Spoilers: direi proprio di no! Visto che un sacco di cose me le sono inventate.
Note: i personahggi non sono miei! Ma questo lo sapete tutti. A parte UN personaggio, ma questo al max ve lo metto in coda alla ffic.


L'angelo sul viso, il demone nel cuore

di Dhely

parte I


Il cielo di Nuova Luxor iniziava a risplendere dei raggi remoti di un'alba che era ancora nascosta dietro l'orizzonte e che lui non avrebbe mai notato se non avesse passeggiato per il parco pubblico che costeggiava la zona turistica del porto. Era solo la strada più breve per ritornare all'ex orfanotrofio, ex collegio St. George, ora dimora confortevole e lussuosa dei cavalieri di milady. Sollevò appena il capo, il bavero rialzato della giacca di pelle lottò per un attimo contro una folata gelida di vento passò rapida com'era venuta. L'inverno era ormai alle spalle, nonostante il suo fiato formasse ancora nuvolette di condensa appena fuori dalle sue labbra al pomeriggio il cielo limpido lasciava che tiepidi raggi di sole scaldassero la terra.

C'era solo un'unica, solitaria stellina in cielo, segno dell'arrivo dell'alba che sarebbe stata l'ultima cosa che Ikki, cavaliere di Phoenix, Sanctos di Atena reincarnata, avrebbe visto prima di buttarsi sul letto a dormire.

A occhio e croce erano appena passate le 6, il suo solito orario: si concesse un sorriso al pensiero che ormai, anche quello che era stato visto come altamente trasgressivo e lesivo del buon nome della Fondazione e del suo titolo, stava prendendo delle scadenze precise, stava diventando abitudine. Doveva essere colpa del riposo forzato, allora, non c'erano altre spiegazioni plausibili. Erano passati anni da quando aveva cominciato quella vita, da quando gli era stato l'onore di un titolo che era soprattutto un dovere oneroso, nel frattempo c'erano stati miriadi di nemici sconfitti, dolore, fatica, sofferenza, e come balsamo per lenire tutte le ferite del corpo e dell'anima, solo quei brevi lampi di vuota tranquillità fra una battaglia e l'altra che parevano essergli proprio nocivi.

Si passò una mano fra i capelli stringendosi appena nelle spalle. Non si ricordava neppure quasi più il nome dell'ultimo nemico affrontato e sconfitto da lui e dai suoi compagni, come se poi la cosa avesse una qualche importanza. Dopo la guerra c'era stato quasi un mese di riposo completo, le ferite che guarivano, la stanchezza che si riassorbiva, il Cosmo che ritrovava il suo equilibrio, l'armatura danneggiata che portava a termine il suo infinito lavoro di ricostruzione, come se fosse una cosa viva. E poi... di nuovo l'attesa, come sempre, di un nuovo nemico contro cui rischiare la vita e, peggio ancora, l'anima, di un nuovo motivo per combattere di nuovo per la giustizia. Ognuno di loro approntava il proprio ritorno a una fragile normalità secondo il gusto personale, ormai da tempo Milady Saori aveva imparato a impicciarsi poco delle cose che non la riguardavano il che era stata una grande conquista, soprattutto per lui: era certo che non avrebbe approvato la sua attuale condotta di vita e lui non aveva proprio voglia di affrontare infinite questioni che non avrebbero portato a nulla di concreto; non intendeva iniziare un processo di moralizzazione della sua vita proprio in quel periodo.

Non aveva mai avuto difficoltà a trovare una donna che accettasse di passarci una notte o due, mai abbastanza per affezionarsi, di questo stava ben attento. Spesso la mattina non ricordava neppure più i loro nomi, proprio come gli stava capitando in quel momento, aveva di fronte agli occhi della mente solo volti che si cancellavano sfumando piano nel ricordo della notte.

Ormai usciva ogni sera e quando tornava lo faceva sempre circa a quell'ora da abbastanza tempo perché fosse chiaro a tutti che quelle erano le sue abitudini e che a nessuno venisse in mente di fargli la predica!

Camminava piano verso il St. George cercando di ricordare il volto della donna con cui aveva passato le ultime ore . peccato, la situazione era già squallida a sufficienza, anche se non continuava a girare il coltello nella piaga. Di quelle donne non gl'importava nulla, non erano nulla, null'altro che uno svago della durata di poche ore, poco più di oggetti. Di una sola non si era dimenticato. Sofia. E come avrebbe mai potuto? L'aveva  incontrata settimane prima in una discoteca fumosa giù al porto vecchio, dove incedeva fra la folla come fosse una regina, dondolando decisa sui tacchi alti e lanciando intorno a sé occhiate nervose e dure, d'avvertimento quasi. Non aveva mai visto una donna più bella di lei. Era un'occidentale, aveva i capelli biondi molto chiari, quasi bianchi, lisci e lunghi fino a mezza schiena, indossava pantaloni aderenti neri di pelle e un top nero che le lasciava scoperto il piercing all'ombelico, sulle spalle aveva appoggiata una giacca elegante e lunga, blu cangiante proprio come i suoi occhi. Ikki aveva subito riconosciuto quell'espressione: sicurezza, arroganza, forza.

Uno splendido animale. Un cacciatore. Lui non voleva guai, non voleva invischiarsi in qualcosa da cui uscire sarebbe stato difficile, una tipa così poteva portare un sacco di problemi. Scoprì più tardi che il destino aveva deciso altrimenti, quando l'ambiente aveva preso a svuotarsi alle sue spalle era ancora seduto al bar a bere l'ennesima birra. Nottata cupa e pensierosa, non aveva avuto voglia di preoccuparsi di trovare compagnia femminile, tanto quanto non aveva voglia di tornare al St. George. Avrebbe deciso più tardi che fare, magari era ancora in tempo per... Finchè una voce seccata al suo fianco lo riportò sulla terra. Una donna dal tono gelido e tagliente allontanava uno scocciatore, una mano sottile e bianca si mosse nell'aria, poi si sedette con uno sbuffo sullo sgabello vuoto al suo fianco.

La cacciatrice. L'aveva riconosciuta da quel gesto, dalla forza che vi era espressa, dalla sicurezza. La sentì sorridere garbata al barman ordinando un Martini bianco senza ghiaccio. Non sapeva dire com'era successo, sapeva solo che dopo poco stavano chiacchierando, rilassati, di tutto e niente. Due cacciatori s'intendono tra loro. Era davvero dannatamente bella e da come parlava sembrava anche possedere un cervello di prim'ordine, ma la cosa  non doveva riguardarlo. Erano ovviamente finiti a letto, nell' appartamento di lei, poco lontano da lì e durante la notte si era trovato molte volte a pensare che fosse una donna dotata di moltissime belle qualità, che sapesse farci. Una perfetta cacciatrice. Era tardi, quella mattina per i suoi standard, si ricordava benissimo di essere in piedi davanti la letto, dopo una doccia rapida, a vestirsi in silenzio, quando l'ondata blu cobalto, trasparente e scintillante dei suoi occhi appena socchiusi lo investì in pieno. Un sorriso appena accennato, nessun tentativo stupido di fermarlo, di chiedergli di rimanere ancora un po', di farsi lasciare un recapito, solo quel sorriso, quello sguardo, non languido, non fragile.

"Sei strano, sai?"

Lui aveva risposto con una scrollata di spalle. "Vuoi dire che tu ti definisci una ragazza comune?"

Sofia attese un attimo prima di rispondere, sorridendo. "Sei... un animale."

Ikki sollevò un sopraciglio senza sapere cosa rispondere, poi sorrise. "Un lupo solitario, magari!"

Lei chiuse piano gli occhi, lentamente. "No, non sei uno che cammina a quattro zampe, sembra più che voli. Forse un'aquila o anche qualcosa di ben più grande e potente."

Era rimasto immobilizzato, incapace di qualunque tipo di risposta, Sofia si era limitata a soffocare uno sbadiglio nell'incavo del gomito voltandogli la schiena e stringendosi nelle coperte "Vedi di non far scappare il gatto, quando esci."

Nient'altro. Solo che c'erano quell'affermazione, e quello sguardo, ancora piantati dentro di lui. Che non avevano fatto altro che far aumentare le domande che già gli si agitavano nella mente.

Digrignò i denti anche ora. Certi tipi di problemi non potevano riguardare il grande Phoenix .. a quanto pareva si sbagliava. Ogni notte attendeva quel momento con ansia, ogni donna poteva essere quella che finalmente gli avrebbe fatto capire perché... perché... visto che da solo non ci riusciva!

Il piacere per lui veniva sempre, per la sua compagna lo credeva fermamente anche se non poteva esserne assolutamente certo, ma c'era sempre un momento, un attimo, quando il proprio corpo agiva in maniera autonoma, sopraffatto dalle troppe emozioni in cui sperimentava una sorta di... aggrottò la fronte... delusione. Un qualcosa che gli riusciva difficile da decifrare, il corpo sotto di lui, per una frazione di secondo, gli pareva sempre troppo morbido, troppo arrendevole, troppo...

Il St. George era davanti a lui, ampio e bianco, silenzioso. Tirò un sospiro di sollievo, certi pensieri, futili e ameni erano . disonorevoli per una persona orgogliosa come lui.

Strano, di solito rientrando a quell'ora incrociava sempre Shiryu che si dirigeva verso il laghetto artificiale in mezzo al giardino del St. George per andare a meditare mentre il resto dell'abitazione rimaneva avvolta nel sonno e nel silenzio. Invece in quel momento Ikki percepiva il Cosmo desto di tutti i Cavalieri in agitazione, non in preparazione di un attacco ma decisamente ben svegli. Cosa diavolo... Jabu lo travolse quasi mentre s'infilava la maglietta mentre usciva dalla sua stanza di corsa.

"Finalmente sei arrivato! Tuo fratello stava per farsi venire una crisi isterica, ieri sera, era certo che non te ne saresti ricordato!"

"E cosa avrei dovuto dimenticare?"

Il Cavaliere dell'Unicorno rallentò il passo fissandolo interrogativo.

"Accidenti, allora aveva ragione lui! Hai scordato che stamattina arriva il Gran Sacerdote di Grecia!"

Corse via. Ikki si chiese sinceramente di come avesse potuto dimenticare unacosa simile. Spesso Athena ritornava al Grande Tempio in Grecia per incontrarsi col suo maggior rappresentante che aveva appositamente resuscitato per donargli una seconda possibilità di dimostrare la sua buona fede, proprio come aveva fatto con tutti gli altri Cavalieri d'Oro caduti durante la battaglia. Ora Saga aveva chiesto il permesso di giungere a Nuova Luxor, al cospetto della sua dea per discutere di un argomento che gli stava a cuore e che, palesemente, non poteva aspettare.

Saga.

Ikki scosse il capo. Tutto quello che voleva era infilarsi sotto la doccia e poi a letto, era stanco, aveva sonno e non aveva alcuna voglia di vedere proprio lui. Lui... quel maledetto che, col nome di Arles, gli aveva insegnato a manipolare le menti, il suo colpo più potente, l'abilità di cui era più orgoglioso e geloso. Il suo secondo e più importante Maestro. No.

Troppe cose erano successe dopo... dopo... Si passò una mano sulla fronte, sfiorandosi la cicatrice che era stato  sempre lui a fargli, e si ricordò della manipolazione mentale a cui l'aveva sottoposto, rendendolo una 'cosa sua' come amava chiamarlo, un suo 'animaletto' come aveva letto in uno di quei ridicoli manga che suo fratello adorava. Un  brivido lungo la schiena lo fece scuotere e si voltò verso il corridoio che portava alla propria stanza.

Se Saga, per qualsiasi motivo voleva parlargli, avrebbe dovuto muovere i suoi sacri piedi e degnarsi di andarlo a cercare 

#FLASH#

Il corridoio in ombra, le alte colonne di lato, pesanti tendaggi di broccato rilucenti d'oro che pendevano dal soffitto, creando infinite nicchie d'oscurità, infiniti luoghi ove ripararsi allo sguardo del mondo. Bracieri di rame bruciavano oli profumati e incensi rari che rendevano quell'aria quasi difficile da respirare, lampade raffinatamente decorate davano vita a sporadiche pozze di luce in quel luogo che avrebbe dovuto essere illuminato da fiotti di luce del sole che era a picco nel cielo. Ma al sole era stato vietato l'ingresso, da qualche tempo, e spostò lo sguardo sulla figura ammantata di insegne di dominio, seduto su un alto scranno, immobile come quel volto che era null'altro che una maschera impassibile di nera ossidiana scintillante di fronte alla fila di cortigiani che venivano a supplicare privilegi e indulgenze presso di lui, il Gran Sacerdote di Grecia, il potente Arles. Il Cavaliere della Fenice conosceva bene quel posto, ogni anfratto, ogni angolo faceva parte del suo territorio; Arles gli aveva affidato di persona il luogo più importante di Grecia: gli angoli bui del Santuario dove si stringevano silenti alleanze, si annodavano oscuri patti, si uccidevano traditori.

Arles come Gran Sacerdote aveva una guardia personale, vero, un gruppo di pretoriani posti al suo diretto servizio ma gli aveva spiegato che aveva bisogno di qualcuno che agisse nell'ombra, di qualcuno che fosse un prolungamento di se stesso, di qualcuno che nessuno potesse corrompere perché ciò che bramava nessuno poteva donarglielo. Nessuno tranne il Gran Sacerdote: il Potere e, con esso, la vendetta. 

Ikki si leccò le labbra : il Sacerdote manteneva il suo giuramento in maniera eccelsa, gli insegnava a dominare le menti, a plasmare le convinzioni e le anime altrui, a leggere i segreti nascosti dietro i limpidi specchi degli occhi, ad ampliare il Cosmo a livelli inimmaginabili e a condensarlo in un unico colpo micidiale. Quando fosse stato pronto... la vendetta sarebbe stata finalmente sua, e completa! La gloria gli avrebbe arriso, avrebbe cancellato d'un colpo l'esistenza di coloro che perpetuavano nella propria memoria il ricordo di chi fosse stato Ikki prima d'allora, e il Gran Sacerdote gli avrebbe tributato grandi onori... e donato nuovi poteri. Il suo Cosmo, superiore per ampiezza, resistenza, potere e possibilità a quello di chiunque altro, il suo spirito forgiato come l'acciaio nelle più avverse condizioni, e nuove abilità,  sarebbe diventato invincibile, al pari di un Cavaliere d'Oro, quasi un dio! Ma non era questo a cui puntava, non per ora, almeno. Prima la vendetta, poi, solo in seguito, l'universo.

Come una scossa, uno strappo, e seppe che le udienze del Gran Sacerdote erano terminate, che adesso avrebbe avuto tempo per lui. Lo precedette ubbidiente nel suo giardino privato, un porticato quadrato che dava su un fazzoletto verde perfettamente curato e si sedette, attendendo impaziente il suo Maestro. Lui era lì, di fronte a lui, senza più insegne regali indossando un abito semplice, adatto all'addestramento, bianco e drappeggiato e senza più maschera mostrava al cielo il suo viso sottile, incorniciato dai capelli quasi bianchi, scintillanti nella luce del giorno e quegli occhi... quei maledetti occhi, sempre iniettati di sangue come se fosse perennemente furioso con chiunque. Un ghigno gli si disegnò sul volto delicato rendendolo simile a un rapace.

"Furioso, mio caro Ikki? Oh, sì, ma anche bramoso, desideroso di tutto. Del potere, del mondo, dell'universo e di molto, molto altro. Di tutto, proprio come te."

Chinò un poco il capo, continuando a fissare Arles che gli si poneva di fronte, nella posizione del loto sapendo bene che quella parentesi di meditazione sarebbe durato poco. Un profondo respiro chiudendo gli occhi per guardarsi dentro e vide... vide le sue parole impresse a fuoco nell'anima: odia, Ikki, odia, nell'odio e solo nell'odio c'è il potere. E quando sentirai il potere scorrerti come lava incandescente nelle vene e tra le dita, diventa freddo come un pezzo di marmo. L'odio va sublimato, va purificato, va temprato sia nel fuoco più caldo sia nel gelo più penetrante perché la purificazione sia perfetta e perché diventi un'arma davvero invincibile.

Temprare, sublimare, diventare più forte, essere perfetto.

#FLASH#

Il dolore, la fitta incandescente che gli spaccava il cervello in due, la punizione per la sua disubbidienza, la disubbidienza di un pensiero veloce e rapido, forse. Una parte di lui si dibattè finchè ci fu fiato nel suo corpo spezzato nella psiche, poi crollò in una semi incoscienza che ogni volta sperava fosse la morte e invece... c'era sempre un risveglio e quella voce ribelle si trovava di nuovo imbavagliata e incatenata nel recesso più profondo della sua anima. Una parte di lui sapeva che aveva ragione a comportarsi così, a urlare, a dibattersi ma... ma il Potere! La Vendetta!

Che importanza poteva avere tutto il resto, il suo stupido orgoglio di fronte a una meta tanto ambiziosa? Ma il dolore era lì fino a che non avesse smesso di *pensare* di disubbidirgli. Sentì il suo corpo cadere a terra come un burattino a cui avessero tagliati tutti i fili, sbattere contro il freddo pavimento di marmo: a che ordine si fosse ribellato non era importante, solo Arles era tanto potente da fargli questo e se l'aveva deluso poteva benissimo inventare mille modi nuovi per punirlo, lo sapeva. Si sentì sollevare da un paio di braccia possenti, dalla stretta decisa ma stranamente gentile; poi l'acqua, tiepida, l'avvolse.

Galleggiava comodamente mentre un paio di mano gli sfioravano lentamente il corpo, spogliandolo degli abiti che aveva indosso, lasciandolo nudo e spossato da troppe carezze, troppo dolci, che promettevano tanto più di quello che chiunque avrebbe anche potuto sognare. Riprese conoscenza con dolcezza, lentamente, sentendo il suo corpo iniziare a rispondere automaticamente a quelle carezze appena sfiorate, cercò di sbattere gli occhi per liberarsi la vista da quelle lucciole che gli danzavano nel campo visivo e si accorse di essere nell'ampia piscina piastrellata di blu di Arles. Doveva essere proprio un avvenimento, di solito quando gli permetteva di accompagnarlo lì era sempre per un buon motivo. 

"Sei proprio incorreggibile, Ikki. Quante volte ti ho detto di non resistermi?"

Era al suo fianco, in piedi, nudo e la sua pelle scintillava di mille gocce d'acqua che gli scivolavano sui muscoli tesi. sembrava una statua, bello e sinuoso, intossicante, quasi. Ikki cercò di chiudere gli occhi ma non ci riuscì. Aveva utilizzato un tono gentile, un po' bonario, da padre che si ritrovava suo malgrado a riprendere un figlio un po' troppo esuberante. Non poteva permettere che *qualcuno* si rivolgesse a lui in quel modo! Il dolore lo fece tendere come una corda, il dolore ritornò a stravolgergli la mente, insieme a una strana sensazione di capogiro. Il volto di Arles  rimase pallido ed enigmaticamente composto, freddo come quello di una statua di ottima fattura, scolpita per esprimere  equivocità e sensualità. Gli passò la punta delle dita su una guancia.

"Ho sempre avuto una netta preferenza per i caparbi, Cavaliere di Phoenix, e tu sfiori la perfezione in questo campo. -  nonostante tutto quello che aveva sempre pensato e creduto e *saputo*, si sentì... felice... felice all'inverosimile. Il cuore gli fu colmato quasi a forza da una sensazione che non sapeva neppure lui da dove provenisse. Riuscì solo a sorridergli - Adesso mi obbedirai, vero?"

#FLASH#

Chinò lo sguardo, la mente in fiamme. Dentro di sè sapeva cosa bisognasse fare, cosa andava fatto, ma . deglutì a vuoto. Sentiva i nervi invasi di un calore che non capiva perché ci fosse, e poi quel nodo all'altezza dello stomaco? Sentì le labbra di Arles avvicinarsi, il suo alito caldo sfiorargli la pelle del collo, la mano che si portava sotto il mento per fargli alzare il viso e di fronte a quegli occhi sentì quella intima voce di resistenza che gli diceva di sciogliersi da quel legame mentale, che così non era libero, che lui era la Fenice e la Fenice doveva volare in alto, libera e... ma tutto fu sopraffatto dal potere di quell'uomo, caldo, ammaliante, ambiguo. Si aggrappò alle sue labbra come se fossero la sua ultima speranza di rimanere in vita, come se potesse respirare solo attraverso di esse.

Sentì il corpo di Arles duro, premere contro il suo, muoversi sinuoso tenendolo fra le braccia, sfregandosi contro di lui come se stessero danzando. Il resto affogò in uno scomposto e prepotente flusso di sensualità  nel quale il Gran Sacerdote si sbrigò a sommergerlo.

#FLASH#

Affondò con forza il capo nel cuscino di seta, mordendolo per impedirsi di urlare. Non gli avrebbe dato anche questa soddisfazione! Lo sentì rilassarsi dietro di lui, allentare la presa ferrea con cui gli aveva artigliato le spalle e poi un sospiro, un corpo che si adagiava al suo fianco con un sorriso di soddisfazione dipinto sul volto. Come arrivavano a quello tutte le volte?

"Tu sei mio, ricordi?"

La voce al suo fianco rise, poi gli sfiorò i capelli con una mano gentile. 

Lui annuì non sollevando il capo dal cuscino: non voleva vederlo, non voleva sentirsi la mente lacerata di nuovo in due fra... il piacere... deglutì... e il disonore, il ribrezzo. La lama infissa nel suo cervello continuava a  bruciare, insopportabile. Sentì la mano scendergli lungo la schiena in ampi cerchi delicati e le labbra, poco dopo, percorrere lo stesso percorso. Un morso lieve sulla schiena lo fece fremere. Ci fu come uno strattone dentro di sè, il guinzaglio. Si voltò seguendo alla lettera l'ordine silenzioso impartitogli da Arles che pareva stare mangiandolo con lo sguardo. 

"Adesso, mio bel cavaliere, visto che sei stato bravo, e' ora del tuo premio. O sei già stanco di giocare?"

Lurido maledetto schifoso! Il dolore si fece più forte e fu sul punto di fargli perdere coscienza. Ikki si trovò a sorridere stupidamente. 

"No, Gran Sacerdote, con voi mai, Maestro."

Accolse le sue labbra con ardore e desiderò il suo corpo, possederlo, penetrarlo, farlo suo... il padrone che diventava schiavo... sogno eccitante.

Lo sentì ridere nella sua testa: è facile fuggire da una prigione di pietre e acciaio, ma il guinzaglio con cui ti tengo in mio potere non si può spezzare. Tu sei mio. Mi appartiene ogni centimetro del tuo meraviglioso corpo, sono dentro il tuo cervello, dentro i tuoi nervi, dentro i tuoi sogni, i tuoi pensieri, posso far muovere i tuoi muscoli come voglio, posso farti godere con un semplice battito di ciglia, posso farti provare dolori inimmaginabili. Ti possiedo in tutto e per tutto, il tuo corpo e la tua mente, con il mio corpo e la mia mente.

Ikki rovesciò il capo all'indietro soffocando un gemito quando Arles gli prese il membro fra le labbra e non riuscì a pensare a null'altro oltre al fatto che voleva essere suo schiavo per sempre.

#FLASH#

E quel corpo sotto il suo, ampio, forte, i suoi gemiti che parevano scandire il tempo del piacere che li accomunava, quello strano calore .

#FLASH#

Quel corpo maledetto, tanto invitante, i cui frutti erano così dolci e tentatori, di cui si rimaneva schiavi...  quel corpo e il *suo* corpo, violato, graffiato, fatto oggetto di lussuria... lui, il Cavaliere di Phoenix sottomesso ai voleri di un... un... La lama infuocata gli spaccò il cervello di nuovo, come sempre, per sempre .

#FLASH#

Tu sei mio.

NO!

Risate, poi delle mani che gli artigliavano i glutei, tenendolo giù, immobile. Fece per reagire ma non ci riuscì, i suoi muscoli non gli ubbidivano, i nervi recisi da quella lama incandescente di dolore che aveva nella testa.

"Sei stato cattivo, perché vuoi che ti punisca? Perché devi essere sempre tanto selvaggio? Sei mio, non puoi scappare, non puoi fermarmi, non puoi dirmi di no, quante volte te lo dovrò ripetere?"

NO!

Il dolore nella testa, la lama infuocato che, sapeva, un giorno l'avrebbe finalmente ucciso.

NO!

Il dolore nel corpo, usato come un oggetto, senza riguardo. Il prezzo per i miei insegnamenti, ecco cos'è questo. Un piccolo scotto, non ti pare? Una risata. E se voglio riesco anche a fartelo piacere! 

NO!

NO!

Una tazza di tè bollente fra le mani, Hyoga che diceva qualcosa a riguardo del samovar, delle miscele di tè russi e di come andava bevuto; Shun , preoccupato, che ribatteva che tutti loro avevano bisogno di mangiare e una tazza di acqua calda non poteva in alcun modo compensare il pranzo saltato; Seiya che rideva per qualcosa visto in tv e il resto del mondo solo un brusio indistinto in sottofondo.

"Sai già della cena?"

Ikki sollevò lo sguardo su Shiryu che, pacato come al suo solito, gli si era seduto di fronte, dall'altra parte del tavolo e negò col capo. Non era solito cenare al St. George e tutti loro lo sapevano. Per averglielo detto doveva essere una cosa speciale.

"Che cena?"

"Una richiesta di Lady Saori, una specie di informale riconciliazione tra noi e il Gran Sacerdote di Grecia."

Si irrigidì. Non voleva vederlo se non fosse stato per ammazzarlo con le sue stesse mani.

"Ho da fare."

Shun gli venne al fianco.

"Ma fratello! E' un favore che Atena ci chiede, e poi . poi sappiamo tutti che non è lui l'essere malvagio che abbiamo dovuto combattere al Grande Tempio. Non è più l'ora per l'acredine!"

Stava per ribattere quando scoprì di non avere nulla da dire. Non voleva vederlo, punto e basta ma non voleva neppure spiegar loro il motivo perché alla fine si vergognava ad ammetterlo anche a se stesso. Fulminò Shun con uno sguardo tagliente ma si limitò a quello: era una situazione che in qualche modo doveva aver fine, e se l'incontro avesse potuto servire a qualcosa tanto meglio.

Una cena informale, così l'avevano chiamata, così pareva davvero dovesse essere. Tutti vestiti al loro solito modo, perfino Saga con abiti civili e non pretenziosi. Il tavolo rettangolare era vivace e allegro, l'atmosfera, dopo un primo attimo di imbarazzo si era distesa e alleggerita e Lady Saory, garbata ma un po' meno scostante del solito - anche se vestita come una scema come al solito - passò la serata a sorridere a uno e all'altro, intimamente soddisfatta dell'armonia che comunque si era venuta a creare.

Quasi perfetta. Quasi.

Ikki non sollevò il capo dal piatto per tutta la sera, rispose appena a domande che non poteva fingere di non aver sentito, per il resto fu il solito, maledetto scostante di sempre. Sentiva Shun, seduto al suo fianco, agitarsi nervosamente per il suo comportamento e i suoi pensieri gli arrivavano chiari come l'acqua trasparente come una fonte. Il suo potere, lo stesso che era stato di Arles.

Quello che oggi si faceva chiamare Saga lo fissava, lo sentiva, ogni tanto, come di sfuggita, ma erano occhiate intense, profonde, nelle quali avrebbe letto molto se le avesse incrociate. Era un vigliacco! Si stava comportando come tale e non aveva lacuna scusa. Bofonchiò qualcosa tra sé poi riprese il controllo: non era né il tempo né il luogo per lasciarsi andare a scenate isteriche che non sarebbero servite a nulla. Non si stava comportando diversamente dal solito, non era mai stato molto loquace in compagnia, non dava corda ai compagni, detestava quel tipo di cose, cosa si erano aspettati da lui? Solo perché il Gran Sacerdote era presente avrebbe dovuto mutare se stesso, forse? L'aveva guardato di sfuggita appena entrato nella sala, e il solo fatto di non avergli trovato quell'espressione negli occhi, ma un'altra, più dolce e gentile, pacata quasi l'aveva fatto rilassare un poco.

Ma non era ovviamente a sufficienza.

Detestava quelle notti, quando non aveva voglia di uscire e non riusciva a dormire, quando era troppo inquieto per rilassarsi ma troppo stanco per scatenarsi e scaricare la tensione. Guardò l'orologio che segnava le tre e mezza, quasi, e lui era l' come un babbeo a vagabondare per un St.George troppo silenzioso e troppo vuoto. A quell'ora cosa poteva pretendere? Era troppo tardi per iniziare a fare qualcosa e, paradossalmente anche troppo presto. Paradossale. Tutto era divenuto un paradosso in quell'ultimo periodo della sua vita. I suoi compagni sapeva che non l'avevano mai compreso davvero ma quello non era mai stato un problema, ora però c'erano cose che lui stesso non riusciva a comprendere e la cosa lo infastidiva all'inverosimile, oltre che ad inquietarlo.

Una presenza, oltre a lui, vagava negli ampi saloni del St. George, percepiva le attutite ondate del suo Cosmo, sopito e talmente tanto quieto da non riuscire a identificarne il proprietario. Non importava. Si sedette su una comoda poltrona di pelle di fronte ad un'ampia finestra che dava sul parco e le stelle che lo illuminavano. Con un sospiro tentò di rilassarsi. 

Stranamente non si stupì di sentire la porta aprirsi per far entrare un uomo. Lo degnò appena di uno sguardo, poi ritornò a fissare il nulla della notte. I capelli ora erano blu, e lunghi, mossi in onde ordinate, il volto era più affilato, più dolce, aveva una strana somiglianza di certi atteggiamenti con quelli di Shun, lo sapeva, e poi gli occhi così ampi, così luminosi, così gentili . Saga. Lo sentì titubare un poco sulla soglia per poi decidersi finalmente ad entrare, chiudendo la porta alle sue spalle.

"Spero di non aver interrotto una qualche tua meditazione, cavaliere."

La sua voce era suadente e garbata, gentile, ma realmente gentile. Ikki si rabbuiò. 

"Nulla a cui non si possa porre rimedio, Gran Sacerdote."

"Ikki di Phoenix, è da... da quando sono arrivato che sto attendendo il momento adatto per parlarti da solo. Posso ora?"

Ikki non mosse neppure un muscolo, il volto contratto in una maschera inespressiva.

"Come vuoi."

Lo sentì prendere un ungo respiro poi avvicinarsi un paio di passi scuotendo piano il capo. Ikki si innervosì.

"E' per il Grande Tempio, no?"

Silenzio. Saga sospirò sedendosi sulla poltrona che era di fronte a quella di Ikki, a dividerli c'era solo un piccolo tavolino basso, di cristallo, e non più di un metro di spazio.

"Cose di tanto tempo fa, sì ."

"Solo qualche anno, non è passata un' eternità da allora. - Si sfiorò lentamente la cicatrice che spiccava sulla fronte e sorrise, amaro - Non dovresti preoccuparti, è da un po' che non vengo destato da incubi che mi ricordano nuove violenze per cui temo di aver ormai ricordato tutto. Questo chiude i conti."

Saga si strinse le mani in grembo, il suo volto composto e un po' scavato assunse un'espressione quasi angosciata.

"Cavaliere, io . posso ormai solo porgerti le mie scuse e..."

Un ghigno gli solcò il volto. 

"Scuse? Sai dove dovresti ficcartele? - si alzò in piedi di scatto sforzandosi per tenere la voce bassa- E' vero, non eri tu! Era la tua parte malvagia, tu sei sempre stato tanto buono, compiacente, gentile, non avresti mai fatto una cosa simile, no? - la sua voce divenne sempre più dura - Sai cosa sono queste? Balle! Buone solo per quegli allocchi che vogliono a tutti i costi giustificare il comportamento di chi doveva interpretare la volontà di Atena sulla terra, non per me! Tu sei solo un lurido schifoso che si è divertito con chi ha potuto nel momento in cui si trovava in posizione di forza, con me e non solo con me, e ora fai il martire! Smentiscimi, Gran Sacerdote! Dimmi guardandomi fisso negli occhi che non è vero, che sbaglio! Dimmelo!"

Saga abbassò lo sguardo di fronte a quello profondo, blu e furibondo di lui.

"Ikki, ti prego, non infuriarti. Hai ragione a provare tutto questo rancore nei miei confronti ma non posso permetterti di... odiarti così tanto."

Il cavaliere si senti raggelare: lui si odiava? No, odiava lui, non se stesso anche se... non era stato all'altezza... farsi manipolare così, come un pivello, e starci ancora tanto male, sentirsi ancora tanto insudiciato da...

Aveva ragione! Aggrottò la fronte raddrizzandosi in tutta la sua altezza, orgoglioso e arrogante.

"Non mi abbandonerò a fare la vittima per far godere il tuo istinto sadico, Saga, scordatelo. Ti odio e questo ti basti! Ho meditato vendetta da tanto ma nulla di ciò che ho escogitato mi soddisfacerebbe davvero, per cui avrai solo il mio eterno disprezzo. Ti basta?"

"No."

Non si era aspettato una risposta simile, fatta con tono pacato e tranquillo, gli occhi ampi e luminosi, inondati dal chiarore delle stelle che proveniva da fuori e un'espressione tanto dolce, così... Ikki si sentì mancare il fiato per un momento, quando lo vide alzarsi dalla poltrona per farglisi più vicino con un movimento così fluido che una ballerina gliel'avrebbe invidiato. Si fermò di fronte a lui, il viso sollevato e lievemente imporporato da... da cosa? Ikki si scosse al pensiero.

"No? Beh, allora è peggio per te perché..." è questo che avrai. Stava per dire. Prima di vedere Saga inginocchiarsi ai suoi piedi cingendogli la vita con le braccia.

"Ti prego, Ikki, ti prego, Ascoltami!"

"Levami immediatamente le mani di dosso!"

Il suo era solo un roco sussurro distorto dalla rabbia furiosa e dai ricordi che, con la sua presenza diventavano sempre troppo pressanti e troppo poco controllabili. Conosceva quelle braccia, conosceva quel calore, quel profumo, quell' aroma intossicante. Tutte cose di cui per un lungo periodo era stato schiavo. Il ricordo netto e preciso della prigionia mentale in cui l'aveva fatto cadere lo fece tremare e il luccichio negli occhi in ombra di Saga gli disse che non aveva intuito il vero motivo del suo sorgere.

"Arles ti amava, a modo suo."

Ikki si liberò da quell'abbraccio con uno spintone, al quale il Cavaliere d'Oro rispose con gentile condiscendenza, ubbidendo a un gesto imperioso come se davvero ora le parti si fossero invertite. Lo schiavo che diventa padrone. Quel pensiero gli balenò nella mente ma non fece altro che farlo inquietare ancor di più di quel che era, si strinse nelle spalle, cercando di scuotere la testa per schiarirsi la mente da troppe immagini, troppe sensazioni che gli si accavallavano dentro tutte insieme e rispose con l'unica arma che conoscesse: una rabbia sorda e amara.

"Taci, maledizione, non voglio più sentir parlare di lui!"

"Non vuoi sapere la verità?"

Saga aveva appena chinato il capo di lato, inarcando il collo e sfoggiando un pallido, remoto sorriso che era a metà tra il dolce e l'invitante.

"La verità? La sua... la *vostra* verità? Oh, certo, lui era un Maestro tanto affettuoso, tanto potente e gentile insieme, e m'amava con tenerezza, certo! Le violenze, l'umiliazione sono tutte frutto della mia mente malata, vero? Traumi infantili repressi, si dice in questi casi, no? In fondo, mi sono inventato tutto solo per non ammettere che Phoenix in un periodo della sua vita non è stato all'altezza di indossare la Sacra Armatura che gli era stata affidata!"

Saga si tese verso di lui, sembrava davvero preoccupato, quasi angosciato, la sua bella fronte chiara si oscurò di un'unica, profonda ruga che la solcava a metà.

"No, non dire così. Te l'ho detto, non voglio che tu ti odi per quel ch'è successo. Arles era malvagio, qualunque sua azione lo era, non è mai stato in grado di esprimere in maniera positiva e gentile un sentimento ma... ma sei stato l'unico che ha tenuto al suo fianco per così tanto, per nessun'altro è stato più in apprensione, quando sei partito per la tua missione era distrutto, il tuo tradimento è stato un duro colpo per lui e la notizia della tua morte..."

"Oh, immagino. L'avrà sconvolto per mesi, povero Arles, lui che mi aveva messo Docrates alle costole perché mi uccidesse non appena fossi diventato troppo potente! No, Gran Sacerdote, no. Posso fingere che tu non sia lui, posso sforzarmi di considerarlo morto e sepolto, ma questo non cambia quel ch'è successo, non cambia niente. Non capisco cosa tu voglia da me, ora. Vuoi il mio perdono? Non è a te che devo darlo, tu non sei Arles, no? E non è consono per il ruolo che ti è stato affidato che tu stia inginocchiato davanti a me."

"Non importa." - la sua voce si fece più bassa, più suadente, mentre si slacciava piano la camicia chiara che aveva indosso e gli si avvicinava di nuovo, a carponi - So cosa vuoi, l'ho letto chiaramente nella tua mente tante volte, mentre Arles ti possedeva. Io ero sempre dentro di lui, ricordi? Io... io t'amavo. Ti ho sempre amato, Ikki, per quello che eri, per quello che sei, perché non ho mai incontrato una persona speciale come te, che mi sia rimasto infisso nel cuore. So che vendetta meditavi nei confronti di Arles e so che ti appagherebbe in parte . appagherebbe anche me . farei tutto, qualunque cosa per... per... ti prego."

La sua pelle che si intravedeva appena nelle pieghe della stoffa leggera della camicia era così chiara, così perfetta, e lui era lì, così arrendevole, così dolce con quello sguardo, limpido, scintillante ma che nascondeva orridi abissi e ombre inconfessabili, che somigliava così tanto a quello di colui che era stato il suo carceriere, anni prima, in Grecia. 

Saga sollevò le mani, e le appoggiò delicatamente sui bottoni che gli chiudevano i pantaloni: anche esse furono un salto indietro nel tempo. Le stesse che lo spogliavano in *quel* modo, nell'unico modo che non aveva mai potuto dimenticare, quelle erano le mani che l'avevano accarezzato mille volte, in mille notti, facendolo godere o soffrire sempre come desideravano, che gli avevano lasciato mille graffi sulla schiena, sui glutei, quelle mani erano bianche e sottili come se le ricordava.

Ikki deglutì socchiudendo gli occhi.

Lo schiavo che diventava padrone.

Ciò che aveva sempre sognato. Il modo per liberarsi dall'incubo.

Sorrise appena a Saga, fermo immobile ai suoi piedi, che pareva stare attendendo solo un suo gesto per iniziare. Lui si mosse, chinandosi per prenderlo per i polsi e costringerlo ad alzarsi, fissandolo direttamente negli occhi ampi e luminosi come due stelle, spalancati ora dalla curiosità e dal timore. Sentiva le sue labbra a pochi centimetri dalle proprie, poteva respirare il suo fiato, sentiva chiaramente il tremito che gli percorreva lieve la pelle e sapeva che quel maledetto vizioso era già eccitato e pronto. Sarebbe venuto lì se solo l'avesse baciato... ma non era ancora tempo.

"Vuoi il mio odio? Vuoi la mia vendetta? Sappi che non sono facili da sopportare Gran sacerdote, Arles mi ha insegnato molti modi per applicarli... costruttivamente al corpo di un uomo, ricordi?"

Saga chiuse gli occhi, passandosi sovrapensiero la lingua sulle labbra.

"Sì, mi... mi ricordo Ikki. Le ha insegnate anche a me. C'ero sempre anch'io quando lui ti... ti amava."

Ikki sorrise gelido.

"Lui non mi ha mai amato e tu lo sai. Si è sempre limitato a scoparmi, e questo e' quello che farò con te. Ma non qui, vieni, seguimi."

Aveva passato tutta la vita divorato dalla rabbia, consumato da un qualche desiderio di vendetta, mai aveva trovato la pace, né in un porto né in un altro, anche ora, *soprattutto* ora... e adesso poteva avercela finalmente fra le mani, ora avrebbe potuto estinguerla non con un'altra di maggior potenza, ma spegnendola alla fonte. Poteva avere lui, il suo incubo, colui che l'aveva umiliato e violentato per un tempo che nella sua mente parevano secoli, finalmente sottomesso e umile, ubbidiente e disposto a qualunque cosa per compiacerlo. Conosceva quello sguardo, una lussuria così simile a quella di Arles, e allo stesso tempo anche così diversa. No, quella volta sarebbe stato lui ad avere la parte che era stata del suo *maestro* e sapeva che si sarebbe divertito. Si stava già divertendo a sentirlo tremare seguendolo lungo i corridoi in penombra del St. George, dalla tensione e dall'eccitazione, sentiva il desiderio che aveva di toccarlo; durante tutta la loro precedente conversazione aveva percepito chiaramente il suo istintivo bisogno di palparlo, di stringerlo, di farsi stringere, di sentire il suo corpo. Quella distanza di gelo che aveva alzato fra di loro lo faceva soffrire. Ikki aveva imparato a sopravvivere nutrendosi della sofferenza altrui, aveva imparato all'Isola della Regina Nera, aveva imparato da Arles, e adesso... adesso avrebbe ripreso quel lontano esercizio.

La porta della sua stanza si aprì senza far rumore, ci fu solo lo scatto della serratura alle loro spalle, perché nessuno venisse a disturbarli.

"Qui è dove dormi?"

"Perspicace, Saga. Sì, è la mia stanza. E adesso... "

Lo strattonò per i capelli facendogli chinare all'indietro il capo, mostrando il collo sottile e bianco, vulnerabile. Avrebbe potuto ucciderlo con un solo morso, aveva visto Arles farlo con dei ragazzini, gli aveva insegnato a farlo, aveva condiviso con lui il sangue di molte vittime in quel modo. Lo vide deglutire con apprensione, probabilmente anche lui si era ricordato di quei terribili giochini in cui si cimentavano, ogni tanto, con tanto diletto e soddisfazione. La cosa lo spaventava a morte, i suoi occhi parevano quelli di un cucciolo terrorizzato, incatenato dallo sguardo di un serpente che stava per divorarlo. Un altro strattone e lo gettò sul letto; Saga, caduto sul ventre, si voltò per cercare di capire che intenzione avesse ma Ikki non fece altro che sedersi su una sedia, comodamente, con un ghigno enigmatico sul volto.

"Cosa."

"Quel che vuoi. Volevi espiare una colpa? Espiala."

Saga spalancò gli occhi, arrossendo vistosamente anche solo alla flebile luce delle stelle che entrava dalla finestra, non sapendo più che dire e fare. A Ikki parve una creatura terribilmente innocente per essere stato all'interno dell'anima di Arles e la cosa gli diede una punta di vera eccitazione. Saga si era visibilmente aspettato molte cose da quell'incontro, ma non una simile freddezza. Lui... lo stava umiliando! E nel modo peggiore che avesse potuto trovare: con la cinica indifferenza che gli era propria, uno dei lati del suo carattere che trovava adorabili... ma non se rivolto verso se stesso! Chinò il capo, stringendo le nocche fino a farle sbiancare, poi si alzò dal letto, vergognoso, dirigendosi verso la porta con un sospiro triste. Aveva gli occhi appannati dalle lacrime e le mani gli tremavano tanto che non riusciva a infilare i bottoni della camicia nelle asole, riuscì a inghiottire un nodo d'amarezza che gli aveva bloccato la gola

 e poi riuscì ad articolare qualche suono.

"Mi spiace, avevo pensato che..."

"Dove vai."

Non una domanda, un'affermazione, dura, diretta, appena sibilata, non con tono benevolo.

"Ti chiedo scusa e..."

"Ti ho domandato dove diavolo stai andando."

La stessa strana pacatezza che lo fece tremare.

"Me ne vado. Credevo che avrei... avremmo potuto..."

"Cosa?"

Saga strinse i pugni lungo i fianchi, deglutendo con forza le lacrime. Come poteva farlo sentire così? Gli aveva detto che l'amava! Il suo disprezzo lo uccideva, era vero, ma tutto quello era inutile, era cattiveria gratuita!

Sapeva bene di meritarla, ma... ma non era così che pensava... Chiuse gli occhi. Cosa pensava che sarebbe successo? Che Ikki, così orgoglioso, così forte, di fronte alla sua dichiarazione d'amore gli si sarebbe gettato fra le braccia, giurandogli amore eterno? Oh, certo, i suoi sogni più rosei raccontavano quello, ma sapeva bene che non sarebbe mai successo. Non con lui, per lo meno, non con l'unica persona che avesse mai davvero amato... perché i *suoi* sogni non si avveravano mai.

Aveva sognato di essere il Campione Incorruttibile di Atena e invece se stesso l'aveva tradito, la brama di potere, il desiderio senza fine. 

Aveva sognato di essere un Gran Sacerdote saggio e rispettato, giusto e fedele, invece era diventato lo spettro che sempre il Mondo Segreto avrebbe ricordato, il mostro terribile che aveva osato dissacrare l'incarnazione di Atena bambina.

Aveva sognato di avere quell'uomo fra le braccia dal primo momento che l'aveva visto, cullarlo e amarlo, cancellare dalla sua mente tormentata il ricordo di quell'isola maledetta in cui aveva dovuto vivere, e farlo solo con il suo amore; aveva sognato dolcezza e sospiri, amore, il suo nome sussurrato da quelle labbra . sarebbe morto per quello, invece c'era stato un altro nome esalato da quelle meravigliose labbra nel momento del godimento, lui chiamava Arles, che era se stesso, ma non era *lui*! E ora, ora che poteva almeno avere una parte di lui, che per una notte lo supplicava di fargli qualunque cosa, purchè potesse passarla con lui, purchè potesse sentire quelle labbra sulle sue, quelle mani sfiorarlo, quel corpo meraviglioso contro il proprio... ora....

"Credevo che avrei potuto . che tu mi avresti posseduto."

"E allora te ne vai così presto? Desisti subito? Non abbiamo forse dei conti da regolare, io e te? Io non ho ancora iniziato, se non te ne fossi accorto."

"Mi era parso che il tuo comportamento fosse segno palese del tuo disinteresse!"

"Umiliare non è lo stesso che respingere e poi... non utilizzare quel tono  con me!"

Fu in piedi alle sue spalle in un baleno. Saga sentì quel meraviglioso corpo duro e muscoloso premuto contro il suo come tante volte l'aveva sognato e non potè far altro che andare a sbattere contro il muro che aveva di fronte.

Soffocò un gemito nel sentire la mano di Ikki slacciargli i pantaloni e abbassarglieli con un gesto preciso e secco ma scoprì presto che Ikki non aveva alcuna intenzione di occuparsi di lui. Lo impalò letteralmente contro il muro in quello stesso istante col suo membro eretto, che si faceva strada un po' a fatica dentro di lui senza troppi complimenti. Quando iniziò a lamentarsi per il dolore, Ikki gli prese i capelli tirandogli indietro il capo per riuscire a parlargli sussurrandogli direttamente nell'orecchio.

"Non un fiato, Saga. I miei compagni non sapranno mai di questo regolamento di conti fra me e te. Di' qualcosa, emetti un solo suono e ti strapperò via la pelle a morsi, per poi cibarmi del tuo cuore mentre sta ancora battendo, intesi?"

Annuì in silenzio mentre le lacrime gli rigavano il viso contratto senza ritegno.

"Ikki, io..."

"Taci!"

Un ordine, lui ubbidì cercando di stare in silenzio, come gli aveva chiesto.

Era difficile, faceva male, un male terribile. Non aveva mai provato una cosa simile . Ikki sì, però. Il pensiero lo gelò immediatamente. Arles lo faceva ogni tanto, lo prendeva così, senza essersi occupato prima di lui, di lubrificarlo, di essersi assicurato che fosse pronto, come se non gl'importasse che anche lui godesse... ad Arles *non* importava che lui godesse. Si infilò le unghie nei palmi per non urlare. Era lui! Alla fine, nonostante tutto, era lui! Era l'uomo che amava, era l'uomo che ogni notte sognava di avere dentro di sé. Aveva detto a se stesso miliardi di volte che avrebbe sopportato qualunque cosa pur di essergli al fianco, almeno per una notte sola, almeno per un bacio, per una sua carezza, per poter accarezzare almeno un centimetro di quella sua pelle abbronzata e meravigliosa e ora... ora ce l'aveva dentro di sé, lo sentiva muoversi avanti e indietro contro il suo corpo, sentiva i suoi muscoli contrarsi, il suo profumo, il suo piacere aumentare dentro di sè per poi esplodere con un rantolo che soffocò sulla sua spalla.

Ikki lo tenne addosso al muro ancora per un po', cercando di riprendere fiato e controllo, soprattutto controllo. Sorrise tra sé. Era certo di avergli fatto male, ma quello era solo l'inizio di quel loro gioco.

Abbassando un poco lo sguardo vide di avergli lasciato il segno netto dell'ultimo morso con cui l'aveva omaggiato proprio sulla spalla, era rosso scarlatto, gli sarebbe rimasto per qualche giorno, forse anche di più.

Aveva la pelle tanto delicata. Gli leccò piano quel segno rosso, quel marchio che gli aveva fatto lui, quasi con voluttà. Lo sentì tremare sotto le dita non appena aumentò un poco la pressione del proprio corpo contro il suo, poi lo baciò sul collo, leccandogli i lobi delle orecchie, stuzzicandolo leggermente,  succhiandogli la pelle mentre con l'altra mano gli passava le dita fra quei capelli folti e setosi. Quel maialino era già eccitato, nonostante tutto, nonostante il dolore, l'umiliazione e il suo sperma che gli stava inevitabilmente colando fra le gambe! Era certo che se gli avesse sfiorato il ventre avrebbe trovato il suo membro ben ritto pronto ad essere accarezzato. Sorrise spingendolo sul letto.

Saga incespicò sui suoi piedi quando sentì Ikki tirarlo per un braccio, allontanandolo dall'unico sostegno che aveva in quel mondo che aveva preso a roteare come una trottola impazzita tutt'intorno a loro, poi aveva i pantaloni a mezza coscia che gli impedivano di stare in equilibrio, e il calore, l'eccitazione, il profumo di quel corpo tanto desiderato che si allontanava. Di sfuggita vide che Ikki non si era spogliato, per... per possederlo, si era limitato ad abbassare la zip dei jeans. Come una qualsiasi puttana di strada. Si sarebbe dovuto sentire umiliato come non mai, ma era lui. Era la sua ragione di vita, aveva sopportato anni di solitudine vissuti in espiazione solo per essere lì, per poter ritrovare la vita fra le sue braccia. Era così felice! Il suo cuore era così gonfio d'amore che era sul punto di ridere e piangere insieme per la gioia, si sarebbe rotolato sul pavimento come un cagnolino per farlo felice, gli avrebbe leccato la suola delle scarpe, avrebbe sopportato tutto, tutto! 

"Spogliati."

Un altro ordine, secco, deciso, ma quella voce, in quel momento gli parve quella di un angelo. Finse di non sentire la fitta strana ai muscoli della schiena, muscoli che sinceramente non pensava neppure potessero far male in qualche modo e si sfilò gli abiti in fretta, come lui gli aveva chiesto.

Ikki era in piedi, a pochi centimetri da lui e lo guardava, serio in volto, uno sguardo che non riusciva a interpretare. Quando fu completamente nudo mosse una mano.

"Ora spoglia me."

Saga sorrise. L'aveva desiderato tanto! Si chiese se avesse potuto anche baciare quella pelle d'ebano lucido come desiderava, ma era certo che non fosse un uomo a cui piacesse essere disubbidito. E non gli aveva chiesto di baciarlo. Gli sfilò piano la maglietta, lasciando nudo quel torso perfettamente tornito, i muscoli duri e guizzanti, gli addominali perfetti e lucidi, i muscoli dorsali degni di una statua greca... si trovò a sfiorargli il petto con delicatezza, incantato, gli passò i palmi aperti sui capezzoli e li vide rispondere alla carezza. Fece scivolare la punta delle dita intorno all'ombelico per arrivare ai bottoni dei pantaloni. S'inchinò per slacciarglieli e tremò quando si trovò a un palmo dal suo membro, si fermò imbambolato a fissarlo. Era così... deglutì... grosso! Come aveva potuto...

Arrossì vistosamente e continuò il suo compito. Quando ebbe finito, si alzò in piedi di fronte a lui.

Ikki guardò l'uomo che aveva di fronte. Conosceva quel corpo anche se aveva un'altra espressione. Ricordava perfettamente quelle membra ben proporzionate, i muscoli tesi, la pelle chiara e setosa che brillava nella notte come dotata di vita propria, sapeva bene come e dove toccarlo per farlo godere, ricordava cosa lo faceva eccitare, come gli piaceva essere accarezzato. Ricordava ogni centimetro della sua pelle, la sensazione di sentire i suoi capelli addosso, le sue labbra... ma quell'espressione no, non se la ricordava.

Saga lo fissava ad occhi sgranati. Era eccitato, il suo membro eretto e gonfio pareva stare trattenendosi a stento dall'esplodere ma lui non pareva accorgersene davvero. Era completamente immerso nella contemplazione. Aveva lì davanti tutto quello che aveva sognato, che continuava a sognare da così tanto  tempo, da quando se n'era andato dal Grande Tempio. C'era stata la morte, poi, e in quel luogo di oscurità, solo un volto, ogni tanto veniva a fargli visita, un volto e quel calore che gl'invadeva quello che nell'aldilà poteva chiamarsi cuore, di solito arido e freddo, gli dava la forza di sopportare. Poi era arrivato il risveglio, faticoso, doloroso, la luce d'Atena che gli dava la possibilità di riparare i suoi errori, e la possibilità di vederlo di nuovo, e questa volta di dirglielo, di farglielo sapere. Ora era lì, gliel'aveva detto, e anche se sapeva che non l'amava... non importava, era così bello! Sembrava un dio! Ed era tutto per lui, almeno per un po', almeno per una notte. Gli si avvicinò d'un passo e vide i muscoli delle sue braccia gonfiarsi per tendersi verso di lui, spingendolo di nuovo a sedere sul letto. Anche lui vi si sistemò, molto più comodo.

Lo tirò vicino prendendolo per i capelli, e avvicinandogli il viso al proprio gli parlò sulle labbra.

"Adesso iniziamo a giocare come ti piaceva tanto fare con me. Ma io non sono bravo, stanotte di premi per te non ce ne saranno."

Voleva baciarlo! Tutto il suo corpo, la sua anima era tesa verso le sue labbra, voleva sentire il loro sapore, voleva entrare in quella bocca, voleva solleticare quel palato, voleva perdersi in lui... ma lui non voleva.

Aumentò la stretta sul suo capo e lo costrinse ad accoccolarsi fra le sue gambe.

"Adesso succhia, Saga. Fammi venire ancora. Se farai il bravo, se mi soddisferai tutte le volte che te lo chiederò, magari, poi ti bacerò, visto che pare sia la cosa che desideri di più al mondo."

"Voglio essere tuo, ti prego!"

Aveva una voce supplichevole, era sul punto di piangere. Ikki sorrise. Lo schiavo era diventato padrone. Chiuse gli occhi spingendogli il capo in giù.

La sveglia sul comodino segnava le 6 e 13 del mattino. Saga era rannicchiato in un angolino del letto, gli occhi meravigliosamente spalancati a fissare Ikki comodamente disteso, il corpo perfetto reso lucido dal sudore, dalla saliva dell'altro uomo, dallo sperma. Un sospiro di profonda soddisfazione gli sfuggì dalle labbra che gli si arricciarono un poco.

"Sei così bello, Ikki, così bello... ti amavo già quando ero prigioniero dentro l'animo di Arles e ora anche se..."

"Ho fatto solo quello che Arles faceva a me, ho giocato, mi sono divertito con te."

Saga annuì lentamente.

"Lo so, Ma io ti amo, ti ho sempre..."

Ikki si alzò dal letto con una mossa fluida, si guardò un attimo in giro raccogliendo da terra gli abiti di Saga e poi lo tirò in piedi prendendolo di mala grazia per un braccio.

"Io no."

"Cosa?"

"Volevi espiare? Ora l'hai fatto, vattene."

Saga si dibattè debolmente, l'angoscia negli occhi.

"Ma ho fatto tutto quello che mi hai chiesto!"

Ikki sorrise, acido.

"Io ti avevo promesso un bacio, ma non l'avrai."

Aprì la porta della sua stanza e lo spinse fuori, in corridoio, nudo, gli abiti sparsi intorno a sé, un'espressione tanto smarrita e confusa che sembrava davvero sul punto di mettersi a piangere.

"Io credevo che..."

"Vedi di non tornare, Saga, a meno che tu non voglia sperimentare nuovi giochi simili a questi ma ben più dolorosi."

Ikki chiuse la porta con un ghigno da falco dipinto sul volto. La vendetta aveva un ottimo sapore. L'idea che ci fosse il Gran Sacerdote fuori dalla porta della sua stanza, nudo, ricoperto e riempito del suo seme che non desiderava altro che essere sbattuto un altro po' da lui lo stuzzicò. Si passò una mano fra i capelli, ricordando quello che aveva sentito una volta al Grande tempio quando il Cavaliere del Leone era venuto a chiedere spiegazione ad Arles di Atena e del comportamento di suo fratello. Aiolia aveva detto ad Arles, riconoscendolo, prima che la sua mente fosse manipolata da quel grande potere 'hai le fattezze d'angelo sul viso, ma il seme del demonio nel cuore!'. Una frase appropriata per Arles, e ora, in parte anche per lui, anche se non era certo di somigliare ad un angelo. Da quando era così perverso? Ci pensò un attimo, poi sorrise. Da sempre.


parte seconda
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