Premessa: l’idea per questa fiction mi è venuta qualche annetto fa, dopo aver scritto “Caro diario” di Card Captor Sakura (a cui vi rimando se non l’avete letta ^.^), ma ero talmente stanca dopo la “stesura” di quella mia prima fic che non ero riuscita a scriverne subito un’altra di getto ^.^  e mi sono “ridotta” a scriverla diversi anni dopo… della serie meglio tardi che mai! è____é

A parte ciò, l’ispirazione mi è venuta dal primo album dei Green Day (mitici!) di cui sono fan da ben 13 anni, dove sono raccolte le loro prime canzoni e che si intitola  “1,039 smoothed out slappy hours”   (lunghetto, eh?  ^.^) : ebbene, proprio leggendo e rileggendo i testi di quelle canzoni, ne ho individuate alcune che messe in un certo ordine mi hanno dato lo spunto per scrivere; ciascun capitoletto dunque riporta all’inizio il testo e la traduzione della canzone a cui è ispirato, e la fiction stessa ha il titolo di una delle canzoni perché nella storia l’episodio che ha questo titolo (1,000 Hours, appunto) secondo me è una delle parti più importanti… vi lascio quindi alla lettura, che spero vi sarà gradita e mi raccomando fatemi sapere cosa ne pensate!!!!

Ultimissima cosa, i personaggi sono miei mentre le canzoni sono degli aventi diritto (i miei amati Green Day!) e comunque non sono state utilizzate a scopo di lucro ma solo per il semplice e puro diletto di chi scrive e di chi andrà a leggere (spero in molti! ^.^)

 





 


 

 

1000 Hours

 

parte II 

 

di Rumiko

 


 

I was there

Looking back upon my life

And the places that I've been

Pictures, faces, girls I've loved

I try to remember when

Faded memories on the wall

Some names I have forgotten

But each one is a memory I

Look back on so often

 

I look into the past

I want to make it last

I was there

 

Looking back what I have done

There's lots more life to live

At times I feel overwhelmed

I question what I can give

But I don't let it get me down

Or cause me too much sorrow

There's no doubt about who I am

I always have tomorrow

 

Looking back upon my life

Faded memories on the wall

Looking now at who I am

I don't let it get me down

 

 

 

 

 

 

 

 

Io c'ero

Guardando indietro sulla mia vita

E i posti dove sono stato

Figure, facce, ragazze che ho amato

Provo a ricordare quando

Memorie sbiadite sui muri

Alcuni nomi che ho dimenticato

Ma ognuno è un ricordo a cui

Guardo indietro così spesso

 

Guardo nel passato

Lo voglio fare alla fine

Io c'ero

 

Guardando indietro cosa ho fatto

C’è molta più vita da vivere

A volte mi sento schiacciato

Mi domando cosa posso dare

Ma io non lascio che mi abbatta

O che mi provochi così tanto dolore

Non c'è dubbio su chi sono io

Ho pur  sempre domani

 

Guardando indietro sulla mia vita

Memorie sbiadite sui muri

Guardando adesso chi sono io

Non lascio che mi abbatta

 


 

Marco arrivò  trafelato, i capelli castani  un po’ scompigliati, alla fermata dell’autobus dove doveva prendere il bus che dal suo paese lo avrebbe portato in città : quel martedì mattina di febbraio sarebbe iniziato per lui  l’ultimo trimestre dell’ultimo anno all’università  e pur se il giorno in cui avrebbe terminato era ancora piuttosto lontano, dovendo superare prima gli ultimi difficilissimi esami e preparare poi la tesi, di certo non poteva fare a meno di pensarci, e di iniziare a pensare anche al futuro, pur se al momento non aveva idee chiare né fatto scelte ben precise … era veramente, dannatamente difficile…

Ad interrompere le sue riflessioni  giunse il bus, che si fermò e lo fece salire; come al solito, scelse un posto accanto ad uno dei finestrini, avendo sempre adorato fin da bambino vedere attraverso i suoi occhi verdi il paesaggio scivolare davanti a sé in un caleidoscopio di case, giardini , piante, aiuole, terreni coltivati, e poi man mano che si avvicinava alla città, palazzi antichi e moderni, negozi, scuole,  viali, automobili e mezzi di ogni tipo, e persone di ogni età  e di ogni genere che andavano e venivano  come tante formiche, prese dai loro impegni, dalle loro preoccupazioni o dai loro pensieri.

Ultimamente, lo scorrere di tutte quelle immagini sotto il suo sguardo gli dava sempre  più una sensazione di nostalgia,  all’idea di come passasse in fretta il tempo, e di malinconia: lo portava a pensare a quello che sarebbe stato il suo futuro, e a ricordare anche gli spensierati anni della sua infanzia e della sua adolescenza, alle persone che aveva conosciuto, ai suoi vecchi compagni di classe, che chissà ormai dove erano finiti e cosa combinavano, alle prime infatuazioni che aveva avuto per alcune ragazze del suo liceo, e poi alla prima vera cotta, ma per un ragazzo, un suo amico, cosa che lo aveva travolto come un fiume in piena  e per un bel po’ di tempo gli aveva sconvolto la vita, prima di arrivare ad una consapevole  accettazione di quella che era  il suo vero essere… tutti ricordi di persone, volti, posti, momenti e situazioni che aveva vissuto e di cui a volte rimanevano solo tinte sbiadite, ma che nonostante ciò erano molto preziosi per lui, tanto da fargli spesso crescere dentro lo struggente desiderio di voler tornare là, in quei luoghi, di voler rincontrare quelle persone , di voler rivivere quegli attimi, quelle esperienze, quelle emozioni, di nuovo, dall’inizio e fino in fondo.

Fu nuovamente interrotto nelle sue meditazioni  dal bus che frenò forse un po’ bruscamente proprio alla fermata dove doveva scendere: accortosi che era giunto a destinazione, raccolse in fretta il suo zainetto nero e si precipitò fuori, giusto in tempo prima che le porte del mezzo si richiudessero alle sue spalle.

 

L’aula in cui si sarebbe tenuta la lezione di procedura civile  era già affollata di studenti, pronti a seguire con estrema attenzione quanto il professore avrebbe iniziato a spiegare di lì a poco, vista la difficoltà e la complessità della materia, che era di certo una delle più impegnative dell’ultimo anno.

Marco però non pensava ancora a ciò, quanto piuttosto a cercare, e possibilmente anche a trovare, vagando col suo sguardo per tutta la stanza, un posto dove sistemarsi.

Gli sarebbe bastato anche un piccolo spazio, non importava se stretto, pur di stare seduto, perché ricordava benissimo quanto fosse terribile seguire una lezione del genere in piedi, gli era capitato al primo anno e da quella volta, che ne era uscito a pezzi, aveva sempre cercato di evitare di ripetere l’esperienza, tanto più tremenda  se fosse capitata d’inverno , periodo in cui erano, ed in cui naturalmente fuori faceva un freddo bestiale ma nei luoghi chiusi ed affollati, vestiti di maglioni e giacche pesanti, si moriva dal caldo e se si rimaneva in piedi era quasi impossibile liberarsi di parte dell’abbigliamento, col rischio poi di ammalarsi non appena usciti  all’aperto.

Scostò dalla fronte una ciocca di capelli che gli era scivolata quasi a coprirgli l’occhio sinistro, per cercare di vedere meglio: gli piaceva portare i capelli un po’ lunghi, non proprio cortissimi o a spazzola come altri suoi coetanei, perché riteneva che quel taglio si adattasse meglio di altri al suo volto, ma doveva ammettere che a volte quei ciuffi che gli scendevano sul davanti  un po’ lo infastidivano.

Ad ogni modo, forse proprio grazie a quel gesto, con la coda dell’occhio, da acuto osservatore qual era, riuscì a scorgere  un piccolo posto libero accanto ad un ragazzo biondo dagli occhi verdi più scuri dei suoi che sembrava non conoscere nessuno e starsene per fatti suoi, al contrario di molti altri nell’aula che chiacchieravano allegramente e animatamente con gli amici o coi compagni di corso.

Facendo un piccolo slalom tra i banchi e le borse che molti avevano appoggiato a terra, raggiunse il posto individuato e chiese all’altro ragazzo se fosse libero.

-Sì, accomodati pure- gli rispose questi con un sorriso gentile. Marco ricambiò il sorriso, lo ringraziò e si sistemò, poi si presentarono e parlarono un po’, soprattutto dell’università: Marco seppe così che l’altro ragazzo si chiamava Andrea, che come lui aveva venticinque anni e che come lui anche l’altro era al suo ultimo anno , ma che avevano in comune solo quella materia, procedura civile, perché per le altre i corsi erano sdoppiati ed erano tenuti per ciascuno da professori diversi.  Poi  non ebbero modo  di raccontarsi molto altro  perché il professore entrò e volle il silenzio assoluto, pena l’espulsione dall’aula, come si premurò di chiarire prima di iniziare un’intensa lezione, che condusse fino al termine senza pause e senza pietà per i  poveri studenti, che ne uscirono stremati.

Marco e Andrea, nonostante fossero stanchi come tutti gli altri, si sorrisero e senza dire nulla recuperarono le loro cose, gli zainetti e le giacche e si avviarono fuori insieme. Solo una volta giunti  all’atrio, dopo quella terribile lezione, ebbero la forza di rompere il silenzio e di parlarsi. Marco, che sembrava fra i due quello più estroverso  esclamò soltanto: -Mamma mia, che roba!-

-Sì, davvero tremendo ‘sto prof, senza considerare poi la materia…- disse un po’ sconsolato Andrea: dopo una lezione del genere molti degli studenti che vi avevano partecipato erano davvero diventati consapevoli del fatto che quell’esame sarebbe stato un gran bell’ostacolo da affrontare e superare.

-Per fortuna che se seguiamo bene le lezioni e prendiamo gli appunti come si deve, possiamo studiare per gran parte su quelli, a detta del  prof…- replicò Marco, cercando di essere ottimista e  di vederla in modo positivo.

-Sì, ma io non mi fiderei molto di quello, visto il tipo che è…- rispose un po’ scoraggiato Andrea.

-Beh, in effetti… ad ogni modo, che ne dici se d’ora in poi ci scambiamo gli appunti, così giusto per confrontarli e magari se ci serve  anche per integrarli? O magari non ti va?- suggerì Marco, concludendo la frase con tono un po’ incerto: quel ragazzo non gli dispiaceva e dal momento che erano entrambi senza compagni di corso, avrebbero potuto diventarlo approfittando dell’occasione, ma temeva di essere stato troppo invadente con la sua proposta.

-Sì, ok, per me non c’è problema- accettò Andrea, e quindi andarono a fare le fotocopie dei rispettivi appunti , se li scambiarono, poi all’uscita si salutarono e si diedero appuntamento per il giorno dopo, dato che avevano quella lezione la mattina per due volte consecutive a settimana, il martedì e il mercoledì, ed infine ognuno se ne andò nella propria direzione: Andrea abitava poco fuori dal centro storico, dove si trovava la facoltà, e quindi poteva andare e tornare a piedi, mentre Marco abitando in un paese di periferia doveva ovviamente sempre e comunque spostarsi con un mezzo , autobus o macchina che fosse. E quel giorno aveva dovuto prendere l’autobus, perché delle tre macchine che avevano a casa, una ciascuna per lui, il padre e la madre, proprio la sua avevano dovuto portarla dal meccanico per un piccolo problema, ma per fortuna nel pomeriggio l’avrebbe riavuta: non che gli servisse proprio sempre, perché se all’università aveva delle lezioni con orari decenti e compatibili con quelli del bus, preferiva prendere quest’ultimo, per evitarsi la scocciatura della ricerca e del costo del parcheggio, però a volte l’auto gli era indispensabile e quindi prima l’avrebbe riavuta e meglio sarebbe stato.

 

Mentre si avvicinava  il momento di scendere, a circa una fermata dalla sua intravide dal finestrino una persona dal volto che gli sembrò familiare camminare sul marciapiede.

Giunto a casa, dove era solo perché i suoi erano entrambi fuori  per lavoro, mentre si preparava da mangiare e per tutta la durata del pranzo, estraniandosi da tutto il resto e ignorando i suoni e le parole che provenivano dalla TV accesa, come se fossero ovattati alle sue orecchie, continuò a pensare e a ripensare a quell’uomo: era sicuro di aver conosciuto tempo prima una persona che aveva la sua stessa fisionomia, ma forse era solo un altro dei tanti ricordi vaghi del suo passato. Ad un tratto però si bloccò: quegli occhi azzurri… come poteva averli dimenticati?

Come preso da un raptus, finì  di mangiare quasi strozzandosi e sbrigatosi a rimettere tutto a posto, perché non era da lui lasciare sporcizia e disordine, verso le tre  si precipitò fuori, non prima di aver scritto ai suoi in un biglietto che era andato da un amico e sarebbe tornato per cena.

Visto l’incontro che, sperava, avrebbe avuto, era stato anche attento, nonostante la fretta, a vestirsi decentemente e aveva optato per un maglioncino arancione con collo a V e una camicia nera a cui aveva abbinato un paio di jeans scuri, e ovviamente un giaccone nero per ripararsi dal freddo che quel giorno sembrava farsi sempre più intenso man mano che passavano le ore.

Corse sotto un cielo plumbeo quasi a perdifiato fino al punto dove aveva visto l’uomo e si fermò solo un istante per riprendere a respirare regolarmente, poi avanzò con passo spedito guardandosi intorno, cercando di ricordare: dov’era quella casa? Qual era, fra le tante? Ci passava davanti ogni giorno, eppure ora non gli riusciva di trovarla… La vide, infine: la casa della sua infanzia, non molto grande, a due piani, con un cancello e un giardino contornato da un’alta siepe, e un garage sul lato sinistro…

Chissà se… ma vabbe’, tanto valeva provare… Esitando ancora un attimo, nonostante l’impazienza che fino a quel momento aveva avuto la meglio su di lui, lentamente avvicinò l’indice della mano destra al campanello, ed infine suonò.

Passarono alcuni istanti di silenzio, in cui non rispose nessuno, istanti che gli sembravano interminabili, pieni di speranza, poi sentì aprire il portone color verde scuro e vide apparire come in sogno lo stesso ragazzo che aveva visto neanche due ore prima, in jeans, maglia nera e camicia bianca.

-Alessandro…-  sussurrò Marco impercettibilmente, emozionato, spalancando gli occhi.

Il ragazzo più grande  si avvicinò a lui e fissando gli occhi azzurri su di lui gli chiese gentilmente: -Cercavi me? Posso esserti utile?-

Marco, ancora sorpreso, con voce leggermente tremante e commossa, riuscì solo a dire:

-Sei tornato…-

Alessandro, cercando di mantenere i suoi modi cortesi, ma non capendo chi fosse quel ragazzo dall’aria un po’ trafelata che a quell’ora era venuto a suonare alla sua porta e a cercare proprio lui, accennò un sorriso e gli domandò: -Ci conosciamo? Se è così, scusami tanto ma proprio non mi ricordo di te…- e con aria imbarazzata si portò una mano fra i capelli come a voler evidenziare il leggero disagio che provava nel non ricordare una persona che invece sembrava conoscerlo e sapere del suo ritorno.

Marco, tornato quel poco che bastava coi piedi a terra, ragionò velocemente: certo, lui ricordava il vecchio amico perché da piccolo lo aveva adorato alla follia, e poi non avrebbe mai potuto dimenticare quello sguardo, quegli occhi… ma l’altro come avrebbe potuto riconoscerlo, dato che l’ultima volta che lo aveva visto lui aveva appena cinque anni? E ne erano passati la bellezza di venti?

Decise quindi di presentarsi come si conveniva, anche se gli sembrava strano, per due persone come loro che tanto erano state legate tempo prima, e nel farlo non poté nascondere l’emozione che rese incerto il suo incerto il suo tono di voce e gli fece abbassare leggermente lo sguardo: -Beh, ecco, io sarei… anzi sono Marco… il figlio degli amici dei tuoi genitori, qui…-

A queste parole, fu Alessandro a restare sorpreso dalla rivelazione: i suoi occhi si allargarono per lo stupore, e senza dire nulla, corse ad aprire il piccolo cancello che li separava, poi abbracciò d’impeto il ragazzo più piccolo, facendolo quasi sprofondare in esso, e tornò a guardarlo, sorridendogli ora radioso.

-Sei proprio tu… sei così cresciuto che non potevo riconoscerti… ma guardalo un po’!- gli disse, al colmo della felicità, tenendolo per le spalle e scostandogli poi dei capelli dalla fronte in una carezza gentile, come tante volte aveva fatto quando, diversi anni prima, i genitori di Marco gli affidavano il figlio e lui spesso mentre giocavano insieme e badava al bambino, lo riempiva anche di mille attenzioni e piccoli vizi, e lo consolava anche da ogni più piccolo dispiacere o dolore…

Marco a quel gesto socchiuse inconsapevolmente gli occhi e sospirò impercettibilmente, sorridendo in risposta all’amico ritrovato: avrebbe riconosciuto quel tocco tra mille… in tanto tempo il calore e la dolcezza che esso trasmettevano erano ancora gli stessi.

Passato un attimo in cui i loro sguardi si incrociarono e rimasero incatenati, Alessandro, circondandogli le spalle con un braccio, lo invitò calorosamente ad entrare in casa.

-Grazie, però ho poco tempo: devo andare anche a riprendere l’auto dal meccanico oggi pomeriggio…-

-Bene, allora dato che sono libero, potrei accompagnarti?- propose Alessandro, sperando che l’altro accettasse.

-Beh, non posso di certo rifiutare!- rispose Marco sorridendogli nuovamente : l’idea di trascorrere parte del pomeriggio con quello che per lui da bambino era stato praticamente il suo mito, non poteva che riempirlo di gioia.

Entrati in casa, Marco notò come tutto fosse in ordine e sapesse di nuovo: le pareti bianche come dipinte da poco, i mobili della cucina tirati a lucido e sulla destra, zona del salotto, un bel televisore al plasma.

-E’ da tanto che sei qui?- domandò Marco, interrompendo il silenzio.

-Da circa un mesetto… accomodati pure… dammi anche il giaccone che lo appendo di là…- disse Alessandro mentre lo invitava a mettersi seduto sul divano.

-Sì, grazie- rispose Marco e se lo sfilò, passandolo poi all’altro ragazzo che fu subito di ritorno e gli propose: -Posso offrirti qualcosa… magari un tè, in attesa di andare a riprendere la tua auto?-

-Va bene, grazie- accettò Marco sorridendo, quindi dal divano osservò l’amico iniziare a darsi da fare per preparare le bevande: le sue spalle ampie, le mani che agili si muovevano con estrema naturalezza, il capo leggermente chinato, lo sguardo sereno e concentrato su ciò che stava facendo… non poteva ancora credere che dopo tanti anni quel ragazzo fosse tornato, e che ora fossero di nuovo insieme a casa sua, di nuovo proprio lì…

-Ecco fatto!- esclamò Alessandro con un sorriso, quando il tè fu pronto, appoggiando le tazze sul tavolino basso di fronte al divano.

Marco gli sorrise di nuovo in risposta e iniziarono a sorseggiare il loro tè, e lentamente a parlare delle loro vite.

-Sai- esordì Alessandro –dopo esserci trasferiti, ho finito lo scientifico a M. e poi mi sono iscritto alla facoltà  di giurisprudenza, sempre in quella città, e ora da qualche anno lavoro in un’agenzia assicurativa che per fortuna ha anche un paio di filiali qui vicino, quindi ho potuto chiedere il trasferimento, e a giorni dovrebbero farmi sapere in quale delle due riprenderò a lavorare… tu invece?- chiese poi, terminando quel breve riassunto della sua vita fino ad allora.

Marco gli rispose sorridendo per il fatto che anche lui avesse deciso di iscriversi alla stessa facoltà dell’altro, e disse: -Beh, anche io ho scelto giurisprudenza qui vicino, a V., ma alle superiori ho fatto il classico; ora sono all’ultimo anno: proprio oggi sono iniziate le lezioni e abbiamo avuto procedura civile… puoi  immaginare!- esclamò, concludendo la frase.

-Sì, ricordo bene quanto sia stato sudato anche per me quell’esame- convenne Alessandro, concordando con l’amico più giovane sull’estrema difficoltà di quella materia.

Continuarono poi a parlare ancora tranquillamente del più e del meno, e molto degli episodi delle loro vite scolastiche e universitarie, soprattutto di quelli più divertenti, finché giunse l’ora di andare a prendere la macchina di Marco e insieme si avviarono verso il garage.

Alessandro aprì la chiusura centralizzata della sua auto, quindi partirono: il tragitto era molto breve perché il meccanico era appena a cinque chilometri fuori da A., ma lo trascorsero in silenzio, immerso ciascuno nei propri pensieri. Marco, al solito guardando fuori dal vetro, ebbe in mente alcuni ricordi del suo passato, che riguardarono stavolta più in particolare la sua prima “famosa” attrazione per un ragazzo, il suo più caro compagno di scuola alle superiori: forse, la prima e unica volta in cui poteva dire che si fosse veramente innamorato di qualcuno da ragazzino… dopo quella vicenda erano seguite solo delle piccole e non molto durature infatuazioni, dovute più che altro alla frequentazione saltuaria di qualche locale e discoteca per gay, e lui si era limitato a qualche bacio e qualche strusciamento durante il ballo, ma nulla più, avendo deciso di donare la sua prima volta a chi avrebbe veramente amato per tutta la vita, al contrario di quanto facevano molti suoi coetanei e di quanto gli veniva spesso proposto dai ragazzi che incontrava in quei posti… A quei ricordi, seguì un ritorno alla realtà piuttosto brusco: come avrebbe reagito Alessandro se avesse saputo della sua vera natura? Forse avrebbe potuto anche confessarglielo in tutta tranquillità… dopo tutto, pur se era trascorso tanto tempo, il loro rapporto sembrava non essere molto cambiato e nell’altro forse lui poteva ancora ritrovare il ragazzo gentile che tante volte lo aveva consolato e coccolato da bambino… magari da questo punto di vista Alessandro non era tanto diverso da prima, da come lui lo ricordava…

-Ehi, tutto bene?- lo interruppe dai suoi pensieri una voce calda e premurosa: Alessandro lo fissava con uno sguardo che sembrava un po’ preoccupato, quasi avesse percepito ciò che tormentava l’altro, ma Marco gli rispose: -Sì, solo è che guardavo fuori…-

-Già, come quando eri piccolo e andavamo a V. in autobus, e ti perdevi in mille fantasie mentre guardavi dai finestrini…- rammentò Alessandro sorridendo, mentre Marco abbassava gli occhi e sorridendo anche lui gli diceva: -Eh sì… ah!- aggiunse poi, interrompendosi –ora devi girare qui a destra, ecco, l’officina è quella- terminò, indicando il posto in questione.

Alessandro fermò l’auto e scese insieme all’amico, in attesa che il meccanico gli riconsegnasse l’auto, poi al momento di salutarsi disse a Marco: -Vieni a cena da me stasera? Così possiamo continuare la chiacchierata e rispolverare ancora un po’ i bei vecchi tempi…-

-Appena torno a casa chiedo ai miei e poi ti faccio sapere subito… puoi darmi il tuo numero?-

E così si scambiarono i numeri dei rispettivi cellulari.

 

Appena  arrivato a casa, vide che anche la madre era rientrata, la raggiunse in cucina e dopo averla salutata le disse con tono allegro: -Sai chi ho incontrato?-

-Chi tesoro?- rispose la donna, sulla cinquantina, capelli biondo scuro e occhi verdi come quelli del figlio.

-Alessandro, il figlio dei vostri vecchi amici!- rispose il ragazzo, non nascondendo l’entusiasmo che ancora lo pervadeva per l’incontro di quel giorno.

-Ma dai! E che è venuto a fare?  E’ davvero da un bel po’ che non si fa vedere! Chissà che bell’ometto che è diventato!- ed iniziò con l’interrogatorio, al quale Marco non riuscì in alcun modo a sottrarsi.

 

-Perdona il ritardo, ma mia madre mi ha sottoposto ad un terzo grado quando le ho detto di averti rivisto!- esclamò Marco, non appena Alessandro gli ebbe aperto il cancello e lo ebbe fatto entrare in casa. Ad Alessandro uscì un sorriso: ricordò quanto fosse gioviale e di natura vivace quella donna, e immaginò che per Marco non vi fosse stata via di scampo alla raffica di domande a cui sicuramente lo aveva costretto a rispondere.

Ciò però non aveva impedito a Marco di riflettere sul problema che nel pomeriggio gli si era presentato, mentre nella sua camera pensava anche a cosa indossare per quella sera… alla fine aveva scelto una polo nera a maniche lunghe con colletto bianco e dei jeans piuttosto chiari, ma il dilemma non era ancora stato risolto: dire o non dire ad Alessandro della sua omosessualità? Sarebbe stato giusto nascondergli una cosa del genere? E se gli avesse fatto schifo? Come per concentrarsi meglio prima di uscire si era seduto sul letto a capo chino, i gomiti sulle ginocchia e le mani fra i capelli, e dopo dei lunghi attimi che gli erano sembrati secoli era giunto alla sua decisione: glielo avrebbe detto, quella sera stessa.

Se tra loro doveva essere di nuovo amicizia, e se davvero era destino che Alessandro fosse per lui d’ora in poi, come era stato in passato, il migliore amico che avesse mai avuto, era meglio mettere in chiaro tutto fin dall’inizio, ed essere sincero con lui: dopo tutto, se glielo avesse tenuto nascosto, era sicuro che non avrebbe resistito e prima o poi glielo avrebbe detto comunque… non avrebbe sopportato di mentire di fronte allo sguardo limpido dell’altro, che quel pomeriggio gli aveva dato l’impressione di riuscire a leggergli dentro ogni cosa, come se fosse stato per lui un libro aperto…

 

-Scusami, non ci ho messo molto di mio, ma la prossima volta farò di meglio!- gli promise Alessandro presentandogli un’abbondante quantità di pizza a spicchi assortita e per ogni gusto: non aveva avuto molto tempo per preparare e si era accorto, una volta rientrato, di non avere neanche molti ingredienti in casa, quindi era andato nella migliore pizzeria della zona e aveva preso tutto ciò che era riuscito a trovarvi, vista l’occasione che lo attendeva.

-Non preoccuparti, la pizza mi piace moltissimo: fosse per me, la mangerei tutti i giorni a pranzo e cena!- esclamò Marco, una volta sedutosi a tavola di fronte all’altro ragazzo, che aveva arricchito la tavola anche con parecchie bevande, non sapendo cosa avrebbe preferito il suo ospite.

Mangiarono allegramente, riprendendo a raccontarsi alcune cose delle loro vite, a ricordare alcuni episodi del periodo che in passato avevano trascorso insieme, a parlare dei rispettivi genitori, di come stessero e di cosa facessero, ed in breve terminarono la cena.

Vedendo Alessandro che iniziava a darsi da fare per sparecchiare, Marco volle aiutarlo: aveva insistito, prima di iniziare a mangiare, affinché l’amico avesse usato bicchieri, piatti e tovaglioli di carta, quindi in men che non si dica sgombrarono la tavola.

Andarono poi a sedere sul divano e Alessandro propose alcuni film: erano all’incirca tutti graditi anche a Marco, tranne un paio di genere horror-thriller che il ragazzo proprio non avrebbe sopportato di vedere, quindi ne misero su uno piuttosto leggero e tranquillo, che non seguirono neanche più di tanto, dal momento che spesso distraevano la loro attenzione continuando a parlare tra di loro: a Marco sembrò come se in quell’unica serata ognuno di  loro volesse raccontare all’altro tutta la propria vita degli ultimi venti anni, da quando si erano visti e salutati per l’ultima volta, Marco ancora molto piccolo, coi lacrimoni agli occhi e Alessandro già quindicenne, col groppo in gola per la separazione forzata da quel bambino a cui  si era affezionato più che se fosse stato suo fratello…

Giunti alla fine del film, e ormai quasi alla fine della chiacchierata, almeno per quella sera, dopo un attimo di pausa dai loro discorsi, Marco decise di affrontare lo spinoso argomento. Si appoggiò con la schiena contro il divano, intrecciò tra loro le dita delle sue mani e abbassando lo sguardo esordì: -Sai, oggi pomeriggio… pensavo a una cosa da dirti…-

Alessandro, avendo intuito che si trattava di un discorso importante, gli rivolse tutta la sua attenzione e lo incoraggiò, con voce calma e profonda: -Dimmi pure…-

-Oddio, è la prima volta che… ma insomma, ecco…- iniziò a balbettare Marco, stringendo fra loro le dita delle sue mani, -beh, vedi… io penso che potremmo essere nuovamente buoni amici, ed anzi… iniziare da capo una nuova amicizia, e se sarà così… allora mi sono detto che in teoria non dovrebbero esserci tanti segreti, no? Intendo… se vogliamo che vada tutto bene…- continuò con voce leggermente tremante e il cuore che iniziava ad accelerare i suoi battiti, mentre Alessandro lo ascoltava e rimaneva in attesa, cercando di incoraggiarlo in silenzio, volendo aspettare la fine del discorso per intervenire.

-Sì, insomma, ecco se… oh, insomma: io, sai in realtà è da un po’ che ho scoperto che non mi piacciono proprio tanto le ragazze, diciamo…- concluse poi, con quella mezza confessione, di cui molti forse non avrebbero subito afferrato il senso, ma che Alessandro non ebbe difficoltà a comprendere.

La cosa non sembrò sconvolgerlo più di tanto,  certo magari gli aveva causato un po’ di effetto, ma non era il momento per pensarci: vedendo infatti quanto fosse teso l’altro, che era rimasto immobile nella posizione di prima, gli carezzò il capo e gli disse, il più gentilmente possibile: -Non preoccuparti, per me non è un problema…- e non riuscì a finire la frase, che Marco alzò lo sguardo, visibilmente commosso e gli disse: -Grazie… è stato difficilissimo per me… non sai quante volte io mi sia sentito sopraffatto all’idea di dover dire una cosa del genere a qualcuno… cioè, solo mia mamma lo sa, e mi ha accettato dopo un duro periodo per entrambi, ma gli altri… il solo pensiero mi provoca una tale preoccupazione… cioè, io so chi sono e ormai mi va bene così anche se all’inizio ho sofferto molto, però adesso cerco sempre di essere ottimista, di pensare che posso dare e fare ancora tanto, ma a volte mi sembra di cedere, di cadere e allora penso che da solo non ce la farò, e mi rifugio nel passato, nei ricordi… e desidero di tornare indietro, per poi convincermi di  nuovo che non devo buttarmi così giù, ma non sempre è facile e…- e non riuscì a continuare, perché la voce iniziò a rompersi fino a venirgli a mancare per essere sostituita solo da alcune lacrime che gli scesero lungo le guance, e che tentò di asciugarsi con le mani tremanti.

Alessandro lo attirò dolcemente a sé e lo abbracciò, ricambiato da Marco che lo strinse alla vita affondando sul suo petto, e lo coccolò  in silenzio come quando era bambino, e come allora, lo confortò semplicemente col suo calore e la sua rassicurante presenza, finché non sentì il ragazzo più giovane tornare a rilassarsi tra le sue braccia.

Si staccarono quindi lentamente, e ora Alessandro vide un po’ di imbarazzo in Marco per quell’episodio, ed infatti il ragazzo, tenendo basso lo sguardo, si scusò con un filo di voce:

-Perdonami, io… non pensavo di… sì, insomma… ecco, arrivare a questo…-

-Basta così, ok?- lo interruppe Alessandro, facendogli sollevare il viso con un leggero tocco delle dita sotto il mento e sorridendogli  gentilmente mentre lo guardava negli occhi.

Marco lo guardò a sua volta, sul volto ancora leggere tracce delle lacrime di poco prima, poi comprese e annuì: era stato capito e completamente accettato, per la prima volta, da uno dei suoi amici più cari, anzi, da quello che da sempre, ora lo sapeva, gli era stato più caro di tutti.