Homo Homini Lupus

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CAP: 7/8

SERIE: X-Men

RATING: RPG

NOTE: i personaggi non sono miei, li amo, ma non ci guadagno nulla a scriverli! Appartengono tutti ai loro legittimi autori

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Il confine tra coraggio  e imprudenza è molto sottile. E' semplice agire esitando fra l'uno e l'altro, anzi. Fin troppo facile.

 

Charles lo sapeva.

 

Era stato coraggio inconsapevole gettarsi fra le braccia di Erich. Il bacio, poi!

 

Certo, da un determinato punto di vista era, quella, l'unica scelta che si potesse fare, ma era accaduto perché non vi aveva riflettuto. Se l'avesse fatto, se non fosse stato tanto sconvolto..

 

Il rimanere lì abbracciato, avvinghiato a lui, invece, era stato avventato.

 

Di più: sciocco, stupido. Forse, perfino, crudele. D'una crudeltà stupida e gratuita.

 

Erich in piedi di fronte  a lui.

 

Charles l'aveva pregato di non andarsene, di non lasciarlo.

 

L'abbraccio forte li teneva legati.

 

Charles, il capo sul suo petto, sognava di poter rimanere così per sempre. Perduto e smarrito e svuotato d'energia, forza. Ubriaco di passione. Gli bastava la pelle di Erich contro la propria, i suoi muscoli a chiuderlo fuori dal mondo. Il ricordo di ciò che era avvenuto. L'infinita, incredula dolcezza.

 

Tutto era vissuto e non pensato.

 

Perché non ce n'era bisogno.

 

Charles non  chiedeva risposte, non voleva motivi né parole: solo il silenzio. Il suo calore. Il suo profumo.

 

Aveva sentito Gabrielle.

 

L'aveva sentita da quando aveva iniziato a salire le scale per raggiungere il loro appartamento.

 

Sapeva che era lei: non c'erano dubbi. Ma: 'ti prego, Erich'.

 

Pregarlo di rimanere lì. Di tenerlo stretto. Di amarlo con la presenza. Con il silenzio.

 

Di non andarsene.

 

Aveva baciato lei perché credeva di non poter baciare lui. Ora che s'era accorto di essersi sbagliato non importava altro.

 

Neppure Gabrielle che saliva le scale.

 

Che si avvicinava.

 

Che apriva la porta.

 

Non il suo sorriso spezzato. Il dolore. Lo stupore. L'imbarazzo. Il tradimento.

 

Il suo urlare e voltarsi e correre via.

 

Erich l'avrebbe rincorsa, se non fosse stato inchiodato in quell'abbraccio.

 

"Stai con me, ti prego."

 

Anche se Charles non poteva leggere in lui era facile intuire cosa avrebbe voluto dire.

 

Forse lo disse anche.

 

Charles non lo udì.

 

Chiuse gli occhi e si permise di rimanere avvolto in quel momento meraviglioso, immaginando che avrebbe potuto non finire mai.

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"E' l'Hydra."

 

"E' cosa?" 

 

Erich chiuse gli occhi

 

"Torna nel nostro appartamento, e non aprire a nessuno che non sia io."

 

Charles lo fissò stupefatto.

 

"E Gabrielle?!"

 

"Ci penso io."

 

Passi veloci ad allontanarsi da lui. Ad abbandonarlo in una strada polverosa, affollata. Sconvolto. Dove stava andando?

 

"Vengo con te."

 

"No." 

 

"La mia non è una richiesta. - Charles gli si mise al fianco, sicuro e duro. Non poteva lasciarlo andare. Anche se era un'altra persona che stavano cercando. Anche se era Gabrielle a non esser più tornata. Non poteva lasciare che Erich andasse via di nuovo. - Spiegami."

 

Erich non gli rispose. Il passo rapido di chi sa dove deve andare. E chi affrontare.

 

A Charles girava la testa: confusione, preoccupazione, e faceva più male a saperle solamente proprie.

 

Da Erich spirava una gelida efficienza.

 

Faceva paura.

 

Al pensiero il fiato gli morì in gola. Rallentò il passo, obbligandosi a non farsi sedurre da quel carisma irragionevole e sanguigno, che scintillava attorno ad Erich, come se fosse stato un manto regale.

 

Erich faceva sempre paura.

 

"Se vuoi venire muoviti" 

 

Charles sentì il gelo invadergli i muscoli, il cuore. S'immobilizzò.

 

"E' stata colpa mia! - neppure Charles si era atteso di reagire in una maniera simile. - L'ho sentita arrivare e non ho pensato a niente. Non sapevo neppure che esistesse un serio rischio di rapimenti, qui!"

 

La disperazione aveva una strana consistenza addosso. Sulla lingua.

 

Lo sguardo di Erich, poco più in là, immobile anch'egli, era lucido. Perfettamente limpido. Fu una sensazione quasi fisica, terribile.

 

"Tu non sai niente."

 

Non era un insulto. O, forse, solo una specie. Un qualcosa di antico e strano e forte parve trovare la luce per poi venir velato nuovamente. 

 

"No. Ma voglio venire con te. Aiutarti."

 

Aiutarti.

 

Non: aiutarla.

 

Fossero stati i veli intessuti intorno alla nuda verità, ad essere caduti?

 

Gabrielle non era nulla: Charles avrebbe dovuto sentirsi in colpa, ma non ci riuscì. Ed Erich non domandò spiegazioni, non aggiunse altro, se non un secco 'andiamo'.

 

"Cos'è l'Hydra?"

 

L'auto si mise in moto all'appoggiarsi delle mani di Erich sul volante.

 

"Nazisti."

 

La voce un sussurro sibilante, pericoloso.

 

"Ma c'è stata Normiberga!"

 

"Certo. E anche il processo Heichman, due anni fa, ma ce ne sono altri, in giro. E sono organizzati. Sono l'Hydra."

 

"Come fai a saperlo?"

 

"Domanda stupida, Charles. Lo sai come lo so."

 

Charles lo sapeva? Deglutì. Forse poteva immaginarlo. Forse. Ma non voleva crederci.

 

"So che.. qualcuno dice.. penso .. - Charles si passò la lingua sulle labbra secche.- che il Mossad abbia organizzato un.. dei.."

 

"Cacciatori."

 

Sembrava un epitaffio: la voce aveva la stessa pesantezza di una lastra di marmo.

 

Di nuovo, come sempre, l'immagine del lupo gli balenò nella mente, ma ora essa assumeva un nuovo significato. 

 

Le nocche di Erich sbiancarono dalla furia con cui si chiusero sul volante.

 

"La stavano cercando, e io con loro. Ma non avrei mai sospettato potesse essere Gabrielle! Sono stato stupido."

 

"Ma perché lei? Cosa può aver mai fatto?!"

 

"La domanda corretta è 'a che serve?'. - Erich sorrise amaro, terribile -  Lo chiamano l'oro di Hitler."

 

Charles lo fissò in silenzio scuotendo il capo.

 

"L'hanno trovato i russi nel bunker, anche se loro negano. Lo sanno tutti!"

 

"No. A Berlino c'era poco, quasi niente. L'oro è da qualche parte."

 

"Anche se fosse, che centra.."

 

"Era una paziente speciale del blocco medico. Non so come: ma addosso ha le coordinate del tesoro. Non rapiscono ebrei a caso, quelli. Soprattutto non verrebbero a farlo in Israele, senza un buon motivo."

 

Charles tacque.

 

Le labbra dischiuse.

 

La mente vuota.

 

Maledì l'unico dio al quale si rivolgeva per il muro che si trovava di fronte. Niente tenerezza, niente preoccupazione. 

 

Erich non aveva un cuore? 

 

Avrebbe voluto sentirsi arrabbiato con lui, furioso. Ma, al posto della rabbia lo colpì l'amarezza, la pena, la preoccupazione.

 

Per lui.

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La rabbia era una vampa traslucida.

 

Era potere.

 

Energia.

 

Che imprigionava, spezzava, si espandeva come una marea incontrollabile. Era qualcosa che lui poteva toccare, che sentiva, che gli ronzava nelle orecchie, che gli esplodeva nel cervello.

 

La rabbia era ricordo.

 

Dolore.

 

Rifiuto di dare un nome a ciò che gli si era inciso addosso, ben più profondamente di quei numeri che aveva sul braccio. Dentro. 

 

Era, finalmente, averli lì davanti, di nuovo, ma a ruoli invertiti.

 

Ogni volta che era accaduto aveva saputo che era stato quello per cui aveva desiderato vivere: la vendetta. Il terrore nei loro occhi. La rabbia che diveniva incredulità e poi timore e poi.. nulla. 

 

Fermi, immobili, spezzati giacevano ai suoi piedi come milioni dei suoi erano caduti di fronte a loro. Prima.

 

Vendetta non era un termine bastante a spiegare. Rabbia non serviva a dire.

 

Non si poteva dire nulla: le parole erano vane, la bocca muta, la mente vuota. La capacità di scegliere cosa fare proveniva da un'intelligenza profonda, nascosta nelle viscere, che si svegliava come una bestia sanguinaria in quegli assurdi istanti che puzzavano di morte.

 

Tutto intorno era stato morte.

 

Il silenzio.

 

I camini.

 

La cenere.

 

E la disperata, assurda, incredibile voglia di vivere. L'aggrapparsi all'esistenza in ogni modo, con tutte le poche forze e la stremata volontà che si possedeva, cancellando ogni altra necessità, ogni altro credo.

 

E sopravvivere.

 

Nonostante tutto.

 

Senza sapere il perché, senza conoscere il motivo, né poter sfoggiare un qualche merito, che non ne esisteva alcuno. Solo la vita che, per puro caso, ogni tanto, riusciva a sfuggire alla morte. Lentamente, con furbizia e costanza, con assurda fortuna. Ogni giorno. Ogni istante. E vivere quel che non può essere detto. Quello che, appena, può venire sognato nel cuore più nero degli incubi che gli strappavano il cuore.

 

Vivere una vita che tale non poteva essere definita, ma orrore e dolore senza fine. Ma vita, comunque.

 

Un incubo?

 

No.

 

Il ghetto lo era stato.

 

Aveva creduto, come l'ingenuo ragazzino che era stato, che quello fosse il peggio che avrebbe potuto sopportare, che si potesse vedere, che non potesse esistere nulla di più atroce, svilente, faticoso.. aveva imparato, a sue spese, che ogni cosa poteva diventare peggiore di quello che era. E che si poteva vivere comunque.

 

Il treno. Il freddo. La fame. La paura. E le marce, gli spari, le fosse, i cadaveri. Cadere, e chiudere gli occhi con la certezza che non avrebbe più potuto riaprirli.

 

Allora neppure il demonio l'aveva voluto.

 

Arbeit macht frei.

 

La neve, il cancello, i forni.

 

Un luogo dove non bastava chiudere gli occhi per non vedere.

 

L'orrore era nell'aria che si respirava, l'orrore era dentro se stessi, era ovunque. Era marchio e ceppi, insieme.

 

Era veder quelle divise nere, lucenti, perfette in un inferno di miseria e sporcizia. Era saperli superiori, bellissimi, puri, paragonati a tutto il resto del mondo: saperlo perché era lì da vedere, era una verità palese, ovvia. Era..

 

L'orrore erano i camini che esalavano fumi densi di ceneri, e dolciastri.

 

Carni che bruciavano.

 

L'orrore era saperlo, e non avere la forza di preoccuparsene.

 

La vita era stata più forte di tutto quello.

 

Erich obbligò i ricordi a recedere.

 

Socchiuse gli occhi: Charles diceva qualcosa.. di stupido ed insensato.

 

La vita era più forte di tutto.

 

Lui era sopravvissuto. E pure Gabrielle: ora non sarebbe morta così. Non ora, che lui aveva il potere di decidere, e non solo l'obbligo di patire.

 

Non ora. Non più

 

La vendetta sapeva di cenere.

 

Ma la vita sopravviveva anche alla cenere.

 

Il potere esplose come una stella che muore. E poi rinasce.

 

La grotta crollò.

 

La loro vita spettava a lui.

 

Era venuto a pareggiare i conti.