TITOLO: About a river

AUTORE: Nuel

SERIE: originale

PARTE: 1/?

RATING: NC17

PAIRING: Kurtz- Michele

DECLAMER: Miei, miei, solo miei, ma se qualcuno offre una cifra ragionevolmente alta.... £______£ ..... LI VENDO!^^

ARCHIVIO: Ysal


ABOUT A RIVER
Di NUEL


Il tempo è passato, implacabile e veloce, ma il ricordo... è ancora così vivido e palpabile!

Io ero uno studentello di 19 anni. Dicevano che ero piuttosto bello, ma a me non pareva proprio! Non c’ era niente di straordinario nei miei tratti ancora piuttosto infantili, nei miei occhi verdi e nei miei capelli castani, che scendevano a carezzarmi il collo con l’ accenno di qualche ricciolo. Lui era bello! In un modo selvaggio ed incontenibile!

Lo avevo notato, una volta, lungo il viale alberato che portava alla facoltà: i lunghi capelli biondo-miele, scalati, che sobbalzavano ad ogni suo passo, la carnagione appena abbronzata, quegli occhiali da sole che nascondevano gli occhi, nonostante fosse tardo autunno, una giacca in pelle un po’ lisa ed i pantaloni militari, larghi sugli anfibi mezzo slacciati.... Su una spalla portava uno zaino come tanti altri studenti, invece lui era il nostro lettore di tedesco! Che sorpresa vederlo, la prima volta a lezione!

A quell’ epoca c’ era un locale, per la verità c’è ancora, e credo ci sarà sempre, dove gli studenti avevano l’ abitudine di trovarsi, dopo le lezioni, prima dell’ ora di cena. Si stava lì e si chiacchierava. C’ era un gusto retrò, da intellettuali di un’ altra epoca, in quel ritrovo e sembrava che nessun universitario potesse esimersi dall’ appartenere a questa "società" culturale.

Una sera un mio amico, più vecchio di me di un paio d’ anni, mi invitò ad unirmi al suo gruppo. Ero andato solo al locale, tanto lì non avrei avuto difficoltà a socializzare con altri studenti, indipendentemente dalla facoltà e senza la necessità di presentarsi. Nel gruppo del mio amico c’era anche Kurtz, il lettore: noi matricole stentavamo a relazionarci tanto apertamente col personale docente, ma per gli studenti più anziani pareva non esserci nulla di strano nell’ uscire a bere con docenti, assistenti, ricercatori, dottori.... o lettori, come lui. Vidi i suoi occhi azzurro cielo spostarsi su di me, col suo perenne sorriso un po’ sfrontato, con quella barba un po’ incolta che pareva avere sempre quattro giorni. Parlammo a lungo, quella sera, piacevolmente. Possedeva carisma, fascino, parlava bene la nostra lingua, ed i suoi interassi spaziavano in molti campi. Ci raccontava della sua Berlino Est, dei tempo del muro, delle macchine ormai scomparse e del travaglio di un mondo che cambiò troppo in fretta, dopo l’ abbattimento.... Divenne l’ idolo della facoltà. Per tutto il primo anno continuammo a frequentare quel luogo, ogni sera, ed il nostro gruppo cresceva di volta in volta.

Quella era la vita da universitario che avevo sempre sognato!

Erano passati quattro mesi da quel nostro primo incontro, patrocinato dal mio amico, ed io mi dividevo tra le lezioni, lo studio e qualche lavoretto occasionale. Lo sport preferito dei miei amici era cercare di rimorchiare qualche ragazza, ed io mi univo a loro, anche se senza un particolare intaresse per quegli animali strani che il padreterno, il caso o chi per lui aveva dato agli uomini come compagne. Quel giorno, in un corridoio della facoltà, lui camminava dietro di me. Non mi ero nemmeno accorto della sua presenza, tento ero impegnato a conversare con un mio amico. Lui si avvicinò, restando alle mie spalle e si piegò per sussurrarmi all’ orecchio " Ich liebe dich, Eichhornechen" Mi girai a fissarlo con gli occhi sgranati, il mio amico non aveva sentito nulla e mi guardò curioso, ma io non gli dissi nulla. La sua figura, più alta di me di quasi venti centimetri, con le mani in tasca, mi superò, lasciandomi solo il ricordo dei suoi occhi dolci, e scomparve dietro la curva del corridoio.

La sua voce bassa e sensuale mi aveva insinuato qualcosa nel cervello, quella voce che sembrava sempre fare l’ amore con l’ udito di chi l’ ascoltava...... ancora adesso mi fa ribollire il sangue!

Per parecchio tempo non ci capitò l’ occasione di essere soli e, d’ altra parte, lui non sembrava neppure cercarla, così, per lungo tempo non avemmo modo di chiarire quel suo "Ti amo, scoiattolo". Sapevo che lui non era pentito di averle pronunciate, quelle parole, e io mi sentivo perfettamente a mio agio con lui, come se tutto fosse già stato detto, tra noi.

Avevo vagliato per alcuni secondi le implicazioni delle sue parole e, sorprendentemente, mi pareva che non ci fosse nulla di strano in quel nostro amore. Non che avessi mai pensato a lui, prima di allora, ma sapevo che, sin dalla prima volta che i nostri occhi si erano incontrati, lui, semplicemente, c’ era, e io lo avrei amato sempre, solo per questo.

All’ inizio della primavera un acquazzone ci colse impreparati. Il sole non era scomparso dal cielo neppure per un momento, io correvo in cerca di un riparo, e lo vidi: camminava come nulla fosse, sotto la pioggia battente.

Lo chiamai e gli corsi vicino.

-E’ bella- Mi disse, guardando il cielo.

-Cosa?- Gli chiesi scioccamente.

-La pioggia..... l’ aria fredda e pulita, e umida- Respirò profondamente.

Guardai in alto e gocce grosse e fredde mi colpirono gli occhi. Non avevo mai visto nulla di straordinario in un acquazzone, ma ora, attraverso i suoi occhi, ma pareva il più grande miracolo della terra, e smisi di proteggermi la testa.

Ero proprio un ragazzino!

Camminai al suo fianco, in silenzio, lasciandomi guidare da lui, finché mi chiese, gentilmente "Vuoi entrare?"

Ero imbarazzato: non mi ero accorto di averlo seguito fino a casa sua, ma nella sua voce calda, nel suo sguardo limpido, vedevo l’ unica risposta naturale per noi. "Si"

Era un appartamento piccolo, con l’ intonaco grigio ed un po’ scrostato, senza le tende alle finestre. I libri erano impilati ordinatamente sui mobili. Mise un vecchio disco in vinile sul giradischi. La puntina grattò un po’ e poi partì una musica lenta e triste.

-Vuoi fare una doccia?-

-No, grazie, se hai un asciugamano...-

Lui portò dal bagno due asciugamani neri e ci rassettammo alla meglio. Io rabbrividivo e non sapevo cosa dire. Lui si sedette sul divano e mi fece cenno di raggiungerlo. Mi circondò le spalle con un braccio e prese una coperta piegata lì accanto e ci ricoprì entrambi. Mi sentii invadere di calore.

Ci addormentammo entrambi, e, quando ci risvegliammo, il sole stava tramontando dietro i palazzi antichi del centro.

-Ti fermi qui?- Mi chiese senza alcuna intonazione particolare.

-Si-

Lui sorrise ed andò in cucina per preparare la cena.

Decisi di seguirlo. Abbracciai i suoi fianchi ed affondai il viso nella sua schiena ampia. Col mio metro e settantaquattro, i suoi capelli meravigliosi arrivavano a stuzzicarmi il naso.

-Insegnami ad amarti- Gli dissi premendomi ancora di più contro di lui, cominciando a far vagare le mie mani sul tessuto aderente che separava la mia pelle dalla sua, da quegli addominali scolpiti dalla palestra.

Lui mi prese delicatamente una mano, baciandomi lentamente le dita, per poi stringersela al petto.

Quella notte dormii da lui, nel suo lettino da single, a scambiarci teneri baci.

Io vedevo passione pura nel suo sguardo, desiderio rovente, ma i suoi gesti non tradivano la passionalità con cui mi avrebbe travolto più avanti. Forse non voleva spaventarmi.

Le sue labbra erano morbide e gentili ogni volta che si appoggiavano sulle mie, e su ogni centimetro del mio viso, sui miei capelli, sulle mie mani.

Al mattino mi risvegliai tra le sue braccia, avvolto nel più sicuro dei nidi. Kurtz era già sveglio e mi guardava con i suoi occhi azzurri e dolcissimi. Ci scambiammo un lungo e tenero bacio. Intanto sentivo le sue mani infilarsi sotto la mia camicia, trasmettendomi infinite scosse elettriche che narcotizzavano il mio cervello.

Il contatto scomparve all’ improvviso riportandomi alla realtà. Lo guardai sorpreso, senza capire. Kurtz mi sorrideva, si era alzato su un gomito ed aveva iniziato a sbottonarmi la camicia. Lasciò nella sua asola solo l’ ultimo bottone e cominciò ad accarezzarmi il petto, allargando poco a poco la stoffa, scoprendo la mia pelle appena un po’ scura. Mi abbandonavo alle sue carezze ad occhi chiusi. Le sue labbra socchiuse cominciarono a lambirmi la pelle, depositando caldi baci. Non una volta le sue attenzioni divennero insistenti o atte ad eccitarmi più di quanto non fossi. Sembrava che gli bastasse godere del contatto con la mia pelle. Ma a me non bastava più. Sentivo il sangue vorticarmi in testa, il mio inguine pulsare dolorosamente, ed invocai il suo nome senza neppure accorgermene.

-Sei sicuro che è quello che vuoi?- Mi sussurrò ad un orecchio. Non ho mai smesso di chiedermi se fosse consapevole del naturale erotismo della sua voce.

-Si- Gridai, ansimai, supplicando nella mia mente che stringesse tra le dita i miei capezzoli, tesi verso le sue dita che si ostinavano a sfiorarli soltanto, che mi mordesse, anziché baciarmi soltanto. I miei ormoni impazziti volevano qualcosa di più violento, in quel momento, ma lui mi baciava il lobo dell’ orecchio e lo succhiava piano, portandomi quasi a piangere per la frustrazione.

Urlai quando la sua mano scivolò lungo il mio addome per accarezzarmi da sopra i pantaloni, prima di cominciare a sbottonarli. Allargai le gambe nella disperata speranza che finalmente avrebbe appagato il mio desiderio di lui.

Kurtz, quando faceva l’ amore, era esigente, e raramente generoso, ma non lo avrei definito egoista, semplicemente voleva che si facesse a modo suo.

Infilò la sua mano grande dentro i pantaloni e cominciò ad accarezzarmi lentamente, io gemevo ormai incontrollabilmente, sentivo le lacrime rotolarmi lungo le guance e cominciavo a singhiozzare. Finalmente compì l’ ultimo passo, infilando la mano sotto la stoffa tesa dei miei boxer. Sussultai riprendendo un po’ di controllo, quando la sua mano si strinse su di me. Cominciò ad accarezzarmi lentamente col pollice e per alcuni interminabili momenti fui terrorizzato dall’ idea che si sarebbe limitato a questo, invece prese a masturbarmi con una lentezza che mi fece agonizzare.

Quando il mio orgasmo esplose, assieme al mio cuore, stretto tra le sue mani, mi lasciò sfinito e perduto, chiedendomi vagamente se mi ero innamorato di un sadico.

Ma Kurtz aveva appena iniziato. Mi tolse pantaloni e boxer, sfilandoli delicatamente. Si posizionò tra le mie gambe, allargandole perché le sue spalle larghe vi trovassero spazio e, chiudendo le dita ad anello intorno ai miei testicoli cominciò a leccare la mia pelle ruvida, stringendo la presa e facendomi sentire le punte dei suoi denti. Io subivo passivamente, tornando ad eccitarmi, allora lui li faceva sgusciare dolorosamente tra le sue dita, facendomi sussultare. Il suo gioco continuò finché non fui di nuovo dolorosamente eccitato. Allora coprì di piccoli baci il mio pene prima dimenticato. Io mi nascondevo gli occhi con le mani, non sapevo più se piangere, gridare o gemere. Volevo solo che mi regalasse un altro devastante orgasmo. E lui mi accontentò.

Passarono alcuni minuti, in cui potei riprendere fiato. Quando mi vide di nuovo lucido, con gli occhi adoranti che lo fissavano, si spogliò completamente, lasciandomi scoprire quel metro e novantatré di muscolatura perfetta. Si stese su di me, baciandomi appassionatamente, insinuando le dita dentro di me. Non ero mai stato con un uomo, prima di allora, ed un’ improvvisa paura si impadronì di me, ma non volevo tirarmi indietro, del resto, pareva che per lui, il mio improvviso irrigidimento, non avesse importanza. Scoprii che Kurtz non faceva mai l’amore "con" qualcun altro. Lui soddisfaceva le necessità del suo amante, poi pensava esclusivamente a se stesso. Mi prese con un movimento deciso, con gli occhi chiusi, forse nemmeno sentì il mio grido di dolore. Impose il suo ritmo lento alle spinte profonde, che mi sentivo fino in gola, stringendo le dita forti sui miei fianchi, fino a lasciarci degli ematomi, e non si fermò finché non raggiunse il suo piacere.

Solo allora, dopo aver abbandonato il mio corpo conquistato, squassato fino alle fondamenta, aprì gli occhi e mi baciò con dolcezza il collo. Inspiegabilmente, mi sentivo felice. Gli sorrisi e lo abbracciai stringendolo al mio petto.

-Ti amo- gli sussurrai. Era tutta lì, la risposta: ero accecato dall’ amore.

Quella fu solo la prima volta. Restammo assieme per un anno e mezzo, circa. Quell’ estate, inventai dei corsi fasulli da propinare ai miei genitori per non tornare a casa. Volevo stare sempre con lui. Chiacchieravamo per ore, ci coccolavamo per ore, per me, quelli erano i momenti più belli della nostra relazione. Ci amavamo veramente, ormai facevamo tutto assieme, tranne l’ amore. In quell’ atto, lui continuava a separarsi da me, tanto che, nell’ ultimo periodo, non riuscivo a definirlo altro che "sesso".

Ogni volta, dopo l’ atto sessuale, lui mi avvolgeva nel suo abbraccio, tornando l’ uomo dolce di cui mi ero innamorato, mi coccolava finché sentiva che io ne aveva bisogno. Sapeva sempre come mi sentivo, lo capiva, e così bloccava le mie arrabbiature sul nascere, toglieva voce alle mie proteste che, nel mio cuore, diventavano l’ ennesimo "glielo dirò la prossima volta". Poi mi preparava un bagno caldo, col bagnoschiuma alla menta e cioccolata. Mi faceva immergere e, lentamente, sostituiva l’ acqua tiepida con quella calda, quasi bollente, che mi ustionava la pelle, ma mi infondeva quel calore che mancava alle nostre unioni. Mi passava la spugna di rete su braccia e gambe, gentilmente, poi passava al petto ed alla schiena. Senza avvicinarsi mai alle mie zone più sensibili. Quella vasca era troppo piccola perché ci potessimo stare assieme, ma, per la verità, non gli piaceva troppo nemmeno fare la doccia, con me. Mi lavava i capelli con lo shampoo alla camomilla e poi, mentre io mi asciugavo e rivestivo, lui cambiava le lenzuola, le buttava in lavatrice, e rifaceva il letto. Era maniacale in questo, io proprio non riuscivo a capire. Mi faceva male vederlo così impegnato nel cancellare ogni traccia del nostro amore ancora prima che io lasciassi il suo appartamento. Non potendo dormire con lui, io avrei fatto qualsiasi cosa per conservare addosso, o sulle lenzuola, il suo profumo. Imputavo queste sue azioni alla sua educazione severa. Parlava spesso della sua Patria, degli usi del suo popolo, di come la sua educazione fosse stata scandita dalle direttive del regime comunista, persino i suoi studi superiori ed universitari erano stati decisi dal governo. Per me era assurdo, ma mi spiegò di come questo fosse previsto dal programma per l’ inserimento nel mondo del lavoro. A lui era andata bene: era portato per le lingue, e gli piaceva quello che aveva studiato, poi, con la caduta del muro, gli si erano prospettate tante nuove possibilità, come quella di andare a lavorare all’ estero. Però non parlava mai, direttamente della sua famiglia. Il mio cervello, talvolta, registrava delle discrepanze, delle piccole crepe nella storia della sua vita, ma mi rifiutavo di pensarci troppo. Mi fidavo ciecamente di lui.

Quell’ idillio in cui mi ero barricato per non accorgermi di tutto ciò che minacciava di farmi soffrire, crollò. Non fu abbattuto dalla violenza di cui Kurtz era capace certe volte, e nemmeno dalle menzogne che, sempre più spesso, mi raccontava. Bastava che mi abbracciasse e mi giurasse di amarmi, implorandomi di perdonarlo o di avere fiducia in lui, perché, anche se soffrivo immensamente, moralmente o fisicamente, io gli perdonassi qualunque cosa. Allora facevamo quello che lui si ostinava a chiamare amore, ed i miei sensi annebbiati dal piacere, mi facevano dimenticare qualunque cosa. Ultimamente facevamo l’amore tutti i giorni, più volte al giorno, mi faceva sfiancare perché non avessi la forza di fargli domande a cui non voleva rispondere, mi lambiva con quella sua voce incredibile e io mi perdevo in lui.

Crollò tutto quando, preparando una valigia, mi disse che doveva partire, che non potevo andare con lui, e che sarebbe tornato entro quindici giorni, oppure mai più.

-Cosa?- Gli chiesi incredulo.

-Non sono affari tuoi, Eichhornchen- Mi disse bruscamente.

-Ma dove vai? E perché? Ho il diritto di saperlo!- Avevo cominciato a singhiozzare. L’ amarezza repressa per un anno e mezzo ora premeva per uscire, ribellandosi a quell’ abbandono ingiusto.

-Michele, la mia famiglia ha dei problemi che richiedono la mia presenza. Sono problemi gravi, per questo non so se riuscirò a tornare da te-

Sapevo che era una bugia. Non per un motivo razionale, ma sentivo che era una bugia. Eppure mi lasciai di nuovo ingannare dalla sua voce.

Non del tutto però. Lo salutai alla stazione e finsi di allontanarmi. Invece mi mischiai alla folla e salii su una carrozza in dietro. Ero senza biglietto, ma ero disposto a pagare qualunque multa pur di scoprire quello che mi nascondeva. Quel treno arrivava fino a Monaco, quindi sapevo che avrebbe dovuto cambiarlo, prima o poi. Presi posto accanto ad una porta, per poter guardare fuori ad ogni fermata: non sarebbe sceso senza che io me ne accorgessi!

Quell’ inseguimento mi costò un bel po’, sia in denaro che in fatica, ma a vent’ anni si è pieni di energia, ed io avevo quasi ventun anni, ed una motivazione assoluta.

Kurtz cambiò treno tre volte, e prese una stanza in un albergo di Parigi.

Io mi guardavo intorno, dimentico del francese, che pure conoscevo, con gli occhi lucidi, di fronte alla sua menzogna lampante, a visioni in cui si incontrava con un amante segreto, o con una moglie giovane e bella con al seguito un bambino piccolo. Trovai alloggio in una camera a mezza pensione, in una casa non molto distante dal suo hotel. Passavo i giorni a seguirlo a distanza. Non era troppo difficile: percorreva tutti i giorni la medesima strada, appuntando su un taccuino chissà cosa. Poi si fermava ad un caffè per alcune ore, guardandosi in torno. Non farmi scoprire era la parte più difficile: spesso si fermava agli angoli delle strade e cominciava a guardarsi attorno, molto attentamente. Aveva trovato un’ entrata sul retro di un palazzo vecchio e malandato, l’ aveva forzata e vi era scomparso dentro per alcune ore. In quel palazzo c’ era stato solo un paio di volte, nei dieci giorni in cui lo pedinai. Riceveva spesso telefonate, ma io ero troppo lontano per sentire qualcosa.

Il decimo giorno, uscì dall’ albergo con una valigetta scura e dei guanti di pelle nera che non avevo mai visto e percorse tranquillamente la strada fino al vecchio palazzo, che si trovava in una via secondaria. Quando entrò nel palazzo, io pensai sconsolato che avrei dovuto attendere qualche ora, prima che ne uscisse. Per la verità avevo voglia di entrare, ma avevo paura di essere scoperto.....

Attesi a lungo, quel giorno. Attesi indeciso sul da fare finché, un rumore sordo richiamò la mia attenzione. Un "Ciof". E poi urla, strilli. Corsi sulla strada davanti all’ edificio, ma non vidi nulla. Sentii sbattere la porta sul retro, che dava su un vicolo, corsi di nuovo verso quel lato dell’ edificio, in tempo per vedere Kurtz uscire con passo rapido. Forse in quel momento mi vide, anzi, ne ho la certezza, perché nel togliersi rapidamente gli occhiali dalle lenti gialle si girò nella mia direzione. Anche nella mia ignoranza sapevo che le lenti di quel colore venivano usate dai tiratori. Kurtz infilò nella giacca gli occhiali, e per un’ altra via raggiunse una piazza poco distante la via principale. Mentre sentivo le sirene dell’ ambulanza e della polizia arrivare a tutta velocità, e voci indistinte diffondevano come un tam tam della giungla urbana "Hanno sparato ad un uomo", "Hanno ammazzato un uomo", vidi il mio uomo, quello di cui mi fidavo senza remora, abbandonare distrattamente, con naturalezza, quella valigetta scura, in un cassonetto della spazzatura ed allontanarsi, senza più avere la voglia di seguirlo.




continua......