano come se tu fossi tanto stupido da non capire! Dimmi, ne hai una vaga idea? »

 

Non rispondo, in fondo cosa potrei rispondergli? Ha ragione io non lo so. È la prima volta che Joël mi parla di quello che è accaduto. Mi fissa con gli occhi ancora colmi di rabbia. Ma ben presto la rabbia svanisce. Chiude gli occhi lentamente e quando li riapre mi fissa stanco. Istintivamente mi avvicino fino ad essere a pochi centimetri da lui e porto la mano fino a raggiungere il suo viso. Lo accarezzo piano sperando che non mi allontani, sperando di poterlo rassicurare con questo gesto insieme così naturale tra amanti e per noi così insolito e particolare. Rimane immobile per qualche istante permettendomi di perdermi nel calore della sua guancia. Poi allontana il viso dalla mia mano e torna a guardare la città che si estende sotto di noi.

 

« Per favore vattene ora! »

 

Il suo tono non è ricolmo d’ira ma semplicemente afflitto  e mi fa ancora più male di qualsiasi insulto da parte sua. Non ribatto e senza aggiungere altro torno nel mio ufficio, sebbene il mio pensiero sia sempre rivolto a lui.

 

°°° °°°

( Maximilian )

 

Non so quanto tempo ho passato rintanato contro la scrivania, le gambe avvolte dalle braccia e la testa appoggiata sulle ginocchia. Mi alzo in piedi e cerco di tornare nella mia camera. Gli occhi mi bruciano per le lacrime che ho versato, la testa sembra scoppiarmi.

Cammino sul parquet e non mi curo delle schegge dello specchio che mi feriscono i piedi nudi. Cammino incurante del dolore sbandando ed urtando ogni cosa. Ma non mi curo nemmeno di questo.

Raggiungo il salone e  mi abbandono  contro il muro là dove le pareti formano l’angolo. Proprio come quando ero piccolo, mi nascondo impaurito come se le pareti mi potessero davvero proteggere da quello che ho nel cuore.

Mi desto solo quando Joël rientra a casa. Mi chiama ma io non rispondo, ho la bocca impastata e la voce ancora insicura. Mi cerca preoccupato e quando mi trova si inginocchia di fronte a me e prendendomi il viso tra le mani mi chiede preoccupato:

 

« Cosa è successo?  Ti sei fatto male? Ci sono macchie di sangue sul pavimento! »

 

Io tento di rispondergli ma sono troppo stanco per farlo, sono stufo di dover dire bugie, nascondere ciò che mi opprime.

Posso vivere in questo modo?

La verità mi sta corrodendo lentamente l’anima e i ricordi ormai assillano ogni mio giorno e non più solo le notti buie.

Vorrei che tutto questo finisse.

Mi aiuta ad alzarmi e mi fa coricare sul divano e io come una bambola lo seguo. Prende dei cerotti e mi medica i piccoli tagli che mi sono provocato sotto il piede.

Si siede sul divano accanto a me, io appoggio la testa sulle sue ginocchia e ascolto il suo respiro. Lo sento esitare prima di cominciare a parlare:

 

« Ho pensato che forse potremmo cercare qualcuno che possa aiutarti a superare questo momento! »

 

Vorrei ridere … non di lui certo, ma dell’assurdità della situazione … come potrei raccontare a qualcuno la vera causa della mia sofferenza.

Con che occhi mi guarderebbe?

Come potrei non mentire, come in fondo ho sempre fatto fin da quando avevo tredici anni?

Assurdo, come assurda è la mia vita!

Forse è proprio questa la mia condanna. Nel silenzio sono costretto a scontare la mia colpa e la sua. Non avrei mai dovuto permettergli di rovinarmi la vita in questo modo!

Dopo qualche minuto di silenzio trovo la forza per parlare e facendo uno sforzo immane, cerco di non far tremare la mia voce quando gli rispondo:

 

« Non ti preoccupare per me, io sto bene! »

 

Le mie stesse parole mi sembrano finte e insensate tanto che dubito che siano state le mie labbra ad emetterle eppure quando ho pronunciato anche l’ultima parola, il desiderio di urlare e piangere mi assale violento ed inaspettato. Lo reprimo a stento, mentre stringo di più le gambe al petto e serro le braccia attorno al mio torace.

 

« Come vuoi tu! »

 

Mi dice tranquillo mentre con la mano mi accarezza i capelli e io mi sento perso.

Vorrei dirgli la verità … ma non posso.




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