Nota: Terza e ultima parte. Grazie per essere arrivati fino a qui!

 


Boheme

terza parte

di Snatch

 

20 Dicembre 1885

Non ho più senno! Sento di doverti raccontare tutto, ma la vergogna mi opprime.
Giulio, ti prego di non condannarmi per ciò che saprai. So che sei mio amico, e per questo voglio raccontarti dei miei errori come delle mie vittorie.
Ora io scriverò, tutto, poiché tu devi sapere, e io devo capirmi. Non ti chiedo di capirmi, anzi. Forse è meglio che tu non capisca nulla, perché solo un folle quale sono io potrebbe trovare un senso a tutto questo.
Questa mattina sono uscito per comprare provviste. Il pensiero di dovermi allontanare da lui mi angosciava, ma mi rendevo conto di doverlo fare.
Quando sono tornato ho subito raggiunto i cuscini per salutarlo, perché una strana impressione si insinuava in me, l’impressione che lui se ne fosse andato.
Quanto è doloroso avere una conferma a volte.
Ho sollevato le coperte, e lui non c’era. Le ho sollevate tutte, con la strana convinzione che se fosse invisibilmente nascosto, ma lui non c’era, solo il suo odore era rimasto.
Solo quando mi sono arreso mi sono reso conto di una voce che mi chiamava. Era Juliette, tu ricordi Juliette, una delle ragazze di Madame Mieris?
Era lei, in piedi vicino alle finestre. Mi chiamava. Non so cosa volesse. Dov’è lui, le ho chiesto. Ero convinto fosse colpa di Juliette, ma lei non mi rispondeva.
Ho continuato a urlarle in faccia, finché non si è messa a piangere, chiedendomi cos’avevo e, non so perché, con questo comportamento ha confermato la mia idea sulla sua colpevolezza.
Ho fatto violenza su di lei, Giulio, e non so come ho potuto. Lei che sempre è stata gentile, lei che mi ha aiutato quando non avevo un posto dove dormire… Io ho trattato lei come fosse la più volgare prostituta.
Perché poi, perché?
Io ti giuro, ero sicuro della sua colpevolezza.
Tu, essere imperfetto, tu, donna invidiosa, come hai osato? Questo pensavo, e volevo punirla. Perché tutto a un tratto la passione si è mescolata alla rabbia? Quanto sporco è stato quel gesto! Quanto sporco io stesso mi sono sentito, mentre lo compivo! Per questo, per la rabbia che anche questo causava, ho continuato.
Ho agito come le persone che sempre ho detestato, come le persone la cui vista mi procurava viscerale disgusto.
Ecco, questo ora provo per me: disgusto. Disgusto e rabbia, senza pena né compassione.
Non esiste inferno per me, non esiste luogo adatto ad accogliere il mio unico indescrivibile peccato.
Per due anni mi sono migliorato, mi sono elevato oltre ogni altezza, trattandomi e trattando le persone con dignità. Finzione, era? Una maschera? Allora può l’essere umano illudersi a tal punto? Allora può l’essere umano divenire una tale aberrazione?
Non c’è salvezza, né Morte né martirio. Ciò rimarrà per sempre impresso.
Mai potrò avere scuse per ciò che ho fatto. La colpa si è subito mostrata, mentre Juliette singhiozzava timidamente accanto a me, bestia brutale.
Quando il suo pianto si è spento, quando ha cessato di gemere e si è semplicemente abbandonata al proprio dolore, ho capito di aver ucciso qualcosa.
La stessa Juliette, forse ho ucciso. Ella mi amava, sapevi? Ella oggi è venuta sin casa mia perché mi amava. Ora non può più amarmi. Neanche odiarmi può, io ho ucciso le sue emozioni.
Ho tentato di consolarla, stupidamente, come un bambino si accosta al giocattolo rotto.
Scusa, mille volte ho chiesto scusa. L’ho accarezzata, l’ho implorata, le ho detto di punirmi, se voleva, per il mio gesto, ma le mancava la volontà per ogni cosa, la volontà che io ho ucciso.
Mentre ancora la stringevo chiedendole pietà lui è entrato. Dov’era stato, gli ho chiesto, mostrandogli cos’era accaduto in sua assenza a causa della sua assenza.
Era fuori a visitare la città, mi ha risposto. Era vestito poveramente e in una mano reggeva una sacca. L’ha aperta, e dentro vi erano pigmenti per me.
Avevo vestiti che non mi servivano e ne ho presi di più adatti, mi ha detto.
Poi ho preso questi per te, mi ha detto e mi ha mostrato le polveri colorate.
Che colpa ho io, mi chiedeva il tono della sua voce.
Poi ha guardato Juliette, si è avvicinato. Solo allora lei ha reagito, lo ha guardato, e sempre guardandolo si è districata da me, sempre guardandolo ha preso i vestiti strappati ed è uscita, nuda, sempre guardandolo ha chiuso la porta.
Mi sono abbandonato tra i cuscini e ho cercato di spiegargli.
So cos’è successo, ma se vuoi parlane pure, mi ha detto.
Ho parlato, ho parlato a lungo, come ora scrivo a te. Lui mi ha accarezzato, mi vezzeggiava, ma non dava alcun peso al mio peccato.
Di me si occupava, di me solamente. Nulla gli importava di Juliette.
Mostro, gli ho detto.
Io non ho colpa, mi ha risposto e non ha cessato di carezzarmi.
Come può, Giulio, come può lui non avere alcun sentimenti per la vittima che ho creato?
Egli è veramente destinato a me solo, e questa è la dannazione, la maledizione?
Non ha colpa, è vero, non ha alcuna colpa, la colpa è solo mia.

Spero tu abbia letto tutto, dalla prima all’ultima riga. Spero tu abbia letto eppure non ti chiedo perdono, neanche io posso perdonarmi, solo lui può perdonarmi.
“Io ti perdono.”, ha detto e ora, quando lo osservo, regna la pace.
Non perdonarmi, non perdonare né la mia crudeltà né la mia codardia, ma leggi ciò che ti dico. Leggi e ciò mi basterà.



21 dicembre 1885

L’ho perduta, Giulio, l’ho perduta!
Ella non posa più lo sguardo su di me, ma fissa lui, dalla finestra, incessantemente, senza neanche fingere.
Può un artista perdere una propria opera?
Diana è persa, e con lei anche una parte di me è smarrita. Lui dorme e lei ancora lo fissa, senza ritegno. Poi guarda me e nei suoi occhi leggo disgusto.
Un essere patetico non può possedermi, questo mi ha detto con gli occhi.
Impotente, sono impotente. Nulla di ciò che farò avrà peso, non è forse così?
Mille gradini per il paradiso, uno per l’inferno.
Ho perduto la mia arte, ho perduto me stesso, solo lui mi rimane. Lui che mi consola in ogni cosa, lui dalla pelle che sa di latte. Oh, angelo caritatevole!
Che importa di me! Diana ha ragione, non ho alcun diritto su di lei, come non ho nessun diritto su me stesso. Cosa diventa un artista quando perde la propria arte?
Una farfalla senza ali muore, non si trasforma. Sarei dunque destinato a morire se lui non curasse le mie cicatrici.



23 dicembre 1885

Tienimi sveglio, Giulio, tienimi sveglio. Orribile sogno, questa notte, e la realtà nulla fa per smentirlo, e ogni qual volta i miei occhi si chiudono il sogno torna, frammento dopo frammento.
Così ho sognato, di dormire nel mio letto, e di avere lui al mio fianco e Diana alla finestra, entrambi con immense ali, che entrambi sono angeli caduti in una squallida soffitta.
Verso lui mi giravo, con gli occhi pesanti e riuscendo poco a vedere, e lui si alzava, si poneva sopra di me, con la sua indicibile tenerezza, e me sollevava.
Le braccia mi teneva, dietro alla mia schiena, ed insieme guardavamo Diana, che ci guardava, ed ella aveva tra le mani una spada fiammeggiante e con essa calava su di me, che così gli angeli puniscono il peccato.
Così mi sono svegliato, con lui al fianco e Diana che mi fissava, con quello sguardo punitore, ed egli con il suo tenero sguardo.
Egli ha tentato di alzarsi, di carezzarmi le spalle, e subito mi sono ritratto, egli ha sbuffato ed io a questa scrivania sono venuto.
Non posso uscire, Giulio, non posso più. Le persone lì fuori sono cosa diversa da me, io son diverso da loro. Estranei a tal punto che neanche mi vedrebbero, sono materia diversa dalla loro e qui dentro devo rimanere, con lui sul letto che ancora attende e Diana alla finestra.
Mi uccideranno, quando il sonno mi vincerà. Mi uccideranno, senza remore, sono fatti per questo, punitori dei miei peccati, ma nessuno mi aveva spiegato che son gli stessi angeli a tentare l’uomo con il peccato.
Egli mi guarda, con sguardo così caritatevole da risultare spaventoso, perché leggo nei suoi occhi la pena per il mio destino ancora incompiuto.
Dal mio risveglio non dormo né mangio, da quasi due giorni ormai, ho visto l’alba e ora guardo la luce bianca del mattino, e probabilmente sarà l’ultimo mio risveglio.
Sanno che non uscirò, non guardano nemmeno la porta. Quella porta non esiste più, è solo materia, ben sanno che non mi è permessa.
Aiutami Giulio, con le tue preghiere, che tu meglio di me hai pregato in vita ed io ne sono incapace, salva di me ciò che si può salvare, che nulla pare, che egli guarda me come la cosa più penosa esistente, infinita bontà degli angeli.
Così è, e rimpiango le strade sporche, la vita di peccati umani piccoli e continui, umani peccati, che io oltre ho tentato, di creare come Dio creò, una Diana più vera del vero, troppo perfetta per essere umana, così che ora ella a immagine di Dio è, ai suoi ordini.
Prega per me, che pure l’inchiostro finisce, e i fogli, e il cibo e la veglia, tutto lentamente si consuma, e nella stanza buia essi attendono.
 

*fine*